Nella parte più incontaminata della Laguna di Venezia, precisamente sull’isola di Mazzorbo, esiste un progetto di recupero vitivinicolo iniziato nel 2001 dalla famiglia Bisol, produttrice di vini da 500 anni in Valdobbiadene, che ha abbracciato l’affascinante sfida di far rinascere un vitigno autoctono veneziano: la Dorona di Venezia.
In un ecosistema unico, non proprio lo stereotipo di un ambiente vitivinicolo perfetto, tre fattori estremi non hanno comunque impedito a questo vitigno di essere presente in laguna per centinaia di anni: l’umidità tutto l’anno che risulta sicuramente negativa per la viticoltura perché può far sviluppare diverse malattie; la presenza del sale ovunque; e la mancanza di spazio per le radici essendo il terreno a livello del mare. In alcune zone non c’è un metro per le radici e le viti vengono tenute basse per far sì che si abbia una buona resa.
Un vitigno normale non resisterebbe a queste condizioni estreme, mentre la Dorona si è perfettamente adattata a questo ecosistema nel corso del tempo, sviluppando un’ottima resistenza sia all’umidità che al sale. Le radici si comportano in maniera diversa rispetto alle altre viti che si trovano sulla terraferma: iniziano ad andare in profondità ma appena incontrano l’acqua salata si espandono in orizzontale. Il prodotto finale dà grappoli particolarmente concentrati da un lato poveri d’acqua ma ricchi di nutrienti, soprattutto minerali e parte salina.
La storia della Dorona
L’avvincente storia della Dorona è da far risalire al X secolo, quando la viticoltura era diffusa ovunque in laguna, grazie soprattutto agli ordini religiosi che avevano iniziato a colonizzare le varie isole costruendo monasteri e impiantando vigneti. Per capire l’importanza della tradizione vitivinicola a Venezia basta pensare che in Piazza San Marco fino al 1100 c’era un campo coltivato con all’interno una vigna. Le prime tracce della viticultura risalgono a oltre 2500 anni fa, e le isole della laguna sono sempre state coltivate, per consentire un minimo di autosufficienza agli abitanti. Anche le piazze seguivano lo stesso destino, da questo deriva il nome delle stesse a Venezia “Campo” e “Campiello”.
Arriviamo al Ventesimo secolo, quando due disastri naturali hanno portato alla quasi scomparsa della Dorona: il primo nell’inverno del 1929, il più freddo mai registrato con temperature che sfiorarono i meno 20 gradi e la laguna completamente coperta dal ghiaccio, come da alcune foto storiche dove si vedono persone andare a piedi da Murano a Venezia. Una situazione estrema che ha provocato la perdita della maggior parte delle viti. Il secondo evento nefasto, l’acqua alta del 1966 che arrivò a quasi 2 metri dal livello del mare coprendo l’intera laguna, formando un ambiente palustre che causò la definitiva distruzione del vitigno, tanto che venne considerato dallo stato italiano ufficialmente estinto.
La svolta si ebbe nel 2001 quando Gianluca Bisol, facendo una passeggiata a Torcello, scorse per caso in un giardino privato, tre viti, iniziando così a compiere ricerche con il proprietario e scoprendo che erano proprio della Dorona, sopravvissuta anche all’acqua alta del ‘66. Da qui l’idea di restaurarne la tradizione vitivinicola. Seguirono da una parte le lunghe vicende burocratiche per il riconoscimento da parte delle Autorità competenti dell’esistenza ancora della Dorona con la quale si poteva produrre vino, e ci vollero i canonici 5 anni per avere la certificazione. Gianluca Bisol, aiutato dal contadino locale Gastone, decise di approfondire le ricerche all’interno della laguna per vedere se fossero sopravvissute altre viti e, grazie ad un team di agronomi ed esperti conoscitori della laguna, si recuperarono le ultime 88 piante sopravvissute alla grande acqua alta.
