“Castelnovino”: Castelnuovo Berardenga (SI) racconta i suoi vini

di Adriano Guerri

Venerdi 02 giugno si è svolta l’8° edizione di Castelnovino, evento dedicato ai viticoltori e ristoratori di Castelnuovo Berardenga (SI), storica sottozona del Chianti Classico. Nella splendida cornice di Villa Chigi Saracini sono state presentate le etichette riguardanti anche il Chianti Classico Docg versioni annata e Riserva.

V’era inoltre la possibilità di degustare altre tipologie tra bianchi, rosa, bollicine e rossi a denominazione Igt. La kermesse aveva subito uno stop durante la pandemia e adesso è tornata ai fasti del passato. Un appuntamento nato nel 2014 con il beneplacito delle organizzazioni del settore, desiderose di farsi conoscere agli appassionati.

Castelnuovo Berardenga è l’areale più a sud del Chianti Classico. Un luogo di straordinaria bellezza, con colline dai suggestivi borghi, immerse tra boschi centenari, oliveti. Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, tuttavia sono presenti anche altre varietà sia autoctone che alloctone. Il Chianti Classico per disciplinare deve essere prodotto con un minimo di 80% da uve di Sangiovese e consente l’utilizzo di comprimari alla perfetta riuscita stilistica del vino.

Una zona da sempre a forte vocazione vitivinicola, con prodotti di buona struttura ed eleganza. Con l’arrivo delle UGA (Unita Geografiche Aggiuntive), l’orientamento degli appezzamenti “a mo’ di farfalla” si è diviso, con la parte sinistra ricadente nella sottozona Vagliagli e la parte destra invariata su Castelnuovo Berardenga.

A livello sensoriale i vini riflettono un colore rubino intenso e trasparente, con sfumature maggiormente granato nella tipologia Riserva e Gran Selezione. Naso da note tipiche del Sangiovese: violetta, ciliegia e prugna, su finale di sottobosco, liquirizia e spezie. Tannini nobili, eleganza al sorso,  avvolgenza e persistenza lo rendono un vero campione di razza.

Ecco alcuni  tra i miei migliori assaggi

Chianti Classico Riserva Il Grigio da San Felice 2020 San Felice

Chianti Classico Riserva Vigna di Misciano 2019 Borgo Scopeto

Chianti Classico Riserva Fortezza dell’Aiola 2019 Az. Fattoria dell’Aiola

Chianti Classico Riserva 2018 Poggio Bonelli

Chianti Classico Gran Selezione Celarium 2013 Lecci e Brocchi

Chianti Classico Riserva 2019 Fèlsina

Chianti Classico Riserva Berardo 2019 Castello di Bossi

Gaja: una semplice storia di famiglia

di Ombretta Ferretto

“Sono nato a Barbaresco, un piccolo paese di seicento anime, che ha dato il nome al vino”.

Ha esordito così Angelo Gaja all’Hotel Renaissance Mediterraneo, nella lectio magistralis che ha emozionato la platea di appassionati e professionisti del vino. Una narrazione durata quasi tre ore passando attraverso ricordi di famiglia, grandi successi e nuovi progetti.

Passato, presente, futuro sono stati i fili conduttori che hanno intessuto la trama di un racconto di famiglia, iniziato a metà del diciannovesimo secolo in un minuscolo comune della Provincia Granda e giunto oggi a lambire l’Etna, passando attraverso Montalcino e Bolgheri tra le varie tenute in proprietà. Protagonista indiscusso il vino, straordinario portatore di cultura e vero ambasciatore del Made in Italy nel mondo.

Non ha bisogno di presentazioni Angelo Gaja, della quarta generazione di una cantina sita all’indirizzo storico di via Torino, nel comune di Barbaresco. Classe 1940, nipote di Clotilde Rey, maestra di origine francese, e di Angelo, “produttore di vini di lusso e da pasto”, è lui che ha diffuso il nome del Barbaresco nel mondo, proseguendo nell’intento che era già stato del padre Giovanni di “fare un Barbaresco migliore del Barolo” .

La riconoscenza va a nonna Clotilde e al padre Giovanni, i primi maestri a indirizzarlo su quella strada che Angelo ancora percorre, avendo ben chiaro dove ricercare le origini del proprio successo. Si definisce un artigiano, facendo propria una frase della nonna: fare, saper faresaper far farefar sapere. Un elogio al lavoro manuale, che, nel perseguimento di un progetto, deve andare di pari passo all’ingegno, alla capacità di trasmettere l’arte alle generazioni successive e al talento di diffonderlo sul mercato.

L’83% dei viticoltori italiani sono artigiani per cui il motto “piccolo è bello” suona all’orecchio più intonato quando diventa “piccolo è difficile”, ed è proprio in questa prospettiva che Angelo vede ancora il suo lavoro e quello della cantina di famiglia. Alla base del suo progetto i pochi e semplici insegnamenti del padre: pensare fuori dai luoghi comuni, non adagiarsi mai sulle certezze, rispettare sempre il lavoro degli altri. Un progetto che pone al proprio centro il vino come portatore di valori, paesaggi, umanità perché chi sa bere, sa vivere. In questa visione vanno collocate la volontà e la capacità di interpretare altri terroir fuori dalle Langhe.

Al 1994 risale l’acquisizione di Pieve Santa Restituta in Montalcino e due anni dopo di Ca’ Marcanda a Bolgheri: due realtà vinicole estremamente diverse che hanno imposto una riflessione importante sul futuro. Areali vocati a produzione monovitigno (come Barolo, Barbaresco, Montalcino) devono prepararsi ad affrontare le difficoltà crescenti derivate dai cambiamenti climatici: un serio ragionamento sulla vinificazione in blend come pure l’innalzamento dell’altitudine delle vigne sono solo due delle possibili soluzioni che si prospettano all’orizzonte.

L’affezione alla terra impone inoltre scelte di sostenibilità, perché è necessario “imparare a leggere il presente con gli occhi del domani”. La pratica agronomica nelle vigne Gaja già da tempo prevede  l’inerbimento e le fioriture spontanee; il nomadismo apistico favorito tra i filari è indice della buona salute del vigneto. In questa prospettiva di sostenibilità è nata Ca’ Marcanda, a Bolgheri, una cantina  completamente eco compatibile e integrata nel paesaggio rurale, ideata dall’Architetto Giovanni Bo, che ha progettato tutte le cantine di casa Gaja, perseguendo un ideale stilistico incentrato sul sottrarre anziché caricare.

Ombretta Ferretto autore di 20Italie

Angelo ha saputo mantenere il filo conduttore del suo racconto teso tra radici, famiglia e vino come espressione del territorio. Ha concluso parlando a lungo dei figli, Gaia, Rossana, Giovanni, e dell’importanza che riveste all’interno di una realtà artigiana il passaggio generazionale, da curare per tempo e con attenzione, affinché ognuno rivesta il ruolo più adeguato al proprio talento e alla propria volontà di rimanere legati all’attività di famiglia, trovando il giusto equilibrio all’interno di un percorso che, tracciato da tempo, mira a proseguire ancora a lungo.

La successiva degustazione si è concentrata su annate recenti di etichette provenienti da tutti i terroir su cui opera Gaja ed è stata condotta da Tommaso Luongo, Presidente AIS Campania, Franco De Luca, Responsabile della didattica AIS Campania e Gabriele Pollio, Delegato AIS Napoli. E come a voler parafrasare Angelo, che non mette mai il naso nel vino perché il vino preferisce raccontarlo attraverso i luoghi e le persone, ciascuno di questi calici ci ha permesso di immergerci nei rispettivi terroir.

