Terra di Lavoro Wines 2023 – le nostre considerazioni finali

Redazione

Parlare di eventi come Terra di Lavoro Wines 2023 rappresenta uno dei presupposti pensati sin dagli inizi dalla Redazione di 20Italie.

Venti, come le nostre magnifiche Regioni ricche di storia, cultura e coscienza enogastronomica. Tra di esse la prima da cui siamo partiti è stata la Campania, non sempre attenzionata persino dai suoi abitanti.

Nulla di nuovo all’orizzonte, in perfetta coerenza con il motto latino “nemo propheta in patria”. Eppure ci sarebbe parecchio da dire, in particolare della voglia di coesione ricercata dai produttori vitivinicoli del Consorzio Tutela Vini Caserta “VITICA”.

Il Presidente Cesare Avenia è un vero vulcano di iniziative, proprio come il territorio di appartenenza caratterizzato dai ricordi lavici delle eruzioni, sotto forma di sabbie, ceneri e pomici.

L’aggregazione è composta da ben 3 Doc e 2 Igt, ciascuna caratterizzata da differenze pur all’interno di un unico schema, unito dal classico filo rosso di Arianna. Il Mar Tirreno a poca distanza con i suoi zefiri miti che garantiscono buone escursioni nelle calure estreme delle ultime stagioni ed il vulcano spento di Roccamonfina, con il lontananza l’ancor vivo Vesuvio, sono la testimonianza delle complessità naturale di queste terre.

Per far sì che possano essere conosciute vieppiù al grande pubblico di appassionati ed operatori del settore, verrà istituito, a fine aprile, il “sabato casertano” con cantine aperte e possibilità di visita delle stesse previa prenotazione sul sito del Consorzio Vitica.

Ma veniamo alle fasi cruciali di Terra di Lavoro Wines II Edizione, svoltasi nella magnifica cornice del Real Sito Belvedere di San Leucio (CE) nei giorni 18 e 19 marzo 2023.

Dopo i saluti di rito delle Autorità presenti Carlo Marino sindaco di Caserta, Tommaso De Simone Presidente CCIAA di Caserta e Salvatore Schiavone Direttore Ufficio Italia Meridionale ICQRF – il giornalista enogastronomico Luciano Pignataro ha aperto i lavori con le relazioni del professore Attilio Scienza e di Elisa Frasnetti, assegnista di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

Tema delicatissimo: la sostenibilità e le nuove sfide per il futuro. A seguire, in collegamento video, la docente universitaria Roberta Garibaldi ha terminato la prima fase del simposio parlando di turismo enogastronomico.

Gradita presenza, a conclusione lavori e prima di cominciare le degustazioni tra i banchi d’assaggio, dell’Assessore all’Agricoltura per la Regione Campania Nicola Caputo.

Ottimo il supporto della squadra di sommelier di A.I.S. Campania nel gestire al meglio le richieste dei presenti anche durante le Masterclass, con interventi del Presidente dell’Associazione Italiana Sommelier Campania Tommaso Luongo e del Delegato di Caserta Pietro Iadicicco.

Le degustazioni guidate, con vini assaggiati rigorosamente alla cieca, sono servite ad evidenziare pregi e limiti delle varie Denominazioni, creando quell’identità fondamentale per porsi dinanzi al giudizio dei critici e dei mercati di riferimento.

La nostra reporter Maurizia Albano ha potuto constatare con mano la qualità dei prodotti con pochissimi rilievi in negativo, indice di un percorso di crescita per tutto il comparto. Stuzzicanti le acidità delle versioni Asprinio di Aversa e gustose quelle delle altre Denominazioni compresa la piccolissima Doc Galluccio.

Le varietà d’uva principali sono: Falanghina, Asprinio Bianco, Aglianico, Piedirosso, Pallagrello e Primitivo, tutte considerate autoctone, accompagnate da tante altre di minor produzione. La bellezza autentica della nostra Campania!

Il giorno 19, invece, è stato il momento per la commozione, dapprima nel vedere la rinascita della Vigna Borbonica di San Silvestro della Reggia di Caserta, che Tenuta Fontana ha ricevuto in affidamento in concessione. Scopo del progetto “Vigna di San Silvestro” è la valorizzazione enologica della produzione di una varietà tradizionale come il Pallagrello Bianco e Nero.

