Best Wine Stars: le “stelle” del vino splendono a Milano

di Carolina Leonetti

Nelle giornate del 20-21 e 22 maggio si è tenuta a Milano, Palazzo del Ghiaccio, la quarta edizione dell’evento-degustazione Best Wine Stars.

Oltre 200 realtà wine e spirit selezionate dalla società Prodes Italia, con ben 800 etichette in degustazione: una bella vetrina per i produttori che hanno avuto l’occasione di presentarsi al grande pubblico e agli addetti del settore. La manifestazione ha avuto anche momenti di approfondimento con talk e masterclass tenuti da esperti organizzate in collaborazione con la sommelier e scrittrice Adua Villa.

Carolina Leonetti autore di 20Italie

Tra le news di questa quarta edizione la presenza di un’area bio dedicata a quelle aziende che hanno fatto della sostenibilità la loro missione. Il giro tra i banchi d’assaggio, accompagnata dalla mia amica e sommelier Marta, si prospetta davvero interessante.

Il tour inizia con la Cantina Merlotta Vignaioli dal 1962. Siamo in Romagna, precisamente a Imola; qui da oltre sessant’anni si coltivano vitigni autoctoni e dalla fine degli anni novanta l’attenzione della cantina alle colture internazionali è stata una carta vincente che ha portato a nuove interpretazioni di Chardonnay e Cabernet Sauvignon.

L’assaggio parte con due bollicine, la prima a base Pinot Nero e Chardonnay: Predio Brut dal nome affascinante “Perla Rara”, qui l’armonia tra l’eleganza dello Chardonnay e la struttura del Pinot Nero danno vita ad uno spumante metodo Charmat Lungo molto interessante, elegante e cremoso con una spiccata mineralità; la seconda è un’interpretazione del vitigno autoctono della zona, il Pignoletto, uno spumante brioso, fresco con note che richiamano la mela golden e rimandi floreali.

Il colpo di fulmine arriva con il loro Romagna Albana Secco “Icona di Stile”, un tripudio di profumi e sapori, dalla frutta tropicale alle note mielate e ammandorlate.  Un vino elegante, sontuoso prodotto da uve che nelle annate favorevoli vengono attaccate della botritys cinerea, una bevuta nobile.

Ci spostiamo in Toscana da Tenuta di Artiminio, posta sui colli del Montalbano ha una storia che si perde nei secoli, dal periodo etrusco al 1596 quando il Granduca Ferdinando I de ‘Medici fece erigere la Villa Medicea “La Ferdinanda”.

La loro produzione spazia dalle blasonate DOGC Carmignano e Chianti, ad un vino che attira per il nome stravagante Vin Ruspo, rosato che vedrei ben abbinato alla pappa al pomodoro, per arrivare alle IGT e l’assaggio di Artumer, blend di Trebbiano e Petit Manseng anticipa le bevute estive.

Scendiamo ancora lo Stivale per arrivare in Abruzzo a Contrada Camerino, dove ad accoglierci troviamo  il patron della cantina La Lignite. Il racconto diretto dei produttori è molto coinvolgente, una storia familiare che parte dai nonni, dal lavoro quotidiano nei terreni fertili e vocati per la coltivazione della vite. Partiti da una piccola produzione ad uso familiare, con gli anni l’azienda si è strutturata per far fronte alla crescente richiesta e per dare vini sempre di ottima qualità. Il nome dell’azienda fa riferimento al luogo in cui si trova il vigneto, su una vecchia miniera di lignite dismessa.

Due sono le linee: Lignite e Montevignani. Non posso tirarmi indietro e li assaggio tutti! Della linea Lignite mi colpisce il rosato, un bel rosato carico da Montepulciano in purezza, un gusto morbido, l’utilizzo esclusivo dell’acciaio per la fermentazione e maturazione esalta le caratteristiche del frutto e del territorio. Montevignani è invece il loro fiore all’occhiello, blend di Montepulciano e Cabernet, affinato in piccole botti, regala una grande finezza e leggerezza gustativa.

Il nostro giro è un po’ strano, decidiamo di risalire la Penisola e approdiamo in Friuli dall’azienda Paradiis che prende il nome dalla piccola frazione Paradiso, nel Comune di Pocenia a metà strada tra Udine e Lignano Sabbiadoro. In questa zona del medio Friuli Venezia Giulia, dove le terre sono definite “terre forti” proprio per la natura geologica dei terreni, particolarmente tenaci, argillosi e adatti alla coltivazione di uve a bassa resa per ettaro, l’azienda produce vini dotati di spiccata personalità spaziando dai vitigni autoctoni a quelli internazionali. Mi soffermo sul Friulano e sul loro Refosco dal peduncolo rosso, e ne riconosco le peculiarità di cui sono grande ammiratrice, due bevute veramente interessanti.

