I Balzini: la famiglia D’Isanto nel passaggio generazionale in continua crescita

Correva l’anno 1980 quando Vincenzo D’Isanto impiantava il primo ettaro di vigna a Barberino Tavarnelle (FI), frazione Pastine, in una località chiamata al catasto “Balzini” per via dei numerosi avvallamenti del terreno ancora ben visibili.

Inizia così il suo progetto enologico affiancato dalla moglie Antonella. Siamo nel cuore del Chianti Classico, ma qui a I Balzini non si produce Chianti Classico per una scelta precisa di Vincenzo: legato nella sua professione di commercialista a regole rigide, decide di staccarsi da quelle del disciplinare per produrre un vino espressione di una Toscana diversa. Dunque insieme al sangiovese, che non costituisce il nucleo storico della vigna, Vincenzo punta su cabernet sauvignon, merlot e mammolo. Attualmente la cantina vinifica cinque etichette – Balze Rosa, Balze Verdi, Balze Rosse, Balze Nere, I Balzini sotto la denominazione IGP Colli della Toscana Centrale, collocandosi a pieno titolo nel solco della tradizione dei Supertuscans.

Diana D’Isanto

A guidarmi è Diana, figlia di Vincenzo e Antonella, energica, appassionata e innamorata di un’eredità familiare, alla quale sta imprimendo il proprio personale contributo in maniera decisiva dal 2017. Diana, sempre affiancata da Wilma, Tea e Ugo, i tre cani di famiglia, riesce a intrecciare in maniera entusiasmante il racconto delle origini insieme a quello dei traguardi presenti e dei progetti futuri: nelle sue parole si scorge chiaramente l’orgoglio del passaggio generazionale, costituito in egual misura da filiale devozione e sana competizione. È suo il progetto Ritorno al Futuro, con il quale ha riportato in auge nel 2017 la storica etichetta dai tratti minimal e il nome del primo vino prodotto nel 1987, I Balzini, sostituendo l’ormai affermato White Label. Stessa operazione di restyling è stata fatta per il Black Label, che nel 2017 ha trasformato il suo nome in Balze Nere e la sua etichetta in una versione più stilizzata.

Gli ettari di vigna oggi sono diventati sette, tutti parcellizzati data l’acquisizione successiva nel tempo, il regime biologico – sempre praticato –  è stato ufficializzato da pochi anni, la produzione si è attestata tra le 25 e le 30 mila bottiglie annue, di cui una buona parte destinate al mercato estero.

Passeggiando nel prato che digrada verso il fondo della balza su cui sorge l’edificio storico della cantina, iniziamo la visita dalla parte più recente, la barriccaia, e per la precisione dalla sua copertura, perché l’ambiente dove affinano i vini si trova interrato proprio sotto i nostri piedi. Questa scelta permette di mantenere una temperatura adeguata senza l’utilizzo di condizionatori, mentre la luce necessaria per garantire l’illuminazione all’interno del locale è ottenuta dal cattura luce che si erge proprio al centro del prato.

Rispetto per l’ambiente come per l’utilizzo dei pannelli solari, che ricoprono completamente la tinaia di fermentazione, o l’impiego di bottiglie più leggere. Tutti i vini della linea fanno fermentazione in acciaio e, ad eccezione del Balze Rosa e del Balze Verdi, passaggio in legno. Le barriques utilizzate sono di diversa provenienza per poter beneficiare delle variegate caratteristiche del contenitore e le botti vengono sfruttate ben oltre la consuetudine, dal primo al quinto passaggio.

Entriamo successivamente in un locale ricco di emozioni, dove vengono conservati i formati speciali (da 1,5 lt a 12 lt) di White e Black Label (dal 2017 I Balzini e Balze Nere) delle annate passate, spesso già acquistati da chi vuole garantirsi una bottiglia particolare per un evento. In questa saletta climatizzata troviamo le tre Jéroboam che i nonni hanno acquistato per il diciottesimo dei tre nipoti gemelli o la Mathusalem che dovrà essere recapitata a Chicago nel 2036, per il ventunesimo compleanno della figlia dell’acquirente. Un servizio sartoriale che prevede anche l’etichetta con dedica personalizzata su richiesta.

La degustazione si svolge sulla bella terrazza da cui si scorge in lontananza la prima vigna impiantata da Vincenzo e l’uliveta, preesistente alla cantina. Assaggio tutti i vini della linea: le tre etichette per bere bene tutti i giorni (Rosa, Verde, Rossa), i due prodotti di punta (Balze Nere e I Balzini), oltre a una piccola sorpresa che posso, senza tema di smentita, definire intrusa.

Si parte col Balze Rosa, sangiovese in purezza vinificato con una brevissima macerazione sulle bucce: ha normalmente una tonalità fior di pesco affascinante, che, unita al nome dell’etichetta, evoca quasi le balze di una gonna sollevate da un vento dispettoso. Ma io non bevo l’annata corrente, la 2022, già terminata da tempo, bensì un’inaspettata 2020, che nel colore si distingue avvicinandosi più a un orange-wine. Stupisce il naso netto di arancia e spezie dolci, rivelando in bocca ottima struttura, con un tannino piacevolmente presente, salino e persistente su ricordi di melagrana.

Balze Verdi 2021 – blend di sangiovese e mammolo, è un vino croccante e immediato, con sentori fragranti di frutta ed erba sfalciata, che ritroviamo nella bocca fresca e pulita. Effetto volutamente ricercato grazie alla macerazione carbonica e alla vinificazione senza bucce del mammolo. D’altronde anche la scelta dei colori delle varie etichette ha proprio lo scopo di evocare determinati sentori che saranno poi presenti nel bicchiere…

Balze Rosse 2018 il blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, è il primo vino della linea che fa passaggio in legno, generalmente sei-otto mesi in barrique dismesse. Fitto nel rosso granato, al naso si distingue per l’oliva in salamoia, la salsedine, il cappero e il sentore di peperone fresco. Morbido e di ottima freschezza al palato, ritorna con sentori balsamici.