A seguire l’attribuzione al Consorzio Vitica del Marchio di Autenticità Culturale (M.A.C.) ed il Premio dedicato alla memoria di Maria Felicia Brini (Masseria Felicia), imprenditrice eclettica e grande innovatrice, troppo prematuramente scomparsa.

A ricevere il premio è stato il ristorante Il Frantoio Ducale per la migliore carta dei vini del territorio.

L’ottimismo è il profumo della vita: su questa basi non possiamo che attendere, fiduciosi, la prossima edizione di Terra di Lavoro Wines.

“TERRA DI LAVORO WINES” 2023

Comunicato di Redazione

Due giornate interamente dedicate alle produzioni vitivinicole casertane si prospettano il 18 e 19 marzo prossimi al Real Sito Belvedere di San Leucio.

Un viaggio lungo tutta la provincia all’insegna dell’enologia casertana nella seconda edizione dell’evento TERRA DI LAVORO WINES.

Numerosi gli incontri di esperti, giornalisti, produttori e appassionati del settore. Di seguito il programma completo e le modalità di adesione per il pubblico presente.

Ben 5 le Denominazioni coinvolte dal Consorzio Vitica: Aversa Asprinio DOC, Falerno del Massico DOC, Galluccio DOC, Roccamonfina IGT e Terre del Volturno IGT.

Il PROGRAMMA

Sabato 18 marzo

Sala Convegno

10:00
TERRA DI LAVORO WINE FORUM
LA SOSTENIBILITA’ DELLA FILIERA VITIVINICOLA

MODERATORE
LUCIANO PIGNATARO Giornalista

SALUTI
CARLO MARINO Sindaco di Caserta
TOMMASO DE SIMONE Presidente CCIAA di Caserta
SALVATORE SCHIAVONE Direttore Ufficio Italia Meridionale ICQRF

INTERVENTI

ATTILIO SCIENZA  –  Lavorare con il futuro: ecocompatibilità dei processi e sostenibilità dei territori viticoli 
ETTORE CAPRI  –  Sostenibilità… tutto da fare
ROBERTA GARIBALDI  –  Le nuove sfide del Turismo Enogastronomico

CONCLUSIONI
CESARE AVENIA Presidente Vitica
NICOLA CAPUTO Assessore all’Agricoltura Regione Campania

Piazzale del Belvedere

12:30
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
PALLAGRELLO di Manuela Piancastelli

13:00
APERTURA TAVOLI DI DEGUSTAZIONE

15:00
MASTERCLASS
GALLUCCIO DOC – ROCCAMONFINA IGP

18:00
MASTERCLASS
FALERNO DEL MASSICO DOC

20:00
CHIUSURA TAVOLI DI DEGUSTAZIONE

Domenica 19 marzo

12:00
TERRA DI LAVORO WINE AWARDS

  • COMMEMORAZIONE 250° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI LUIGI VANVITELLI
  • ATTRIBUZIONE AL CONSORZIO VITICA DEL MARCHIO DI AUTENTICITA’ CULTURALE (M.A.C.)
  • PREMIO MARIA FELICIA BRINI AL RISTORANTE “MIGLIORE CARTA DEI VINI DEL TERRITORIO”

15:00
MASTERCLASS
AVERSA ASPRINIO DOC

18:00
MASTERCLASS
TERRE DEL VOLTURNO IGP

20:00
CHIUSURA TAVOLI DI DEGUSTAZIONE

Durante la due giorni sarà possibile prenotare visite al Real Sito Belvedere di San Leucio e all’antica Fabbrica della seta.

Per info e prenotazioni:

https://www.vitica.it/

Coordinamento e Ufficio Stampa

Floriana Schiano Moriello 

Placito Risano – la cucina istriana ha trovato il suo “centro di gravità”

di Carolina Leonetti

“Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione”. Da questa frase tratta da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline ha inizio, metaforicamente, il mio viaggio gastronomico al ristorante Placito Risano.

Ho avuto il piacere di cenare qui in occasione del Amber Wine Press Tour, evento dedicato ai particolari Orange Wine che tanto attirano l’attenzione degli appassionati, con un focus specifico su prodotti e cantine del Carso.

Sono rimasta incantata da un locale posto quasi fuori dal tempo, dove arte, storia e cucina creano un connubio perfetto, e non vedevo l’ora di raccontare le emozioni vissute.

