Modigliana. Storie di gente, appennino, vini

È il turno anche di Modigliana di aprire e mostrare il suo piumaggio al resto della Romagna, come un pavone dai colori sgargianti. Lo fa come di consuetudine, con l’immancabile appuntamento dell’ormai rinomata associazione “Stella dell’Appennino”, arrivato al suo 7° anno consecutivo.

Un “weekend lungo”, svoltosi al mercato coperto di Modigliana e iniziato sabato 9 settembre con la presentazione del libro illustrato “Modigliana. Storie di gente, appennino, vini” a cura di Giorgio Melandri e firmato dai migliori giornalisti italiani del vino e dal fotografo Maurizio Gjivovich. E poi banchi d’assaggio: nella giornata di domenica 10 settembre, aperto al pubblico con le deliziose piadine di Fabrizio e Andrea Donatini ad accompagnare le degustazioni; e lunedì 11 settembre, aperto agli “addetti al settore”, con un servizio ristoro curato da l’Osteria La Campanara di Pianetto e l’Osteria La Zabariona di Ravenna.

L’appuntamento con i produttori appenninici è sempre molto atteso, ma quest’anno addirittura emozionante dopo che l’intera regione è stata martoriata da alluvione e frane. Ancora una volta, vediamo come un evento possa trasmettere l’eloquente messaggio di resilienza, dimostrando che i romagnoli non solo non si fermano davanti a nulla, ma addirittura continuano a progredire.

L’evento infatti, rappresenta anche l’occasione per presentare la grande novità della vendemmia 2022. I vini di Modigliana, che fino ad ora era conosciuta principalmente per il suo Sangiovese, potranno ora fregiarsi della menzione Bianco Modigliana, un’innovazione frutto del risultato di un lungo processo di modifica delle regole della denominazione Romagna DOC. Menzione che prevede un minimo di 60% di trebbiano in abbinamento ad altri vitigni tipici a bacca bianca (fra cui il Sauvignon Blanc, vitigno internazionale che ha radici profonde in questa zona).

20Italie era presente, e per voi lettori ha selezionato alcune delle bevute più interessanti.

Fondo San Giuseppe “Modigliana” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

Stefano Bariani non è solo Brisighella e ce lo dimostra con un vino che porta proprio il nome di Modigliana. Un sangiovese color rosso carminio intenso che cattura immediatamente l’attenzione. Al primo sorso, si apre con un carattere profondo e austero, rivelando note di frutti maturi e uno strato di spezie. La sua struttura è succosa e avvolgente, mentre la freschezza rimane costantemente presente, conferendo al vino un tocco vibrante che lo rende irresistibilmente equilibrato.

Il Pratello “Fornaci del Re” – 2022

Ci spostiamo a casa di Emilio Placci, precisamente in località Fornaci (che da anche il nome al vino). La nostra attenzione si posa su questo blend di albana e trebbiano, in parti rispettivamente al 75% e 25%. Oltre al paglierino luminescente, il calice attira per questi intensi aromi di mela cotogna e da un sottofondo di albicocca matura. Giunge anche una leggera nota di nocciola tostata che conferisce al bouquet un tocco di complessità e profondità. Il primo sorso rivela un vino sapido e fresco, con una piacevole acidità che rinfresca il palato combinata a un’invitante e dolce croccantezza.

Il Teatro “Atto II” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

Luca e Stefania de Il Teatro sono allievi dello stesso Placci e difatti la firma stilistica di questo Sangiovese ne è la prova. Rosso rubino intenso con delicati riflessi ancora purpurei. Predominanza al sorso di sentori di ciliegia matura e a tratti arancia sanguinella, per vertere poi su una spiccata balsamicità boschiva., rinfrescante e tagliente.

La Casetta dei Frati “Fragèlso” – Romagna DOC Bianco Modigliana 2021

Entriamo nel mondo dei trebbiani in purezza degustando quello di Renzo Morresi, che stupisce per il contrasto dinamico che offre. Inizialmente percepiamo un’audace nota agrumata, che rende il vino spigoloso e “maschio”, vivace, vitale e vigoroso, proprio come il territorio d’altura da cui proviene, con la sua aria fresca e pungente. Ma qui sta la magia: mentre il vino si evolve sul palato, si apre a una seconda dimensione di ricchezza, struttura e corpo.

Lu.Va. ”Angiuli” – Romagna DOC Bianco Modigliana 2022

Lu.Va. Come le iniziali di Luciano e Valerio. Oggi è Luciano ad accoglierci con un sorriso al suo banco, dove fra le varie proposte ci colpisce proprio il suo bianco modigliana, un blend di trebbiano (65%), chardonnay (35%) e sauvignon blanc (5%). Proprio quest’ultimo dona l’iniziale nota erbacea che poi cede il passo agli aromi agrumati e floreali tipici del trebbiano d’altura. Il palato fresco e minerale si equilibra alla perfezione con la dolcezza non stucchevole dello chardonnay. Finale lungo con sentori rocciosi, che ci parla del terroir.

Menta e Rosmarino “Area 18 Bianco” – 2021

Solitamente i rifermentati in bottiglia sono vini gioiosi e divertenti, ma è raro che offrano quel “qualcosa in più”. Questo invece ci ha letteralmente sbalorditi. Principalmente composto da trebbiano, è in realtà quel 10% di albana da vecchie vigne a catturare l’attenzione. Francesco e Luciano hanno indubbiamente compiuto un lavoro minuzioso, permettendo all’albana (che solitamente in blend tende a nascondersi) di emergere con i suoi aromi distintivi di albicocca e salvia. Ricchezza, carattere e una bevuta fresca e vivace, accompagnata da un velo di astringenza (tipico dell’albana), creano un vino complesso e identitario.

Mutiliana “Ibbola” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2021

“Il Melandri”. Con il suo “Ibbola” vince quest’anno il premio “Stella d’oro”, dedicato appunto al vino che ha saputo più distinguersi nell’appennino. Come dice appunto il nome, le vigne sorgono nella valle Ibola, arenarie pure e quote elevate, laddove l’uva matura lentamente fino a fine ottobre, emerge un vino rosso dal registro austero e straordinariamente elegante. In bocca, una sorprendente e tagliente salinità si intreccia con tannini sottili, creando un’esperienza raffinata e distinta.