La quarta etichetta in degustazione, Summofonte 2015, prende il nome da un borgo nelle vicinanze, Semifonte, perché ne riproduce la cappella, versione 1:8 della Cupola del Brunelleschi, intorno alla quale si estende il vigneto. Non viene sempre vinificata perché la vigna non è di proprietà. È un blend variabile di sangiovese, cabernet, ciliegiolo e un fattore X ancora non conosciuto.

Chiudiamo la degustazione con le due etichette top di gamma, Balze Nere e I Balzini.

Balze Nere 2017, cabernet e merlot, compatto nel colore e nel naso, si apre lento, svelando una personalità posata, da gentleman di campagna: cuoio, tabacco di sigaro, cenere di camino, cardamomo e chiodi di garofano, il frutto arriva molto dopo con la ciliegia sotto spirito e la mora di rovo. Tannino setoso e freschezza equilibrata invitano continuamente al sorso che si chiude su una liquirizia in caramella.

I Balzini 2017, sangiovese e cabernet, ha un carattere più scattante per la leggera nota di pietra focaia che impreziosisce il naso di prugna e continua su sentori di cumino, noce moscata, fresia, olive in salamoia e rosmarino. La bocca svela ancora una volta un tannino fine e ben integrato con una chiusura che rimanda al cioccolato fondente.

I Balzini

Località Pastine, 19

50021 Barberino Tavarnelle (FI)

Fontodi: la magia del Sangiovese in purezza nel cuore del Chianti Classico

Non capita tutti i giorni di varcare il cancello di cantine affascinanti come quella di Fontodi.

Ad accoglierci c’era il dinamico e autoctono Silvano Marcucci, panzanese doc, cuore pulsante dell’azienda, orgoglioso e consapevole di trovarsi in un territorio di rara bellezza. Dopo esserci sgranchiti le gambe passeggiando in vigna, Silvano ci ha illustrato la storia dell’azienda, per poi entrare in cantina e degustare con enorme piacere i vini. Dalla terrazza di Fontodi si gode di un panorama senza pari digradante verso le Alpi Apuane, l’Appennino Tosco-emiliano e lo splendore dei vigneti e oliveti sotto e circostanti.

Un’esperienza memorabile ed emozionante.

Fontodi si trova nel cuore del Chianti Classico, più precisamente nella vallata che si apre a sud del borgo di Panzano a forma di anfiteatro, denominata “Conca d’oro“.  Il biodistretto nel comune fiorentino di Greve in Chianti.

Un terroir rinomato da secoli per la sua alta vocazione alla viticoltura di qualità dovuta alla combinazione unica di elevata altitudine, terreni galestrosi, esposizioni ottimali e un microclima favorevole per l’allevamento della vite. Caldo e asciutto, caratterizzato da notevoli escursioni termiche tra le ore diurne e notturne.

L’azienda è, dal 1968, di proprietà della famiglia Manetti, con Giovanni Manetti attuale Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico. Vanta circa  110 ettari di vigneti, condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica. La cantina è disposta su tre livelli e si avvale della forza di gravità, evitando l’uso di pompe elettriche. Negli anni ottanta qui è nato Flaccianello della Pieve e da allora il  successo è stato enorme, fra i grandissimi nomi della vitivinicoltura toscana. 

Panzano con il recente arrivo delle UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) per la Gran Selezione, ha visto ancor di più certificare la propria qualità.

I vini degustati

Flaccianello della Pieve IGT 2019 – Sangiovese in purezza, matura in barriques e botti di rovere francese per 24 mesi. Tonalità rosso rubino intenso e luminoso, ricco e complesso, sprigiona sentori floreali di viola mammola, ribes, marasca, mora e di visciole sotto spirito, poi tabacco e china. Avvolgente e dotato di una nobile trama tannica, con un finale lunghissimo su cenni balsamici ed un sorso duraturo.

Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Sorbo 2020 – Sangiovese in purezza, matura per 24 mesi in barriques e botti di rovere francese. Rosso rubino intenso, al naso è un’ esplosione di profumi, viola, lampone, fragola  ciliegia, prugna, rabarbaro e bacche di ginepro, al gusto è pieno ed appagante,  morbido, generoso ed armonioso.

Chianti Classico 2020 – Sangiovese in purezza – Matura in legno piccolo e botti grandi di rovere per 18 mesi – Rosso rubino luminoso, al naso rimanda sentori inizialmente di viola mammola e frutti a bacca rossa, come ribes e ciliegie, per poi proseguire su gradevoli note di spezie dolci. Al gusto è fine, sapido e suadente.

Chianti Classico Filetta di Lamole 2020 – Sangiovese 100% –  Rubino trasparente, rivela note ciclamino, erbe aromatiche, la tipica arancia sanguinella e spezie dolci.  Tannini setosi e vivace freschezza a conclusione di un elegante sorso.

Fontodi

Via San Leonino 89 – Loc. Panzano

50022 Greve in Chianti (Fi)

http://www.fontodi.com

San Gimignano (SI) – Il Palagione: vini solidi come le storiche torri comunali

Lo scorso 9 agosto con amici ho visitato l’azienda vitivinicola Il Palagione.

Esperienza indimenticabile, arricchita dall’ospitalità di Giorgio Comotti, titolare dell’azienda, che ci ha deliziato con una degustazione dei suoi piacevoli vini sulla panoramica terrazza nell’antico fienile. Tante le nostre “enozioni” visitando la cantina, tradotte in conseguenti emozioni…

Dettagli molto interessanti che vanno ad aggiungersi al puzzle di conoscenza. Giorgio è molto affabile, competente e attento ad ogni singolo dettaglio, sia in vigna sia in cantina. Nulla viene lasciato al caso: il fil rouge dei vini è rimarcato da freschezza e sapidità.