Gli arredi e gli affreschi si ispirano all’Alto Medioevo, il periodo diviso tra momenti di luce e buio intellettuale, per ricordare proprio un evento che, si presume, abbia ivi avuto luogo: Il Placito del Risano, primo accordo arbitrale nella storia di queste terre, che segnò il passaggio dall’ordinamento bizantino a quello feudale.

Il giovane chef Jure Dretnik e la sua brigata riescono a creare vere e proprie opere d’arte con ricchezza e varietà dei sapori che accompagnano l’avventore in un viaggio enogastronomico, immersi nelle atmosfere dal periodo storico, fino ai tempi moderni.

La cucina è ricercata, sempre legata al territorio e alla stagionalità; un vero e proprio viaggio in Istria, con la particolarità del menu che non menziona i nomi dei piatti, ma solo gli ingredienti usati per la loro realizzazione.

I dettagli della sala curati nei minimi particolari e la grande professionalità del personale lo rendono un luogo ideale dove ritemprarsi per trascorrere una serata romantica o per organizzare meeting aziendali e momenti sereni in compagnia di amici.

Ottima, infine, la proposta degustativa e la selezione vini in abbinamento.

Placito Risano

Bezovica 30

6275 Črni Kal

Slovenia

SI: +386 41 332 696

IT: +39 351 533 8703

info@placitorisano.eu

https://placitorisano.eu/it/

L’abbinamento vino cioccolato è possibile? Ne parliamo con Giovanni Battista Mantelli di Venchi 1878

di Serena Leo

Il pairing tra vino e cioccolato esiste ed è unconventional. A dirlo su 20Italie è Giovanni Battista Mantelli di Venchi artisti del cioccolato dal 1878.

L’Italia del buon vivere ha sempre il suo fascino e, così come il vino, anche il cioccolato sa farsi notare. Nei corsi di perfezionamento per operatori del settore e sulle nostre tavole, però, ci siamo sempre chiesti se vino e cioccolato possano essere compagni di merende.

Per rispondere a questo e molti altri interrogativi, abbiamo chiesto a “quelli bravi” di guidarci. Con Giovanni Battista (per tutti “GB”) Mantelli, mente creativa della storica azienda piemontese Venchi, esploreremo i meandri dell’abbinamento non convenzionale, fuori dagli schemi, scoprendo le potenzialità del cioccolatino del futuro. Sarà davvero perfetto con un calice di vino?

Giovanni Battista Mantelli

Via i pregiudizi anzitutto!

Per analizzare uno spaccato della realtà enogastronomica italiana come quella del cioccolato è necessario sapersi scrollare di dosso ogni pregiudizio, dotandosi di flessibilità, attenzione al gusto quasi maniacale, senza tradire il piacere personale. Insomma, il cioccolato deve farci stare bene proprio come il vino. E per chi è un wine addicted ad ogni costo, dall’antipasto fino al dolce, che si fa? Ci risponde chi sta dalla parte del cioccolato, GB Mantelli.

Prima di tutto occhio alla tecnica: il cioccolato è un alimento ricco di tannini quasi quanto il vino, quindi su questa base si costruisce un incontro di sapori che genera l’abbinamento perfetto. Partendo dal presupposto che l’amante del vino è una mente in purezza è bene munirsi, prima di iniziare, di una grande apertura mentale rivolta alla sperimentazione. La mia tecnica personale sposa sempre la prudenza nell’assaggio, quindi inizio col vino analizzandone il profilo aromatico, successivamente il gusto e poi ci aggiungo il cioccolato, compiendo le stesse operazioni. Il risultato è un bivio che va giudicato solo in base al nostro gusto. Se le sensazioni positive coincidono berrò altro vino e mangerò cioccolato, in cerca della soddisfazione completa in fatto di abbinamento. Non voglio banalizzare il tutto, ma con questa procedura si mette chiunque nelle condizioni di appassionarsi alla degustazione vino e cioccolato”.

Possiamo divertirci aldilà della “tradizione”?

Il cioccolato nel corso del tempo è diventato sempre più pop, versatile, adatto ad appassionare anche le menti meno avvezze al cambiamento. Per chi intende il pairing canonico come intoccabile e quasi estremo – cioccolato con vino rosso – è il momento di aprirsi a nuove prospettive. Combinazioni ancora più fantasiose, che possono riscrivere il concetto di abbinamento, esistono e sono solo da mordere. A questo punto abbiamo chiesto a Mantelli se il cioccolato, nello specifico il cioccolato del futuro firmato Venchi, possa accompagnare un vino bianco o rosati dalle note fruttate più intense come quelle della frutta di bosco? Si può arrivare ad osare così tanto?