Quando si sta bene e si è intenti a fare cose interessanti non ci si rende conto del tempo che vola. Sono quasi le 17 ed è ora di avvicinarci ai tavoli della masterclass che abbiamo prenotato: “Sensibili alla Sostenibilità” Le aziende protagoniste sono Borgoverde Soc Agricola S.S., Bulichella, Marisa Cuomo e Monviert a raccontarcele Francesco Quarna al fianco di Adua Villa.

Si parte con Isabella, Manzoni Bianco di Borgoverde, per passare alla Ribolla Gialla di Monviert, quindi allo spettacolare Fiorduva di Marisa Cuomo; Il Rubino e Montescristo di Bulichella tra i rossi, ritorna Marisa Cuomo con il Furore Riserva, e si conclude con lo Schioppettino di Monviert e il 39 di Borgoverde.  Otto vini che ci fanno percorrere altrettanti viaggi verso terre così diverse.

La giornata volge al termine, un ultimo giro tra i banchi non può mancare, cos’altro dire se non che non si finisce mai di imparare. E si impara soprattutto parlando con i produttori che sono ogni giorno in prima linea, che affrontano fatiche e difficoltà, che amano la loro terra, che danno vita, per scomodare Galileo, allo straordinario composto di umore e di luce.

Prosit!

Toscana: Valdarno di Sopra Day un futuro che è qui

di Olga Sofia Schiaffino

Si è svolto martedì 16 maggio presso l’Anfiteatro del Borro, presso l’omonima cantina a Loro Ciuffenna (AR), l’evento del Consorzio di Tutela Valdarno di Sopra Doc.

Importante e sentita la partecipazione delle Autorità locali e regionali, dei giornalisti italiani e internazionali e dei produttori di questo territorio caratterizzato dalla grande vocazione vitivinicola, nota fin dai tempi di Cosimo III de’ Medici che la citò nel famoso Bando Granducale del 1716.

Il presidente Luca Sanjust di Teulada e il direttore Ettore Ciancico hanno aperto la manifestazione nata per presentare i progetti condivisi dalle realtà vitivinicole aderenti e per stimolare un dialogo e una condivisione. I temi, definiti come essenziali per l’affermazione di una propria identità e per il lavoro del Consorzio, sono stati l’importanza della valorizzazione del territorio di Valdarno di Sopra, con l’attenzione al cambiamento climatico e alla promozione di una reale sostenibilità. E poi il concetto di Vigna, da specificare in etichetta per raccontare al consumatore la particolarità di alcune microzone e l’eccellenza dei vini; non ultimo il grande lavoro svolto nell’ottenere per la certificazione bio da porre come obbligatoria nel Disciplinare di produzione.

A questo proposito, è stato illuminante l’intervento di Nicoletta Dicova che ha presentato la modifica legislativa fatta  in Spagna, per cui la D.O. Cava, per le vigne di qualità superiore, obbliga il vignaiolo alla conduzione biologica. A favore si sono espressi anche il dott.Paolo De Castro, l’on. Cafiero De Raho, il Vice Presidente della Regione Toscana e l’Assessore all’agricoltura Stefania Saccardi.

La platea ha applaudito alla nascita dell’associazione Produttori Vigne Bio Valdarno volta a tutela di un impegno reale, coerente e onesto nei confronti dei consumatori, sempre più sensibili al tema del biologico.

Mattinata densa di interventi da personalità del mondo del vino quali gli enologi Riccardo Cotarella, Carlo Ferrini, Stefano Chioccioli, Maurizio Alongi ed il Presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini che hanno sottolineato l’unicità di un territorio espresso nei suoi vini. Le peculiarità espressive del Sangiovese accanto agli autoctoni Canaiolo, Pugnitello, Malvasia, Orpicchio, trebbiano e agli internazionali Merlot, Cabernet, Syrah e Pinot Nero.

Il metereologo Paolo Sottocorona ha espresso, in modo risoluto e esaustivo, come il riscaldamento globale della Terra possa creare condizioni difficili per le coltivazioni in alcune aree rispetto ad altre e che la variabile del microclima diventerà un fattore importante, che non consentirà una generalizzazione e una previsione standardizzata. Il vero problema risiede nel fatto che il cambiamento è avvenuto in modo esageratamente accelerato negli ultimi vent’anni, rispetto ai milioni di anni  che furono necessari nel passato e che avevano occupato intere Ere Geologiche.