Al centro Giorgio Comotti

Alcuni cenni sull’azienda e sulla Vernaccia di San Gimignano

Il Palagione si trova a San Gimignano e si erge sulla sommità della collina. Un antico podere risalente al 1594, finemente ristrutturato, posto lungo la strada panoramica che collega San Gimignano a Volterra. Una struttura immersa tra vigneti di Vernaccia e Sangiovese, ma anche bosco e oliveti. La vista gode di un panorama impareggiabile sulla città turrita e la verde vallata circostante.

Di proprietà dal 1995 di Giorgio Comotti, milanese di origine e innamorato di questa stupenda campagna, che assieme alla moglie Monica Rota decise di trasferirsi in questo lembo di Toscana per dar vita al suo progetto. Si è cimentato con grande passione e abnegazione nel mondo del vino ed ha lasciato le sue attività precedenti.

I vigneti vengono condotti secondo il regime di agricoltura biologica e le varietà coltivate sono Vernaccia, Sangiovese e Merlot. Gli appezzamenti sono posti ad un’altimetria media di 320 metri, su terreni argillosi e sabbiosi con presenza di fossili marini. L’azienda si estende su una superficie complessiva di 40 ettari, di cui 20 vitati e 3 ettari di uliveti.

La Vernaccia di San Gimignano è stato il primo vino italiano ad ottenere la denominazione di origine controllata nel 1966; successivamente è nato il Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano che ha contribuito a dare nuovo slancio per la produzione di qualità, ottenendo nel 1993 la meritatissima Docg. 

San Gimignano si trova nella parte nord-ovest della provincia di Siena. Dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, conosciuto in tutto il mondo per le torri medievali, che gli hanno valso l’appellativo di Manhattan del Medioevo. In questo territorio si producono anche ottimi vini rossi, ma la produzione maggiore è riservata alla Vernaccia. Un bianco italiano con una notevole capacità d’invecchiamento, prodotto anche nella tipologia ” Riserva “.

Note di degustazione

Spumante Rosè Metodo Classico Nature De Monì 2019 – Sangiovese – Rosa tenue, perlage fine e persistente, tra note di rosa, crostata di frutti di bosco e sussulti d’arancia rossa che anticipano il palato, con una freschezza e una cremosità disarmanti.

Vernaccia di San Gimignano Hydra 2022 – 100% Vernaccia Toni giallo paglierino con sfumature  verdoline. Naso ricco di pompelmo, mela, pera e mandorla. Fresco e sapido, il finale è lungo con richiami agrumati.



Vernaccia di San Gimignano Lyra 2021 – Vernaccia 100% – Paglierino tendente al dorato, emana note di fiori di montagna, susina, pesca, melone, lime e mandorla,. Bocca avvolgente dal finale decisamente persistente.

Vernaccia di San Gimignano Riserva Ori 2021 – Vernaccia  100% – Giallo brillante, complesso, sprigionante sentori di pesca, zafferano, cedro, ananas, mango, papaya. Colpisce per la piacevole morbidezza, ma al contempo sa essere fresco e lungo, armonico ed equilibrato.

San Gimignano Doc Rosato Sunrose’ 2022 – Sangiovese – Bellissima tonalità rosa salmone, dipana eleganti sentori di fragolina di bosco, melagrana e rosa di campo. Sorso piacevolmente fresco e sapido, lungo e leggiadro.

Chianti Colli Senesi Riserva Draco 2019 – Sangiovese in purezza –  rubino trasparente e consistente, su note di ciliegia, violetta e frutti di bosco si alternano a note di pepe e bacche di ginepro,  avvolgente e decisamente persistente.

Nella nostra vita raramente prendiamo atto che ciò che riceviamo che è, talvolta, molto di più di ciò che diamo.

Il Palagione
Località Palagione – Castel San Gimignano
53037 – San Gimignano – Siena (SI)

L’affinamento subacqueo dei vini: solo una “bolla” di profondità o c’è del vero? Ne parliamo con Marco Bacci ed il suo Talamo a Mare

Non ci nascondiamo mai e non lo faremo neanche stavolta parlando di un argomento alquanto delicato degli ultimi tempi: l’affinamento subacqueo dei vini.

Lo facciamo con un imprenditore dalla visione a dir poco lungimirante, Marco Bacci, le cui prodezze in campo vitivinicolo (dopo quelle dell’alta moda), hanno raggiunto vertici assoluti di eccellenza e qualità. Di lui, e del sogno nato in una delle cantine del Gruppo, quella di Terre di Talamo, ce ne ha già parlato la collega Augusta Boes nell’articolo Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità.

Ciò che invece cercheremo di affrontare quest’oggi con il Direttore di 20Italie Luca Matarazzo e l’autore Alberto Chiarenza, è il tema scottante dello sdoganamento di una pratica divenuta ormai materia d’uso comune.

La sosta del vino in bottiglia, a profondità e condizioni determinate, può influire realmente sulla sua maturazione o resta confinata nei canoni di una semplice pratica commerciale?

Bene o male purché se ne parli dicevano ai tempi della Prima Repubblica; non vogliamo limitarci a un ostracismo incondizionato, ma anzi cercare di aprire gli occhi su un movimento in crescita e in totale fermento (mai termine fu più azzeccato).

Si attendono i risultati imminenti del lavoro pionieristico compiuto da una giovane start-up siciliana, grazie all’appoggio incondizionato dei brand Benanti e Passopisciaro, con il progetto Orygini in collaborazione con l’Università di Catania. Un controllo meticoloso e costante suddiviso in 14 parametri effettuato per durate variabili dai 6 ai 24 mesi su un campione di bottiglie immerse a 48 metri di profondità nei pressi dell’Area Marina Protetta Isole dei Ciclopi, tra Aci Trezza e Aci Castello. Per intanto dobbiamo accontentarci di uno studio già pubblicato dalla società Lyfe Cicle engineering sull’importante riduzione di CO2 (per 1000 bottiglie circa 680 kg) e sul risparmio di risorse energetiche e logistiche.