La parte più eccitante è proprio questa, scoprire nuove frontiere e toccare universi inesplorati anche con il cioccolato. Con gli abbinamenti per concordanza e contrasto, ormai si può fare di tutto. Ad esempio una ricetta con un profilo aromatico che esalti l’intensità di frutti rossi o di bosco, stimola i nervi del piacere. La combinazione cioccolato bianco salato con semi di cacao tostato, che include patata viola e lamponi croccanti azotati, è perfetta con un vino rosato, specialmente se si parla dei rosati di Puglia”.

E con un vino bianco dalla spiccata acidità e mineralità?

Qui cercherò la dolcezza e sapidità del cioccolato bianco salato, caratteristiche minerali per un effetto quasi da umami. Il cioccolato bianco di questa caratura, ad esempio può reggere anche un formaggio a pasta molle, di conseguenza anche un vino bianco”.

Un ricordo va anche alla sua terra di origine ed al Barolo che si sposa perfettamente con il cioccolato gianduia.

Ad esempio il Barolo, vino difficilmente abbinabile per eccellenza, con un cioccolatino Gianduia ci sta perché rispetta la tradizione, il territorio e quindi piace. Se poi si vuole stravolgere tutto va bene anche azzerare le lunghe distanze, puntando sulla nocciola delle Langhe e i passiti di Puglia”.

L’identikit del cioccolatino del futuro

Viene da pensare che Venchi stia lavorando a un concetto di cioccolato che possa smarcarsi dai canoni della tradizione, combinando fave di cacao provenienti da zone vocate con ingredienti di “casa nostra”. Il risultato è un prodotto in grado di integrare culture e territorio. Allora, GB Mantelli, è proprio questo il futuro che ci aspetta?

Il cioccolato del futuro è intelligente e ci renderà intelligenti, perché sa stimolare tutti i sensi, esaltare l’esperienza gustativa in ogni minima particella. Per mutuare un termine giapponese l’effetto deve essere quello del kokumi, cioè conferire agli alimenti maggiore gradevolezza al palato con elementi mirati e ben studiati. L’obiettivo è aumentare il gusto percepito, pienezza e complessità del sapore. Il cioccolato del futuro sarà così, cercherà di equiparare l’effetto di addentare un piatto unico con diversi gradi di intensità strutturale, ovviamente su tutti non può mancare la croccantezza. Con il brand esaltiamo ricette che esaltano le sensazioni vegetali, proprio come la selezione di nibs che ricorda quasi l’oliva nera, ottima sapidità e l’abbraccio del cacao”.

Insomma, tutti elementi che un calice di vino proprio non sembrano escluderlo. Ma nella nuova collezione primavera-estate c’è un cioccolatino già pronto per accostarsi, in maniera vincente, al vino italiano?

Si, abbiamo l’evoluzione dei nostri best-seller e nuove creazioni, tutto ciò che si può adattare perfettamente anche al vino italiano, se vogliamo”.

Sulla presenza del vino nel cioccolatino che verrà non abbiamo ancora una prova certa; possiamo dire che non esistono confini fino a quando si continuerà a fare ricerca, che sarà da aiuto per esplorare nuovi universi gustativi. E allora perché non pensare a una pralina con un vino sulla scia dei già esistenti cioccolatini liquorosi?

Il vino è talmente ricco d’acqua che non è facile trovare una concentrazione di sapori da intrappolare all’interno di un cioccolatino fondente senza un adeguato supporto. Lascia un’apertura verso scenari ancora inesplorati. Ad ogni modo è possibile sorprendersi sempre se con la materia prima si ragiona solo in termini di alta qualità”.

PITTI TASTE – il racconto e le interviste di 20Italie

di Alessia Benincasa

PITTI TASTE SI RICONFERMA LA FIERA DELL’ARTIGIANATO D’ECCELLENZA MADE IN ITALY

Tante conferme per il PITTI TASTE, ad iniziare dalla location suggestiva di Fortezza dal Basso, che per il secondo anno di seguito ospita la Fiera delle nicchie d’eccellenza Made in Italy.

Firenze, culla della bellezza e della cultura italiana, ha ospitato 538 aziende e oltre 7.000 operatori del settore intervenuti da oltre 50 paesi, con un afflusso del +40% rispetto a un anno fa.