Monica Larner, penna virtuosa di “ The Robert Parker Wine Advocate” ha applaudito allo stile “ contemporaneo” dei vini prodotti in questa denominazione, sicuramente tra le più giovani ma dotate di grande appeal. In chiusura di mattinata, la splendida degustazione guidata da Jeff Porter di “Otto Produttori, Nove Vini e due belle annate Valdarno di Sopra 2016 e 2019″.

Vigna Ruschieto 2019 La Salceta – Sangiovese 100% rosso granato, naso che conquista con i sentori di mora, iris, pepe bianco. Sorso fresco, tannino presente, un vino vibrante ed equilibrato, dove la scelta della vinificazione in acciaio è assolutamente interprete della bellezza dello stile contemporaneo.

Sangiovese Riserva 2019 Migliarina e Montozzi intreccio fitto di note vanigliate e di gelatina di frutta rossa, con tannino presente e graffiante.

Vigna dell’Impero 2016 Tenuta Sette Ponti – Sangiovese 100% si apprezzano note balsamiche, di mirto, mora di rovo, iris e humus e una fine speziatura che include il pepe e la stecca di vaniglia. In bocca si bilanciano struttura, componente alcolica e un tannino ben regolato.

Pugnitello 2019 Fattoria Fazzuoli – vitigno autoctono recuperato, colpisce per l’intensità cromatica e per il profilo olfattivo orientato sulla frutta rossa succosa; matura in barrique di rovere francese e americano.

Caberlot 2019 Il Carnasciale – dall’omonima varietà ottenuta da un incrocio tra Cabernet Franc e Merlot, affascina per un bouquet complesso che spazia dai profumi di lampone, alla prugna, al tabacco, al coriandolo,al corbezzolo, regalando effluvi che ricordano la macchia mediterranea. Elegante la struttura ed il finale lungo e persistente.

Rodos- Cabernet Sauvignon 2016 Campo del Monte – precise le note varietali che esprimono la foglia di pomodoro, il rabarbaro, il mirtillo seguite dalla dolcezza della speziatura legata al passaggio in legno. Trama antocianica integrata in un sorso sapido.

Galatrona 2016 Petrolo – un Merlot su terreni ricchi di alberese e galestro, è caratterizzato da raffinatezza e personalità: danza su terziari con rimandi al tartufo e al cioccolato, poi emerge il frutto che ricorda la mora e la prugna. In bocca dimostra una grande profondità e armonia, pura seta. Un vino in splendida forma.

Alessandro dal Borro 2016 Il Borro – il Syrah dalle note speziate avvolgenti quali cannella, pepe verde e nero, caramella mou, frutta rossa matura. Fermenta in rovere e invecchia in barrique per 18 mesi.

Boggina B 2019 Petrolo – Trebbiano Toscano coltivato sin dagli anni ’70. Cedro, nota fumée, miele, rosa canina e cera d’api. Bella espressione di un territorio che riesce ad eccellere anche nella produzione di vini bianchi.

Un evento perfettamente organizzato, che ha impressionato per la qualità dei vini proposti dalle aziende presenti alla degustazione e per i contenuti proposti con quella passione e determinazione che è bello trovare nel mondo del vino e dei suoi principali attori.

Toscana: Morellino del Cuore 2023

di Adriano Guerri

Lo scorso 24 maggio ho partecipato alla prima di tre serate denominate Morellino del Cuore dedicate al Morellino di Scansano. L’evento si è svolto  a Firenze al Boulevard Parc Bistrò, luogo di promozione e divulgazione del vino di qualità, spazio eventi e bistrot. In degustazione 10 vini selezionati da una commissione di giornalisti, esperti e collaboratori di importanti guide e riviste enogastronomiche. 

Il seminario è stato organizzato e guidato dai giornalisti Roberta Perna e Antonio Stelli in collaborazione con il Consorzio Tutela Morellino di Scansano. Hanno partecipato tutti i produttori dei 10 vini selezionati  per l’occasione e il direttore del Consorzio il dott. Alessio Durazzi, che ci ha illustrato brevemente il territorio e le aziende.

Prima di passare all’analisi sensoriale dei vini in degustazione, lasciamo il tempo ad alcune nozioni su questo incantevole  comprensorio .

Il Morellino di Scansano è una gemma enologica localizzata tra l’antico vulcano Monte Amiata e la stupenda costa Tirrenica in provincia di Grosseto. In tempi remoti, qui gli Etruschi avevano già iniziato a coltivare la vite e a produrre vino. Si ipotizza  che il nome derivi da un’antica leggenda secondo la quale, dal vicino capoluogo, alcune famiglie transitavano in carrozza sulle colline intorno al borgo di Scansano per acquistare il già notorio vino rosso della zona. Erano trainate da cavalli neri detti “morelli”, motivo, sembrerebbe, dell ’origine del nome “Morellino”. Un microclima ideale per la coltivazione della vite: suoli sciolti e ricchi di minerali, calcare e argilla (tra galestro e alberese), e l’influsso marino della costa a dar origine a vini di indubbia qualità.