Al resto manca una nostra valutazione empirica per comprendere le effettive potenzialità, contando sulla correttezza e buona fede degli attori in gioco, elemento essenziale per scrivere un articolo. Lo faremo nel confronto di due annate, la 2018 e 2019, degustate in parallelo tra affinamento classico e affinamento marino.

Il vino di punta di Terre di Talamo, è un blend di quattro vitigni in pari percentuale di Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Syrah. Il desiderio era quello di realizzare un Supertuscan, riuscito davvero bene. I quattro vitigni risultano integrati e si percepiscono, di ognuno, le sue peculiarità. Ma Marco Bacci è anche amante del mare, navigante e sommozzatore con esperienze in ogni angolo del mondo, e in una occasione, dopo aver lasciato alcune bottiglie di Talamo nella sentina della sua barca, decide di stapparne una accorgendosi della differenza nell’evoluzione del vino. Si chiede, esattamente come noi, cosa farà migliorare la qualità del prodotto e, andando per tentativi, trova la quadra giusta a 35 metri sotto il livello del mare.

L’annata 2018 ritornerà alla luce dopo due anni, insieme alla 2019 che è rimasta tra le creature marine per la metà del tempo. E’ così che da una linea, ne sono state create due. Stesso vino, ma affinamenti completamente diversi. Talamo matura in cantina e Talamo a Mare, appunto, sul fondale marino in una zona che si trova tra il Monte Argentario e l’Isola di Giannutri.

Le nostre valutazioni finali

Diciamo subito che il prodotto è di una qualità straordinaria già prima di scegliere il suo percorso finale in bottiglia. Si percepiscono lievi differenze solo nella tonalità del colore, più scuro e intenso quello da affinamento subacqueo.

Per il resto, nella 2018 non segnaliamo altre particolarità: i vini sembrano quasi identici nelle loro espressioni organolettiche. Forse più verde e tagliente il Talamo a Mare, che denota, in prospettiva, maggior possibilità di resistere al tempo.

Nella 2019 le diversità si acuiscono, con la versione classica declinata su sensazioni boisée e quella proveniente dai fondali marini molto verticale e sanguigna. Annotiamo, infine, che nel calice le sfumature diventano sottili con il passare dei minuti, andandosi a riequilibrare pian piano con la giusta attesa. Sintomo che le basi solide emergono sempre, come i cavalli di razza. Nella verve iniziale probabilmente conta la variazione di maturazione, ma nella lunghezza di bocca dei due prodotti, in entrambe le annate, tutto sembra coincidere. L’unica cosa è il prezzo, triplicato nella versione da affinamento subacqueo, anche per l’esiguo numero di bottiglie.

Ringraziamo il padrone di casa Marco Bacci per essersi sottoposto al vaglio della stampa con la stessa voglia di apprendere e di trovare risposte. Speriamo di confrontarci con lui nuovamente in futuro, magari con i primi dati scientifici disponibili al mondo, per sdoganare finalmente la filosofia degli underwater wines.

Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità

di Augusta Boes

Marco Bacci, imprenditore da sempre e vignaiolo per amore, raccoglie la sfida del caso e prova ad affinare il più classico dei tagli bordolesi nel profondo degli abissi della costa maremmana, con risultati davvero sorprendenti con il suo progetto “Talamo a mare”.

In un nostro precedente articolo (Bacci Wines: equazione risolta) avevamo anticipato che ci sarebbero state interessanti novità all’orizzonte in casa Bacci Wines, e che ne avremmo parlato a tempo debito: il momento è arrivato e “ogni promessa è debito”.

Il sorriso solare e l’entusiasmo sincero con cui Marco Bacci ha accolto media e giornalisti nella sua tenuta Terre di Talamo, nei pressi di Fonteblanda (GR) in piena Maremma Toscana, hanno immediatamente conquistato tutti. In un caldo pomeriggio di luglio, coccolati da un rinfrescante calice di spumante e dalla brezza che porta i sussurri del mare fin su la collina, ci siamo sentiti subito a casa. Uno spumate peraltro d’eccezione, il Barbaione AD 1111 Dosaggio Zero, un metodo classico da uve Sangiovese di cui si producono poco più di 3.000 bottiglie per una fresca carezza dal gusto decisamente toscano.

Non è raro che imprenditori nazionali e internazionali decidano di investire in tenute vitivinicole qui in Italia. Tuttavia, sono pochi quelli che si lasciano coinvolgere così profondamente da decidere di cambiare radicalmente vita.

Bacci Wines: una scelta di vita all’insegna dell’eccellenza

La storia di Bacci Wines comincia come tante altre: un giovanissimo ed esuberante imprenditore decide di acquistare una tenuta vitivinicola, un po’ per gioco, un po’ come investimento e un po’ perché fa tendenza.  Si innamora di Castello di Bossi nell’areale del Chianti Classico, i cui spazi di cantina, tra l’altro, custodiscono storie e segreti del grandissimo enologo Giacomo Tachis. Ed è così che questo ragazzo di 25 anni intraprende, più o meno inconsapevolmente, una nuova avventura che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. «Il primo segno di pazzia, che poi mi ha preso tutto» ci racconta Marco, a tal punto che nel 1996 decide di vendere le sue aziende d’abbigliamento per sposare senza compromessi la sua nuova missione: fare vino e farlo anche molto bene.

Da allora l’azienda si è espansa notevolmente, e ad oggi conta 5 tenute a conduzione biologica certificata: Castello di Bossi, Tenuta di Renieri e Barbaione in Chianti Classico, Renieri a Montalcino, e Terre di Talamo qui in Maremma. Una “pazzia” davvero dilagante.