Degli oltre 500 espositori, il 90% erano già presenti nell’edizione precedente, a riprova che la nuova scenografia è stata apprezzata dai protagonisti e dai buyers, rappresentativi delle più importanti insegne da tutto il mondo, soprattutto dai mercati emergenti. Le presenze migliori sono quelle di Francia (+46%), Stati Uniti (+53%), Regno Unito (+28), Olanda (+66%), e Austria (68%).

Abbiamo intervistato Agostino Poletto, Direttore Generale di Pitti Immagine, che ha ribadito la forte vocazione del PITTI TASTE a rappresentare l’evento italiano di riferimento per l’artigianato d’eccellenza e per le aziende di nicchia che portano agli occhi del mondo il valore unico della qualità italiana e di tradizioni familiari che si sposa al dinamismo e all’eleganza delle nostre imprese.

Oltre 10.000 visitatori, infatti, hanno avuto l’opportunità di vivere un’esperienza di gusto e di storie di successo.

Aziende come Acquapazza Gourmet, storici produttori della pregiata colatura di alici di Cetara, sono considerate le “vecchie guardie” della Fiera, presenti sin dalla prima edizione con un racconto che accoglie uno sguardo più ampio e globale sul significato di qualità italiana.

Ad unanime consenso si aggiungono voci di aziende di più recente nascita nel panorama dell’agro-artigianato, come I Segreti di Diano, che trovano nel PITTI TASTE una delle opportunità più interessanti nello scenario italiano.

E ancora: abbiamo ascoltato i feedback di Pastificio dei Campi, solida realtà della denominazione Pasta di Gragano IGP, un vanto italiano nel mondo; l’importante lavoro sul biologico di Inserbo, storica azienda conserviera di tradizione familiare nell’agro nocerino-sarnese.

Infine, abbiamo vissuto il Cilento e le sue bontà mediterranee con Santomiele, per terminare con la famosa nocciola piemontese che dà vita agli scrigni golosi di Tastelanghe.

Grande merito del PITTI TASTE è quello di aver reso i prodotti delle piccole eccellenze artigianali italiane un evento contemporaneo, cool, grazie anche ai tanti eventi svoltisi nella Unicredit Arena e dentro la città con i Fuori di Taste!.

Il PITTI TASTE è una fiera che nel tempo è diventata propagatrice di tendenze e veicolo dei valori di riconoscibilità, eleganza, bellezza e bontà che rendono la cultura italiana unica nel mondo.

Interviste video realizzate per 20Italie a cura del giornalista Milko Chilleri.

L’irresistibile richiamo di Montalcino

di Augusta Boes

Un giorno per caso, in giro per la Toscana, l’irresistibile richiamo di Montalcino, una cantina nuova di zecca e l’abbraccio di un’amica speciale. Saltate in macchina con me, si parte per una fantastica gita!

Ogni volta che torno in Toscana, tra i miei amati vigneti e le dolci colline, immersa in questo paesaggio che mi lascia senza fiato come fosse la prima volta, ogni volta faccio una fatica enorme ad andare via. Col tempo ho elaborato diverse strategie per procrastinare la dipartita. Una delle mie preferite è quella di ignorare il navigatore, evitando di girare alla svolta suggerita, e obbligandolo a trovare una strada alternativa. In questo modo scopro nuovi percorsi, nuovi paesaggi, nuovi piccoli borghi, e il naufragar m’è dolce in questa terra meravigliosa.

Sono qui, con la mia Yaris Ibrida, fedele compagna di viaggio, che mi accingo a impostare il navigatore sulla strada di casa. Andremo piano io e lei perché non solo ci piace rispettare i limiti di velocità, ma ancor di più ci piace scivolare lungo questo meraviglioso dipinto senza far rumore alcuno, e senza inquinare. Siamo di ritorno dal Chianti Classico, nella notte è nevicato e queste pennellate di bianco rendono il paesaggio ancora più struggente. Non voglio andar via! Non ancora, non sono psicologicamente pronta.