Per disciplinare deve essere prodotto con uve Sangiovese almeno per l’85%. Possono concorrere al completamento nella misura massima del 15%: Alicante, Ciliegiolo, Colorino, Malvasia Nera, Canaiolo, Montepulciano, Merlot, Syrah, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. La maggioranza dei produttori predilige, però, lavorare il Sangiovese in purezza. Nelle migliori annate viene prodotta anche la tipologia Riserva. 

Il territorio comprende 7 Comuni: oltre a Scansano, che dà il nome alla denominazione, parte dei territori di Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna e Semproniano. Il riconoscimento a Doc è giunto nel 1978; sarà il 2007 l’anno dell’incoronazione a Docg.  Ha vissuto un periodo di grande successo alla fine dello scorso millennio e dopo un periodo di pausa è tornato con merito nella cerchia dei grandi vini rossi italiani.

Un panorama agricolo caratterizzato da dolci colline, che ha invogliato molti imprenditori già affermati in altre zone della Toscana e in Italia ad investire in questo lembo di terra, valorizzando e tutelando l’intero comparto. A tavola è il compagno ideale di molte preparazioni culinarie della tradizione; l’abbinamento giusto predilige comunque carni rosse, soprattutto alla griglia, tortelli maremmani al ragù di carne e cinghiale in umido. 

Un vino duttile, capace di farsi apprezzare sia da giovane sia con qualche annetto in più. L’attuale Presidente del Consorzio del Morellino di Scansano è Bernardo Guicciardini Calamai.

I vini in degustazione

Santa Lucia Morellino di Scansano Docg 2022 A’ Luciano Sangiovese 90% e Alicante 10%. Emana note di fiori di campo, frutti di bosco e succo d’arancia, fresco con tannini ben levigati, invoglia ad un sorso successivo.

Tenuta Agostinetto Morellino di Scansano Docg 2022 La Madonnina Sangiovese 85% Cabernet per la restante parte. Rivela sentori  di rosa, mora, mirtillo e ciliegia; sorso fresco, sapido e rotondo.

Mantellassi Morellino di Scansano Docg 2022 Il Mago di O3 Sangiovese 100%. Danza tra note di viola, lampone, ribes e mirtillo; succoso e lungo.

Le Rogaie Morellino di Scansano Docg 2021 Forteto Sangiovese 100%. Dipana note di erbe aromatiche, violetta,  anguria e frutta rossa matura, dal sorso fresco, dinamico e persistente.

Per i campioni “Intermedio”, che si pongono come una sorta di Selezione tra le tipologie Annata e Riserva:

Boschetto di Montiano Morellino di Scansano Docg 2021 Io&Te – Sangiovese 85% e Merlot 15%. Svela sentori di arancia sanguinella, mora, amarena e nuances balsamiche. Palato ricco, avvolgente e durevole.

Cantina Vignaioli di Scansano Morellino di Scansano Docg 2021 Vigna Benefizio Sangiovese 100%. Declina nuance di prugna, ciliegia matura e pepe nero, dal gusto fresco e piacevolmente tannico.

Podere 414 Morellino di Scansano Docg 2020 – Sangiovese 85%, Ciliegiolo, Colorino, Alicante, Syrah 15%. Rimanda sentori di corbezzolo, frutti di bosco,  liquirizia, pepe e nuances balsamiche,  ricco, setoso, morbido e dinamico.

Per la Riserva

Roccapesta Morellino di Scansano Docg Roccapesta Riserva 2020 – Sangiovese con un saldo di Ciliegiolo. Si percepiscono sentori floreali succeduti da susine, more, lamponi e melagrana. Dal sorso armonioso e vellutato.

Morisfarms Morellino di Scansano Docg Riserva 2019 – Sangiovese 90% Cabernet Sauvignon e Merlot 10%. Complesso e intenso, in prima battuta da note floreali, frutta rossa, carruba, rabarbaro, eucalipto e menta, sapido,  avvolgente e persistente.

Terenzi Morellino di Scansano Docg Riserva 2019 Madrechiesa Sangiovese 100%. Alla prima olfazione parte su petali di rosa e ciliegia croccante, poi vira tra scorza d’agrumi e tabacco, molto appaganti.

Dopo la degustazione dei vini è seguita una squisita cena a base di pesce in abbinamento ai campioni degustati. Roberta Perna ci ha ricordato le altre due serate dedicate a Morellino del Cuore, che saranno il 22 giugno presso Lo Scoglietto a Rosignano Solvay (Li) e il 12 luglio da Canapone a Grosseto.