Siamo andati immediatamente sull’Etna, l’areale più lontano dalle origini storiche di Gaja, e al recente progetto di collaborazione con la cantina Graci, in una Sicilia a lungo ammiccata, su insistenza di Giacomo Tachis, e infine raggiunta. È un caleidoscopio di profumi e sapori Idda (Bianco Sicilia dop 2022 Carricante in purezza), “Lei” in dialetto, riferendosi alla natura femminile dell’Etna, capricciosa e al contempo materna. Una passeggiata tra cespugli di ginestra aggrappati a colate laviche solidificate, salino e rinfrescante come il respiro del mare, il sorso appaga senza mai stancare.

Un salto ci riporta indietro in Piemonte, nella Langa di Fenoglio, tra viti raccolte su alberi di frutta, gli alteni, quando la vigna era solo una minima parte delle colture, e i fiori di brassica, che crescono spontanei tra le vigne. Alteni di Brassica (Langhe DOP 2020 – Sauvignon blanc in purezza) è dissetante per la sottile vena di frutto non completamente maturo, ingentilita dalla nettezza dei profumi di sambuco e gelsomino.

Un aneddoto narra che Giovanni Gaja, papà di Angelo, fosse rimasto talmente deluso dalla sostituzione di una vigna di Nebbiolo con una di Cabernet Sauvignon, che passandogli affianco, avesse scosso la testa e borbottato “Darmagi!” (Peccato, in piemontese). Il colore del vino è rosso, sosteneva, per cui, quando fu invece  impiantato Chardonnay, non se ne curò.

Gaia & Rey (Langhe DOP 2021 – Chardonnay in purezza) nasce nel 1983 come omaggio alla nonna di Angelo, Clotilde Rey, ma quando il grafico vide il nome per esteso sull’etichetta, esclamò: “A’m pias nen Clotilde” (Non mi piace Clotilde) e dunque Gaia, allora bambina, affiancò il nome della bisnonna per il primo Chardonnay italiano maturato in barrique. Femminile, elegante, discreto negli sbuffi minerali che riportano alla memoria certi Mersault e si intrecciano alla freschezza calda e avvolgente di agrume candito, che termina in una lunga nota piacevolmente amaricante. Dopo questo sorso, ci sembra quasi di averla conosciuta Clotilde.

Il vino deve essere in grado di restituire il luogo d’origine e dunque la ricerca dei suoi caratteri distintivi deve essere costante. Le vigne di Pieve Santa Restituta crescono a 600 metri d’altezza, per far fronte al cambiamento climatico e all’innalzamento delle temperature. Elegante e snella la 2018 di Rennina (Brunello di Montalcino DOP), tratteggiata dalla balsamicità delicata di origano fresco e timo, è già piacevolmente godibile per la trama vivace ma non invadente del tannino.

Per lo stesso principio di espressività territoriale, le vigne di Ca’Marcanda guardano il mare, godendo del riverbero del sole, mentre i boschi alle loro spalle garantiscono quell’escursione termica necessaria allo sviluppo del profilo olfattivo tipico di questo tratto di costa toscano. Ed è un’esplosione di macchia mediterranea Camarcanda (Bolgheri DOP 2020 – Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc), dove la potenza, governata a regola d’arte, si fa talmente snella e sottile da restituire un tannino setoso su lunghissime scie balsamiche di liquirizia.

Gli ultimi due campioni in degustazione non potevano che riportarci nel Piemonte delle radici e della memoria.

Al naso compatto, scuro, quasi impenetrabile, Sperss (Barolo DOP 2018) evoca già nel nome i caratteri che emergono nei profumi (Sperss significa nostalgia in piemontese). Maschile nelle note di ciliegia sotto spirito, cannella e coriandolo, è sobrio e compatto e mostra il carattere di un vino piemontese di razza, dalla freschezza preponderante e dal tannino che asciuga senza mai aggredire. Ancora una volta l’etichetta celebra una storia di famiglia, perché la vigna di Serralunga da cui sono prodotte le uve di questo Barolo è la stessa in cui Giovanni vendemmiava da ragazzo, ben prima che i Gaja possedessero parcelle di terra nell’areale del Barolo. Solo nel 1988 Angelo riuscirà ad acquisire la vigna, la prima nella denominazione Barolo, la stessa legata ai ricordi della gioventù spensierata di suo padre.

Il Barbaresco 1979 ha concluso l’emozionante serata, tre ore in cui tempo e spazio sono rimasti sospesi nel racconto affascinante dal sapore piemontese di Angelo Gaja. Il tempo sembrava essersi fermato anche per quest’ultimo calice, che solo nell’aspetto tradiva il carico d’anni sulle spalle e neanche in modo così palese. Elegante, perfettamente coeso, in straordinario equilibrio tra la freschezza ancora appagante e le note evolute di sottobosco, ruggine, incenso, ci è sembrata l’immagine trasposta in vino di un uomo straordinario, che ha scritto un pezzo della storia enoica italiana.

Angelo si è soffermato a lungo sul ruolo della ristorazione  nella diffusione della cultura del vino, attraverso la convivialità, l’accoglienza e la corretta comunicazione, e sulle donne, che negli ultimi venticinque anni hanno saputo imporsi come assaggiatrici più attente e sensibili degli uomini.

Tutti devono fare qualcosa nella vita per vivere e sostenersi, ma solo l’artigiano ha un suo progetto nel quale profonde impegno costante; quando il progetto viene realizzato, allora l’artigiano deve diventare un maestro di bottega che trasferisce il saper fare; infine bisogna essere capaci di andare sul mercato e far conoscere il proprio progetto.

L’etichetta minimal nera e bianca ha reso celebre nel mondo il marchio Gaja : il nero idealizza il passato su cui non si può più scrivere e su cui è impresso solo il nome Gaja; il bianco, invece, è al contempo presente e futuro, ancora scrivibili, ma rappresentati attraverso nell’essenzialità delle informazioni d’etichetta.

Toscana: Morellino del Cuore 2023

di Adriano Guerri

Lo scorso 24 maggio ho partecipato alla prima di tre serate denominate Morellino del Cuore dedicate al Morellino di Scansano. L’evento si è svolto  a Firenze al Boulevard Parc Bistrò, luogo di promozione e divulgazione del vino di qualità, spazio eventi e bistrot. In degustazione 10 vini selezionati da una commissione di giornalisti, esperti e collaboratori di importanti guide e riviste enogastronomiche. 

Il seminario è stato organizzato e guidato dai giornalisti Roberta Perna e Antonio Stelli in collaborazione con il Consorzio Tutela Morellino di Scansano. Hanno partecipato tutti i produttori dei 10 vini selezionati  per l’occasione e il direttore del Consorzio il dott. Alessio Durazzi, che ci ha illustrato brevemente il territorio e le aziende.

Prima di passare all’analisi sensoriale dei vini in degustazione, lasciamo il tempo ad alcune nozioni su questo incantevole  comprensorio .

