Molise Tenute Martarosa: il primo moscato al mondo affinato in mare

Comunicato Stampa

Il piccolo Molise vanta un primato ancora poco conosciuto, quasi come fosse nascosto sul fondo del mare. Si produce a Campomarino, precisamente alle Tenute Martarosa di Nuova Cliternia, il primo moscato al mondo affinato in mare. È il Moscato under water che deriva dal vitigno coltivato a circa 2 chilometri dalla riva di Campomarino e che, dopo la lavorazione, viene tenuto per sei mesi nelle acque di Portofino. Una eccellenza nonchè un primato, visto che non parliamo di vini extra regionali affinati in Molise bensì di un prodotto locale che sta per essere lanciato in un mercato sempre più esigente e contraddistinto da qualità in ascesa.

Merito di un’azienda a tradizione familiare che prende origine nel 1938, quando il nonno dei fratelli Pierluigi e Michele, attualmente al comando delle Tenute Martarosa, scelse la terra fertile di Campomarino trasferendosi lì dall’Abruzzo. Da coltivatori di uve, i Travaglini sono diventati produttori di vino nel 2016, con l’obiettivo di crescere e sperimentare, tentato di dare lustro al territorio.

Il vigneto in questione è figlio di un progetto nuovo, che intende contrastare anche il luogo comune secondo cui il moscato sarebbe un vino dolce perfetto esclusivamente per il dessert. Non è così. “È nella sua versione secca che questo vino davvero sorprende, perché mantiene gli stessi profumi ma al palato rivela carattere e freschezza, diventando ideale come aperitivo e come accompagnamento a crudi di mare” svela un sommelier del territorio. L’affinamento in mare promette di aggiungere la carta vincente a queste caratteristiche: il Moscato Under Water annata 2021 è un vino sapido che, data la sua stretta correlazione con l’acqua salata, nasce proprio come vino da abbinare a tartare, ostriche, plateau di cruditè.

Particolari sono anche le bottiglie, che oltre alla raffinatezza delle normali bottiglie di Tenute Martarosa hanno la caratteristica di raccogliere e sedimentare tracce di permanenza in mare che rendono unica e inimitabile ognuna delle circa mille bottiglie affinate a 50 metri di profondità, grazie alla collaborazione con una ditta specializzata. Osservandola da vicino, ogni bottiglia appare come una sorta di quadro astratto, una opera d’arte che contiene a sua volta un’altra opera di grande maestria.

Non è il primo vino a essere affinato in mare ma è il primo moscato e certamente è il primo vino molisano, una assoluta novità e un esperimento del quale il Molise dovrebbe andare orgoglioso, un prodotto destinato a una fascia di pubblico medio-alta che si inserisce in un segmento di mercato ben preciso. Le bottiglie – circa mille – saranno commercializzate solo da un ristretto numero di aziende a un prezzo adeguato rispetto al valore.

Calabria: Terre del Gufo il coraggio di Eugenio Muzzillo di cambiare rotta

Arrivo nel comprensorio di Donnici sotto una pioggia fastidiosa, di quelle sottili che lascia un senso di umido e appiccicaticcio addosso. Per fortuna sono puntuale, anche perché Eugenio Muzzillo mi attende curioso di capire chi fossi da cercare un’intervista nella sua azienda.

Eugenio Muzzillo

Ne nasce uno di quei momenti ideali per cui senti di aver scelto la strada giusta: quella di raccontare volti, filosofie produttive e, naturalmente, varietà d’uva disseminate lungo lo Stivale. Per giungere a Terre del Gufo bisogna percorrere un sentiero immerso nei boschi e lo spettacolo che si offre agli occhi del visitatore è davvero incantevole.

Non pensavo di raccontare una Calabria inesplorata così bella, a tratti selvaggia e suggestiva. Non lo pensavo, ma mi son dovuto ricredere in maniera repentina. I terreni sono quelli di famiglia, del padre, circa 4 ettari coltivati principalmente a magliocco dolce, qui sovrano tra gli autoctoni. La compagnia giusta per lui è il brettio nero, localmente chiamato mantonico nero, utile a domare la vena tannica del varietale d’elezione.

Vini di progetto o vini di esperienza?

La domanda alla quale io ed Eugenio, entrati subito in sintonia, abbiamo cercato di dare una sommaria risposta, senza colpevolizzare il lavoro di nessuno. Ma non è l’unico dei quesiti (apparentemente) irrisolti della nostra amabile chiacchierata. L’altro riguarda proprio il magliocco, in queste terre da sempre, relegato nel passato a dare vini scorbutici, tali da essere surclassati di gran lunga dalle versioni in rosa, meglio gestibili nelle astringenze tanniche ed erbacee. Il mantonico nero riesce nel compito di domarlo, con disinvoltura, senza snaturarne l’anima. E dire che molti viticoltori manco sanno della sua presenza nei propri filari. Dunque, ancora una volta, vini di progetto o di esperienza? Sicuramente avere un progetto è la base per qualsiasi sogno lungimirante, ma si rischia di avere prodotti stereotipati, in forma di copie identiche gli uni agli altri.

Per Muzzillo è così bello potersi distinguere, pur nel rischio calcolato di avere sgrammaticature per un’annata non felice o per qualche piccolo errore di cantina. Come dargli torto, nei limiti dell’umana degustazione?

Gli assaggi

Tante parole e alla fine manca il quibus, la gratificazione di bocca. Partiamo con il Portapiana Igp Rosso Magliocco 2020, da agrumi succosi e more selvatiche. La vena balsamica emerge nel finale, quasi essenza chinata. Mediterraneo e sapido, considerando i minimi interventi effettuati in fase di fermentazione e maturità, dimostra quanto sia importante un lavoro perfetto tra le vigne, per avere il miglior raccolto possibile. La 2021 da vasca è straordinaria per lunghezza e prospettiva. Le differenze sono già lampanti, soprattutto nella struttura, a vantaggio della vintage ancora non in commercio. Ne vedremo delle belle.

Concludiamo con Estremo Dop Terre di Cosenza Donnici Rosso Magliocco 2020 con sosta in anfora di terracotta. Qualche riflessione va fatta, per la maggior evoluzione e compiutezza, al contempo, rispetto al precedente campione. Sempre più vigneron optano per l’utilizzo di contenitori simili e i risultati sembrano (finalmente) soddisfare la linea dell’eleganza.

Cilento: l’espressione elegante dell’Aglianicone fa tappa da Silva Plantarium. L’anfora ne è la chiave di volta

“A acen’ a acen’ se face na macena” è un proverbio cilentano che letteralmente significa “acino dopo acino si ottiene la macina”, cioè oliva dopo oliva si raggiunge la quantità giusta per poterla pressare (“A macena”). A poco a poco si ottiene il risultato…

Questo nobile proverbio esprime a pieno la nostra volontà di volere raccontare, a poco a poco, di una terra selvaggia, difficile, spettacolare, variegata e ricca di tradizioni, il cui popolo resiliente e sincero ne mantiene vivi carattere e peculiarità. Caratteristiche in parte presenti anche nel vitigno Aglianicone, uno dei genitori dell’Aglianico, uno dei primi e più antichi vitigni cilentani.

L’Aglianicone in passato era il vino più diffuso dei vigneti nella zona. I fenomeni di acinellatura del grappolo a volte marcate (forse per difetti di morfologia floreale) hanno contribuito in passato al suo abbandono, facendo preferire ai contadini altre varietà più produttive di uva, non rammentando che dal punto di vista enologico tale vitigno si comporta in modo eccellente. Infatti, differisce dal più noto Aglianico, per la presenza di tannini meno aggressivi che ne riducono il tempo di affinamento, mantenendo descrittori aromatici di interessante intensità.