Pian di Stantino “Pian” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

L’artigiano del vino. Il collezionatore di vecchie vigne. Ci piace definire così Andrea Peradotto, soprattutto dopo l’assaggio della nuova annata di “Pian”. Aspetto lucente che rivela giovinezza e vitalità. Approccio olfattivo che svela un bouquet di fiori di montagna, a ricordare una passeggiata primaverile fra i pendii delle colline Romagnole. L’invitante delicatezza si sposa con l’eleganza dei tannini che troviamo al sorso. Emerge anche un che di roccia, che porta con sé mineralità. Sul finale addirittura note di caffè tostato.

Torre San Martino “Vigna 1922” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2018

1922, come l’anno di nascita dei vigneti, rigorosamente allevati ad alberello e dal particolarissimo grappolo di piccole dimensioni. 18 mesi di barrique e 6 di bottiglia regalano tonalità profonde e aromi che richiamano le ciliegie scure, sfumature legnose e un tocco sottile di tabacco. Il tutto sottolineato da una parte mentolata. L’evoluzione graduale e stratificata e la persistenza lunghissima affascinano il palato.

Villa Papiano “Strada Corniolo” – Romagna DOC Trebbiano 2021

Ultimo solo per ordine alfabetico, sicuramente non per importanza. Dobbiamo in realtà alla famiglia Bordini di essere stata una pietra miliare del mondo del vino, Modigliana in primis ma non solo. Strada Corniolo ci stupisce sempre, in particolare in questa annata. La limpidezza del calice anticipa l’esperienza di degustazione.

Fiori di campo e petali di rosa evocano sensazioni di leggerezza e la mineralità ci ricorda la roccia bagnata dai ruscelli. Il frutto lo definiamo una “dolce asprezza”, come un’insalata di agrumi appena preparata. Combinazione di sapori che crea un’armonia unica.

Masseria Falvo 1727: la scelta (vincente) di cimentarsi in nuove sfide a Saracena

Si da per scontato che l’Italia sia un posto bellissimo da visitare, raccontare e godere in ogni dettaglio. Si da per scontato da chi ci vive, un po’ meno dagli incuriositi visitatori esterni, che non hanno mai posto attenzione come noi all’erba più verde del vicino.

Capita di trovarsi a Saracena (CS), in un territorio circondato da morbide colline ove albergano storiche varietà d’uva autoctone, olivi e piante secolari. Qui, tra i precursori della qualità in campo agricolo, abbiamo incontrato i coniugi Ermanno e Gabriella Falvo, due dei rappresentanti di Masseria Falvo 1727.

L’ingegnere Ermanno è un altro di quelli che ha trovato nella vigna il proprio sentiero di vita, complice la pace e la tranquillità di un lavoro a contatto con la natura più vera e profonda. Un uomo mite, che ama ciò che realizza pur nella calma serafica di chi deve quasi parlare di un figlio alla riunione dei professori.

Le difficoltà iniziali del partire praticamente da zero, la visione ambientale di ottenere la rigida certificazione biologica bio.inspecta e una cantina modello, funzionale e lungimirante al contempo. In mezzo i pendii poco distanti con i 26 ettari vitati ai piedi del Parco del Pollino, con suoli ed esposizioni molto differenti. Qui il clima non scherza, nello zigzagare tra estati torride e inverni rigidi, eccezion fatta per la stagione 2023 fuori da ogni schema.

Amarsi un po’ era il titolo di un capolavoro del cantante Lucio Battisti; Ermanno e Gabriella rivivono ogni giorno lo stesso amore nel cercare nuove sfide, senza essere mai ripetitivi. Hanno condotto le loro battaglie assieme a diversi enologi di punta, contribuendo, ciascuno a modo suo, alla crescita qualitativa dei prodotti già riconosciuta dalle migliori guide di settore.

Abbiamo constatato di persona quanto detto con alcuni assaggi in anteprima di ciò che verrà immesso in seguito sul mercato.

Il Pircoca 2022 è il primo degli esempi, un bianco frutto dell’assemblaggio di Guarnaccia Bianca, Malvasia, Traminer e Riesling in parti variabili da annata ad annata, seguita dall’abile competenza di Gabriella, chimica e responsabile del processo di controllo dalla vigna alla bottiglia. Si resta basiti dalla verticalità spinta di un campione nato in una stagione afosa, arsa dall’assenza di piogge. Nuance di pesca gialla ed agrumi conditi da erbe mediterranee a ricordarci il significato intimo del Sud.

Cires 2022 andrà invece in vendita durante la primavera del prossimo anno. Magliocco Dolce in purezza, elevato solo in acciaio. Delicato e fine, curato con assoluta grazia e tanti delestage per consetire l’ammorbidimento tannico di quest’uva ricca di personalità a volte da domare. Il bosco prevale nei suoi effluvi di more selvatiche e humus. Chiosa ancora contratto, nulla di strano per essere a metà del percorso: il succo espresso sulle nostre papille promette bene.

Don Rosario 2019, tra acciaio e legni di varia caratura, parla di oltre 36 mesi in fase maturazione. Ha tutto il tempo di assestarsi, con una trama tannica setosa da brividi e un finale sanguigno e cioccolattoso da masticare a lungo. Straordinaria la progressione fruttata che punta dritta verso il salmastro di forte impatto.

Parlare di Saracena e non menzionare uno dei suoi emblemi enologicoli, il passito da uve Moscato etichetta Milirosu, sembra come profanare un luogo sacro.

Oggi, però, i riflettori abbiamo deciso di spostarli su altri volti e anime dalle sfaccettature uniche, perché il cerchio possa chiudersi nel nome della Dop Terre di Cosenza e della Calabria che osa e vince.

Montalcino: la degustazione dei vini della cantina Sesta di Sopra

Quando percorrevo la strada bianca che da Sant’Angelo in Colle conduce verso Castelnuovo dell’Abate, passando in prossimità di Sesta di Sopra, ogni volta mi spingeva la curiosità dal fermarmi per una visita.

Oggi è arrivato il momento tanto atteso, accolto Matteo Marenda, nipote del titolare, dietro supporto del valido collaboratore Walter Tiberti. L’azienda Sesta di Sopra si trova nella patria del Brunello di Montalcino, nel versante a sud-est del Comprensorio.

Un antico casale si erge con torre d’avvistamento, acquistato e restaurato dai coniugi torinesi Enrica Bandirola e Ettore Spina nel 1980. La prima vendemmia del 1999 con immissione nel mercato nel 2004 fu subito un successo, con il punteggio di 95 centesimi attribuitogli dalla rivista americana Wine Spectator. Gli ettari vitati sono 4, estesi su una superficie complessiva di 60, ove trovano dimora anche alcune d’olivo e bosco. 