“I Garagisti di Sorgono”: il Mandrolisai con firma d’autore

di Adriano Guerri

Nella medievale Rocca Rangoni di Spilamberto (Mo), durante la 7°edizione dell’evento Vignaioli Contrari, ho conosciuto un piccolo angolo di Sardegna con la cantina I Garagisti di Sorgono.

Sono rimasto colpito dai loro vini e ve li propongo con alcuni cenni sull’azienda. 

I Garagisti di Sorgono è una splendida realtà enologica sarda, nata nel 2015 dall’unione di tre giovani viticoltori: Pietro Uras, Renzo Manca e Simone Murru. Il loro obiettivo è produrre vini artigianali, espressivi e di elevata qualità con vitigni autoctoni dell’isola.

Pietro Uras – I Garagisti di Sorgono

Coltivano circa 10 ettari vitati al centro geografico della Sardegna, più precisamente a Sorgono (NU), area di confine fra Barbagia e Campidano all’interno della Doc Mandrolisai. Alcuni vigneti ad alberello libero, considerati tra i più belli del mondo, superano addirittura gli ottanta anni di età; altri invece arrivano ai sessanta, messi a dimora dai genitori e persino dai nonni dei proprietari.

Le altimetrie si attestano sui 550 metri s.l.m. con suoli poveri e sabbiosi derivanti da disgregazione granitica. Il clima è di tipo mediterraneo, caratterizzato da notevoli escursioni termiche e le uve beneficiano della maggior concentrazione di aromi. Le varietà coltivate sono, Cannonau, Monica e Muristellu (o Bovale Sardo). La scelta del nome aziendale deriva da “Vin de Garage”, termine usato a Bordeaux per aziende di piccole dimensioni, limitate produzioni e vini di indubbia qualità.

Note di degustazione 

Rosato Mandrolisai Doc 2022 – dalle eleganti note di rosa, lampone e creme de cassis. Fresco, sapido, leggiadro e ben ordinato.

Parisi – Bovale Igt 2021 – rosso rubino intenso, naso da viola mammola, ribes nero, pepe in grani e liquirizia. Gusto piacevolmente tannico, vellutato ed equilibrato. 

Manca – Cannonau Doc 2020 –  riflessi rubino vivaci, intensi aromi di more, prugna, ribes e mirtillo che anticipano note di pepe nero ed erbe aromatiche. Avvolgente, coerente e persistente.   

Murru – Monica Doc 2020 – rubino intenso, naso da ciliegia, lampone e rabarbaro, cui seguono note di spezie dolci e mandorla. Molto lungo e armonioso. 

Uras – Mandrolisai Doc 2020 – svela subito nuance di petali di rosa rossa, frutti di bosco, macchia mediterranea e sottobosco. Finale sapido, rotondo e armonioso.

Filippo Bizzarri e il suo “Pirata Suino”

di Alberto Chiarenza

La nostra visita da Filippo Bizzarri, esperienza nel mondo delle cave estrattive e uno dei titolari dell’azienda Pirata Suino, inizia proprio dal casale con La Bottega dei Sapori, un’ex stalla riattata ove il nonno già allevava bovini da latte ed oggi locale di vendita al pubblico di carne e prodotti tipici.

Da sinistra Catia Minghi, Filippo Bizzarri, Antonino De Gennaro, Carlo Zucchetti

Il padre di Filippo trasformò la stalla in cantina, con tanto di tini d’acciaio e botti in castagno da 20 ettolitri per fare vino. Purtroppo non ebbe il successo sperato e Filippo decise, invece, di invertire la rotta e ritornare sulle impronte lasciate dal nonno.

Un vero e proprio punto vendita dei lavorati a marchio Pirata Suino, attività nata da una sorta di scommessa a tutela del territorio. Ci troviamo, infatti, fuori dalla capitale Roma sul tratto di strada che da Via della Pisana (zona Pontegaleria-Pisana), conduce verso Fiumicino-Maccarese.

La grande richiesta di sabbia e ghiaia necessaria alla produzione di calcestruzzo nel dopoguerra, ha lasciato in questa “area di preda” numerose voragini, rovinando l’ambiente circostante anche per le generazioni avvenire. Da qui il progetto, condiviso con altri soci, per sanare le ferite del passato.

Nel 2013 Bizzarri inizia quasi per caso ad avvicinarsi al mondo dei bovini, dopo aver conosciuto alcuni allevatori tra cui Alessandro Fantini, veterinario e direttore responsabile di Ruminantia. Apprese come una spugna le tecniche per un allevamento a regola d’arte, arrivando nel 2019 all’acquisto dei primi bovini.