A Torre Orsaia (SA), con più esattezza nella località Cerreto, nel cuore del Cilento, in piena campagna (20 km circa ci separano dallo splendido mare di Scario) un cilentano doc, Mario Donnabella, con la sua famiglia, ha perseguito la mission di preservare le naturali bellezze ed espressioni del territorio. Una terra di cui Mario si dichiara custode con la sua azienda Silva Plantarium, il bosco delle piante. È nato vivaista, ed ha poi inseguito la sua predisposizione emotiva e sentimentale: diventare un viticoltore che si basa sull’agricoltura più naturale. L’approccio a cui lui si riferisce, è quello di non intervenire, di osservare la natura fare il suo corso, accettare ciò che dona senza forzarla, senza addomesticarla a proprio piacimento. Le montagne intorno, il movimento collinare del terreno, la flora e la fauna e l’escursione termica tra il giorno e la notte formano un microclima perfetto per le sue piante e le sue vigne. L’umidità naturale proveniente dai piccoli bacini d’acqua artificiali, la brezza marina, il suolo ricco di humus, arenaria, argilla e calcare completano l’opera.

Quattro sono le sue vigne: Tempa d’Elia e Casino impiantate già da tempo, circa 15 anni fa, Facenna e Terra Rossa più giovani. In questi 4 ettari e mezzo coltiva con cura e dedizione Aglianicone, Aglianico, Fiano, Santa Sofia e Mangiaguerra. Nell’antico casolare di famiglia, il Casino del Cardinale, dove Mario è nato e dove ha vissuto, in una piccola cantina posta nei locali sotterranei, lavora sue uve. I suoi vini macerano in anfora, come una volta: micro ossigenazione garantita, preservando le caratteristiche del varietale. Tutto richiama la semplicità e l’amore, la pazienza e la cura, l’attesa e la rassegnazione tipiche del mondo contadino di un tempo lontano, ma con lo sguardo al futuro, alla salvaguardia del risultato finale.

Mario Donnabella

C’è un’associazione a cui Mario appartiene, Terre dell’Aglianicone, il cui presidente è Ciro Macellaro (altro custode impagabile del vitigno cilentano), che unisce un gruppo di aziende che intendono custodire e diffondere questo vitigno perché ne riconoscono il valore. 

L’Azienda Silva Plantarium produce il rosso Buxento da Aglianicone (biotipo di Castel Civita) in purezza. Il nome richiama Buxentum l’antico nome romano di Policastro, posta alla foce dell’omonimo fiume. L’aglianicone, nato da incroci spontanei in vigna, particolarmente adatto alla coltivazione biologica grazie al grappolo spargolo e allo spessore della buccia, con grandi capacità di adattarsi alle condizioni pedoclimatiche, con resa bassissima, ha trovato forse la sua massima espressione nell’affinamento in anfora.

L’uva è raccolta a mano, tendenzialmente nell’ultima settimana di settembre, selezionando i grappoli, diraspati e poi pigiati. La fermentazione in fermentini d’acciaio è affidata ai lieviti autoctoni. La macerazione delle bucce dura circa dieci giorni, senza aggiunta di solforosa, prestando la massima attenzione al dosaggio dell’ossigeno mediante rimontaggi e delestage. La svinatura è eseguita con una soffice pressatura delle bucce il cui prodotto va poi aggiunto al vino fiore. Dopo circa un mese di riposo, il vino è trasferito in orci di creta sigillati dove attende e matura pazientemente per almeno due anni. Imbottigliato senza l’aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione prosegue il periodo di affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi.

La degustazione viene condotta nell’antico casolare e si articola sulla verticalità delle diverse annate a disposizione (2017-2018-2019).

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2017

Il colore appare subito importante e compatto, un bel rosso rubino carico. Il naso è inizialmente timido, ma, dopo una conveniente attesa, si fa ampio e pronto ad arricchirsi di nuovi sentori regalati dall’ossigenazione. Oltre a frutti rossi (mora e ciliegia sotto spirito su tutti), si percepiscono odori autunnali terrosi, di foglia bagnata, un leggero fungo porcino e poi del cuoio. In bocca risaltano immediatamente equilibrio e ampia freschezza, l’eleganza dei tannini è sorprendente, suadenti e perfettamente armonizzati alla morbidezza della beva.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2019

Il colore è un inchiostro porpora con venature violacee. Il bouquet è complesso e accattivante con profumi di frutta rossa e nera come la prugna e le more e sentori floreali di violetta. Note di spezie orientali accompagnano le sniffate. Sul palato plana un sorso decisamente vinoso e lievemente speziato. Tannini presenti, più acuti rispetto alla 2017, ma pur sempre eleganti. La bocca rimane morbida calda, fluida. Mineralità e buona verticalità persistono nel finale.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2018

Si colloca esattamente a metà delle due precedenti annate degustate. Il naso accoglie il vino di colore rosso rubino, con note fruttate di prugna più matura, amarena e mora; le gradevoli espressioni floreali di viola si mescolano ai sentori fruttati e alle spezie dolci presenti. Alla beva presenta un’incredibile freschezza che lo riporta all’annata più giovane; si affacciano aromi retronasali di frutta croccante. Il palato mantiene una buona morbidezza e i tannini rimangono suadenti e per nulla aggressivi.   

Durante la degustazione a Silva Plantarium, non può mancare l’assaggio del bianco Kamaratòn. Ottenuto da uve Fiano (50%) e Santa Sofia (50%) con utilizzo di lieviti naturali. La macerazione alcolica delle bucce avviene in fermentini d’acciaio. A seguito della svinatura, il vino matura in anfora a contatto con le fecce e viene poi imbottigliato senza aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione. Segue un affinamento in bottiglia per circa 4 mesi. Kamaratòn, richiama il nome greco di Camerota e della superba ninfa del mare, trasformata in roccia da Venere per punizione (il promontorio di Camerota), condannandola a guardare per l’eternità il Promontorio di Palinuro, suo spasimante respinto.

Kamaraton – IGP Paestum – Bianco 2020

Nel bicchiere il Kamaraton presenta un vivace colore oro appena velato. La tela olfattiva è tessuta da delicate sensazioni di fiori gialli, macchia mediterranea, con prevalenza di albicocca secca e nespola matura. In bocca l’impatto conferma le premesse olfattive con un’avvolgente morbidezza, ed una freschezza ben misurata e piacevole. Lunga la persistenza gusto-olfattiva. La mineralità del sorso risulta appagante e richiede immediatamente quello successivo.

Mario Donnabella non importunando l’opera della Madre Terra, come stesso lui afferma, ottiene una produzione ad ettaro piccolissima, ma porta in bottiglia due vini autentici, puliti, “naturali”, non estremi.

La natura non fa il vino, è l’uomo semmai che fa il vino secondo natura. E il vivaista di Silva Plantarium è proprio bravo in questo. E’ bello immaginarlo come il nocchiero cilentano dei vini naturali…

Lazio: in Ciociaria a passeggio tra le terre del Cesanese

Ma quanto è bello il territorio del Cesanese! Un viaggio nella terra dello storico vitigno autoctono originario del Lazio e precisamente in Ciociaria.

In una bellissima giornata di sole mi trovo dapprima nell’areale del Cesanese del Piglio DOCG in compagnia del Direttore di 20Italie Luca Matarazzo, per approfondire le caratteristiche di questo vitigno rosso che dona vini paragonabili alle tipologie più blasonate. Abbiamo incontrato vignaioli artigianali che ci hanno entusiasmato ed emozionato con le loro storie e con i loro prodotti, dove ogni vino diventa un vero e proprio abito sartoriale in cui si rispecchiano gli elementi distintivi del territorio e della passione di chi lo realizza.