L’altimetria dei vigneti, che vantano la certificazione biologica, supera i 400 metri s.l.m. e le radici affondano su terreni ricchi di calcare ed in profondità argillosi. La cantina si trova accanto al casale ed è funzionale, perfettamente mantenuta con botti di rovere e barriques per l’élevage, e tini d’acciaio per la vinificazione.

Le rese per ettaro sono molto basse, il logo dell’azienda è il sole, un antico simbolo etrusco ritrovato nei pressi.

Brunello di Montalcino

Montalcino è un comune italiano della provincia di Siena in Toscana. È una località nota per la produzione del vino Brunello di Montalcino. Si colloca nel territorio a nord-ovest del Monte Amiata, alla fine della Val d’Orcia, al confine con la provincia di Grosseto.

Vino rosso, perla  che l’enologia italiana ha saputo esprimere con risultati strepitosi. La sua affermazione è notevole sia in Italia sia nel resto del Mondo. Nel 1966 il suo rilancio con l’ottenimento della Doc e la nascita del Consorzio di Tutela, che hanno consentito di fare notevoli passi in avanti con ammodernamenti in cantina e rinnovamenti di nuovi vigneti quasi esclusivamente con Sangiovese.

Seguirà nel 1980 l’arrivo della Docg, uno tra i primi vini in Italia ad ottenere questo prestigioso riconoscimento. Da qui, con modifiche al precedente disciplinare già severo, è stato raggiunto un ulteriore innalzamento in termini di qualità. Il territorio presenta aspetti pedoclimatici diversi in ogni zona. A nord si ottengono vini di buona struttura, profumati ed eleganti, ad est vini più tannici adatti all’invecchiamento, a sud vini di grande struttura, molto profumati, ad ovest, vini eleganti, armonici, da lungo invecchiamento.

La vicinanza al Monte Amiata crea un microclima ideale per la coltivazione della vite con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Si ottengono vini di eccellente qualità. Il Brunello di Montalcino viene prodotto con le tipologie: Vendemmia/Annata, Selezione e Riserva.

Il Sangiovese ha trovato a Montalcino un habitat ideale ed il baricentro nella sua massima espressione, più di ogni altra zona. A Montalcino si producono inoltre anche altri importanti  vini, come il Rosso di Montalcino e il Moscadello.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2021 – Rosso rubino trasparente, rivela sentori di viola mammola,  frutti di bosco,  prugna e ciliegia,  sorso lungo e soddisfacente. Fine ed equilibrato.

Brunello di Montalcino 2018 – Rubino con sfumature granato intenso, emana sentori di amarena, violetta,  rabarbaro, arancia sanguinella, liquirizia e spezie dolci. Sorso avvolgente, pieno e persistente.

Brunello di Montalcino Magistra 2018 – Tende al granato vivace, con nuances di rosa appassita,  tabacco, polvere di cacao,  ginepro e pepe nero. Materico, ricco e decisamente duraturo.

Sesta di Sopra

53024 Montalcino (SI)

www.sestadisopra.it

Vigne Di Malies: alla scoperta di un’incantevole cantina del Sannio fortemente legata alle tradizioni

Nelle storie che raccontiamo, elementi comuni suscitano sempre forti emozioni e riemergono in maniera del tutto naturale alla penna: territorio, coraggio, passione.

La nostra attenzione, questa volta, si sposta nell’areale del Sannio in provincia di Benevento, ove le vette più alte del massiccio Taburno-Camposauro disegnano il profilo di una signora distesa, la Dormiente del Sannio, dal profondo valore simbolico. La figura della donna si ricollega al mito ancestrale della madre-terra e il suo essere distesa e immersa in un sonno profondo rappresenta la tranquillità, la pace e l’armonia dei luoghi. Questa zona è da sempre tra le più vocate alla viticoltura campana. Qui nella valle Telesina, due agronomi, Giuseppina Caporale e Flaviano Foschini, uniti nella vita e sul lavoro, nel 2001 hanno dato luce, colore e sapore al progetto Vigne Di Malies.

La loro è un’azienda vitivinicola a carattere familiare, ereditata dal padre di Flaviano; anche i due figli della coppia, Lina e Giuseppe poco più che adolescenti, sono a pieno titolo cooptati in azienda. I sei ettari di terreni vitati della cantina, nei comuni di Guardia Sanframondi e Castelvenere, dopo un reimpianto iniziato nel 2002, ospitano vitigni autoctoni del luogo: falanghina per almeno un 50%, fiano, coda di volpe, greco, aglianico, sangiovese e cabernet, oltre un ettaro di camaiola che per la prima volta sarà vinificata nel 2023. Vigne Di Malies produce poco più di 40000 bottiglie, vini tutti in purezza, fatta eccezione per la Coda di Volpe, verticalizzata da Falanghina senza snaturare il vitigno di base.

Il nome della cantina ricorda le origini di Benevento, rievocando la scritta Malies sulla moneta pre-sannitica, il cui significato indicava il territorio di vigne situato tra i due fiumi Sabato e Calore. Il logo invece richiama il simbolo della provincia di Benevento, un cinghiale imbrigliato, ormai pronto al sacrificio. Tradizione, cultura e dedizione sono i sostantivi che maggiormente rappresentano questa realtà enologica.

La cantina “Le Vigne di Malies” appartiene al Sannio Consorzio Tutela Vini, associata anche alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). L’attenzione alla produzione è molto scrupolosa, tutto è seguito direttamente dalla coppia di agronomi, dalla cura in campo, alle potature, trattamenti, raccolta manuale delle uve, l’estrazione differenziata di antociani e polifenoli e altro.

Pina Caporale

La degustazione avviene in una cantina fresca, nel centro storico di Guardia Sanframondi dove Flaviano e Pina hanno ricavato uno spazio degustativo molto suggestivo.

Auspicio – Spumante da Falanghina metodo classico – 12,5% – Brut Nature

Vendemmia del 2019, aggiunta della “liqueur de tirage” a fine gennaio 2020, sboccatura a settembre del 2022 dopo più di 30 mesi sui lieviti.  Noi lo assaggiamo dopo circa 10 mesi dall’aggiunta della “liqueur d’expedition”.

Un color giallo dorato incanta subito gli occhi per la sua vivacità e densità. Il perlage fine e abbastanza persistente, risulta carezzevole in bocca. Profumo da note di fiori di campo e ginestre seguite da sentori di mela e albicocca con sfumature di minerali. Beva fresca, sapida e piacevole con finale di buona persistenza. Ottimo da accompagnare con dei crudi di pesce.