Il Morellino di Scansano è una gemma enologica localizzata tra l’antico vulcano Monte Amiata e la stupenda costa Tirrenica in provincia di Grosseto. In tempi remoti, qui gli Etruschi avevano già iniziato a coltivare la vite e a produrre vino. Si ipotizza  che il nome derivi da un’antica leggenda secondo la quale, dal vicino capoluogo, alcune famiglie transitavano in carrozza sulle colline intorno al borgo di Scansano per acquistare il già notorio vino rosso della zona. Erano trainate da cavalli neri detti “morelli”, motivo, sembrerebbe, dell ’origine del nome “Morellino”. Un microclima ideale per la coltivazione della vite: suoli sciolti e ricchi di minerali, calcare e argilla (tra galestro e alberese), e l’influsso marino della costa a dar origine a vini di indubbia qualità.

Per disciplinare deve essere prodotto con uve Sangiovese almeno per l’85%. Possono concorrere al completamento nella misura massima del 15%: Alicante, Ciliegiolo, Colorino, Malvasia Nera, Canaiolo, Montepulciano, Merlot, Syrah, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. La maggioranza dei produttori predilige, però, lavorare il Sangiovese in purezza. Nelle migliori annate viene prodotta anche la tipologia Riserva. 

Il territorio comprende 7 Comuni: oltre a Scansano, che dà il nome alla denominazione, parte dei territori di Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna e Semproniano. Il riconoscimento a Doc è giunto nel 1978; sarà il 2007 l’anno dell’incoronazione a Docg.  Ha vissuto un periodo di grande successo alla fine dello scorso millennio e dopo un periodo di pausa è tornato con merito nella cerchia dei grandi vini rossi italiani.

Un panorama agricolo caratterizzato da dolci colline, che ha invogliato molti imprenditori già affermati in altre zone della Toscana e in Italia ad investire in questo lembo di terra, valorizzando e tutelando l’intero comparto. A tavola è il compagno ideale di molte preparazioni culinarie della tradizione; l’abbinamento giusto predilige comunque carni rosse, soprattutto alla griglia, tortelli maremmani al ragù di carne e cinghiale in umido. 

Un vino duttile, capace di farsi apprezzare sia da giovane sia con qualche annetto in più. L’attuale Presidente del Consorzio del Morellino di Scansano è Bernardo Guicciardini Calamai.

I vini in degustazione

Santa Lucia Morellino di Scansano Docg 2022 A’ Luciano Sangiovese 90% e Alicante 10%. Emana note di fiori di campo, frutti di bosco e succo d’arancia, fresco con tannini ben levigati, invoglia ad un sorso successivo.

Tenuta Agostinetto Morellino di Scansano Docg 2022 La Madonnina Sangiovese 85% Cabernet per la restante parte. Rivela sentori  di rosa, mora, mirtillo e ciliegia; sorso fresco, sapido e rotondo.

Mantellassi Morellino di Scansano Docg 2022 Il Mago di O3 Sangiovese 100%. Danza tra note di viola, lampone, ribes e mirtillo; succoso e lungo.

Le Rogaie Morellino di Scansano Docg 2021 Forteto Sangiovese 100%. Dipana note di erbe aromatiche, violetta,  anguria e frutta rossa matura, dal sorso fresco, dinamico e persistente.

Per i campioni “Intermedio”, che si pongono come una sorta di Selezione tra le tipologie Annata e Riserva:

Boschetto di Montiano Morellino di Scansano Docg 2021 Io&Te – Sangiovese 85% e Merlot 15%. Svela sentori di arancia sanguinella, mora, amarena e nuances balsamiche. Palato ricco, avvolgente e durevole.

Cantina Vignaioli di Scansano Morellino di Scansano Docg 2021 Vigna Benefizio Sangiovese 100%. Declina nuance di prugna, ciliegia matura e pepe nero, dal gusto fresco e piacevolmente tannico.

Podere 414 Morellino di Scansano Docg 2020 – Sangiovese 85%, Ciliegiolo, Colorino, Alicante, Syrah 15%. Rimanda sentori di corbezzolo, frutti di bosco,  liquirizia, pepe e nuances balsamiche,  ricco, setoso, morbido e dinamico.

Per la Riserva

Roccapesta Morellino di Scansano Docg Roccapesta Riserva 2020 – Sangiovese con un saldo di Ciliegiolo. Si percepiscono sentori floreali succeduti da susine, more, lamponi e melagrana. Dal sorso armonioso e vellutato.

Morisfarms Morellino di Scansano Docg Riserva 2019 – Sangiovese 90% Cabernet Sauvignon e Merlot 10%. Complesso e intenso, in prima battuta da note floreali, frutta rossa, carruba, rabarbaro, eucalipto e menta, sapido,  avvolgente e persistente.

Terenzi Morellino di Scansano Docg Riserva 2019 Madrechiesa Sangiovese 100%. Alla prima olfazione parte su petali di rosa e ciliegia croccante, poi vira tra scorza d’agrumi e tabacco, molto appaganti.

Dopo la degustazione dei vini è seguita una squisita cena a base di pesce in abbinamento ai campioni degustati. Roberta Perna ci ha ricordato le altre due serate dedicate a Morellino del Cuore, che saranno il 22 giugno presso Lo Scoglietto a Rosignano Solvay (Li) e il 12 luglio da Canapone a Grosseto.

Il Nihonshu (Sake giapponese) nel corso del tempo

di Gaetano Cataldo

Il sorso meditato, associato alla consuetudine del bere responsabilmente, diventa una sorta di esercizio intellettuale, arricchimento culturale e allenamento mnemonico. La memoria olfattiva non è l’unica ad essere sollecitata: vecchie annate rievocano aneddoti ed accadimenti storici precisi, facendo rivivere fatti e persone di altre epoche.

Se ne restano lì, Impigliati nel fluire del tempo e rievocati da una sorsata di vino appena prelevato da un grosso qvevri, la nascita dell’alfabeto cuneiforme sumerico e le gesta mitologiche del re Gilgameš di Uruk, la fiera ebrezza degli Argonauti alla vigilia della ricerca del Vello d’Oro nell’antica Colchide, la remora delle antiche e fiere navi fenicie giunte fino a Cartagine, in Croazia ed in altri angoli del Mar Mediterraneo; parimenti, un boccale di birra dissetante tra amici non di rado aiuta a riscoprire le origini di questa bevanda oltre la spuma: la pratica di svezzare i neonati con lo zythum nell’Antico Egitto, i rituali religiosi officiati con la scura e concentratissima curmy, riservata al faraone ed il culto del gruit, miscela d’erbe antesignana del luppolo, custodito dalle popolazioni etrusche in un’epoca in cui la Campania non era stata ancora colonizzata dai Romani e quindi non monopolizzata nelle abitudini di beva col nettare dionisiaco.

Il sake giapponese, leggasi nihonshu per piacere, rientra di diritto tra i massimi sistemi del bere fermentato, unitamente al vino e alla birra, pertanto non sfugge assolutamente alle considerazioni di cui sopra, essendo il suo un fascino ammantato da storia e leggende millenarie.

Come accennato in un precedente articolo, pare tutto abbia avuto inizio in Cina

Con buone probabilità il casuale processo di fermentazione del riso sembra sia avvenuto attorno al V millennio a.C. nei pressi del Fiume Azzurro, mentre altre fonti sosterrebbero invece lo sia stato in prossimità del Fiume Giallo durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a.C.