Questo affascinante angolo d’Italia offre molto più di un semplice bicchiere. Paesaggi pittoreschi, tradizioni secolari e una cucina deliziosa che si fondono per creare un’esperienza indimenticabile. Situata nelle colline a sud di Roma, le terre del Cesanese rappresentano un piccolo incanto ricco di borghi, ciascuno con la propria storia e cultura. Quest’areale è stato a lungo celebrato per la sua tradizione vitinicola e culturale; Qui puoi passeggiare per stradine lastricate, ammirare antichi edifici e immergerti nelle tradizioni locali. Impossibile perdere l’opportunità di visitare le cantine storiche, dove i produttori condividono con orgoglio la loro eredità e le loro tecniche tramandate di generazione in generazione.

Sfatiamo il mito della differenza tra Cesanese Comune e di Affile. La leggenda ci parla di questi due vitigni dove il primo è noto per il grappolo più grosso e gli aromi di frutti rossi, dai tannini morbidi. Quello di Affile si dice che tende ad essere più verticale nelle sensazioni organolettiche. Tutta questa differenza, alla fine, non è così evidente e le recenti ricerche dimostrano come la suddivisione sia errata, restituendo importanza a suoli e condizioni pedoclimatiche variabili.

LA VISCIOLA

La prima tappa della nostra visita nel Comune di Piglio, riguarda la Cantina La Visciola di Piero Macciocca, coadiuvato dalla moglie Rosa Alessandri e la figlia Cecilia. Piero è un vero vignaiolo artigianale e la prima impressione, vedendo la piccola cantina ricavata in una sorta di locale deposito, è per una piccola vendita di vino alla buona. L’enorme sorpresa arriva al momento dell’assaggio dei vini, a conferma che non bisogna mai giudicare dalle prime impressioni. La vinificazione in questa cantina è seguita con maestria dall’enologo Michele Lorenzetti. Esperienza e competenza l’altissima qualità rinvenuta nel calice.

Le viti sono coltivate secondo i principi della biodinamica in quattro piccoli appezzamenti per un totale di quasi 6 ettari dai quali provengono i cru che prendono il nome proprio dal terreno di provenienza come il Priore “Mozzatta”, Priore “Ju Lattaro”, Priore “Vignali” e Vicinale. I terreni sono prevalentemente composti da argille rosse ad esclusione del Mozzatta che è composto da argilla bianca e calcare che donano maggiore eleganza e finezza. Priore è il soprannome invece di Piero.

Se volessimo ipotizzare un rapporto tra cantina e vini, per la Visciola esso è “piccola cantina, grandi vini”. In particolare mi riferisco ai cru Cesanese che sono gestiti con una tale capacità che risultano eleganti, con una bocca bellissima già a partire dal  Vicinale. con un crescendo sempre maggiore dove la nota leggermente affumicata è il filo conduttore.

Ecco alcuni appunti di degustazione

Vicinale 2021 Cesanese del Piglio DOCG 13,5°, è il cavallo di battaglia di Piero la cui uva Cesanese viene raccolta dai vari vigneti, dal colore limpido e brillante, al naso coerente con frutti rossi ma anche mirto e note speziate, aromatiche e fumée. Equilibrato in cui nessuna componente prevale in modo determinante sulle altre. Un vino che ci ha fatto esclamare: “’mazza quanto è bono!”

Priore “Vignali” 2021 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Intenso e persistente, ricco, frutti rossi, mirto, spezie, in particolare pepe, leggera nota di tostatura. Qui si inizia a sentire la differenza del cru dove la natura detta legge e si sente l’identità territoriale del vigneto.

Priore “Ju Quartu” 2021 Cesanese del Piglio DOCG 13,5°. Ritrovo il Vignali con la differenza che i sentori virano maggiormente verso il frutto di bosco e il melograno.

Priore “Lu Lattaro” 2020 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Si differenzia dagli altri appena degustati dal colore che in questo caso non tende al granato, ma è di un rosso rubino brillante. Un capolavoro di vinificazione dove prevale la frutta rossa matura, erbe mediterranee, note balsamiche mentolate e liquirizia. Una bella freschezza con un finale morbido e caldo.

Priore “Mozzatta” 2020 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Una bella spina acida che non è esagerata ed è ben bilanciata dai tannini morbidi e setosi. Ovviamente frutti rossi, in particolare lampone e ribes nero. Piante officinali e spezie come china, cannella… un sorso bellissimo che pulisce la bocca e chiede un sorso dopo l’altro. Il finale è lungo e persistente e leggermente sapido. Una bevuta che si ricorda.

Nostrano Lazio Rosso IGT 2020 vinificato con uve Maiolica, un vitigno di origine toscana, imparentato con il Coda di Volpe Rosso. Giovane, piacevole e fresco con belle note di ciliegia e spezie.

Donna Rosa 2021 Passerina del Frusinate IGT 12,5°. Leggermente astringente con un po’ di tannino, morbido, floreale, sambuco.

Cupella 2021 11°, Frusinate IGT Bianco Frizzante rifermentato in bottiglia. Una bella freschezza, note solfuree e agrumate.

L’AVVENTURA

Sempre a Piglio, dopo aver percorso una breve distanza giungiamo al Casale Verdeluna che si erge sulla collina circondata da vigneti di Cesanese dove ci accolgono Gabriella Grassi, Stefano Matturro e il loro bellissimo cane. Il Casale è un agriturismo con una capacità ricettiva di 6 camere e un ristorante che riesce a soddisfare tranquillamente cento coperti, oltre ad essere anche la cantina dei vini L’Avventura. Oggi si direbbe “Wine Resort”, ma qui si respira ancora la tradizione contadina locale, dove è possibile gustare i piatti tipici rivisitati dallo Chef Giuseppe Rossi, che utilizza materie prime di qualità a chilometro zero.

SaxaPasserina del Frusinate IGT 2022 12°. Fresco con una intensità floreale tale da farlo sembrare un semi aromatico. Una bella frutta a polpa bianca che chiude con una verve di sapidità che torna a ristabilire gli equilibri.

Campanino” Cesanese del Piglio DOCG Superiore 2020 13,5°. Tra le gemme vinicole di una cantina si cela spesso un vino che incarna l’anima della terra da cui proviene. Il Campanino è uno di quei vini. Note canforate si mescolano con profumi di frutti rossi, creando un bouquet olfattivo che cattura l’attenzione e l’immaginazione.

Picchiatello” Cesanese del Piglio DOCG Superiore. Complessità aromatica che evoca la macchia mediterranea, il naso si riempie di sentori che richiamano le erbe aromatiche e le spezie, promettendo un’esperienza sensoriale unica. Espressione di eleganza con tannini fini che coccolano il palato, oltre a una testimonianza del legame profondo con la tradizione locale.

Camere Pinte” Cesanese del Piglio DOCG Riserva 2021 15°. Profondo e complesso, riserva una serie di sorprese per chiunque sia pronto a scoprire l’ampia gamma di sfumature che il Cesanese può offrire. Si apre con un bouquet intenso e complesso di aromi speziati di pepe nero e tocchi tostati avvolgono i sensi, creando una promessa di profondità e complessità. Trama tannica vellutata.