Callìda – Coda di Volpe – 14% – DOC Sannio 2022 – Vigna Cuponi

Nome che richiama la furbizia della volpe. Camomilla, gelsomino, salvia, frutta bianca non troppo matura, pesca cilentana, mandorla sono i descrittori immediatamente riconoscibili, che si mescolano consistentemente tra loro. Un equilibrio perfetto lo rende molto elegante al palato; lungo nel finale con bella freschezza e mineralità.

Fojano – Fiano – 13,5% – DOC Sannio 2022 – Vigna fontana dell’Olmo

Vino fine e delicato, strutturato, dal colore giallo tenue con intensi e persistenti profumi fruttati e floreali, indicato su cucina di mare più delicata. Presenta sfumature croccanti e grasse molto intriganti da melone, pesca gialla e mais bianco, miele e minerale gessoso sul finale.

Creanzia – Falanghina – 13,5 % – DOC Sannio 2016

Dal nome latino Creantia (crescere, creare) deriva lo spagnolo Criar (allevare, educare) e la parola iberica Crianza, diffusa anche nel dialetto campano “bona crianza” che si addice a qualcosa fatto con cura ed elegantemente. Pina e Flaviano la definiscono “la nostra migliore creatività enologica”. Affina almeno 18 mesi tra barrique (6 mesi), acciaio e bottiglia, durante i quali acquisisce un bel colore dorato, molto lucente. L’olfatto è intenso, minerale, floreale, predomina la ginestra, e la frutta esotica come mango e ananas. Nel finale si sprigionano vaniglia e nocciola.

La degustazione termina con l’assaggio dell’annata 2019 dello stesso vino.

Creanzia – Falanghina – DOC Sannio 2019

Anche l’annata 2019 conferma l’eleganza olfattiva e la piacevolezza nella beva. Il colore dorato più saturo. Il sentore di vaniglia predomina rispetto alla 2016, probabilmente per l’utilizzo di barriques nuove. Fa presagire una buona longevità e interessanti evoluzioni gusto-olfattive.

Qualcuno asseriva che… “Ci vuole un sacco di coraggio per mostrare i tuoi sogni a qualcun altro”.  Si può aggiungere anche: lasciarsi dietro il rumore di opinioni altrui che offuscano il proprio sogno interiore, per seguire con coraggio il cuore e la propria intuizione non è da tutti e solo un guerriero armato di sana pazzia riesce a farlo!

da sinistra Pina Caporale, Flavio Foschini, i due figli Lina e Giuseppe

A Vigne Di Malies questa filosofia è fortemente tangibile e alimenta anche le nuove generazioni. La “Bona Creanzia” qui è di casa ed è una magnifica, innata, dote familiare.

Liguria: Golfo del Tigullio mangiare e bere bene tra sapori, tradizioni e creatività in cucina

La Liguria è stata una meta gettonatissima dell’estate 2023 e il clima mite consente di poter godere di splendide giornate anche in autunno e di visitare il borgo di Portofino, Rapallo e il suo Castello, la basilica dei Fieschi nell’entroterra di Lavagna e di passeggiare sotto i portici medievali di Chiavari, non ultima la splendida Sestri Levante e la Baia del Silenzio.

Ecco i locali da non perdere assolutamente

Se amate la cucina gourmet troverete in trenta chilometri ben 2 ristoranti da Stella Michelin: il primo è Orto by Jorg Giubbani presso l’Hotel Villa Edera e la Torretta a Moneglia. Servizio impeccabile, cucina che utilizza materie prime a km zero prodotte nell’orto oltre a selezionati presidi slow food. Stupenda la carta dei vini. A Cavi di Lavagna lo chef Ivan Maniago accoglie gli ospiti per uniche esperienze culinarie a Impronta d’Acqua. Vale un viaggio sia per la cucina.

A Sestri Levante rimarrete affascinati dall’ambiente raffinato e dalla cortesia di Nadia ed Enrico di Cantine Cattaneo, dove il sommelier Vito Santolla vi consiglierà abbinamenti perfetti; inoltre la cucina di Rezzano, in via Asilo Maria Teresa è sicuramente un altro luogo dove i palati sopraffini rimarranno più che soddisfatti. La Trattoria Angiolina sul lungomare è una vera istituzione; frittura di pesce fatta ad arte e non solo, grande e bella selezione di  vini in mescita al bicchiere.

A Santa Margherita Ligure il pesce fresco e la competenza in sala nella mescita dei vini sicuramente da Beppe Achilli, una trattoria vicino al mercato del pesce, di fronte al porticciolo. Cucina francese e italiana, crostacei, frutti di mare  e ostriche che provengono dai migliori allevamenti mondiali da DuCoq in via Cairoli.

Boccon Divino a Chiavari è il luogo giusto per sperimentare la creatività di  Israel Feller, resident chef  che confeziona  autentiche meraviglie. Sotto i portici, in via Bighetti, Antonio Olivari vi accoglierà da Vino e Cucina: splendida selezione di vini naturali. Per un aperitivo indimenticabile, i cocktails, i piatti la cortesia di Casa Gotuzzo: affacciata su piazza dei Pescatori è un punto privilegiato per assistere a tramonti mozzafiato.

La cucina tradizionale ligure potrete scoprirla alla trattoria La Brinca di Né, nell’entroterra di Lavagna, dove il miglior sommelier d’Italia Matteo Circella saprà davvero stupirvi con i suoi suggerimenti. A Rapallo, in via San Massimo U Giancu è sicuramente una istituzione, famosa anche per la passione del titolare per i fumetti: cucina ligure e ottimi vini da scegliere insieme al sommelier Martino Oneto.

Alla ricerca di un agriturismo? Le donne del Castagneto a Castiglione Chiavarese, in via Provinciale 523, sapranno coccolarvi con i piatti preparati con molto amore e passione; altro locale da non perdere, ricavato da un antico frantoio è La Cuccagna a Rapallo, dove la famiglia Armanino propone un menù tipicamente genovese, con pasta ripiena fatta in casa e altre leccornie. A Villa Oneto, vicino a Leivi L’agriturismo U Cantin offre piatti della tradizione in abbinamento ai vini della annessa cantina, curati da Domenico Cuneo , che ha recuperato un antico vitigno ligure, lo cimixa.