È bene osservare che ci sono degli antenati cinesi che si avvicinano molto al sake giapponese: lo shokoshu e lo shaohing-jiu, entrambi provenienti dalla regione dello Shaoxing nell’Est della Cina, nelle cui produzioni vengono impiegati cereali, come riso e addirittura grano, durante il processo fermentativo, per non parlare di un altro parente prossimo al sake: l’huang-jiu, ossia il vino giallo, tutt’oggi elemento di estremo rilievo nella gastronomia cinese. Nelle terre del Dragone Rosso va rilevato che, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, viene fatta menzione per la prima volta di una particolare muffa nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come aspergillus oryzae, elemento tutt’oggi di estrema importanza per l’alimentazione in Estremo Oriente.

Ma cosa accadeva nell’arcipelago giapponese e come si è arrivati al sake?

Alcuni reperti archeologici consistenti in anfore, vasellame e coppe, sono stati rinvenuti sull’isola di Kyushu nel sud del Giappone qualche anno fa e gli esami al radiocarbonio vorrebbero risalissero al periodo Jomon, tra il 10.000 ed il 300 a.C., epoca in cui alcune tracce confermano la consuetudine a bere alcolici, ottenuti dalla fermentazione di uva selvatica e di altri frutti spontanei da parte degli abitanti. È alla fine di questo periodo, più o meno tra il 600 ed il 500 a.C., che assisteremo all’introduzione del riso nell’arcipelago nipponico da parte dei cinesi. Durante il periodo Yayoi, databile tra il 300 a.C. ed il 300 d.C., assistiamo allo sviluppo ed al consolidamento delle tecniche di coltura del riso per mezzo dell’allagamento delle risaie e dei terreni predisposti alla semina di questo prezioso cereale. È bene rilevare che le testimonianze scritte più accreditate confermano il consumo di sake in Giappone risalga proprio a quest’epoca: nelle “Cronache dei Tre Regni” o “Gishi Wajin Den”, più precisamente nel Libro di Wei, testo cinese importantissimo, viene descritto come interpretare e decifrare gli ideogrammi giapponesi rispetto ai costumi del tempo, tra cui la consuetudine di bere alcol appunto sia durante le danze popolari che nei periodi di lutto. Insomma una vera e propria guida che includeva anche nozioni geografiche e nomenclatura topografica dell’epoca.

Grazie all’impulso cinese la società giapponese cominciò a cambiare radicalmente ed assumere, a poco a poco, una connotazione culturale tutta sua… al periodo Yayoi, come recitato nel testo che lo menziona per la prima volta, ossia l’Ohsumikoku Fudoki, appartiene il kuchi-kami no sake, il sake ancestrale preparato dalle sacerdotesse shintoiste attraverso la masticazione del riso caldo, poi riposto in recipienti di terracotta assieme ad altro riso ed acqua perché amilasi e fermentazione potessero aver luogo.

Il rituale della preparazione del sake da masticazione da parte delle giovani vergini fa sì che nel periodo Kofun ed Asuka, tra il III ed il VII secolo d.C., la bevanda sia consacrata agli dei per ingraziarsi buona sorte e raccolti fruttuosi e purtroppo, dopo essere divenuto una bevanda molto popolare, proibita: il consumo infatti divenne appannaggio esclusivo dell’imperatore e della sua corte. Nel 689 d.C. fu istituita la prima casa di produzione di sake al palazzo imperiale di Nara e costituirono un organismo che ne vigilasse il processo, inoltre si beveva il doburoku, un sake “fangoso”, ergo non filtrato. Col periodo Nara , datato tra il 710 ed il 794, la sacralità del sake  venne consolidata ulteriormente da un editto imperiale che ne codificò il culto durante specifiche funzioni religiose, proprie dello Shintoismo; dal Fudoki , testo di cronache di costumi e terre, opera letteraria voluta dalla stessa Genmei, un’importantissima rivoluzione nel processo di produzione del nettare di riso, si apprende circa l’introduzione del kamutachi: il termine antico è nient’altro che il sinonimo del meglio noto koji-kin, la spora fungina che cresce lungo gli steli del riso cui si è fatto cenno precedentemente ed il cui nome scientifico, lo ricordiamo, è aspergillus oryzae.

Di importante rilevanza storico-culturale è stata la prima consacrazione dell’intero Giappone del 754 avvenuta proprio in una delle sale del Grande Tempio Orientale tutt’oggi presidiata dalle imponenti statue dei quattro guardiani del Kaidan-In.

Dal 794 al 1185, detto periodo Heian, il Giappone vede il fiorire dell’arte della scrittura a corte e numerose sono le descrizioni in forma letteraria ed artistica circa il servizio di mescita del sake; nel 927 viene ultimata, per volere dell’imperatore Daigo, la stesura dell’Engishiki, libro di leggi e costumi del tempo contenente una vera e propria trattazione sul processo di fermentazione, la descrizione di una dozzina di sake conosciuti e viene menzionata per la prima volta la consuetudine di bere il sake caldo con le tecniche di riscaldamento. Alla fine del periodo Heian, nome dell’antica Kyōto, la domanda di sake aumentò così vertiginosamente da superare persino il prezzo del riso e, di conseguenza, i santuari shintoisti produttori di sake si moltiplicarono rapidamente in tutto il paese.

L’era Kamakura – Muromachi, dal 1185 al 1493, sancisce l’inizio della produzione moderna di sake e si praticava l’antica tecnica fermentativa chiamata bodai-moto: essa consisteva nel mescolare riso grezzo cotto al vapore con acqua, koji e lieviti per ottenere un miscuglio ricco di acido lattico… una sorta di batonnage.

Nel 1252 il governo dovette correre ai ripari limitando e regolando la produzione per impedire il consumo di sake degenerasse nella piaga dell’alcolismo. Tra il 1493 ed il 1600, ossia nel periodo Azuchi – Momoyama, venne introdotta la levigatura del riso con metodo Morohaku, descritto nel libro Tamon-in Nikki pubblicato nel 1569, creata la ricetta per la distillazione dello shōchū e, udite udite, fu introdotta la pratica della pastorizzazione…  appena 300 anni prima di Pasteur, aumentando così la shelf-life del fermentato.

Durante il periodo Tokugawa, noto anche come Edo, inizia il declino per lo shogunato ed il governo trova una stabilizzazione definitiva nella città di Tokyo. In questa fase di progresso generale avvengono altri determinanti cambiamenti per la produzione qualitativa di sake: come si tramanda nel Tamonin viene scoperta da Tazaemon Yamamura, fondatore della cantina Sakuramasamune, ancora attiva ed una delle più famose, la sorgente Miyamizu sul Monte Rokko nella prefettura di Hyogo e si comprende di conseguenza la funzione dell’acqua nel sake. Il cambiamento che porta Edo, la moderna Tokyo, a diventare la nuova capitale del Giappone in luogo di Osaka comporterà il trasporto di sake via mare e di conseguenza la costruzione di navi apposite chiamate Taru Kaisen, inoltre viene introdotta la figura del Toji, praticamente l’enologo del sake; nel Kanzukuri viene stabilito che i migliori sake debbano essere prodotti in inverno dove l’assenza o quasi di lieviti ed altri batteri non interferisce, inoltre verrà praticata la pastorizzazione a freddo ed infine, cosa importantissima, si introduce e perfeziona il processo fermentativo in tre fasi chiamato Sandan Jikomi.

Al Periodo Meiji, databile tra il 1868 ed il 1912, si deve la nascita della bottiglia “Issho Bin”, in pratica la bottiglia magnum del sake; nel 1873 il sake viene liberalizzato, consentendone il consumo al popolo, ed il fermentato di riso e koji compare sul Vecchio Continente, debuttando all’Expo Mondiale di Vienna.