L’avventura” è il nome scelto dai proprietari, nel momento in cui hanno deciso di intraprendere il cammino di produttori di vino, provenendo da un altro settore, e trovandosi dal notaio per scegliere il nome della nuova attività, si sono chiesti come avrebbero chiamato questa nuova avventura? Ben fatto!

www.agriavventura.it

DAMIANO CIOLLI

Inerpicandoci per le stradine di Olevano Romano, si arriva a casa di Damiano dove si trova anche la cantina. Il vino Cesanese di Olevano Romano è stato per molti anni il più richiesto nelle osterie di Roma ed era un sostentamento sicuro per molte famiglie tra cui il nonno Guido e poi il papà Costantino. Damiano appartiene alla generazione che ha ereditato da loro la passione per il vino, dandogli una svolta trasformando così dal 2001, la produzione da vino sfuso a vino da imbottigliamento.

La passione unita all’amore  per Letizia Rocchi, enologca, fanno la differenza. Oggi Damiano e Letizia sono fieri del lavoro che porta avanti con dedizione e con i suoi 7 ettari riesce a malapena a soddisfare le richieste delle sue bottiglie prenotate prima ancora dell’immissione in commercio.

Abbiamo avuto il piacere di provare il vino direttamente dalle vasche di maturazione e sono convinto nel dire che sono veri capolavori.

Silene – Il Silene è ottenuto da una selezione di uve Cesanese provenienti da quattro vigneti impiantati in epoche diverse, raccolte e fermentate in vasche di cemento separatamente e assemblate prima dell’imbottigliamento. Damiano lo considera un vino di entrata ma ha già le connotazioni per essere bevuto dopo alcuni anni.

Cirsium – Il Cirsium quest’anno cambia nome e da ora in poi si chiamerà DAMIANO CIOLLI Olevano DOC Cesanese Riserva, è un Cru proveniente da un antico vigneto di un ettaro. Raccolta manuale con accurata selezione dei grappoli utilizzando soltanto i migliori e scartando quelli non idonei. La fermentazione è spontanea, una celebrazione dell’armonia naturale la macerazione, che si svolge ancora in cemento. Qui, il vino ha il tempo di estrarre tannini e aromi dalle bucce delle uve.

Questa fase è cruciale per la struttura e la complessità del vino, Dopo la macerazione, il vino viene travasato in botti grandi, dove inizia un periodo di riposo sui suoi depositi o fecce fini. Questo processo dura per i primi 12 mesi, permettendo al vino di maturare lentamente e sviluppare profondità. Alla fine di questo periodo torna nelle vasche di cemento e continua ad evolversi e acquisire caratteristiche uniche. Alla fine di questo meraviglioso viaggio, viene imbottigliato dove riposa per un ulteriore periodo di 12 mesi in cui raggiungerà la sua massima espressione.

www.damianociolli.it

RICCARDI REALE

Altra bellissima realtà, sempre nell’areale del Cesanese di Olevano Romano. Ci troviamo in compagnia di Piero Riccardi e Lorella Reale, due persone che hanno cambiato la loro vita alla ricerca della felicità. Giornalisti RAI entrambi (Piero è anche regista), decidono di acquistare le vigne a Olevano Romano e una bellissima villa a Bellegra, piccolo comune a circa 800 m. di altitudine, dalla quale si può godere di un panorama stupendo.

Piero e Lorella abbracciano da subito l’arte dell’agricoltura biodinamica, un approccio che rispetta la terra e le sue risorse. Poco più di 5 ettari di vigneti, prosperano grazie all’assenza di pesticidi e al sostegno di sovesci e preparati organici vegetali, preservando la fertilità del suolo e consentendo alle piante di esprimersi nella loro essenza. Qui, le viti sono sostenute da pali di castagno locale, e la biodiversità della zona aggiunge profondità ai vini.

Due tipologie di terreno, uno vulcanico e l’altro di arenarie del Cretaceo, conferiscono ai vini una complessità e una freschezza uniche. Ogni fase di affinamento porta alla creazione di varietà distintive, tra cui Cesanese, Malvasia, Rosciola e Riesling. Con la loro dedizione alla biodinamica e all’ecosistema locale, producono vini che catturano l’essenza del terreno e l’anima della natura.

EMOTIQ Riesling Renano IGT Lazio 2021. Un terroir insolito per il Riesling che qui prospera su terreni argillosi misti a componenti vulcaniche. La macerazione sulle bucce dona profondità e complessità. La sosta successiva in botti di castagno dona una struttura morbida. Profumi di fiori di campo e miele si intrecciano in un bouquet aromatico che avvolge i sensi. La componente minerale e dinamica sottolinea la complessità del vino, mentre le note speziate e sapide aggiungono un tocco di fascino.

EMOTIQ Malvasia Puntinata Lazio IGT 2021. Blend di Malvasia Puntinata, Moscato Bianco, Ottonese e Bellone, quattro varietà di uve che si sposano alla perfezione. Questa miscela offre una complessità aromatica che è un vero piacere per i sensi. vinificato con le bucce per una o due settimane in botti di castagno, poi la massa viene tolta, pulita e rimessa nelle botti per 12 mesi con fermentazione spontanea. Grazie al suo colore aranciato è considerato un orange wine.

TUCUCA Rosato Lazio IGT 2022. Vinificato con uve Cesanese, anch’esso a contatto con le bucce per quasi un giorno poi affina nelle botti di castagno. Colore rosa ciliegia è caratterizzato da una buona freschezza e da un lieve tannino che asciuga la bocca. Ha un bouquet olfattivo di frutti rossi di bosco, ciliegia croccante, melograno pepe rosa e un tocco di lime.

DIVAGO Lazio Rosato Frizzante IGP 2022. Cesanese in purezza, rifermenta in bottiglia, un vino allegro e gioviale con bollicina molto fine. Fragoline di bosco, lampone e melograno, con naso floreale, fruttato e una nota solfurea. Una parte del mosto viene congelato e sarà aggiunto alla massa in primavera facendo ripartire così la fermentazione conferendogli così una buona profondità.

COLLEPAZZO Cesanese Olevano Romano DOC 2020. Cesanese di Affile in purezza coltivato proprio nell’omonima località. Vinificazione e affinamento in cemento. Note solfuree e fumé, frutta rossa e spezie, un pochino corto.

CÀLITRO Cesanese Olevano Romano Rosso DOC 2020. Un Cru prodotto in un numero limitato di bottiglie, affina in botte grande grazie alla quale riceve il giusto apporto di micro ossigenazione che ne arricchisce il corredo olfattivo. Buon corpo anche se è ancora un po’ verde e necessita di ulteriore tempo per svolgersi  ed evolvere.

NECCIO Cesanese Olevano Romano DOC 2020. Altro Cru interessante affinato in barili. Decisamente più verticale con tannini presenti e ancora non completamente svolti. Frutti rossi maturi, cannella e erbe aromatiche.

www.cantinericcardireale.it

Romagna: Brisighella – Tre colli, tre territori, un’anima

Tutti insieme appassionatamente. No, non ci stiamo riferendo al famoso film americano anni ’60, bensì alla neonata associazione Brisighellese “Anima dei tre colli”. Che cos’è Brisighella? È proprio attraverso l’unità che questa associazione intende dare una risposta a questa domanda. Difatti, il vero intento dell’associazione, per usare una frase del presidente Cesare Gallegati, è “alzare il potenziale emozionale del territorio”.

Da sinistra: Davide Gilioli, Cesare Gallegati, Paolo Babini

Non possiamo far altro che dargli ragione. Il potenziale è alto, e questa comunità di produttori (che sono passati da 5 a 16 in appena 2 mesi) ha una consapevolezza diversa rispetto al passato, e cioè di poter fare qualcosa di buono senza scendere a compromessi. Ma se volessimo qualche numero su Brisighella? Ce ne parla Paolo Babini, il vice presidente.