La Riviera di Levante è rappresentata dalla Doc Golfo del Tigullio- Portofino con la sottozona Riviera dei Fieschi, istituita nel 1997. I vitigni a bacca bianca maggiormente coltivati sono il vermentino, la bianchetta genovese, lo cimixà, il moscato mentre tra quelli a bacca rossa sicuramente  il ciliegiolo e dolcetto,  a seguire sangiovese e granaccia.

Alcune delle cantine presenti sul territorio offrono delle wine experieces per gli enoturisti e i winelovers: Bisson , in contrada Pestella a Sestri Levante, La Ricolla e U Cantin. Non bisogna mancare di assaggiare i vini prodotti da Cantina Levante, Cantina Mortola, Pino Gino, Casa del Diavolo, Cantine Bregante, Cantina San Nicola per apprezzare al meglio la cucina del territorio.

Buon viaggio e… buone degustazioni in Liguria!

“Sorsi di solidarietà”: Radda in Chianti per la Romagna

Sangiovese di Toscana vs Sangiovese di Romagna.

Probabilmente uno degli “scontri più sentiti” nel mondo degli appassionati dI vino. Ognuno dice la sua: qualcuno si schiera per patriottismo, qualcun altro porta a sostegno esperienze della tal degustazione. Qualcun altro ancora parlando di storia, terroir o addirittura DI analisi organolettiche. Per tutta onestà, il Sangiovese Toscano si è sempre piazzato su un gradino del podio più alto rispetto a quello Romagnolo.

Tuttavia il giorno 2 settembre 2023 la suddetta partita ha avuto un terzo, inaspettato, vincitore: la solidarietà. A Radda in Chianti, ha avuto infatti luogo “Sorsi di solidarietà”, un evento ideato dall’associazione Vignaioli di Radda in unione alla Pro Loco di Radda.

Idea che, per riprendere le parole di Riccardo Porciatti, vice presidente della Pro Loco di Radda, è nata per non perdere il focus sull’alluvione che a maggio di quest’anno ha colpito la Romagna. 4 vignaioli Raddesi (Istine, Fattoria Poggerino, Tenuta di Carleone e Caparsa) a confronto con 4 vignaioli Romagnoli (Vigne dei Boschi, Marta Valpiani, Costa Archi e Villa Papiano) in una degustazione organizzata in 4 staffette.

Da sinistra: Paolo Cianferoni (Caparsa), Sean O’Callaghan (Tenuta di Carleone), Piero Lanza (Fattoria Poggerino), Angela Fronti (Istine)

Da sinistra: Paolo Babini (Vigne dei Boschi), Gabriele Succi (Costa Archi), Francesco Bordini (Villa Papiano), Elisa Mazzavillani (Marta Valpiani)

Luogo della manifestazione la suggestiva piazza Francesco Ferrucci di Radda in Chianti, adibita con tavoli da degustazione per l’occasione. Il ricavato risultante dalla presenza di ben 80 spettatori (fra cui oltre al sottoscritto, anche la collega Sara Cintelli) è stato devoluto in beneficenza alle associazioni dei vignaioli coinvolti nell’alluvione dello scorso maggio.

Non solo viticoltori, ma anche olivicoltori. È l’olio, infatti, un altro elemento che condivide con il vino i confronti su quale sia il migliore, se questo o quello. Ma ciò che ci preme sottolineare è che in Romagna l’olio ha condiviso purtroppo anche la stessa sorte del vino, ovvero quella di aver subito gli ingenti danni delle frane causate dall’alluvione. Brisighella, uno dei territori maggiormente colpiti, è la terra dove viene prodotto il “Brisighello”, il primo olio extravergine d’oliva d’Italia ad aver ricevuto la certificazione DOP nel 1996. L’intervento di Nicola Pederzoli, vice presidente del Consorzio Olio DOP di Brisighella, ci ha fatto capire che il consorzio è composto da piccoli produttori, e che quindi se uno di loro dovesse abbandonare scoraggiato dagli ingenti danni subiti, potrebbe causare un effetto domino e portarsi dietro anche gli altri. Risulta quindi fondamentale che rimangano tutti uniti.

Da destra: Nicola Pederzoli, Federica Assirelli (Consorzio Olio DOP Brisighella)

A fare da portavoce dei vignaioli colpiti, invece, c’è Francesco Bordini, colonna dell’agronomia vitivinicola Romagnola e titolare di Villa Papiano, l’azienda di famiglia. Oltre a fornire qualche numero per aiutare la platea a visualizzare meglio quale sia stata la portata dei fenomeni meteorologici che hanno colpito la Romagna, ha calcato la mano sul rapporto che l’uomo ha con la natura. Essa, infatti, ha una potenza inarrestabile, ma quali responsabilità ha l’uomo? È ligio al dovere eseguendo tutti gli interventi di manutenzione con costanza? Anche Radda sorge su un territorio collinare con parecchie analogie con quello Romagnolo, il che suona quasi come una sorta di monito, o appello, affinché la stessa sorte non capiti ad altri.

Da sinistra: Carlo Macchi (Wine Surf), Francesco Bordini (Villa Papiano)

Si è passati quindi alle degustazioni, ma questa volta non vogliamo perderci in analisi, punteggi e classifiche. Vogliamo tuttavia raccogliere il suggerimento di Carlo Macchi, giornalista enogastronomico e direttore di Wine Surf (nonché conduttore della serata) nel capire somiglianze e differenze fra queste due tipologie di Sangiovese e di territorio, confrontando vini della stessa annata – la 2019 – (o quasi… qualcuno ha portato la 2020). Le somiglianze? Il Sangiovese si conferma probabilmente uno dei vitigni maggiormente capaci di leggere il terroir, per cui ogni vino ci ha parlato esattamente del luogo in cui viene prodotto. Le diversità? Radda in Chianti gioca sul corpo e sulle morbidezze. Vini pieni, ricchi e con tannini complessi. La Romagna invece fa rimanere in estate, con prodotti freschi, tesi, caratterizzati da finezza di aromi e succose acidità che invogliano il sorso successivo. De gustibus non disputandum est.

Conclude la serata un ricco buffet organizzato con prodotti tipici provenienti da entrambe le zone, con l’intervento di Pierpaolo Mugnaini sindaco di Radda in Chianti. Oltre a ringraziare i produttori per l’innegabile lavoro di qualità ravvisato nella degustazione, egli auspica che questa neonata partnership possa continuare anche in futuro contribuendo a scambi utili per conoscersi, condividere storie e culture, divenendo una crescita positiva per gli attori in gioco. Anche fra vignaioli le “rivalità positive” si trasformano in amicizia e unione quando il minimo comune denominatore è la solidarietà.