Terre di Talamo: il rifugio del lupo di mare

La tenuta maremmana è incantevole: un anfiteatro naturale con i vigneti che baciano Talamone in lontananza, declinando dolcemente verso il mare azzurro. Affascinato dalla sua bellezza, Marco all’epoca concluse l’affare in soli cinque giorni, aggiungendo Terre di Talamo alla sua collezione di gioielli. Il posto perfetto per lui che ama le immersioni e la pesca di profondità; che poi, a guardarlo bene, è difficile distinguere il vignaiolo dal lupo di mare.

Tra questi filari nascono, tra le altre cose, due interpretazioni davvero interessanti del Vermentino di Toscana, rispettivamente il Vento e il Vento Forte. Il primo, vinificato in acciaio, cattura l’essenza della brezza marina e delle erbe aromatiche, offrendo un vino piacevole e dalla personalità leggiadra. Il secondo, invece, maturato in barrique, colpisce per la sua delicata cremosità e si distingue per i suoi piacevoli sentori di frutta bianca, salvia, alloro, tiglio e ginestra. Inconfondibile la nota iodata che, anche in questo caso, richiama la carezza del vento marino sia nell’aroma che nel gusto.

Talamo a mare: il vino rosso affidato alle cure di re Tritone

Il vero protagonista della giornata però è stato il Talamo a Mare, il vino nato per caso da una dimenticanza. Il destino ha voluto che Marco scordasse per lungo tempo una cassa di Talamo, il taglio bordolese dell’azienda, nella stiva della sua barca. Al ritrovamento la sorpresa è stata grande. Il rollio delle onde, la temperatura e il grado di umidità pressoché costanti avevano conferito al vino una marcia in più. È da qui che nasce l’idea di sperimentare l’affinamento in fondo al mare, il primo tentativo in assoluto per un vino rosso in Toscana, tant’è che la mancanza di norme specifiche ha fatto sì che ci volessero poi 3 anni per poter inabissare la prima cassa a 35 metri.

Non lascia alcun dubbio la degustazione comparativa di questi gemelli diversi, di terra e di mare, figli della stessa botte, assaggiati nei millesimi 2018 e 2019. Custodito e coccolato da dio Tritone, sebbene il ventaglio olfattivo e la piacevolezza del sorso fossero molto simili, il Talamo a Mare è decisamente un vino in dolby surround. L’intensità e la profondità dei profumi, di frutti rossi croccanti, rose carnose, ibiscus e delicate spezie dolci, risultano amplificati come ci fosse una sorta di reverbero a sostenerne la complessità. La stessa cosa si può dire del sorso che risulta teso, dinamico e piacevolissimo, con tannini carezzevoli, grande equilibrio e tanta freschezza. Puntuale e precisa la corrispondenza gusto-olfattiva, caratteristica sempre importante nel valutare la qualità di un vino.

Un esperimento che sin qui ha dato ottimi risultati che hanno premiato la tenacia e la caparbietà di Marco Bacci nel perseguire questo suo sfidante obiettivo. E la storia non finisce certo qui; non mancano le idee e i nuovi progetti ma nessuna anticipazione, per non rovinare la sorpresa. Ne parleremo a tempo debito. Braccia fortunatamente restituite all’agricoltura quelle di Marco, perché se un vino non è fatto prima per passione e poi per il mercato, la differenza si sente tutta, e qui il supplemento d’anima risulta davvero rilevante.

Chianti Classico: La Sala del Torriano

di Adriano Guerri

Di recente ho approfondito la conoscenza sul meraviglioso areale del Chianti Classico visitando la cantina La Sala del Torriano, grazie all’ottima organizzazione della giornalista Roberta Perna.

Dopo una passeggiata nei vigneti adiacenti alla struttura, abbiamo degustato alcuni dei loro vini di annate diverse, chiudendo la serata con una suggestiva cena a bordo piscina. Qui si trova infatti anche l’agriturismo che mette a disposizione degli ospiti  5 appartamenti, mentre la cantina di vinificazione è a poca distanza da Torriano.

La Sala del Torriano è situata nella sottozona di San Casciano nella parte nord della Denominazione, più precisamente a Montefiridolfi a pochi chilometri dal capoluogo toscano.
Vanta 33 ettari vitati e una estensione complessiva di oltre 70 con oliveti e bosco. I vigneti sono condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica, posti a 310 metri s.l.m. su terreni argillosi ricchi di magnesio e ferro, con presenza di macigno del Chianti. 

Le varietà allevate sono il Sangiovese, protagonista indiscusso del Chianti Classico, Cabernet Sauvignon e Merlot. Un’azienda interamente ad “anima rossista”. Dal 2014 al timone c’è Francesco Rossi Ferrini, che si avvale della preziosa collaborazione dell’enologo Stefano Di Biasi e di Ovidio Mugnaini enologo e agronomo.

Vinificano soltanto il 50 % delle uve prodotte, ricercando le migliori selezioni da ogni vigneto e svolgendo un attento lavoro in cantina con fermentazioni suddivise in piccoli lotti per rispettare al massimo le differenze di espressione. I legni utilizzati per la maturazione del vino sono poco invasivi. Nei loro prodotti riscontriamo finezza e piacevolezza di beva, ma anche buona struttura, facili e belli da ricordare.

I vini degustati

Chianti Classico 2016 – Sangiovese 90% Merlot 10% – Rubino vivace e trasparente, emana note di viola, marasca, prugna, mora e pepe nero, fresco. Avvolgente e lungo all’assaggio.

Chianti Classico 2015 – Stesso uvaggio, con sentori di rabarbaro, arancia sanguinella e spezie dolci. Tannino fresco, setoso e armonioso.

Chianti Classico 2014 – Sangiovese 85%, Merlot 15% – Malgrado l’annata non semplice, il vino risulta agile, sapido e persistente, qualche istante prima al naso rimandava a note di lamponi, rosa, rosmarino, mirto e tabacco.

Chianti Classico Gran Selezione 2018 “Il Torriano” – Sangiovese in purezza. Rubino intenso, dai sentori di violetta, amarena, mora, prugna, bacche di ginepro e sottobosco. Setoso al palato e decisamente persistente.