Lo scopo è stato quello di creare una sinergia tra tre elementi naturali: il terreno di recupero da altre attività, il materiale di sfalcio e potature e il letame proveniente degli animali. Elementi messi insieme e riposizionati per ridare equilibrio e consentire, in un circolo virtuoso, di coltivare foraggio destinato agli allevamenti suini e bovini, portando così nuova vita a terreni destinati all’abbandono. Un progetto importante per la salvaguardia territoriale che si è tramutato in mano d’opera e tanti posti di lavoro, nel pieno rispetto della sfida alla sostenibilità.

La visita della azienda, organizzata dal giornalista enogastronomico Carlo Zucchetti e dall’esperta Catia Minghi, ha consentito di toccare con mano questo impegno e di osservare gli animali al pascolo. Si possono notare pure i maiali di razza Cinta Senese allo stato brado e gli ovini e, prossimamente, altre attività nell’ambito della ristorazione e produzione di prelibatezze culinarie.

Al termine la consueta degustazione con i prodotti proprio di Pirata Suino, preparati dall’estro dello Chef premiatissimo Marco Ceccobelli, del Agriristorante Il Casaletto a Grotte di Santo Stefano (VT), in abbinamento con i vini di Castello di Torre in Pietra illustrati dall’enologo interno della cantina Antonino De Gennaro.

Roma: la tappa del Lugana DOC nel suo Tour in giro per l’Italia

di Augusta Boes

Per comunicare efficacemente è importante considerare il pubblico di riferimento e gli obiettivi che si intendono raggiungere. Questo concetto è ben noto al Consorzio di Tutela del Lugana DOC, che sa bene come la comunicazione digitale possa essere solo un surrogato della realtà. In un’epoca in cui il mondo è sempre più digitalizzato e le relazioni sono spesso virtuali, il Presidente del Consorzio Fabio Zenato e un gruppo di Produttori di riferimento del territorio si sono messi in viaggio per presentare le loro eccellenze nelle principali città italiane, attraverso un format che prevede eventi dal vivo e con il calice in mano. Non c’è nulla di più efficace che raccontarsi faccia a faccia, con la possibilità di scambiarsi strette di mano, abbracci e sguardi sinceri. Niente è più coinvolgente di un momento di approfondimento esperienziale, che permette di avvicinare il pubblico in modo mirato, generando efficacia nei canali di promozione.

Le aziende stanno gradualmente comprendendo che la divulgazione individuale non è sufficiente e che è importante collaborare con i colleghi per sviluppare nuove idee promozionali volte a comunicare un intero territorio. La Denominazione, dunque, si pone come una vera e propria proprietà collettiva che richiede uno sforzo congiunto per essere valorizzata al meglio. Non si tratta di aggiungere ulteriori iniziative a un mercato già saturo di proposte ed eventi, ma piuttosto di selezionare le soluzioni più efficaci, che possano generare concrete opportunità di dialogo e nuove relazioni con i consumatori.

Con 2.560 ettari vitati, 210 Aziende e 28 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, il Lugana DOC ha come principale sbocco il mercato internazionale che assorbe circa il 70% della produzione, ma è ancora poco diffuso in Italia al di fuori del proprio territorio di produzione che si affaccia sulla sponda meridionale del Lago di Garda.  Da qui l’idea di un tour promozionale per presentare questa eccellenza al Belpaese. E non si poteva che cominciare dalla Capitale che ha ospitato la prima tappa nella suggestiva cornice dell’Enoteca La Torre a Villa Laetitia.

Il vitigno principe della DOC è il Turbiana, figlio del Lago di Garda, una meraviglia plasmata in milioni di anni dalla natura, dai ghiacciai e dal tempo. La morfologia delle colline moreniche che si affacciano sul lago è dolce e caratterizzata da linee delicate. Grazie al clima sub-mediterraneo, gli inverni sono miti e le estati temperate, mentre la bio-diversità qui è la regola dell’armonia perfetta. Il passare del tempo modella forme, colori e profumi, che variano a seconda delle stagioni, ma l’atmosfera del Garda rimane sempre fedele a sé stessa e si tinge di mille sfumature d’incanto.

Iscritto Catalogo Nazionale delle varietà della Vite al numero 239 come Trebbiano di Soave, e al numero 254 come Verdicchio Bianco B, il Turbiana è sinonimo ufficiale di entrambi che geneticamente sono il medesimo vitigno. Apprezzato per la sua freschezza e la sua acidità equilibrata, è un vitigno molto duttile e le sue uve possono essere vinificate in diverse modalità, dando vita a vini secchi o dolci, spumanti o fermi, ma che presentano in tutti i casi un carattere sempre fresco, armonico e delicato, e un ottimo potenziale di invecchiamento.