Nel 2009 Brisighella ottiene la doppia zonazione (vinicola e olearia), nel 2011 la sottozona per il Sangiovese nel disciplinare ufficiale del Romagna DOC e nel 2022 la sottozona Bianco nell’appena citato disciplinare. Tre territori principali ma ben 21 tipologie di suoli differenti. Iniziando dai territori pianeggianti dove troviamo terre fini, sabbie gialle, argille rosse e grigio-azzurre. Salendo di quota si trovano i calanchi calcarei e ancor più su la vena dei gessi. Sul pedemontano troviamo infine marne e arenarie, affogate nei boschi sino a 600 m.s.l.m.

L’associazione è nata ad aprile, ha fatto i primi passi nel web verso i primi di luglio, ma il 4 Settembre ha prepotentemente sgomitato nel mondo Ho.Re.Ca. con una presentazione ufficiale tenutasi al Convento dell’Osservanza di Brisighella. Brisighella in Bianco. Questo il nome scelto, e azzeccato, per l’evento. Basti pensare che di Albana, a Brisighella, ce n’è il 22% di tutta la Romagna (198 ettari sugli 880 totali). La Regina Romagnola incastonata assieme agli altri bianchi, autoctoni e non, fanno di questo territorio l’habitat naturale per potersi esprimere al meglio.

Tu chiamale se vuoi emozioni. Prendiamo in prestito un riferimento al mondo della canzone Italiana per riprendere il concetto di “potenziale emozionale”. Per questo merito è stato scelto Davide Gilioli, noto Sommelier AIS di origini Ferraresi ma trapiantato in Lombardia, che per l’occasione ha guidato i 120 presenti in un seminario composto da una degustazione di alcune fra le migliori espressioni dei bianchi di Brisighella, accuratamente suddivisi in batterie per vitigno.

20Italie era lì per voi, per cui bando alle ciance e via alle danze.

Sauvignon Blanc

La prima batteria è composta da 2 vini.

  • Borgo Casale 2020 – Vigna dei Boschi

Fermentazione e affinamento per 2 anni in legno donano a questo vino un’elegante piacevolezza. Il varietale esprime la sua nota erbacea ma il contrasto dolce gli è donato dalla pesca a polpa bianca e dal fiore d’acacia.

  • Ficcanaso 2021 – Villa Liverzano

Siamo nella zona dei gessi, e la mineralità difatti si fa sentire donando una piacevole freschezza a questo Sauvignon. L’affinamento in 6 mesi in barrique dona al vino anche larghezza ed espressioni di pesca gialla matura e frutta tropicale/esotica. Equilibrio stravolgente.

Trebbiano

È ora della batteria che ha come protagonista il bianco più bistrattato della Romagna. In questo caso sono 3 i vini che vengono messi a confronto.

  • Floresco 2022 – Podere la Berta

Criomacerazione e tutto acciaio per un vino che sorge principalmente su argilla e sabbia. È proprio questo mix di terreni che donano al vino un carattere tutt’altro che neutro. Il nome del vino è forse un richiamo a ciò che avvertiamo nel calice: fiore di sambuco e biancospino. La bocca è intensa con note di mela golden e melone bianco. Finale sapido.

  • Tera 2022 – Fondo San Giuseppe

Una vigna letteralmente in mezzo ai boschi, a 450 m.s.l.m. Sono 2 i cloni a partecipare a questo capolavoro: il trebbiano della fiamma e il trebbiano cosiddetto “montanaro”, ognuno che fa la sua parte donando acidità e struttura. Siamo in una zona prettamente calcarea e il vino, dopo una fermentazione in acciaio, fa un passaggio per il 75% della massa in cemento e per la restante parte in barrique. Sottile, teso. Ci parla di erbe di montagna, di roccia. Ma appena si scalda prende volume e invade il palato.

  • Trés Bien 2022 – Baccagnano

Molto bene questo trebbiano, non solo nel nome polisemico. In realtà un 40% è composto da Chenin Blanc che dona quella parte di speziatura dolce/orientale. Il frutto è inconfondibilmente riconoscibile in una mela tagliata e lasciata ossidare. Il trebbiano torna prepotentemente donando acidità e sapidità. Chiusura piacevolmente amaricante.

Sangiovese

Ma cosa c’entra il Sangiovese? Avevamo detto “Brisighella in Bianco”!

  • Via Zia 2021 – La Collina

I Romagnoli, compreso il sottoscritto, non sono dei grandi amanti del Sangiovese fermo vinificato in bianco. Forse un po’ per pregiudizio, o forse un po’ per gli scarsi risultati ottenuti da altri produttori. C’è da dire che il lavoro di Mirja ha stupito. Merito dei numerosi tentativi che hanno portato a questo vino tutt’altro che scontato e inquadrato nella qualità. Le note varietali richiamano inevitabilmente la fragolina di bosco, il lampone e il ribes, nonostante sia bianco dorato il suo colore. La parte mentolata amalgama il tutto con freschezza. Croccante.

Albana

La batteria più ricca, composta da 6 vini, è dedicata all’unica DOCG Romagnola.

  • Corallo Giallo 2022 – Gallegati

Come dice il nome, siamo sul monte Corallo, dove terreni fini calcarei donano un’esplosività aromatica al vino. La parte agrumata di mandarino e scorza d’arancia ci fa restare ancora in estate, come avessimo una spremuta in mano. Poi arriva lei, la scorbutica Albana, col suo carattere di potenza e spessore, a rendere il vino tutt’altro che semplice. DNA Albana.

  • Belladama 2021 – Poggio della Dogana

Fermenta in acciaio e poi sosta 10 mesi in cemento. Siamo su sabbie gialle, e lo si capisce anche dall’estrema finezza e complessità dei profumi. Agrume giallo, scorza di pompelmo, ginestra, miele millefiori e pesca nettarina. Entra in bocca agile e teso e poi la sferzata tannica completa le durezze ad equilibrare la struttura identitaria del vitigno.

  • Toni Bianco 2021 – Zinzani

Siamo probabilmente alle quote più basse, al confine col comune di Faenza, per un vino che tocca solo acciaio. Qual errore faremmo a farci condizionare dalle premesse! Un vino ricco, caldo, dal buon tenore alcolico che tuttavia mantiene alte le freschezze e ci stupisce con una particolare nota balsamica.

  • Albagnese 2021 – Casadio

Non solo pianura per il produttore Cotignolese che detiene vigneti anche nel bel mezzo della vena dei gessi e che dedica alla bionda nipote Agnese, il vitigno romagnolo biondo per eccellenza. Criomacerazione e poi fermentazione e affinamento in solo acciaio. La mineralità è ben presente ma non invadente. L’olfatto si arricchisce di delicatezza agrumata per anticiparci una bevuta equilibrata che non si perde dopo la deglutizione.

  • Bicocca 2021 – Vespignano

Prima annata e primo esperimento di Albana per la nuovissima azienda agricola Vespignano. Siamo sugli ultimi calanchi prima del gesso e le uve provengono da una vigna del 1941 allevata a pergoletta Romagnola. 1 giorno di macerazione sulle bucce con un risultato tutto sommato buono ma sicuramente da perfezionare.

  • Anam Orange 2021 – Vigne di San Lorenzo

Scende in campo l’estroso Filippo Manetti e fa subito gol con questa superba espressione di Albana. Ben 1 mese di macerazione in anfora georgiana per poi concludere l’affinamento sulle sue fecce fini in acciaio per un anno senza chiarifiche né filtrazioni. Agrume candito, nespola e albicocca matura per un orange wine che non stanca mai.