Ed è così che si insinua un pensiero, un desiderio, una speranza: e se passassi ad abbracciare un’amica che non vedo da tanto, troppo tempo? Tra l’altro mi è di strada, più o meno, e il caso vuole si trovi proprio di fronte a una Cantina che custodisce botti pregiatissime che non assaggio da tanto, troppo tempo. Senza alcuna speranza mando un messaggio a un destinatario che probabilmente non mi leggerà almeno per le prossime tre ore. E invece eccola, la risposta arriva subito e finanche affermativa! Oggi è la mia giornata fortunata! C’è nebbia per strada ma io so dove andare; lei mi chiama, lei mi guida, lei mi parla…

Ed eccomi di nuovo qui a Montalcino, da Luciano Ciolfi a Sanlorenzo. Sì, è inevitabile tornare in questo angolo di paradiso dove il vino, oltretutto, è sempre più buono. Incurante delle pozzanghere, abbraccio finalmente la mia amata Quercia che vigila sui vigneti dal punto più alto del podere. È lei la mia bellissima amica lontana. Luciano mi guarda tra il perplesso e il divertito, più perplesso che altro oserei dire, anche perché mi sono un po’ inzaccherata gli stivali. Ma non fa nulla quando si tratta della sacra terra di Montalcino.

Sono qui con un attimo di calma finalmente, e tutto il tempo necessario per godermi qualche sorso di vino in tranquillità. È da oltre un anno che non assaggio le “mie” botti; ebbene sì ne ho alcune in “adozione”, pratiche sbrigate quando erano ancora in fermentazione. Qualcuno mi ha detto che il mosto non fa troppo bene, ma io ne sono davvero ghiotta, e non sono mai stata meglio in vita mia!

E poi con Luciano è una scommessa vinta in partenza. Gli assaggi 2022 a fine fermentazione e poco prima della svinatura, avevano dell’incredibile! Tre tini già chiaramente definiti: Rosso di Montalcino, agile e floreale, Brunello di Montalcino più polposo e croccante, e Bramante con tutta la sua disarmante profondità ed eleganza. È vero, siamo decisamente in una fase embrionale, ma con il sangue blu ci si nasce e qui ormai la dinastia di questo Sangiovese, ascesa al trono e consacrata anni or sono, regna gloriosa su questo feudo rigoglioso e fiorente.

C’è chi “declassa” il Brunello quando all’esordio sui mercati risulta già molto godibile argomentando la sua presunta mancanza di longevità. Personalmente mi trovo davvero agli antipodi e non riesco ad aspettare nemmeno i cinque o sei anni di affinamento previsti dal disciplinare di produzione. Io il vino buono lo voglio subito! E qui è buono immediatamente. Ecco, dunque, perché c’è sempre un buon motivo per tornare a Montalcino, da Sanlorenzo come da tanti altri amici che in questo modo mi regalano bottiglie mai imbottigliate, che poi alla fine sono le più rare.

Gli assaggi da botte per me sono imprescindibili. Voglio conoscerli intimamente i miei Campioni! Il ritrovarsi a tu per tu con una bottiglia di vino che vi conquista è un po’ come innamorarsi a prima vista di una persona. In quel preciso momento è esattamente tutto ciò che desiderate, ma ognuno di noi custodisce dentro una storia personale che ci ha portati ad essere ciò che siamo di unico e di bello oggi. Il vino non fa eccezione in tal senso.

“Quante cose che non sai di me, quante cose che non puoi sapere” cantavano insieme Elisa e Ligabue. Ecco, io desidero vivere tutta la storia dall’inizio, conoscere la vita e l’evoluzione del vino in cantina, perché si scoprono cose e sensazioni meravigliose e irripetibili in questi sorsi. Non riesco davvero a farne a meno! Ma non indugiamo oltre e cominciamo a riempire i calici.

Il Brunello 2021 se ne sta sulle sue, il sorso è contratto ma ci sta, oggi fa freddo e diamine vuole essere lasciato in pace! Chiediamo scusa per il disturbo e passiamo oltre. La Riserva? Vedremo, per ora resterà un segreto.

Il Brunello 2020 è gioioso, disteso, e di esuberante eleganza. Non credo sia da attribuire esclusivamente alla differenza di un anno, piuttosto a questo suo carattere solare e raffinato. Eppure, c’è stato un momento in cui anche lui era chiuso in una introspettiva riservatezza.

Il Brunello 2019 è in dirittura d’arrivo verso l’imbottigliamento. Qui vi devo dire che non c’è stato un solo momento nell’assaggio, durante il suo lungo percorso, che non abbia espresso vitalità, tensione e grazia innata. È da batticuore, polposo, profondo e vibrante; due botti distinte che si fonderanno presto per l’eternità in una sola anima. Evviva gli sposi!