Negli ultimi decenni gli sforzi dei produttori hanno portato a una maggiore attenzione alla qualità dei vini e alla valorizzazione del territorio del Lugana DOC, e le otto etichette degustate durante questa interessante giornata non lasciano dubbi in proposito. Un excursus completo e didattico che ha portato nei calici le diverse sfaccettature di questo vino in otto interpretazioni eccellenti. In ordine di apparizione:

  • Azienda Agricola Brunello – Etichetta Nera -Lugana DOC 2022
  • Citari – Conchiglia – Lugana DOC 2022
  • Cascina Le Preseglie – Hamsa – Lugana DOC 2021
  • CàMAiol – Molin – Logana DOC 2021
  • Montonale – Orestilla -Lugana DOC 2021 (il mio preferito)
  • Cà Lojera – Riserva del Lupo – Lugana DOC 2019
  • Perla del Garda – Riserva Madre Perla 2018 – Lugana DOC 2018
  • Cantina Bulgarini – Superiore Cà Vibò – Lugana DOC 2016

Qui a Roma la prima tappa di questo “Lugana on Tour” ha suscitato interesse ed entusiasmo e siamo convinti sarà ovunque un grandissimo successo! Teniamocele un po’ più dentro casa le nostre eccellenze! Dalla Capitale è tutto.

Romagna: Elisa Mazzavillani, “la vignaiola indipendente”

di Matteo Paganelli

Non trovo appellativo più appropriato di questo per descrivere Elisa Mazzavillani – Azienda Agricola Marta Valpiani.

Non solo per essere la coordinatrice Romagna FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, associazione di vignaioli che promuove l’anti-burocrazia e che assicura la produzione dalla A alla Z “dentro le mura di casa”), ma perché è davvero indipendente da tutto e da tutti. Lo dimostra nei suo modi di fare, nella caparbietà, nel non ascoltare nessuno se non il proprio istinto. Del resto questo titolo è scritto pure nel cartello che si può scorgere da Via Bagnolo, appena si varca la soglia della sua cantina.

È un lunedì pomeriggio di aprile, e ha appena smesso di grandinare. Elisa è visibilmente (e comprensibilmente aggiungo) contrariata: teme che la grandine possa aver causato qualche danno ai vigneti già in piena fioritura. Purtroppo, dobbiamo convivere con il fatto che il grande cambiamento climatico stia “guastando” il tempo creando eventi atmosferici anomali e inaspettati. «Se deve farla a Luglio [la grandine, n.d.r.], è meglio che la faccia adesso» commenta con un tono da magra consolazione.

Elisa mi accoglie nella sala degustazioni che ben conosco, ma che ogni volta mi lascia incantato per la cura dei dettagli. Sparse un po’ ovunque, in perfetto stile Shabby chic, troviamo le bottiglie: alcune sul banco, altre posizionate in basso, altre ancora su mensole dedicate e collocate come fossero trofei. Sono 7 etichette che Elisa produce: 4 da uve Sangiovese, 2 da Albana e 1 rifermentato in bottiglia da uve Trebbiano. Anche se in cantiere è previsto un ulteriore Sangiovese che uscirà a breve.

Dopo le classiche chiacchiere di routine, assaggiamo subito qualcosa, mentre approfitto del momento per affacciarmi sulle vetrate e scorgere i paesaggi quasi lunari, caratterizzati dai grossi scorci dei calanchi che primeggiano magistralmente sulla vallata. La visita odierna è principalmente dedicata alle sue due versioni di Albana, che oggi escono entrambe sul mercato sotto la denominazione Romagna Albana DOCG. La conquista della fascetta è stata piuttosto ardua; seppur produca Albana in purezza dal 2018 (prima in blend con altri bianchi autoctoni), ha potuto rivendicarla solo nel 2020. La chiusura screwcap con tappo a vite non era ancora ammessa da disciplinare.

Elisa crede fermamente in questo progetto, che ha una chiara impronta ambientalista, ed ha preferito declassare per alcuni anni i vini etichettandoli come Forlì IGT Bianco, continuando ad avanzare le proprie idee dall’interno, senza mollare di un centimetro. Ce l’ha fatta! Ed a chi critica questa scelta, sostenendo che un vino ha bisogno del tappo di sughero per respirare, ella risponde che “il vino non è un pesce rosso, ha bisogno di micro-ossigenazioni, non di ossidazioni, e la screwcap può essere una valida chiusura tecnica per raggiungere tale obiettivo”.

Due le etichette dedicate all’Albana degustate: “Delyus” “Madonna dei Fiori”.