Dopo tutte queste vicende incrociate nel 2006 Gianluca trova il luogo di elezione dove poter riprendere la coltivazione vinicola, una tenuta nell’Isola Mazzorbo, a due passi da Burano nella Venezia Nativa. Un “clos” circondato da mura medievali e con un campanile trecentesco all’interno della vigna. La proprietà, circondata dall’acqua su tre dei quattro lati, è attraversata da un canale e ospita una peschiera. Sapendo che il luogo aveva una certa vocazione vinicola, fa analizzare il suolo per capire se era ancora adatto alla produzione del vino, il risultato portò a sconsigliare l’impianto della vite per l’eccessiva salinità del suolo che per la mancanza di spazio. Ma caparbio e tenace pensò di provarci comunque, rafforzato dal fatto che per centinaia di anni si era prodotto vino e poi la Dorona non è un normale vitigno che non avrebbe potuto reggere alle condizioni estreme.
Nel 2010 arriva la prima vendemmia, con una produzione di 4880 bottiglie che riporta la Dorona di Venezia nelle più importanti cantine di tutto il mondo. Nel 2011 vede la luce anche il Rosso Venissa blend di Merlot e Cabernet Sauvignon e nel 2013 nasce anche il Rosso Venusa
La Tenuta Venissa sorge a Mazzorbo, isola che assieme a Torcello e Burano rappresenta la Venezia Nativa: un arcipelago di natura, colori, sapori e arte. Da qui, attraversando a piedi il caratteristico ponte di legno con vista su Venezia, si raggiunge Mazzorbo, isola che conquista per la sua atmosfera serena, lontano dal caos cittadino di Venezia, intima ed emozionante. Venissa è un perfetto esempio di “vigna murata” al cui interno si trovano il ristorante e le sei camere. A rendere ancora più suggestivo il luogo, ricco di pace e silenzio, è il campanile trecentesco che domina il vigneto.
Ed eccoci alla degustazione
Una premessa è d’obbligo: le differenze d’altitudine all’interno del vigneto cambiano il risultato finale. La parte più bassa del vigneto è a mezzo metro dal livello del mare, la più alta a un metro, ovvio che mezzo metro in più in queste condizioni è tanta roba, le radici riescono ad espandersi meglio con un prodotto più fresco e qui si produce il Venusa. In quella più bassa più concentrata dove le viti soffrono molto e la produzione è minore, basti pensare che ogni vite produce 1 o due grappoli, si fa il Venissa. Due prodotti completamente differenti che andiamo a degustare.
VENUSA BIANCO – prodotto con uve Dorona presenta un colore giallo con riflessi dorati, viene sottoposto ad un periodo di macerazione sulle bucce. Fermentazione in acciaio e per 24 affinamento in cemento. Al naso profumi floreali accompagnati da frutta gialla e richiami ad erbe di campo. In bocca un bel sorso dinamico con una piacevole acidità e mineralità. Prima annata di produzione 2017.
VENISSA – la vendemmia manuale avviene nella seconda metà di settembre. Il mosto fermenta, con macerazione sulle bucce di più di 20 giorni in acciaio. La macerazione sulle bucce si pratica per mantenere la tradizione veneziana: a Venezia infatti non era possibile avere cantine sotterranee e fresche temperature a causa dell’acqua alta. Era quindi indispensabile macerare la Dorona per strutturarla grazie alle sostanze antiossidanti presenti nella buccia e nei semi. Infine il vino affina 48 mesi in botti di cemento e 12 mesi in bottiglia. Alla vista un colore giallo paglierino brillante con note dorate, al naso un bouquet complesso che spazia tra i sentori di pera, albicocca, mandorle e spezia, in bocca avvolgente e caldo con una bella mineralità e morbidezza. La bottiglia è un’opera d’arte. Al posto dell’etichetta una foglia d’oro applicata a mano per poi rimettere la bottiglia in ricottura nei forni delle vetrerie di Murano.
Un’esperienza unica, assistere allo spettacolo del sole che tramonta sulle vigne dorate di Venissa, inebriarsi del profumo del mare e del sale, ascoltare il suono delle maree, un’esperienza emozionante e coinvolgente.
Prosit!