Durante il secolo scorso, tanto nel periodo Taisho che nel periodo Showa, sono stati apportati altri miglioramenti ma cosa ancora più importante è avere comprensione che il sake è frutto di ogni singolo tassello che nel corso della sua storia è servito ad ottimizzare un prodotto ed uno stile di bere evolutosi senza sosta nel tempo fino ai nostri giorni.

Cosa possiamo dire del periodo Hensei, cioè dal 1989 fino ai giorni nostri? Con l’Expo di Milano del 2015 l’Italia diventa il primo paese europeo per l’importazione di sake di qualità e nel dicembre dello stesso anno il nihonshu viene insignito dell’indicazione geografica il cui disciplinare ne sancisce la tutela per tutte le 47 prefetture in cui viene prodotto. Ci sarebbe decisamente da dire molto di più in termini storici sul nihonshu, ma questo escursus compresso ci dovrebbe aiutare a comprendere sufficientemente quanto il fermentato giapponese sia stato testimone dell’evoluzione della civiltà che l’ho ha procreato, diventando elemento inscindibile nella vita sociale di questo grande Paese. Bere il vino di riso e koji è un’opportunità per fare un viaggio a ritroso in epoche remote, per confrontarsi con altre culture, con un tocco healthy e di grande appeal allo stesso tempo.

UGIVI (Unione Giuristi della Vite e del Vino): rinnovato il Consiglio Direttivo

di Alberto Chiarenza

L’UGIVI (Unione Giuristi della Vite e del Vino) ha rinnovato il suo Consiglio Direttivo per il triennio 2023-2026. La decisione è stata presa durante l’Assemblea dei soci, tenutasi a Marsala il 6 maggio 2023, che ha visto anche l’esame di alcune proposte di modifica dello statuto dell’associazione.

L’Avv. Diego Saluzzo, del foro di Torino, è stato proclamato Presidente all’unanimità durante il Consiglio Direttivo. I Vice-Presidenti saranno l’Avv. Floriana Risuglia (foro di Roma) e l’Avv. Filippo Moreschi (foro di Mantova), mentre l’Avv. Angela Quatela (foro di Bari) ricoprirà il ruolo di Segretario e l’Avv. Marco Didier (foro di Asti) sarà il Tesoriere dell’UGIVI.

Il Convegno si è svolto all’interno delle celebrazioni di John Woodhouse e del Marsala.

L’Avv. Stefano Dindo, co-fondatore dell’associazione e Presidente uscente, ha sottolineato la crescita dell’UGIVI negli ultimi anni e i numerosi incontri e occasioni di confronto organizzati dall’associazione sulle tematiche inerenti al diritto vitivinicolo, negli ultimi anni in continuo mutamento.

Il neo-Presidente Avv. Diego Saluzzo ha confermato l’impegno e la volontà di proseguire nell’opera di costante crescita che ha caratterizzato il percorso dell’UGIVI in 25 anni di attività. Il nuovo Consiglio Direttivo, nel rispetto della parità di genere è composto da 7 donne e 7 uomini e lavorerà per rafforzare il ruolo dell’associazione come riferimento, servizio e collaborazione con gli enti che già la contraddistinguono, e per andare avanti sul fronte dell’internazionalizzazione. L’approccio multidisciplinare dell’UGIVI sarà fondamentale per offrire un ampio confronto e una positiva contaminazione tra competenze ed esperienze differenti.

Il Consiglio Direttivo 2023-2026 dell’UGIVI sarà composto dall’Avv. Ermenegildo Mario Appiano (Torino), Avv. Francesca Besana (Verona), Avv. Maria Filomena Buccolieri (Bari), Avv. Genny Teresa Carretta (Roma), Avv. Andrea Ferrari (Asti), Avv. Marco Giuri (Firenze), Avv. Alberto Iadanza (Verona), Avv. Mariangela Marrangoni, (Siena), Avv. Chiara Menchini (Verona) e dal Dr. Stefano Sequino (Roma).

L’UGIVI, fondata nel 1997, è una delle principali associazioni italiane del settore vitivinicolo e rappresenta un punto di riferimento per gli operatori del diritto che si occupano di produzione, commercializzazione e distribuzione del vino. Grazie alla sua attività di studio e ricerca, l’associazione fornisce agli operatori del settore una conoscenza approfondita delle normative e delle leggi relative alla produzione di vino.

Inoltre, l’associazione UGIVI ha istituito dei nuovi gruppi di studio e lavoro, al fine di concentrarsi su specifiche tematiche relative al diritto vitivinicolo. Questo nuovo approccio multidisciplinare è stato sottolineato dal neo-presidente Saluzzo durante il suo intervento, evidenziando l’importanza di una positiva contaminazione tra competenze ed esperienze differenti, al fine di offrire un reciproco e ampio confronto.

Roma: la tappa del Lugana DOC nel suo Tour in giro per l’Italia

di Augusta Boes

Per comunicare efficacemente è importante considerare il pubblico di riferimento e gli obiettivi che si intendono raggiungere. Questo concetto è ben noto al Consorzio di Tutela del Lugana DOC, che sa bene come la comunicazione digitale possa essere solo un surrogato della realtà. In un’epoca in cui il mondo è sempre più digitalizzato e le relazioni sono spesso virtuali, il Presidente del Consorzio Fabio Zenato e un gruppo di Produttori di riferimento del territorio si sono messi in viaggio per presentare le loro eccellenze nelle principali città italiane, attraverso un format che prevede eventi dal vivo e con il calice in mano. Non c’è nulla di più efficace che raccontarsi faccia a faccia, con la possibilità di scambiarsi strette di mano, abbracci e sguardi sinceri. Niente è più coinvolgente di un momento di approfondimento esperienziale, che permette di avvicinare il pubblico in modo mirato, generando efficacia nei canali di promozione.

Le aziende stanno gradualmente comprendendo che la divulgazione individuale non è sufficiente e che è importante collaborare con i colleghi per sviluppare nuove idee promozionali volte a comunicare un intero territorio. La Denominazione, dunque, si pone come una vera e propria proprietà collettiva che richiede uno sforzo congiunto per essere valorizzata al meglio. Non si tratta di aggiungere ulteriori iniziative a un mercato già saturo di proposte ed eventi, ma piuttosto di selezionare le soluzioni più efficaci, che possano generare concrete opportunità di dialogo e nuove relazioni con i consumatori.

Con 2.560 ettari vitati, 210 Aziende e 28 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, il Lugana DOC ha come principale sbocco il mercato internazionale che assorbe circa il 70% della produzione, ma è ancora poco diffuso in Italia al di fuori del proprio territorio di produzione che si affaccia sulla sponda meridionale del Lago di Garda.  Da qui l’idea di un tour promozionale per presentare questa eccellenza al Belpaese. E non si poteva che cominciare dalla Capitale che ha ospitato la prima tappa nella suggestiva cornice dell’Enoteca La Torre a Villa Laetitia.

Il vitigno principe della DOC è il Turbiana, figlio del Lago di Garda, una meraviglia plasmata in milioni di anni dalla natura, dai ghiacciai e dal tempo. La morfologia delle colline moreniche che si affacciano sul lago è dolce e caratterizzata da linee delicate. Grazie al clima sub-mediterraneo, gli inverni sono miti e le estati temperate, mentre la bio-diversità qui è la regola dell’armonia perfetta. Il passare del tempo modella forme, colori e profumi, che variano a seconda delle stagioni, ma l’atmosfera del Garda rimane sempre fedele a sé stessa e si tinge di mille sfumature d’incanto.