Chianti Classico Gran Selezione 2016 “Il Torriano” –  Nuance di mora, mirtillo, zenzero, scorza d’arancia e spezie dolci. Grande progressione succosa, appagante ed elegante.

Chianti Classico Gran Selezione 2015 “Il Torriano” – Declinato su rosa canina, ciliegia, confettura di frutti di bosco, arancia sanguinella, polvere di cacao e tabacco. Tannini ben integrati e saporiti.

Pugnitello 5 Filari  Toscana Igt 2020 – Veste color rubino profondo, mentre emergono sentori di mora, ribes nero, alloro, cumino e grafite. Ottima la freschezza e l’immediatezza di bocca.

Chianti Classico Summer 2023: 100 eventi per riscoprire le colline del Gallo Nero

Comunicato Stampa

Un calendario d’eccezione anima l’estate chiantigiana 2023. Ben 100 eventi da giugno a settembre, grazie a un finanziamento dell’Unione Europea (MEET Chianti Classico) e alla preziosa collaborazione dei Comuni del territorio, organizzatori di appuntamenti culturali e artistici che vanno ad arricchire la già fitta agenda degli enoturisti. A cura del Consorzio Vino Chianti Classico la creazione di un unico calendario di eventi per la stagione 2023, ispirati da 4 direttrici principali: Arte, Musica, Teatro e Vino.

L’arte. La mostra diffusa Art message in a Chianti Classico Bottle, curata da Francesco Bruni e Giuseppe D’Alia, presenta 7 nuovi artisti: Nian, Mono_graff, Rachel Morellet, Letizia Pecci, Cecco Ragni, Silvia Canton e Andrea Guanci. Ciascuno di loro ha interpretato il vino Chianti Classico con i propri mezzi espressivi, utilizzando come “tela” una bottiglia bordolese alta tre metri. Le opere sono visitabili liberamente da tutti i turisti, inserite in contesti di grande fascino nei 7 comuni del territorio, con l’invito a scoprire la vocazione artistica del Chianti Classico e le sue aziende che ospitano ricche collezioni.

La musica. Tutto pronto per una delle nuove proposte dall’9ª edizione del Chigiana International Festival & Summer Academy: Chigiana Chianti Classico Experience, ciclo di 7 appuntamenti tra musica e vino, in collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana, in selezionate cantine del Gallo Nero. Un itinerario musicale che unisce il repertorio cameristico classico alla tradizione enogastronomica toscana e che vedrà protagonisti – con orario d’inizio all’ora del tramonto – i giovani talenti allievi dei Corsi di Alto perfezionamento Musicale dell’Accademia Chigiana.

Il teatro. Un format ormai ben sperimentato nel corso della prima edizione della Chianti Classico Summer è lo street theater DiVinum, in collaborazione con Arca Azzurra Eventi, uno spettacolo dedicato al vino e pensato per superare la barriera linguistica attraverso una forma narrativa  accessibile a tutti, anche ai tanti spettatori stranieri presenti durante la stagione.

Se il vino accompagna tutti questi appuntamenti con degustazioni, non possono mancare anche i principali eventi del territorio, ormai tradizioni da non perdere, EXPO Chianti Classico (7-10 settembre, Greve in Chianti); Vino al Vino (Panzano, 15-17 settembre); Montefioralle Divino (Montefioralle, 22-24 settembre).

Il Calendario

Musica

12/07/2023       Greve in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Tenuta Casenuove Concerto di Chitarra”

21/07/2023       Castellina in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Rocca delle Macìe Quartetto d’archi”

08/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Vallepicciola Concerto di Oboe”

09/08/2023       Gaiole in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Badia a Coltibuono Concerto di Violoncello”

23/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Fèlsina Concerto di Violino e pianoforte”

24/08/2023       Castellina in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Castello la Leccia Concerto di Chitarra Fisk”

26/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Villa Mocenni Concerto di Violoncello e pianoforte”

Teatro

28/06/2023       Gaiole in Chianti                               Teatro: diVINUM

24/07/2023       San Donato in Poggio                      Teatro: diVINUM

23/08/2023       Castellina in Chianti                         Teatro: diVINUM

Vino

7-10 settembre Greve in Chianti                51° Expo del Chianti Classico

15-17 settembre               Panzano in Chianti           Vino al Vino

22-24 settembre               Montefioralle                     Montefioralle Divino

Tutte le iniziative sono consultabili sul sito chianticlassico.com

Alla scoperta dei vini della Doc Grance Senesi

di Olga Sofia Schiaffino

Cosa sono le Grance Senesi da cui la Doc istituita nel 2010 prende il nome?

Nel Secolo XII lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena, per gestire e ottimizzare lo sfruttamento dei cospicui possedimenti terrieri aveva creato delle fattorie fortificate, le Grance, poste a capo delle tenute che occupavano vasti territorio nella Val d’Arbia, Val d’Orcia e parte della Maremma.

Lo Spedale era un vero e proprio xenodochio, capace di ospitare, curare e accudire i pellegrini che percorrevano la via Francigena: per quasi cinque secoli le Grance riuscirono, con la produzione di grano, vino e olio, a sostenere le esigenze economiche del Santa Maria, fino a che il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena nel 1775 ne mise in vendita tutti i beni.

Attualmente la Doc Grance Senesi comprende i territori di cinque comuni della provincia di Siena, immersi in paesaggi dall’aspetto lunare dati dai calanchi, in verdi e dolci colline ammantate da boschi, vigneti e oliveti.

Rapolano Terme è famosa sin dai tempi dei Romani per le sue acque termali e per il travertino: nelle sue vicinanze la Grancia di Serre di Rapolano è una delle più antiche e meglio conservate, ininterrottamente abitata sin dall’antichità.

Asciano, di origini etrusche ospita l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, fondata nel 1319 da un nobile senese, Bernardo Tolomei che scelse la vita monastica e la regola di san Benedetto: una realtà che produce da sempre il vino e che è diventata azienda nel 2002.