Poi c’è Bramante, la Riserva 2019. È lui, è sempre lui, è il mio grande, grandissimo amore! Riuscirà a spodestare dal mio cuore la Riserva 2016? In fondo non credo sia necessario. Ho un cuore molto grande e ci sarà posto per entrambi.

Concludo con la più bella novità qui a Sanlorenzo: la nuova cantina realizzata davvero in tempi record. Bravo Luciano! Non deve essere stato facile completare i lavori in tempo utile per la vendemmia. È veramente bellissima, ampia e in un impeccabile stile minimal, così elegante nella sua linea essenziale e sobria. Un grande lavoro di recupero di un capannone che adesso ospita i tini di fermentazione, il magazzino delle vecchie annate (da perderci la testa!) e il leggendario Rosato in definizione. Abbiamo assaggiato anche quello, certo che sì! Ma questa è un’altra storia, prima o poi ve la racconterò.

È tempo di andare ormai, e mentre cammino verso la mia auto, mi giro un’ultima volta per salutare la mia adorata Quercia con gli occhi già pieni di malinconia. Ed è così che mi torna in mente una frase dal libro di Richard Bach “Il gabbiano Jonathan Livingston” che conosco praticamente a memoria.

 “Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato.”

I miei occhi oggi vedono una nuova, bellissima cantina, il mio cuore una scia interminabile di grandi successi, passati, presenti e futuri. Podere Sanlorenzo, 280
53024 Montalcino (Siena) Italy
sanlorenzomontalcino.it

L’Etna raccontato da Salvo Foti – I Vigneri

di Titti Casiello

Non può mai essere casuale un incontro con Salvo Foti – I Vigneri

Attraverso le sue parole, riservate, pacate e con l’attenzione di chi tiene molto a qualcosa, prende forma il linguaggio di un vino dell’Etna.

“Tengo molto alla mia terra, ma parto dalla possibilità, da quello che vorrei da lei. Poi da quello che intuisco che la natura può darmi. E infine da quello che posso ottenere. Non c’è un’idea precisa, la concretizzo solo quando vivo questi elementi”.

Salvo è uno che nella vita si è fatto un sacco di domande. Uno che più che dare soluzioni, ha creato degli interrogativi “perché non è facile fare un vino di territorio, ancor di più se sei sull’Etna”.

Non basta una facile propaganda in vista di un’elezione politica, ma ci vogliono azioni concrete, cultura  e dedizione e qui, a Milo – nel versante est etneo – le parole concretizzano il loro reale senso enciclopedico nelle scelte fatte da Salvo e dai suoi figli Simone e Andrea.

“Quinconce”, ad esempio, è la concretizzazione di quello che potremo chiamare “vino del territorio”. Non è solo una parola bella, semanticamente parlando, ma anche utile. Il quiquonce è un gioco di squadra, un dado fermo al numero 5, un sistema di allevamento dove le piante sono disposte a intervalli regolari secondo un reticolo a maglie triangolari. E tutto ciò permette alla vite di ben svilupparsi radicalmente e soprattutto ad una maggiore profondità.

Una faticaccia immane la sua gestione, che esclude del tutto la meccanizzazione consentita ad esempio dal guyot (i cui filari iniziano a moltiplicarsi sull’Etna). “In questo modo il vigneto si autoregola come un organismo. Un sistema di coltivazione finalizzato alla meccanizzazione, invece, non può tenere conto di questa biodiversità”.

Salvo è cresciuto in tale biodiversità, prima come figlio di contadini e poi durante i suoi studi di enologia a Catania. E l’ha portata in giro con sé, con le prime consulenze dal Cavalier Benanti agli inizi degli anni 90, e quindi in un susseguirsi di esperienze tra diverse aziende etnee e siciliane. Per arrivare a decidere, nel 2001, di dar vita al proprio personale credo enoico con la sua azienda I Vigneri.

“Perché la vite, per quanto addomesticata, rimane sempre una pianta selvatica, come l’uomo. E se la cultura dell’uomo non è innata, al pari la vite per crescere ha bisogno della mano e della mente umana. Il problema,  però, è che se l’uomo si accanisce, la vite si incattivisce e perde la sua personalità. A quel punto  il vitigno non sa più esprimersi e non riuscirà a farlo neppure il territorio in cui è coltivato”.