Iscritto Catalogo Nazionale delle varietà della Vite al numero 239 come Trebbiano di Soave, e al numero 254 come Verdicchio Bianco B, il Turbiana è sinonimo ufficiale di entrambi che geneticamente sono il medesimo vitigno. Apprezzato per la sua freschezza e la sua acidità equilibrata, è un vitigno molto duttile e le sue uve possono essere vinificate in diverse modalità, dando vita a vini secchi o dolci, spumanti o fermi, ma che presentano in tutti i casi un carattere sempre fresco, armonico e delicato, e un ottimo potenziale di invecchiamento.

Negli ultimi decenni gli sforzi dei produttori hanno portato a una maggiore attenzione alla qualità dei vini e alla valorizzazione del territorio del Lugana DOC, e le otto etichette degustate durante questa interessante giornata non lasciano dubbi in proposito. Un excursus completo e didattico che ha portato nei calici le diverse sfaccettature di questo vino in otto interpretazioni eccellenti. In ordine di apparizione:

  • Azienda Agricola Brunello – Etichetta Nera -Lugana DOC 2022
  • Citari – Conchiglia – Lugana DOC 2022
  • Cascina Le Preseglie – Hamsa – Lugana DOC 2021
  • CàMAiol – Molin – Logana DOC 2021
  • Montonale – Orestilla -Lugana DOC 2021 (il mio preferito)
  • Cà Lojera – Riserva del Lupo – Lugana DOC 2019
  • Perla del Garda – Riserva Madre Perla 2018 – Lugana DOC 2018
  • Cantina Bulgarini – Superiore Cà Vibò – Lugana DOC 2016

Qui a Roma la prima tappa di questo “Lugana on Tour” ha suscitato interesse ed entusiasmo e siamo convinti sarà ovunque un grandissimo successo! Teniamocele un po’ più dentro casa le nostre eccellenze! Dalla Capitale è tutto.

Svelati i 10 Morellino del Cuore 2023

Comunicato Stampa

Svelati i 10 Morellino del Cuore 2023. A loro dedicate tre serate in Toscana per farli conoscere alla stampa 
ed agli amanti del buon vino.

24 maggio Boulevard Parc Bistrò a Firenze, 22 giugno Lo Scoglietto a Rosignano Solvay (Li), 12 luglio Canapone a Grosseto.

Si è riunita venerdì 5 maggio a Scansano, nella sede del Consorzio di Tutela Morellino di Scansano Docg, la commissione di assaggio formata da 6 note firme del mondo del vino che hanno selezionato i 10 Morellino del Cuore 2023.

A degustare 64 etichette (in calce al cs le aziende ed i vini che hanno partecipato) sono stati i giornalisti Antonio Boco, Andrea Gori, Riccardo Margheri, Richard Baudains, Stefania Vinciguerra e William Pregentelli, collaboratori di alcune tra le più importanti guide e riviste di settore.

Per il Morellino Annata salgono sul podio del loro cuore

  • Santa Lucia Morellino di Scansano Docg A’ Luciano 2022
  • Tenuta Agostinetto Morellino di Scansano Docg La Madonnina 2022
  • Mantellassi Morellino di Scansano Docg Mago di O3 2022
  • Le Rogaie Morellino di Scansano Docg Forteto 2021

  • Per l’“Intermedio”, che si pone tra Annata e Riserva uscendo sul mercato dopo l’Annata ma non compiendo lo stesso percorso di affinamento della Riserva, salgono sul podio del cuore:
  • Boschetto di Montiano Morellino di Scansano Docg Io&Te 2021
  • Cantina Vignaioli di Scansano Morellino di Scansano Docg Vigna Benefizio 2021
  • Podere 414 Morellino di Scansano Docg 2020
     

Per la Riserva salgono sul podio del cuore:

  • Roccapesta Morellino di Scansano Docg Roccapesta Riserva 2020
  • Morisfarms Morellino di Scansano Docg Riserva 2019
  • Terenzi Morellino di Scansano Docg Riserva Madrechiesa 2019
  • Queste etichette saranno le regine di tre cene in Toscana aperte al pubblico ed alla stampa in cui uno o più rappresentanti del Consorzio di Tutela del Morellino, insieme al giornalista Antonio Stelli che ha collaborato alla messa a punto di questo format insieme al Consorzio ed alla giornalista Roberta Perna, spiegheranno ai presenti le loro caratteristiche e peculiarità.


Tema di questa prima edizione di Morellino del Cuore è “Morellino anche in estate” che, servito ad una temperatura inferiore, verrà abbinato oltre a piatti tipici toscani anche a piatti di pesce ed a base di verdure, a dimostrazione della versatilità di un vino in cui il sangiovese esprime tannini mai troppo muscolosi e più tendenti alla morbidezza, caratteristiche che ben sposano gradazioni di servizio anche più fresche.

La prima serata si terrà il 24 maggio a Firenze al Boulevard Parc Bistrò, luogo di promozione e divulgazione del vino di qualità, spazio eventi e bistrot. Prima della cena si svolgerà una degustazione guidata dal giornalista Antonio Stelli riservata alla stampa ed a un numero ristretto di ospiti. (Per info sulla degustazione scrivere dal 15 maggio in poi a pr.enogastronomia@gmail.com)

Morellino del Cuore è un format pensato per far conoscere ad un pubblico sempre più vasto un vino che racconta di una terra, la Maremma, in cui mare, collina e montagna creano un habitat unico per il sangiovese, vitigno simbolo della Docg Morellino di Scansano.

Attività realizzata con il contributo del MASAF, ai sensi del decreto direttoriale n. 553922 del 28/10/2022

Lista aziende partecipanti Morellino del Cuore 2023

ANTONIO CAMILLO
ASINTONE
AZ. VITICCIO
AZ.BRUNI
BELGUARDO
BORGO SCOPETO E TENUTA CAPARZO
BOSCHETTO DI MONTIANO 
CANTINA 8380
CANTINA LA SELVA
CANTINA VIGNAIOLI DI SCANSANO
CELESTINA FE
COL DI BACCHE
FATTORIA QUERCIAROSSA
FATTORIA SAN FELO
I LECCI
LA FATTORIA DI MAGLIANO
LA MOZZA
LE ROGAIE
MANTELLASSI
MARCHESI FRESCOBALDI
MASSI DI MANDORLAIA
MORISFARMS
PODERE 414
POGGIO AL LUPO
POGGIO NIBBIALE
ROCCA DELLE MACIE
ROCCAPESTA
SANTA LUCIA
TENUTA AGOSTINETTO
TENUTA IL QUINTO
TENUTA PIETRAMORA
TENUTA VALDIFALCO- LOACKER
TERENZI
POGGIO AL VENTO – TRONCON MAURO
VAL DELLE ROSE
VAL DI TORO

Morellino di Scansano Docg

Il Morellino di Scansano, divenuto un vino a DOCG a partire dalla vendemmia 2007, viene prodotto in tutto il Comune di Scansano e parte dei Comuni di Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna e Semproniano. Gli ettari di vigneti rivendicati sono circa 1500, di cui il 35% in conduzione biologica certificata. Da disciplinare può contenere un minimo di 85% di uve sangiovese ed un massimo di 15% di altre uve di vitigni a bacca nera consentiti nella Regione Toscana. 
Il Consorzio Tutela Morellino di Scansano è composto attualmente da 220 soci.