Perché, alla fine, cosa c’è di meglio di un’atmosfera intima, del buon cibo e un calice di vino, magari Sangiovese?

Romagna: “Brisighella Anima dei Tre Colli” l’Associazione Viticoltori di Brisighella ai blocchi di partenza

Comunicato Stampa

Lunedi 4 settembre al Convento dell’Osservanza a Brisighella si è svolta la presentazione della nuova associazione di viticoltori Brisighella Anima dei Tre Colli.

Alla presenza di oltre 120 tra operatori della ristorazione, enotecari, osti e sommelier, la giornata è iniziata con il seminario Brisighella in Bianco dedicato ai vitigni a bacca bianca della valle del Lamone.

Dopo un breve saluto dell’assessore regionale Manuela Rontini e dall’assessore del comune di Brisighella Gian Marco Monti entrambi diplomati sommelier AIS, il presidente della associazione Cesare Gallegati dell’omonima cantina, ha illustrato le finalità e gli scopi di Brisighella Anima dei Tre Colli.

Paolo Babini, della cantina Vigne dei Boschi, ha accompagnato i presenti lungo la sottozona Brisighella, nata nel 2011 per il Sangiovese e che dal 2022 è ora anche definita per i vini bianchi.
Una zona molto vasta che comprende quasi interamente il Comune di Brisighella e di Casola Valsenio, gran parte del territorio collinare del comune di Faenza. Tre macro aree, tre territori, tre anime. Una visione ampelografica, culturale e storica che associa ad ogni colle un territorio definito:

La Torre dell’orologio, che guarda a nord verso la pianura, a rappresentare lo scandire del tempo che occorre ai vini nati sulle terre fini di sabbie gialle e argille rosse e azzurre;

La Rocca Manfrediana simbolo di solidità e unicità che guarda ai terreni della vena del gesso;

Il Monticino memoria di santuari, badie e monasteri a raccontarci dell’origine della coltivazione della vite in Appennino ad opera principalmente di frati e monaci che praticavano un’agricoltura di rango dove la presenza del vino era importante per scopi liturgici e di sostentamento.

al centro Cesare Gallegati e a destra Paolo Babini

Perché associare le varietà bianche a Brisighella? La notevole presenza storica di queste varietà racconta della grande vocazionalità del territorio verso la produzione di vini bianchi che proprio in questa vallata vede coesistere terre fini argillose nella prima collina, calcaree gessose nella area dei gessi e marnoso calcaree nell’alta valle, condizioni favorevoli per ottenere vini bianchi di grande finezza, austerità e longevità.

L’Albana è presente con quasi 200 ettari su un totale per la Romagna di 880 ettari. Oltre il 22% del totale. Notevole la presenza di Trebbiano Romagnolo, Chardonnay per circa 160 ettari e 15 di Sauvignon.
I presenti hanno poi avuto modo di degustare tutta la produzione degli associati presenti con i loro banchi di assaggio lungo il Chiostro del Convento.

“La presenza di un così grande numero di operatori del settore ci conferma nell’importanza che Brisighella rappresenta per il comparto enogastronomico romagnolo” afferma Cesare Gallegati, “l’associazione Brisighella Anima dei Tre Colli ha tra i suoi obbiettivi proprio quello di portare l’attenzione sulla qualità e la diversità insite nel territorio della Valle del Lamone”.

Nel pomeriggio è avvenuta la consueta apertura dei banchi di assaggio dei vini alla presenza dei vignaioli dell’associazione.

Lazio: Damiano Ciolli “il Cirsium è morto, evviva il Cirsium”

Comunicato Stampa

Con l’annata 2020 il Cesanese Riserva Cirsium cambia faccia. È un piccolo passo, un incipit per quella che potremmo definire “seconda fase del nostro progetto”.

Cirsium era un Cesanese Riserva.
Cirsium era il nostro vino più importante.
Cirsium è stato il primo tassello di un puzzle che stiamo ancora componendo.
Cirsium è il nome botanico di un fiore di campo, comunemente presente nei nostri terreni.
Cirsium è anche un nome di fantasia e non sarà più presente nelle nostre etichette: un cavillo legale ci impedisce di utilizzarlo ulteriormente e di fatto velocizza quella che era una traiettoria già in atto.

Con il millesimo 2020 vi proponiamo, dunque, “solo” un Cesanese Riserva ma la vigna è la stessa, medesima è la vinificazione e identico è l’affinamento. Cambia solamente il vestito. Abbiamo deciso di darvi un’anticipazione di quello che stavamo pensando, almeno graficamente.
Abbiamo dato alla bottiglia un abito essenziale, scegliendo la strada della linearità e preparando il campo per quello che succederà nei prossimi anni.


La digestione di un’analisi territoriale

In oltre 20 anni di attività abbiamo lavorato principalmente su due temi: uno più importante che riguarda la comprensione delle colline che ci ospitano, impegnandoci nella messa a punto di un protocollo agricolo basato sul rispetto e la conservazione, e quello inerente alla sperimentazione in ambito enologico, iter che ci ha permesso di sondare le potenzialità delle uve con cui ci confrontiamo e, oggi, proporre dei vini stilisticamente leggeri, aderenti alla varietà e, soprattutto, al territorio.

La consapevolezza ottenuta, grazie a questo cammino durato due decadi, si traduce in un nuovo obiettivo: esplicitare in etichetta un preciso racconto micro-territoriale e renderlo leggibile a tutti.
Nel futuro prossimo, infatti, sarà nostra cura riportare la menzione delle vigne dalle quali le uve traggono origine. L’idea è quella di tratteggiare un disegno sempre più preciso di ciò che abbiamo a
disposizione, offrendone un’immagine ancora più nitida.

Noi non ci fermiamo, questo è solo l’inizio.

Damiano e Letizia

I Balzini: la famiglia D’Isanto nel passaggio generazionale in continua crescita

Correva l’anno 1980 quando Vincenzo D’Isanto impiantava il primo ettaro di vigna a Barberino Tavarnelle (FI), frazione Pastine, in una località chiamata al catasto “Balzini” per via dei numerosi avvallamenti del terreno ancora ben visibili.

Inizia così il suo progetto enologico affiancato dalla moglie Antonella. Siamo nel cuore del Chianti Classico, ma qui a I Balzini non si produce Chianti Classico per una scelta precisa di Vincenzo: legato nella sua professione di commercialista a regole rigide, decide di staccarsi da quelle del disciplinare per produrre un vino espressione di una Toscana diversa. Dunque insieme al sangiovese, che non costituisce il nucleo storico della vigna, Vincenzo punta su cabernet sauvignon, merlot e mammolo. Attualmente la cantina vinifica cinque etichette – Balze Rosa, Balze Verdi, Balze Rosse, Balze Nere, I Balzini sotto la denominazione IGP Colli della Toscana Centrale, collocandosi a pieno titolo nel solco della tradizione dei Supertuscans.