  • Marcello 2022 – Terrabusi

Siamo precisamente a Fognano, per conoscere un’altra realtà piuttosto giovane del mondo del vino Brisighellese. La loro Albana viene macerata per 5 giorni e affinata circa 6/7 mesi in legno. Profilo aromatico ricco, di grande profondità. Sorso di grande spessore che richiama il frutto maturo. Vitigno che si nasconde un po’ nella tecnica di vinificazione.

Famoso

Unico della sua batteria e ultimo assaggio dedicato al traminer Romagnolo.

  • Doronico 2022 – Bulzaga

Argille e calanchi sono la culla di un vitigno che solitamente si esprime, per il territorio Ravennate, solo nelle pianure a destra della Via Emilia. Vinificazione totalmente in acciaio per una finezza di profumi molto particolare. Che sia un modo per rispondere al Famoso di Mercato Saraceno?

Modena Champagne Experience 2023: in programma la VI edizione il 15 e 16 ottobre

Ci siamo! Anche quest’anno torna la tanto attesa manifestazione dedicata alle blasonate bollicine d’Oltralpe.

Modena Champagne Experience punto di riferimento per i professionisti del settore, non solo in Italia, ma in tutta Europa, si terrà domenica 15 e lunedì 16 ottobre nei padiglioni di Modena Fiere, sotto l’organizzazione di Società Excellence realtà che riunisce ventuno aziende italiane della distribuzione vitivinicola di alta qualità.

Gli appassionati e i professionisti del settore potranno avvicinare oltre 175 aziende tra storiche Maison e piccoli vigneron.

Numeri da capogiro, oltre 900 champagne suddivisi in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse aree della Regione: dal cuore del territorio di produzione tra Reims ed Epernay (Montagne de Reims), alla Vallée de la Marne, fino alla Côte des Blancs e ad Aube.

Luca Cuzziol, presidente di Società Excellence, racconta: Riuscire ogni anno a fare sempre meglio è una sfida importante e ambiziosa, ma è anche l’obiettivo che guida il nostro quotidiano lavoro di importatori e distributori”. “L’anno scorso eravamo già molto soddisfatti di essere riusciti a riunire nello stesso luogo un numero molto consistente e rappresentativo di aziende della Champagne. Quest’anno siamo riusciti ad aumentare ulteriormente il numero e questo è motivo di ulteriore soddisfazione”.

Non mancheranno gli approfondimenti con Masterclass di alto livello che condurranno ad esperienze uniche, come Bollicine al buio, dove a guidare i partecipanti alla blind ci sarà Luca Boccoli, Chevalier de l’Ordre des Coteaux de Champagne; sarà poi la volta del raffinato Blanc de Blancs raccontato da Luigi Bertini, enologo di professione. E poi ancora gli Champagne Rosé con Luciano Ferraro, vicedirettore del Corriere della Sera, e Paolo Porfidio, head sommelier e coordinatore ASPI e le Top Cuvée di Francesco Falcone, degustatore, scrittore e divulgatore indipendente. Manlio Giustiniani, docente FIS e collaboratore di molte testate di settore, condurrà un approfondimento dedicato al millesimo 2008 con 5 grandi rappresentanze in degustazione. Michel Bettane, grande nome della critica internazionale, illustrerà che cos’è la cosiddetta “Vinification à l’ancienne”, con le tecniche di produzione della vecchia scuola che realizza champagne con l’aiuto del legno.

Una prestigiosa passerella irrinunciabile, STAY TUNED!

Per maggiori dettagli, vendita dei biglietti e calendario delle Masterclass ecco il link al sito ufficiale:

https://www.champagneexperience.it

Prosit!

Calabria: l’importanza di chiamarsi Colacino

Esistono personaggi storici che evocano un’agricoltura di altri tempi, quando tecnologia e controllo non avevano ancora bussato alle porte dell’era moderna.

In quei momenti la scelta coraggiosa di imprenditori più o meno prestati al mondo del vino, ha rimescolato le carte in tavola, creando i presupposti per l’arrivo di un vento propizio alla produzione di qualità. Vittorio Colacino, classe ’23, era tra questi piccoli grandi eroi che hanno trasformato il volto di un territorio di riferimento.

La Valle del Savuto da sempre rappresenta un ostacolo per chiunque voglia avvicinarsi al lavoro dei campi. Suoli compositi e coriacei, ricchi di scisti e calcare, che si inerpicano su declivi dalle pendenze vertiginose. Clima rigido, tipicamente continentale dalle estati afose (seppur mitigate da forti escursioni termiche giorno-notte) e inverni freddi e piovosi. Fare uva qui significa attendere più del previsto prima di procedere alla raccolta, per raggiungere maturazioni ottimali.

Vittorio conosceva tutto ciò, da medico condotto stimato dai suoi concittadini. Ma la passione per la vigna era forte, quasi irresistibile per spegnerne il richiamo. Così i primi innesti datati 1965 e, successivamente, le prime 2000 bottiglie quasi in sordina. Di mezzo tra lui e il nuovo millennio la conoscenza con Mario Soldati, che ammirato lo cita a piene mani nei suo celebre Vino al Vino.

E poi? L’impegno dei figli Mauro e Maria Teresa nel continuare la strada percorsa dal padre, trasformando un amore di famiglia in una cantina precisa e ambiziosa, Colacino Wines, dalle forti potenzialità commerciali. Il sogno del capostipite di fare vino buono senza abusi tecnologici e senza privarlo di anima, resta nelle nuove etichette. Vini che attraggono o meno l’attenzione del consumatore finale, ma che non mancano di sorprendere chi ambisce ad ascoltare un racconto diverso dal solito.

Qui il grado zuccherino diventa un problema inverso, con l’evidenza di campioni dalla facile beva senza pomposità alcoliche. Il rovescio della medaglia resta, a mio avviso, la gestione della trama tannica, a volte verdeggiante, altre eccessivamente da fumo di brace e ricordi amari. La via di mezzo regala spinte propulsive ai nuovi sorsi senza danneggiare la vena agrumata tipica dell’areale. Ma prima dei rossi dobbiamo parlare del Pecorello, varietà che vede origine proprio in questa zona.

La 2021 balsamica al punto da ricordare alcune pregevoli espressioni aromatiche. Le erbe mediterranee si appoggiano su note di lime e mela, con salinità e accenti speziati. C’è da farci un serio pensiero sui bianchi da tale varietà.

Terre di Cosenza Dop Rosato 2022 da Magliocco Dolce in purezza, gioca a nascondino su nuance di affumicature accompagnate da ribes rosso e scie officinali. Di sicuro l’annata torrida ne ha accentuato le parti morbide, a discapito della rapida chiusura di bocca.

Colle Barabba 2021 Doc Savuto Classico: nel rosato parlavamo delle sensazioni gliceriche utilissime in questa tipologia a puntellare struttura e pienezza di corpo. Olfatto da mirtillo scuro, sorso energico e vibrante con tannini nella giusta via di contenimento, per nulla invadenti. Solo acciaio. Straordinario.

Britto 2018 Doc Savuto Superiore contiene le medesime percentuali del Colle Barabba, tra Magliocco Dolce, Magliocco Canino e Greco Nero. Come spesso accade la vintage fa la differenza; nonostante selezioni e raccolte separate, con 36 mesi di maturazione tra legni vari e inox, la vena scura e terziaria domina su tutto, al limite della masticabilità e con una chiosa ancora astringente. Servirà del tempo in bottiglia per capire le effettive evoluzioni. Restiamo, per adesso, sulla linea di partenza.