Montalcino (SI): visita all’azienda Caprili

di Luca Matarazzo

Bisogna riconoscerlo: fa sempre effetto visitare una realtà ben organizzata, per di più in un areale conosciuto in tutto il mondo, come l’azienda Caprili a Montalcino (SI).

L’emozione nasce dal fatto che i loro vini sono entrati a far parte di quel patrimonio enologico d’Italia, vanto per chiunque grazie al Sangiovese di queste terre, forte di connotazioni eleganti e potenti al tempo stesso. La storia della famiglia Bartolommei, titolari da 4 generazioni, nasce come tanti in Toscana, dal vecchio retaggio dell’epoca della mezzadria.

Nel 1911 già conducevano i poderi della Tenuta Villa Santa Restituta, per poi spostarsi, nel 1952 all’attuale podere denominato Caprili. Nel 1965 decidono di acquistarne la proprietà dai signori Castelli-Martinozzi, tenutari di Villa Santa Restituta, e nello stesso anno impiantano il primo vigneto, denominato ancora oggi “Madre”, da cui si ricavano le selezioni massali per i nuovi innesti.

Agli inizi si trattava di appena un ettaro vitato, per poi crescere, passo dopo passo, fino agli oltre 25 odierni. Non soltanto accrescimento agrario, bensì pure la costruzione di una nuova cantina di vinificazione per arrivare a gestire l’aumento produttivo giunto al record di 54 mila bottiglie con la straordinaria 2019.

La qualità non nasce dal caso: parlando con Giacomo Bartolommei, l’attuale timoniere aziendale, gli sovvengono i ricordi dolci ed affettuosi per suo nonno Alfo, artefice del primo imbottigliamento datato vendemmia 1978 e messo in commercio nel 1983. Alfo era un visionario, un pioniere in quelle stagioni ove il vino italiano neanche conosceva la propria identità e consapevolezza. Il futurismo enologico è visibile nel settore dedicato alle etichette storiche di valore indiscusso, con pezzi rarissimi ancora disponibili per assaggi unici nel loro genere.

Ora come allora, si decide di lavorare in base alle diverse maturazioni del vino nei contenitori, andando prima a comporre il mosaico della tipologia Rosso di Montalcino e poi quello delle botti selezionate verso il Brunello di Montalcino e la Riserva, realizzata solo nelle annate generose e equilibrate. Fusti di varie dimensioni, passaggi, periodi di sosta: dai 30 ai 60 ettolitri e dai 24 ai 36 mesi. Solo il Rosso di Montalcino viene dirottato verso tonneaux e legni da 20 ettolitri per 12 mesi.

In vigna la parte agronomica viene seguita dal padre Manuele, lo zio si occupa delle vendite ed il cugino Filippo Pieri, neppure ventenne, già rappresenta il futuro di Caprili. Giacomo Bartolommei è anche uno dei vicepresidenti del Consorzio del vino Brunello di Montalcino. A lui non potevamo evitare, prima della consueta degustazione, alcune domande sull’andamento della denominazione e dei mercati.

Giacomo, esprimeresti un tuo pensiero sul presente e sul futuro del Brunello di Montalcino? <<Il presente vive ancora una lunga coda positiva di ordinativi frutto della ripresa post-pandemica. Le note dolenti arrivano, invece, dal costo delle materie prime e dagli approvvigionamenti, che molte realtà cercano di attuare per svincolarsi dalla rarefazione di vetro ed etichette. Il futuro trasmette ottimismo, pur con una flessione sui prodotti di bassa fascia fuori dalla denominazione di origine. La richiesta è altissima e si fa fatica a soddisfare tutti i mercati, superando la soglia dei 9 milioni di fascette annue.>>

E per quanto concerne il cambiamento climatico quali sono le sensazioni dei produttori? <<Con il cambiamento climatico bisogna ormai conviverci, probabilmente spostando le altitudini per la vite. Serve inoltre un corretto approvvigionamento idrico, con la costruzione di numerosi bacini di accumulo d’acqua piovana sempre più scarsa durante la primavera e l’estate. Non c’è comunque l’intenzione di aumentare i diritti d’impianto complessivi; ciò rischierebbe infatti di creare un’involuzione nella fiducia dei consumatori, non aiutando il sostegno di adeguati prezzi di vendita.>>

E adesso, ringraziando il collega giornalista Dario Pettinelli per aver organizzato un incontro tanto atteso, passiamo a momenti più ludici: la degustazione dei vini.

Partiamo dal Rosso di Montalcino 2021, che dimostra il calore dell’annata siccitosa e torrida, con alcune vasche di fermentazione dai valori record per componente alcolica. In questi casi, oggi più che mai, la mano dell’uomo diventa necessaria per riportare le condizioni entro normali limiti di piacevolezza. La tipologia non consente particolari espressioni estrattive o materiche con rinuncia, invece, ad un sorso dinamico e immediato. Per fortuna (e bravura), il target gustativo resta sempre l’agrume rosso con buoni spunti minerali e scie di erbe mediterranee. Obbiettivo raggiunto.

Il Brunello di Montalcino 2018 mostra i caratteri di una vintage totalmente differente rispetto alla 2021, giocata maggiormente su toni freschi e meno pomposi. Come sempre, preferiamo evitare giudizi e facili vaticini da rabdomanti mediatici, evidenziando che la qualità altissima non è legata necessariamente a persistenze tanniche irsute o altre componenti. Ogni anno è un racconto diverso, per chi sa narrarlo e per chi vuole ascoltare. Questo parla di ciliegie succose, tendenze all’amaricante tipiche del varietale ed un sorso che è pura goduria di bocca. Berlo ora o tra un po’ sarebbe come il dubbio amletico irrisolvibile tra l’uovo e la gallina. Perché esitare?

AIAB ed EQUALITAS promuovono un nuovo modello agricolo sostenibile

di Alberto Chiarenza

AIAB ed Equalitas hanno firmato, il 29 marzo 2023 presso la sede di Equalitas a Roma in Via XX Settembre, un memorandum d’intesa mirato a promuovere un modello agricolo sostenibile basato sulle competenze e le esperienze delle due organizzazioni. 

20italie era presente all’evento, alla presenza di numerosi giornalisti e operatori del settore vitivinicolo, aperto con un light lunch con prelibati finger food e vini in degustazione.

Il Protocollo d’intesa è stato siglato da Giuseppe Romano, Presidente di AIAB e Riccardo Ricci Curbastro, Presidente di EQUALITAS alla presenza del sottosegretario Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Luigi D’Eramo.

La collaborazione coinvolge due dei principali attori nel settore, con lo scopo di consolidare la supremazia italiana nel campo dell’agricoltura biologica e sostenibile, al fine di raggiungere obiettivi ambiziosi. La partnership prevede azioni comuni di comunicazione e diffusione, nonché attività di ricerca e sviluppo.

Progetti simili supportano la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, nonché una maggiore consapevolezza delle caratteristiche della filiera, comunicandone il valore intrinseco ai consumatori. 