Diana D’Isanto

A guidarmi è Diana, figlia di Vincenzo e Antonella, energica, appassionata e innamorata di un’eredità familiare, alla quale sta imprimendo il proprio personale contributo in maniera decisiva dal 2017. Diana, sempre affiancata da Wilma, Tea e Ugo, i tre cani di famiglia, riesce a intrecciare in maniera entusiasmante il racconto delle origini insieme a quello dei traguardi presenti e dei progetti futuri: nelle sue parole si scorge chiaramente l’orgoglio del passaggio generazionale, costituito in egual misura da filiale devozione e sana competizione. È suo il progetto Ritorno al Futuro, con il quale ha riportato in auge nel 2017 la storica etichetta dai tratti minimal e il nome del primo vino prodotto nel 1987, I Balzini, sostituendo l’ormai affermato White Label. Stessa operazione di restyling è stata fatta per il Black Label, che nel 2017 ha trasformato il suo nome in Balze Nere e la sua etichetta in una versione più stilizzata.

Gli ettari di vigna oggi sono diventati sette, tutti parcellizzati data l’acquisizione successiva nel tempo, il regime biologico – sempre praticato –  è stato ufficializzato da pochi anni, la produzione si è attestata tra le 25 e le 30 mila bottiglie annue, di cui una buona parte destinate al mercato estero.

Passeggiando nel prato che digrada verso il fondo della balza su cui sorge l’edificio storico della cantina, iniziamo la visita dalla parte più recente, la barriccaia, e per la precisione dalla sua copertura, perché l’ambiente dove affinano i vini si trova interrato proprio sotto i nostri piedi. Questa scelta permette di mantenere una temperatura adeguata senza l’utilizzo di condizionatori, mentre la luce necessaria per garantire l’illuminazione all’interno del locale è ottenuta dal cattura luce che si erge proprio al centro del prato.

Rispetto per l’ambiente come per l’utilizzo dei pannelli solari, che ricoprono completamente la tinaia di fermentazione, o l’impiego di bottiglie più leggere. Tutti i vini della linea fanno fermentazione in acciaio e, ad eccezione del Balze Rosa e del Balze Verdi, passaggio in legno. Le barriques utilizzate sono di diversa provenienza per poter beneficiare delle variegate caratteristiche del contenitore e le botti vengono sfruttate ben oltre la consuetudine, dal primo al quinto passaggio.

Entriamo successivamente in un locale ricco di emozioni, dove vengono conservati i formati speciali (da 1,5 lt a 12 lt) di White e Black Label (dal 2017 I Balzini e Balze Nere) delle annate passate, spesso già acquistati da chi vuole garantirsi una bottiglia particolare per un evento. In questa saletta climatizzata troviamo le tre Jéroboam che i nonni hanno acquistato per il diciottesimo dei tre nipoti gemelli o la Mathusalem che dovrà essere recapitata a Chicago nel 2036, per il ventunesimo compleanno della figlia dell’acquirente. Un servizio sartoriale che prevede anche l’etichetta con dedica personalizzata su richiesta.

La degustazione si svolge sulla bella terrazza da cui si scorge in lontananza la prima vigna impiantata da Vincenzo e l’uliveta, preesistente alla cantina. Assaggio tutti i vini della linea: le tre etichette per bere bene tutti i giorni (Rosa, Verde, Rossa), i due prodotti di punta (Balze Nere e I Balzini), oltre a una piccola sorpresa che posso, senza tema di smentita, definire intrusa.

Si parte col Balze Rosa, sangiovese in purezza vinificato con una brevissima macerazione sulle bucce: ha normalmente una tonalità fior di pesco affascinante, che, unita al nome dell’etichetta, evoca quasi le balze di una gonna sollevate da un vento dispettoso. Ma io non bevo l’annata corrente, la 2022, già terminata da tempo, bensì un’inaspettata 2020, che nel colore si distingue avvicinandosi più a un orange-wine. Stupisce il naso netto di arancia e spezie dolci, rivelando in bocca ottima struttura, con un tannino piacevolmente presente, salino e persistente su ricordi di melagrana.

Balze Verdi 2021 – blend di sangiovese e mammolo, è un vino croccante e immediato, con sentori fragranti di frutta ed erba sfalciata, che ritroviamo nella bocca fresca e pulita. Effetto volutamente ricercato grazie alla macerazione carbonica e alla vinificazione senza bucce del mammolo. D’altronde anche la scelta dei colori delle varie etichette ha proprio lo scopo di evocare determinati sentori che saranno poi presenti nel bicchiere…

Balze Rosse 2018 il blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, è il primo vino della linea che fa passaggio in legno, generalmente sei-otto mesi in barrique dismesse. Fitto nel rosso granato, al naso si distingue per l’oliva in salamoia, la salsedine, il cappero e il sentore di peperone fresco. Morbido e di ottima freschezza al palato, ritorna con sentori balsamici.

La quarta etichetta in degustazione, Summofonte 2015, prende il nome da un borgo nelle vicinanze, Semifonte, perché ne riproduce la cappella, versione 1:8 della Cupola del Brunelleschi, intorno alla quale si estende il vigneto. Non viene sempre vinificata perché la vigna non è di proprietà. È un blend variabile di sangiovese, cabernet, ciliegiolo e un fattore X ancora non conosciuto.

Chiudiamo la degustazione con le due etichette top di gamma, Balze Nere e I Balzini.

Balze Nere 2017, cabernet e merlot, compatto nel colore e nel naso, si apre lento, svelando una personalità posata, da gentleman di campagna: cuoio, tabacco di sigaro, cenere di camino, cardamomo e chiodi di garofano, il frutto arriva molto dopo con la ciliegia sotto spirito e la mora di rovo. Tannino setoso e freschezza equilibrata invitano continuamente al sorso che si chiude su una liquirizia in caramella.

I Balzini 2017, sangiovese e cabernet, ha un carattere più scattante per la leggera nota di pietra focaia che impreziosisce il naso di prugna e continua su sentori di cumino, noce moscata, fresia, olive in salamoia e rosmarino. La bocca svela ancora una volta un tannino fine e ben integrato con una chiusura che rimanda al cioccolato fondente.