Murlo si sviluppa intorno all’insediamento etrusco di Poggio Civitate del VII secolo a.C. e a partire dall’XI secolo fu dominato dai vescovi di Siena: pare che il patrimonio genetico degli abitanti somigli più a quello dei popoli orientali che non a quello del resto dell’Italia, facendo ipotizzare un legame diretto con gli Etruschi, verosimilmente arrivati dal Medioriente.

A Monteroni d’Arbia, su di una collina poco distante dalla via Cassia, si trova una delle Grance meglio conservate, quella di Cuna.

Sovicille è stato ricompreso nell’areale della Doc ed è caratterizzato da un ambiente naturalistico ricco di boschi e di fauna, attraversato dal fiume Merse.

I vitigni più coltivati sono Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano, Malvasia bianca lunga, ma il disciplinare ammette alcuni vitigni internazionali quali Cabernet Sauvignon e Merlot che possono essere anche riportati in etichetta accanto alla denominazione.

Presso il Castello di Modanella si è tenuta il 9 giugno la masterclass condotta da Maurizio dante Filippi, miglior sommelier AIS d’Italia 2016 , che ha coinvolto quattro aziende del Consorzio, quivi rappresentato da Gabriele Giovannini e Don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

Grance Doc Crete 2020 Podere Bellaria:  giovane azienda fondata da due fratelli nel 2010, punta sul Sangiovese in purezza. La fermentazione avviene in acciaio a cui segue un periodo di affinamento di 6 mesi in acciaio e poi un anno in legno.  Profilo olfattivo che rimanda al frutto rosso, al sottobosco, ai chiodi di garofano e alle erbe aromatiche. Sorso pieno e avvolgente.

Grance Senesi Doc Rosso Abbazia di Monte Oliveto Maggiore 2019: una realtà che ho potuto visitare con i colleghi del press tour. Bellissima la cantina sotterranea, la degna dimora per le botti. Un luogo della fede che merita la visita per la bellezza del chiostro e delle opere esposte. Il vino apre all’olfatto su note speziate dolci, a cui si aggiungono sentori di ciliegia, prugna, foglia di peperone verde, peonia. In bocca il tannino è preciso e la chiusura su note fruttate con piacevole persistenza.

Grance Senesi Doc Sangiovese 2016 Tenuta L’Armaiolo: Gabriele Giovannini ci ha accolto nella nuova cantina e durante il lunch presso il casale Santa Maria, ha raccontato della nascita dell’azienda avvenuta negli anni ’70, quando la sua famiglia acquistò la tenuta. Le uve effettuano una pigiatura soffice, prima di fermentare in vasche di acciaio; segue un affinamento di 6-8 mesi, sempre in acciaio. Al naso ricorda la frutta rossa matura, il pepe bianco, seguiti da effluvi balsamici. Tannino preciso e chiusura con una nota leggermente amaricante.

Grance Senesi Doc Il Cipresso 2016 Tenuta Masciello: i proprietari, di origine pugliese, sono arrivati a Murlo nel 1965. Ottenuto da sangiovese in purezza si presenta con un corredo di vaniglia, china, tabacco frutta in confettura; sorso di buona struttura e avvolgenza.

Grance Senesi Doc Nistiola 2016 Tenuta Armaiolo: blend composto dal 75% da Sangiovese, 20% Cabernet Sauvignon e 5% Merlot, fermenta in acciaio e prosegue la maturazione in barrique da 225 hl per 8 mesi e ulteriori 6 mesi in acciaio. Colore rubino che vira verso il granato in un manto quasi impenetrabile; si apprezzano note di frutta rossa matura, caffè cacao, lentisco, humus. Tannino integrato e di buona persistenza.

L’evento si è concluso con una sontuosa cena di gala al Castello di Modanella, tra i deliziosi piatti dello chef Loris Mazzini e gli assaggi del raro Poggio L’Aiole , Canaiolo  in purezza, dalle bellissime sensazioni fruttate e speziate con tannino perfettamente integrato. Grance Senesi è una denominazione che farà parlare di sé: speriamo “osino” di più in una caratterizzazione soprattutto del Sangiovese, vitigno incredibilmente capace di definire e raccontare i territori della Toscana.

Consorzio Vini Doc Grance Senesi: il racconto della Masterclass

di Adriano Guerri

Il Consorzio Vini Doc Grance Senesi, lo scorso 29 maggio, ha organizzato una Masterclass con 5 tipologie appartenenti alla denominazione di origine Grance Senesi

L’evento si è svolto presso la cantina della Tenuta Armaiolo di proprietà della famiglia Giovannini, a poca distanza dal centro abitato di Rapolano Terme (Si).  Guidata magistralmente da Gianluca Grimani, esperto degustatore e docente dei corsi AIS (Associazione Italiana Sommelier), la degustazione è stata preceduta da una panoramica sulla denominazione con l’intervento dei produttori presenti. 

La denominazione di origine controllata Grance Senesi è l’ultima nata in provincia di Siena e risale al 2010. Comprende l’area geografica dei comuni di Asciano, Rapolano Terme, Murlo, Monteroni d’Arbia e una parte del territorio Sovicille, tutti in provincia di Siena.

L’unico lembo di terra in provincia di Siena che era rimasto fuori dalle denominazioni, infatti a poca distanza si trovano le zone vitivinicole del Chianti Classico, del Nobile di Montepulciano, del Brunello di Montalcino e dell’ Orcia.

Il nome “Grance” deriva dalla presenza di queste fattorie fortificate sul territorio che nell’antichità gestivano i vasti possedimenti terrieri  ed erano dotate di ampi granai e cantine utili a immagazzinare e custodire i prodotti agricoli di appartenenza dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena.