L’accordo è il risultato di un lungo e strutturato processo volto a promuovere un modello agricolo basato sui più avanzati principi ambientali. Tra i principali, vi è la trasmissione della complessità del concetto stesso di sostenibilità, che non può ignorare i cosiddetti tre pilastri, l’approccio promosso dal modello Equalitas. Il protocollo mira inoltre a riconoscere il valore strategico dell’agricoltura biologica nella protezione della biodiversità e della salute di tutti gli attori della filiera.

Sono previste attività di ricerca e sviluppo con il coinvolgimento dei rispettivi comitati tecnico-scientifici. Le finalità perseguite includono il confronto tra modelli di coltivazione biologica, convenzionale ed alternativa in viticoltura, mirati a marcare punti di riferimento in termini di impatto carbonio, idrico, biodiversità e indicatori sociali.

Giuseppe Romano presidente di AIAB

Secondo Giuseppe Romano, presidente di AIAB, <<l’agricoltura biologica si trova in un momento estremamente strategico. È emersa come metodo di coltivazione sostenibile, certificato e garantito, ma anche come strumento politico per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale dell’UE. Oltre alla gestione dell’agroecosistema e della fertilità del suolo, i valori della sostenibilità sociale ed economica sono intrinsecamente inclusi nei valori del biologico tout court. L’idea nasce dalla necessità di superare eventuali ostacoli e inizare a confrontarsi e misurarsi con altri standard e parametri di sostenibilità che vanno al di là della sostenibilità ambientale.>>

Riccardo Ricci Curbastro Presidente di Equalitas

Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Equalitas, ha aggiunto: <<unendo le competenze di entrambe le organizzazioni si mira a promuovere adeguate pratiche agricole, la condivisione di conoscenze, nonché la realizzazione di percorsi formativi e di iniziative di educazione alimentare e ambientale rivolte alla società civile e alle istituzioni. In questo modo, si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sui temi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.>>

L’accordo rappresenta, inoltre, l’opportunità per l’agricoltura italiana di affermarsi sul mercato internazionale, grazie alla reputazione e all’esperienza maturata dalle due organizzazioni principali.

In tali contesti le attività di ricerca e sviluppo previste dal protocollo mirano anche a sviluppare nuove soluzioni e tecnologie innovative, che possano essere adottate anche da altre regioni e nazioni.

Un importante passo avanti per l’agricoltura sostenibile e per la promozione di un modello di sviluppo che tenga conto dell’interconnessione tra ambiente, economia e società, contribuendo a costruire un futuro migliore per tutti.

Sicilia: Marsala Vergine Baglio Florio – Cantine Florio 1833 – un prodotto unico da emozioni storiche

di Silvia De Vita

Ritengo che per predisporsi all’assaggio del Marsala Vergine Baglio Florio – Cantine Florio 1833 (Gruppo Duca di Salaparuta) un vino così ricco di storia, sia opportuno calarsi nell’atmosfera del luogo d’origine e concepire cosa ha reso così sontuoso ed importante questo prodotto!

Tutto nasce in un paesino della costa occidentale siciliana ed in queste righe proverò ad esprimere le mie emozioni provate arrivando in luoghi bellissimi e ricchi di storia. Marsala è stata particolarmente colpita durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, le cui ferite ancora si vedono. L’obbiettivo numero uno, Erwin Rommel, “la volpe del deserto,” si trovava invece da tutt’altra parte, eppure ciò non ha fermato la catena distruttiva che ha portato la storica cittadina ad essere rasa al suolo. Venne ricostruita poi in stile moderno, con i classici canoni e le (ahimè) storture dell’edilizia non sempre regolamentata negli anni del boom.


Ad attrarre l’attenzione a Marsala, sono le insegne delle importanti cantine che celebrano il paese e le sue vigne nel mondo intero: Rallo, Pellegrino, Florio e tante altre. Imboccando via del Fante, si attraversa un passaggio a livello, ed ecco spianarsi all’improvviso di fronte a noi una spiaggia bianca ed un mare azzurro da atmosfere paradisiache. La strada parallela è delimitata da muri alti e bianchi: si intuisce immediatamente che stiamo percorrendo il perimetro di un Baglio siciliano, con un tesoro nascosto oltre quelle mura, un mondo avvolto da un incantesimo tutto speciale.


Dopo pochi metri, si apre una cancellata di ferro battuto nero, imponente con le punte dorate a forma di frecce, a delimitare l’ingresso dove timidamente ci si affaccia per entrare, con la certezza di scoprire una meraviglia ma con l’inconsapevolezza di quanto grande e storica sia! All’epoca della mia visita, 3 anni orsono, venne ad accogliermi il signor Mario, fedele custode con i suoi 60 anni vissuti e la tipica generosità siciliana mescolata alla galanteria di altri tempi. L’interno del Baglio ricorda un palazzo arabo: mura candide con corte centrale che racchiude giardini adornati da piante grasse fiorite, banani e palme accarezzate dalla brezza marina; centralmente una fontana ha preso il posto dell’antico pozzo che per decenni ha fornito acque dissetanti e fresche a colui che con arsura ci si affaccia. Intorno a questa corte si sviluppa la cantina: archi enormi delimitano i vari punti di accesso con portoni antichi e pesanti in legno rossastro.

A guidare gli ospiti all’interno della storia e del mondo Florio è la signorina Aurora, che con passione e naturali doti teatrali conduce per mano il visitatore nei 200 anni di storia. Così, ascoltando le parole di Aurora, in un attimo sei trasportato metaforicamente accanto al fondatore della cantina – Vincenzo Florio – ed un attimo dopo sei un soldato dei mille di Garibaldi e partecipi all’unificazione dell’Italia. Oppure vivi le rivoluzioni locali, diventando una delle tante donne che hanno lavorato alla realizzazione del “Marsala Florio”, e che già negli anni 1860-1880 partecipavano attivamente alle loro lotte aziendali per la realizzazione della prima mensa e del primo asilo nido.

Percorrendo le gallerie di tufo della cantina dove il Marsala e gli altri prodotti riposano nei fusti di legno, talvolta secolari, riesci a sentire il liquore ancora in fermento, lo scambio continuo tra aria e botti, la brezza marina che porta i suoi sali minerali e l’umidità che mantiene il contenuto integro.
La luce all’interno ricorda il colore del tramonto, vengono a mente in questa malinconia bucolica le sofferenze per i bombardamenti che hanno danneggiato le cantine, distrutto le botti e fatto scorrere via il vino mescolato forse, al dolore di uomini, donne, giovani ed anziani, innocenti.

Il Marsala Vergine “Baglio Florio” racchiude un po’ tutto quanto raccontato in queste righe. Invecchia 12 anni in botte prima di essere imbottigliato. L’atmosfera che lo circonda durante la maturazione sta alla base del suo successo. Portando il calice verso il naso è immediatamente avvertibile l’intensità boisé sviluppata dalla sosta in cantina; osservandone il colore si raccolgono i riflessi ambrati e vermigli ed imbevendo le labbra di vino si può riconoscere il sapore della brezza marina che sfiora delicatamente il viso. Il primo tocco lascia la lingua con un lieve richiamo astringente che poi si allarga divenendo velluto su ogni papilla gustativa, come se ci si facesse cullare dai profumi, dai soavi movimenti e dalle intriganti profondità del mare. Alla fine resta l’arsura ed il calore di quella terra magnifica, fatta di estati calde e luminose, risate di donne nei campi, grida dei bambini in gioco nei cortili della cantina, suoni e canti durante la vendemmia.

Un sogno liquido che merita un viaggio!