I Balzini

Località Pastine, 19

50021 Barberino Tavarnelle (FI)

Valle d’Aosta: “La Toupie Gourmanda”

Immaginate una passeggiata bucolica tra i filari di Morgex alla scoperta del vitigno locale Prié Blanc e dei prodotti gastronomici tipici della zona, immaginate di essere accompagnati da guide locali che vi raccontano la storia e le tradizioni di questi luoghi… ebbene smettete di immaginare e venite a “La Toupie Gourmanda”.

La “Pergola Golosa”, in dialetto patois La Toupie Gourmanda, è una passeggiata enogastronomica, è un brindisi all’estate, una stagione che ai piedi del Monte Bianco scorre velocemente, ma risulta essere di grande intensità proprio come un vino di montagna.

La camminata parte dai prati lungo la Strada Vi Plana di Morgex e si sviluppa in tappe nelle caratteristiche “casette delle vigne” del Prié Blanc, segue un percorso ad anello dove si viene allietati da intrattenimenti musicali e culturali.

Un format innovativo voluto fortemente dai produttori locali, nato nel 2015, che ha lo scopo di promuovere il territorio nella sua interezza, un modo originale per raccontare Morgex e i suoi dintorni, rivisitando sapori e abbinamenti in chiave contemporanea.

Un’esperienza della durata di circa 3 ore, ma prenotando l’ultimo turno vi assicuro che le ore sono molte di più (anche 5), intervallate da momenti di animazione che permettono di scoprire le tradizioni e la vita rurale tipica dell’agricoltura di montagna.

Arriviamo al punto di ritrovo alle 14 dove ci vengono distribuiti i calici per le degustazioni, si parte lungo la strada Vi Plana che si fa spazio nel verde, tra vigneti circondati da vette altissime, saliamo sul trattore che ci condurrà nelle vigne.

Le tappe enogastronomiche sono deliziose, dall’antipasto al dolce, ospitate nelle “casette delle vigne”, piccole strutture in pietra che per generazioni i vignerons hanno utilizzato per organizzare il loro lavoro, come magazzino o alloggio temporaneo (in alcune troviamo stufe e camini) e per conservare l’acqua piovana utilizzata per i trattamenti della vigna o per l’irrigazione.

In ogni casetta troviamo i produttori di vino del territorio, ogni vino è stato abbinato al menù dello chef Agostino Buillas, realizzato servendosi esclusivamente dei prodotti di Morgex et La Salle.

Ecco gli assaggi:

  • Corn dog di escargot: lumache su stecco fritte in pastella
  • Fantasia del vigneron: una insalatina con fiori eduli e gelatina di vino bianco
  • Gnocchetti di patate con fonduta di caprino e polvere di mocetta (la mocetta è un tipico salume valdostano, preparato con la coscia di mucca invecchiata secondo l’antico metodo di salagione e conservazione)
  • Asado gourmet
  • Cassata valdostana
  • Rivisitazione del tipico caffè alla valdostana (il caffè valdostano è quello nella grolla, una coppa dell’amicizia dalla quale si beve a turno)

Ad accompagnare i piatti i vini dei 5 produttori locali:

Brunet Piero

Cave Mont Blanc

Café Quinson Winery

Ermes Pavese

Vevey Marziano

Qui il Prie Blanc la fa da padrona, a Morgex troviamo i vigneti più alti d’Europa, fino a 1250 metri. Una varietà coltivata a piede franco su terrazzamenti eroici che regala vini decisamente minerali, con una marcata acidità e un’elegante struttura. Molto versatile, si presta alla spumantizzazione in metodo classico e alla produzione di icewine con uve vendemmiate a fine dicembre quando la temperatura scende al di sotto dello zero.

Una breve descrizione dei vini

  • Cave Mont Blanc Metodo Classico “Glacier”, un vino che va bene a tutto pasto che regala al naso note di fiori bianchi, agrumi e pera. Fresco e minerale in bocca. Cave Mont Blanc è un’istituzione nella zona, ai piedi del Monte Bianco, valorizzazione e rispetto del territorio la filosofia che portano avanti.
  • Piero Brunet, una piccola realtà a conduzione famigliare che opera dal 1985 e che coltiva in maniera eroica il vitigno Prie Blanc. Una grande attenzione all’ambiente nella produzione con la riduzione al minimo dei trattamenti antiparassitari. Un vino di grande piacevolezza che richiama erbe di montagna e fiori di campo, un gusto secco ma molto delicato.
  • Vevey Marziano – la Crotta de la Meurdzie, azienda agricola che nasce nel 1981. Marziano è un vigneron d’altri tempi con un grande attaccamento alla tradizione e uno sguardo sempre attento all’innovazione. Il suo vino è veramente interessante, di grande equilibrio e avvolgente al palato dove le note erbacee, agrumate e di frutta come mela e pera creano una bella armonia. L’etichetta è un’opera d’arte.
  • Blanc de Morgex e de La SalleNathan”- Ermes Pavese La cantina si estende su 3 ettari vitati coltivati a “pergola bassa” per evitare i danni dalle rigide temperature notturne e salvaguardare l’integrità delle piante di Prié Blanc. Il vino è dotato di una bella freschezza e vivacità. La fermentazione avviene per la maggior parte in barrique di rovere francese di primo o di terzo passaggio, dove vengono effettuati frequenti batonage. Dopo 1 anno il vino ottenuto viene assemblato con il 30% fermentato in acciaio.
  • Finiamo in bellezza con Cave Mont Blanc “Chaudelune” Vin de Glace, un vino ottenuto dalla vendemmia notturna dopo le prime gelate, così da conferire una particolare concentrazione degli zuccheri. Fermentazione e affinamento in piccole botti di rovere. Un vino che sprigiona sentori di erbe aromatiche, miele e albicocca.

Tra un assaggio e un altro gli intrattenimenti sono stati numerosi

  • ospite speciale, in questa edizione, Silvana Bruno che con il suo ukulele ci intrattiene e coinvolge nel canto.
  • le guide locali ci guidano in un itinerario tra i luoghi più caratteristici del centro del paese, raccontandoci tradizioni, aneddoti e curiosità.

Spero di avervi incuriositi un po’, la mia esperienza è stata veramente unica, sembrava di esser catapultati indietro nel tempo, quando alla fine mi sono ritrovata seduta sotto un filare con il calice in mano ho pensato a quello che dovevano essere le libagioni nel mondo classico, i riti dionisiaci degli antichi Greci.

Santé!