Concludiamo con le parole del dott. Vittorio Colacino, monito eterno per il futuro: “la mia massima ambizione commerciale consiste nell’andare alla pari con i costi della produzione. Non è stupendo?”

“Al Convento” a Cetara (SA) l’enogastronomia campana e pugliese si mescolano brindando al presente

Costiera Amalfitana e Murge, Cetara e Manduria.

Poco in comune verrebbe da pensare. L’una, patria di pescatori – incastonata tra le rocce che degradano verso il mare del monte Falerio – e l’altra, invece,  contrasto tra la quintessenza del Mediterraneo, ma foriera di terra brulicante e sabbiosa, patria di uve a bacca rossa, dove è il Primitivo a sventolare.

Difficile che le due realtà possano, allora, incontrarsi anche a tavola. Perché pensi Manduria e dici Primitivo. Pensi Cetara e dici alici e le sue variazioni. Eppure (per fortuna) gli stereotipi sono stati costruiti solo per essere abbattuti da chi è curioso.

E così ne viene fuori che in una piovosa serata settembrina, al ristorante Al Convento di Cetara, l’istrionico patron Pasquale Torrente – simbolo di una ristorazione cetarese resistente alle mode e fortino di cultura gastronomica stretta tanto quanto le maglie delle reti da pesca delle sue amate alici – trova il modo per abbatterli.

Lo fa attraverso quelle splendide ceramiche vietresi, trasformati in piatti colorati e finemente decorati, che suggellano l’appartenenza locale di ogni portata. Nulla che non sia di quella terra, nulla che non sia pescato in quel mare. Nulla che non possa non avvicinarsi a 300 km di distanza passando per le Murge e arrivando a stazionarsi nei dintorni di Manduria.

Cantine San Marzano, azienda vitivinicola nata nel 1962 dall’unione di 19 vignaioli in un piccolo comune della provincia tarantina come San Marzano di San Giuseppe. Oggi, a distanza di oltre 60 anni, la Cooperativa è diventata una delle grandi espressioni enologiche pugliesi.

Al suo presidente, Francesco Cavallo, e soprattutto agli attuali 1.200  viticoltori associati, il merito di aver saputo unire tradizione e innovazione in quei 1500 ettari di vigneti pugliesi costituiti principalmente da negroamaro, primitivo, susumaniello, malvasia e verdeca.  

Ed è stato allora in quell’antico chiostro del ’600 – immagine da cartolina per i numerosi turisti in visita a Cetara e oggi sede del ristorante Al Convento – che i piatti creati da Gaetano, figlio di Pasquale Torrente, sono stati capaci di stregare tutti e di dimostrare che, tra le tante qualità dei vini pugliesi, c’è senza dubbio anche quello di sposarsi con la buona tavola.

Il Calce Rosè – metodo classico a base di chardonnay e negroamaro, con sosta sui lieviti per oltre 36 mesi, sembra giocare divinamente con l’iconica bruschetta burro e alici, grazie alla sferzata di freschezza regalata dal sorso.

La pacatezza di “Tramari” Salento Igp Rosè a base di primitivo, sa ben gestire la cheviche di ricciola che, a tratti, sprigiona l’irriverenza di piccantezze sapientemente dosate.

Una frittura sotto forma di frittatina di pasta e di crocchette di patata e bottarga – la cui alta menzione va all’olio utilizzato, studiato appositamente da Gaetano e Pasquale, per garantire il massimo della leggerezza – si lascia accompagnare dal Salento Igp “Edda” (“lei” in dialetto salentino). Chardonnay (con una minoritaria percentuale di bacche bianche autoctone), carico di materia e ricco di influenze marine, con acidità e struttura in grado di non aggiungere nulla di più e di non sottrarre nulla di meno alla complessità del cibo.

Mentre un saporitissimo tubetto con zuppa di pesce trova nel Primitivo Salento Igp “Sessantanni”, il cui numero ricorda il sessantesimo compleanno di Cantine San Marzano, il perfetto complementare in un sorso di assoluto equilibrio gusto-olfattivo e di lunga persistenza. E se di tradizione si parla non poteva mancare un omaggio alla “pippiata” napoletana con il ragù che diventa quasi un’istigazione a finire il piatto in scarpetta, senza nessun senso di colpa.

L’abbinamento è con il re dei vitigni pugliesi, e trova il suo culmine nel Primitivo di Manduria Dop “Sessantanni”. Intenso, dalla leggera tostatura e dalla bocca di grande lunghezza gustativa.

Isola d’Elba: il visionario progetto Nesos di Arrighi

L’Azienda Agricola Arrighi si trova a pochi passi dal centro abitato di Porto Azzurro sulla meravigliosa Isola d’Elba. Nove gli ettari vitati di proprietà, estesi sui complessivi 22 totali e localizzati interamente nel parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Da oltre un secolo è di proprietà della famiglia elbana di albergatori, che coltivano vitigni quali i classici ansonica, trebbiano toscano (o procanico), vermentino, viogner e gli insoliti (da queste parti) chardonnay, sangiovese, sagrantino e syrah. Discorso a parte per l’aleatico, che Antonio Arrighi sa trasformare in una versione passito di rara bellezza.

Le vigne sono disposte ad anfiteatro, alcune delle quali giacciono su terrazzamenti naturali, altre sorrette da muretti a secco posti su suoli argillosi e ben protette dai venti. Finalmente è arrivato il giorno in cui conoscere questa splendida realtà. Dopo aver degustato i vini abbiamo fatto un tour con il quad tra i vigneti e malgrado il periodo di vendemmia Antonio si è reso molto disponibile, gentile e garbato come sempre a fornirmi dettagli sui vini. Un vero sperimentatore.

Progetto Nesos

In collaborazione con il Professor Attilio Scienza dell’Università di Milano è stata ricondotta sull’Elba una vecchia pratica utilizzata 2500 anni fa nell’isola greca di Chio. L’uva che si presta meglio è l’Ansonica  che ha delle similitudini con le uve greche. Gli acini integri vengono messi in alcune nasse di vimini e posti in mare ad una profondità di 7 metri, per una durata di circa 5 giorni. Il sale marino toglie la pruina e l’uva, una volta ripescata, viene esposta al sole appassendo più rapidamente. L’effetto antiossidante fa penetrare per osmosi il sale nell’acino, senza danneggiarlo, preservando l’integrità degli aromi primari del vitigno. La fermentazione avviene in anfore con le bucce e senza i raspi, senza aggiunta di solfiti, per un numero molto limitato di bottiglie.

Elba vitinicola

La storia vitivinicola dell’Elba risale all’epoca degli Etruschi: alcuni reperti ritrovati ne sono una pronta testimonianza. Napoleone Bonaparte, nel suo periodo di esilio, è stato un grande estimatore di un vino questa terra, l’Aleatico. Agli inizi del 900 l’Isola era una delle tre zone vitivinicole più estese della regione e la prima per quanto riguarda le uve a bacca bianca. La vite era coltivata per buona parte su terrazzamenti sorretti da muretti a secco che sfioravano altitudini fino ai 400 metri s.l.m. Con la propagazione della filossera ci fu una radicale riduzione del patrimonio viticolo e la coltivazione trovò spazio in zone più pianeggianti. Poi, con l’avvento massiccio del turismo, i produttori si sono cimentati a realizzare campioni di assoluta qualità.