Una piccola enclave di rara bellezza, da sempre vocata per la coltivazione della vite. Le altimetrie sono variabili, dai 400 ai 500 metri, con forti escursioni termiche tra le ore diurne e notturne. I suoli sono di origine argillosa e ricchi di scheletro. Oltre alla coltivazione della vite, è molto diffusa anche quella dell’olivo e dei cereali. Le tipologie dei vini regolamentate dal disciplinare sono: Rosso, Rosso Riserva, Bianco, Passito, Vendemmia Tardiva, Malvasia Bianca Lunga, Sangiovese, Canaiolo, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Territori caratterizzati da suggestivi borghi, pievi, poderi e abbazie, una su tutte quella di Monteoliveto Maggiore (n.d.r. che racconteremo in un prossimo articolo dedicato).

Un paesaggio caratterizzato da colline brulle e ondulate, punteggiate da cipressi, querce, calanchi e folti boschi. La denominazione è stata fortemente voluta da Gabriele Giovannini, titolare della Tenuta Armaiolo, oggi guidata dal monaco benedettino guatemalteco don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore  di Asciano.

Una delle più piccole Doc italiane, ove vengono prodotti vini di elevata qualità, dotati di grandi potenzialità di crescita. Giocheremo ad analizzarli grazie anche a qualche stuzzicante abbinamento gastronomico.

I vini degustati

Grance Senesi Doc Rosso 2019 Abbazia di Monteoliveto Maggiore – Prevalentemente Sangiovese unito a Cabernet Sauvignon e Merlot.  Rosso rubino intenso, dipana sentori di rosa, violetta, fragoline di bosco, lamponi uniti a note balsamiche e speziate. Sorso fresco, dai tannini morbidi, rotondo e invitante. Ideale con il cacciucco alla livornese.

Creta” Grance Senesi Doc 2020 Podere Bellaria – Sangiovese in purezza. Rosso rubino vivace, rimanda note di violaciocca, rosa, amarena e prugna che ben si fondono con spezie dolci e cuoio. Palato ricco e suadente, decisamente lungo. Un ottimo viatico per un filetto di manzo alla griglia.

Cipresso” Toscana Igt 2016 Tenuta Masciello – Sangiovese 100%. Rubino intenso, emana sentori di tabacco, rosa appassita, frutta rossa matura, nuances speziate e tostate. Generoso e caldo, con ottima corrispondenza gusto-olfattiva. Matrimonio ideale con il cinghiale in umido.

Sangiovese Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese in purezza. Riflessi che virano sul granato, trasparente, sprigiona sentori di frutta di bosco matura, scorza d’arancia, ciliegia e melograno, conditi da pepe nero e bacche di ginepro. Avvolge e persiste con coerenza e gradevolezza. Si sposa bene sui tipici formaggi stagionati delle Crete Senesi.

Nistiola” Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Le sfumature diventano color granato, impenetrabili. All’olfatto libera note di frutti di bosco, cacao, polvere di caffè e scie mentolate finali. Di corpo, dalla trama tannica fitta e vellutata setosa. Compagno perfetto per le preparazioni a base di selvaggina.

“I Profumi di Lamole”

di Adriano Guerri

La rassegna vini I Profumi di Lamole è andata in scena dal 2 al 4 giugno per la ventesima volta nel caratteristico borgo, evento ideato dai produttori del locali in collaborazione con il Comune di Greve in Chianti.

Gli stands sono stati allestiti nella graziosa piazza di Lamole, dalla quale si gode di un panorama impareggiabile. Nove i produttori presenti con un ospite d’onore proveniente dalla Borgogna.  Arrivando nella ridente località mi è venuto in mente il titolo del film di Leonardo Pieraccioni, “Il Paradiso all’improvviso”. Lo è per davvero, il tempo sembra essersi fermato e la pace regna sovrana. Un borgo abitato da poche anime e molte delle quali portano il cognome Socci.

Lamole è situato nel comune di Greve in Chianti (FI), nel cuore del Chianti Classico ad altitudini elevate, con molti vigneti allevati a 600 metri s.l.m. Nella parte più alta sono stati mantenuti i terrazzamenti con muretti a secco e le viti con il sistema ad alberello, su suoli sabbiosi dotati di un forte potere drenante. Le pendenze notevoli ed i muretti consentono miglior accesso tra i filari, accumulando calore durante il giorno, per poi rilasciarlo nelle ore notturne ed evitando il dilavamento delle piogge.

Un bellissimo esempio di  conservazione e manutenzione del territorio, valso il riconoscimento a pieno titolo dal Ministero delle Politiche agricole di “Paesaggio rurale storico”. La vite su queste erte colline viene coltivata sin dall’epoca romana in un anfiteatro naturale. Con il cambiamento climatico questa enclave beneficia di temperature fresche e anche in annate siccitose non ha problemi di siccità e maturazioni.

Delle 11 UGA (Unita Geografiche Aggiuntive) del Chianti Classico, Lamole è la più piccola e caratterizzata dalla presenza, oltre che di viti e oliveti, di impenetrabili boschi e campi di giaggiolo.
Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, ma anche Colorino, Canaiolo, Trebbiano e Malvasia.
I vini sono compositi, freschi, lineari, eleganti e dotati di una straordinaria piacevolezza di beva e tannini sottili e minerali.

Tra i migliori assaggi:

Chianti Classico Riserva 2018 Vigna Piuca Az.Castellinuzza e Piuca
Chianti Classico Riserva 2019 Az.Le Masse di Lamole
Chianti Classico Testardo 2019 Az. Il Campino di Lamole
Chianti Classico Gran Selezione Vecchie Vigne 2019 Az. Podere Castellinuzza
Chianti Classico Riserva 2019 Az. I Fabbri
Chianti Classico Gran Selezione 2016 Az. Castellinuzza
Chianti Classico Gran Selezione Vigna Grospoli 2019 Az. Lamole di Lamole
Chianti Classico Punto di Vista 2020 Az. Jurij Fiore & Figlia
Le Viti di Livio Toscana Igt 2015 Az. Castello di Lamole di Paolo Socci