Salvo Foti – I Vigneri

Parole, queste, che mi spingono a dire che è di luogo che si dovrebbe discutere, piuttosto che soffermarci sulle varietà coltivate. Il luogo, secondo Foti, diviene interprete di un vitigno. Ci vorrebbe una grande coscienza sociale che vada al di là delle larghe maglie concesse dai disciplinari, e sarebbe opportuno ascoltare ciò che un luogo ha effettivamente da raccontare e conseguentemente da offrire.

Luogo, termine sacro. Non è un caso il nome scelto per la sua azienda. Così facendo rivive, nei suoi vini e nella memoria collettiva, quell’antica maestranza catanese che nel 1435 creò le basi per una professionalità vitivinicola in Sicilia e che oggi si ritrova in una comunanza di idee tra alcuni produttori: i Vigneri, I Custodi delle Vigne dell’Etna, Federico Graziani, il californiano Rhys, Gulfi a Chiaramonte Gulfi, Guglielmo Manenti nel Vittoriese e Daino a Caltagirone.

Costoro sono ormai “in armonia con se stessi e quindi con tutto quello che ci circonda: ambiente, natura, il vulcano Etna, di cui si è parte, e non al di sopra” . Tutti riuniti in onore di un unico credo.

Le viti de I Vigneri sono dislocate su 5 ettari in tre diverse aree della cosiddetta Muntagna, epiteto affettuoso per indicare l’Etna: a Milo, a Castiglione di Sicilia ed a Bronte. Tante viti ultracentenarie, di cui molte a piede franco, con una densità per ettaro da far sembrare i filari un’unica grande linea intervallata da pali di castagno e da muretti a secco, splendide cornici dell’umano lavoro. 

A Milo, ad 800 metri di altitudine nella parte est di Idda, giace il Carricante  dei vini “Aurora”, “Vigna di Milo” e “Palmento Caselle”. A Castiglione di Sicilia, in Contrada Porcaria, troviamo il Nerello (Mascalese e Cappuccio) che canta da soprano con “Vinupetra”;  mentre nel comune di Bronte, nel vigneto più alto dell’Etna, a  1.200 metri di altitudine, nasce un rosato da vigna “Vinudilice” mescolanza di uve bianche e rosse raccolte e vinificate tutte insieme.

Il territorio è impervio, dalle condizioni estreme, tanto che nelle annate più difficili se il vino non raggiunge, in modo naturale un grado alcolico dell’11%, è prodotto in versione spumante con il Metodo Classico “Vinudilice Brut Rosè”.

Ma di tutte le referenze c’è poi quella che esprime a pieno titolo l’idea concreta di un luogo: ed è l’Etna Rosso “I Vigneri”. Ogni bottiglia prodotta porta con se il compito di non far cadere, nell’oblio della memoria, l’antica civiltà vitivinicola etnea e la sua tradizionale vinificazione in Palmento. E che Salvo Foti, fa rivivere con questa etichetta.  

Si segue un indice morale anche nella cantina della famiglia Foti. Non ci sono tecnicismi occulti, o racconti per iperboli. Qui le cose sono rese edibili non appena si varca l’entrata. Anche perché è tutto lineare tra fermentazioni spontanee, travasi che seguono le fasi lunari e affinamenti in contenitori diversi: acciaio, legno e anfora, a secondo della referenza.

Se così è la vigna così è la cantina, una prosecuzione, quanto mai connaturata della filosofia di Salvo e dei figli Simone e Andrea.

Tra i molteplici descrittori che si potrebbero utilizzare per i loro vini, forse quello più rispondente è l’estrema sensibilità umana. Nei calici par quasi sentire la piovosità di Milo, l’irrequietezza del Carricante o la solarità del Mascalese, probabilmente perché i pensieri dei Foti per una sana vitivinicoltura bussano direttamente ai cancelli d’ingresso.

VINUPETRA 2020, ad esempio, è da bere d’un fiato, non da assaggiare. Il vino stesso lo richiede. C’è sangue e umore in esso. Sembra quasi pungente, lasciando una lunga traccia vivida e sottile al palato, in un giocofòrza tra acidità, tannino e sapidità. Qui non si parla di muscolarità, men che meno aria di dolcezze in confettura. C’è ginepro, timo ed il bosco che rumoreggia. Caldo e pulsante come il cuore di ogni essere vivente.