La Doc Elba nelle tipologie Bianco e Rosso è arrivata nel 1967 ed in seguito anche Elba Aleatico, Elba Ansonica, Elba Ansonica Passito e Elba Rosato. Negli anni ’90 è stato costituito il Consorzio di Tutela del vino dell’Elba. Nel 1999 si aggiunge anche la denominazione Elba Moscato e nel 2011 anche le tipologie Elba Vermentino, Elba Trebbiano e Elba Sangiovese. Il 2011 è anche l’anno in cui l’Elba Aleatico Passito raggiunge l’apice ottenendo il sigillo Docg. Il suolo è ricco di minerali con terreni sia argillosi sia sabbiosi. Sino agli anni ’50 nelle miniere venivano estratte soprattutto ematite e limonite. Il clima è mite e di tipo mediterraneo.

I vini degustati

Valerius Toscana Igt 2022 – ansonica vinificato in anfora – Veste giallo paglierino luminoso, rivela note di fiori di ginestra, pesca  susina e agrumi, fresco e sapido, leggiadro e persistente.

Hermia Toscana Igt 2022 – viogner vinificato in anfora – Nuance paglierine, emana sentori di albicocca, uva spina, mandarino, mughetto, zagara, mango ed ananas, sapido, avvolgente, coerente e persistente.

V.I.P. Toscana Igt 2022 – viogner vinificato in barriques – rimanda ai sentori di ananas, frutta esotica, scorza di limone e vaniglia, fresco, morbido, armonioso e duraturo.

Tresse Toscana Igt 2020 – sangiovese 50%, syrah 30% e sagrantino 20% vinificati in anfore – Rosso rubino intenso, libera sentori di violetta, frutti di bosco, visciola e spezie dolci, palato delicato e sapido, tannini setosi.

Sergio Arrighi Elba Rosso Doc Riserva  2020 – sangiovese 100%. Rosso rubino trasparente, vira sul granato, sprigiona note di ciliegia, prugna, ribes, mora e pepe nero. Pieno, avvolgente ed equilibrato.

Francia: nelle cantine della Regina ad Arbois con i vini di Jérome Arnoux

N.d.r. 20Italie ogni tanto spazierà anche oltre i confini nazionali; questo per evidenziare la bellezza dei territori e dell’enogastronomia anche estera e verificare la nostra assoluta bravura nel paragone, ad esempio, con i cugini d’Oltralpe. Buona lettura.

Jura. Una regione di Borgogna – Franca Contea al confine con la Svizzera, famosa per le bellezze naturalistiche, per aver dato i natali a Louis Pasteur e per gli ottimi vini che si producono.

Ad Arbois, in rue de Bourgogne 5, è possibile visitare un’autentica meraviglia: la cantina della regina Giovanna. La costruzione in stile gotico datata 1322 fu voluta da una delle figlie dei Duchi di Borgogna, Giovanna appunto, che fu regina di Francia dal 1316 al 1322 e oggigiorno ospita le botti dei vini di Jérome Arnoux.

Jérome è originario di Montigny –les-Arsures, villaggio rinomato per il vitigno autoctono Trosseau. Dopo aver lavorato come chef de Cave da Stéphane Tissot,  ha dato vita al progetto Cellier de Tiercelines, scegliendo così di coltivare le uve pregiate dello Jura senza pesticidi o insetticidi: attualmente è in conversione biodinamica. I vini non vengono filtrati e si utilizzano solo i lieviti indigeni per le fermentazioni.

Jérome Arnoux

La degustazione, dopo aver ammirato la cantina sottostante, inizia con le bollicine: Elegance, un Cremant  in versione extrabrut , 50% pinot nero e 50% chardonnay  che colpisce per la fragranza dei profumi e il perlage fine. Segue ZD, un Cremant ottenuto da chardonnay, dosaggio zero che incanta per la cremosità e per la complessità del profilo olfattivo. Si intravvede come l’eleganza possa essere una caratteristica distintiva di questa cantina. La conferma arriva con gli assaggi successivi.

Rescape 2021 è un vino ottenuto dalle uve vendemmiate nonostante la terribile gelata, per cui andò perso l’80% del raccolto. Piacevoli e fresche note agrumate, cenni di vaniglia, una grande finezza.

Poulsard  Subtil 2022: varietà che regala vini con una trama tannica molto delicata e che viene interpretata magistralmente da Jérome. Le vigne sono allocate su argille del triassico, esposte a sud; la fermentazione avviene in tini con le bucce, a cui segue un affinamento  per 6 mesi. Al naso piccoli frutti rossi maturi e una note affumicata molto gradevole.

Trosseau Exception 2022: vitigno nativo del Jura. Le viti crescono su suoli calcarei del bajociano. La fermentazione avviene nei tini con le bucce a cui segue un affinamento in rovere per circa 6 mesi. Bella complessità al naso, con nuances di sottobosco e frutta matura; il tannino è presente e apprezzabile sebbene meravigliosamente integrato. Chiusura sapida, anche questo rosso è decisamente elegante!

Pinot Noir Revelation 2019: il vino affina un anno in botti di rovere di cui il 15% sono nuove; le viti crescono su terreni con una componente sia argillosa che calcarea. Il profilo  olfattivo è molto particolare, richiama la crème de cassis, il coriandolo, il corbezzolo. Trama tannica fine e lunga persistenza.

Savagnin Preambule 2021: se ne apprezza il varietale in purezza, non sottoposto all’effetto protettivo dei lieviti esprime le caratteristiche note di lici, agrumi, e una sfumatura erbacea. Chiusura iodata. Prezioso.

Blanc Tradition nasce dall’assemblaggio di 80% di chardonnay vinificato in botti di rovere e da un 20% di savagnin,  che rimane sotto il velo flor che si è creato lasciando le botti scolme, per ben 4 anni. Un vino gastronomico, ricco di profumi che vanno dalla frutta a pasta gialla, noce, vaniglia a cui si aggiungono note burrose; elegante equilibrio e finale lungo su note fruttate.

Savagnin 2018 permette di scoprire l’azione della permanenza, peraltro lunga almeno 30 mesi, sotto il voile. Frutta esotica, noce, mandorla, grande sapidità e persistenza .Un capolavoro. Grande potenziale di invecchiamento.

Vin Jaune 2016: questa tipologia di vini deve il suo nome al colore intenso ed è una tipica espressione di questa regione. Si produce esclusivamente con il savagnin, che rivela la propria anima dopo una lunga e particolare metamorfosi. Nativo della vicina Chateau Chalon, è prodotto nelle tre AOC Arbois, L’Etoile e Cotes du Jura. Dopo la fermentazione resta almeno 6 anni e 3 mesi nelle botti di legno senza alcun intervento da parte dell’enologo. Il processo, durante il quale si verifica una naturale evaporazione del vino, prevede la formazione di un sottile film sulla superficie grazie all’azione dei lieviti. Il bouquet di questi vini è assolutamente complesso, con sentori di noce, nocciola, mandorla e spezie. Dopo l’invecchiamento nelle botti viene imbottigliato nelle clavelin, speciali contenitori della capienza di 62 cl. Viene consigliata una temperatura di servizio tra i 14° e 18 °.

Vin de Paille: vino dolce prodotti con i migliori grappoli di tutte le qualità ( a esclusione del pinot nero) che vengono appassite sui graticci per 2 -3 mesi . Note di albicocca, cera d’api, miele, caramello e frutta candita. Una buona acidità compensa la dolcezza, regalando una ottima bevibilità. Viene abbinato con il foie gras e con i formaggi. Alla fine di Gennaio, nella regione si celebra la “Pressée du Vin de Paille” ed è una grande festa, che richiama molte persone, giornalisti e winelovers.

L’azienda di Jérome Arnaux dispone anche di appartamenti da affittare molto curati ed  eleganti , per un soggiorno ad Arbois davvero indimenticabile.