Romagna Albana Docg Delyus 2022

Viene coltivata da nuovi impianti del 2016 su un appezzamento principalmente caratterizzato da arenaria con sabbie. Dedicata al padre Delio raffigura in etichetta una Mandragora, pianta mistica che qualcuno avrà sicuramente visto nei film su Harry Potter, e che indica, nel suo significato, il furore e delirio umano. L’aspetto nel calice è invitante, giallo paglierino e nuance dorate. Il naso ricco di erbe aromatiche: timo, rosmarino. Non tarda ad arrivare il frutto: la tipica albicocca dalla polpa ancora croccante e con scie di pesca bianca; c’è anche una nota iodata finale molto percettibile. In bocca la prima cosa che si avverte è il sale, filo comune di tutto il territorio di Castrocaro Terme. L’acidità palpabile, ma non invadente. La struttura di medio impatto, merito anche della componente alcolica poco esuberante e perfettamente integrata. Salino e immediato: che voglia di bere subito un altro calice!

Romagna Albana Docg Madonna dei Fiori 2022

Da vecchi impianti curati con amore. Terreni caratterizzati dalla presenza di argille ocra, che ritroveremo quasi per osmosi all’interno del vino, in una struttura più accentuata rispetto a Delyus.
Il nome è una dedica alla patrona di Castrocaro Terme e l’etichetta raffigura una hemerocallis o ‘bella per un giorno’, con un significato in contrapposizione alla breve vita dei fiori: Elisa persevera e non molla mai! Colore leggermente più saturo, con una nota dorata vivida. L’olfatto non richiama ad un’aromaticità spiccata, ma si percepisce piuttosto un frutto citrino, confermato al sorso, con una freschezza verticale spalleggiata armoniosamente dall’estrema sapidità.

Credo che dobbiate tutti andare a trovare Elisa Mazzavillani. Del resto lei è come l’Albana: non la si addomestica, la si ama e basta.

La Salceta: storia di Ettore Ciancico produttore del Valdarno di Sopra

di Olga Sofia Schiaffino

Può il silenzio essere più eloquente di mille parole? Rispondo di si, senza pensarci troppo, dirigendo la mente al mio incontro con Ettore Ciancico, vignaiolo illuminato del Valdarno di Sopra.

Ettore riesce ad affascinare chi lo ascolta con le sue idee, con l’incedere dei toni e delle pause nel suo discorso. Ma il momento in cui impari più cose sul vino e sulla sua filosofia di produzione  è sicuramente  quello in cui si zittisce e ti scruta, con uno sguardo sincero e onesto.

Se potessimo pensare di dividere la nostra vita in capitoli come fosse un libro, l’avventura del viticoltore Ettore Ciancico sarebbe descritta nel terzo, dopo la narrazione del suo impegno prima nel sindacato e, successivamente, da imprenditore. Filo conduttore è l’amore per le cose giuste, “fatte bene” e la valorizzazione del territorio, delle persone che lavorano a un progetto.

Un problema di salute lo costrinse a un cambiamento radicale, e così prese forma l’idea di potersi occupare della vecchia vigna di famiglia a Loro Ciuffenna (AR) e di produrre vino, invece di vendere le uve: l’amore per il Sangiovese sbocciò immediatamente in lui, senza neppure accorgersene!

Iniziò quindi un grande lavoro di ricostruzione dei vigneti (circa quattro ettari condotti in regime biologico) e in seguito le prove di vinificazione nelle vasche di cemento e l’ampliamento della cantina: nacquero le prime etichette improntate a freschezza, tipicità, bevibilità. Ettore rimarca il suo essere controcorrente rispetto ai canoni del mercato, per seguire un gusto e un approccio nuovo al vino:  la scelta di utilizzare solo contenitori di acciaio rispetto alle convenzioni stilistiche.

Il concetto di immediatezza non deve far pensare che si originino vini banali, anzi: degustando ad esempio Osato, rosato ottenuto in prevalenza da Cabernet Franc, c’è tanta sostanza e personalità. Dal color rosa salmone luminoso, invita all’assaggio e colpisce per la nitidezza dei profumi di piccoli frutti rossi, la freschezza del sorso e la nota sapida di chiusura. Il vino perfetto per “una colonna sonora” estiva indimenticabile (ogni anno redigo una sorta di Summer Wine List per gli amici appassionati). Grande versatilità negli abbinamenti, soprattutto con le ostriche ed i crudi di mare.

Ruschieto è il Sangiovese che nasce dalle uve raccolte da una singola vigna, un vero e proprio Cru in questo territorio già delineato dal Bando Granducale di Cosimo III  de’Medici del 1716, quale zona particolarmente vocata per la produzione del vino. La scelta di vinificare una parte con la tecnica della fermentazione carbonica consente di ritrovare nel calice profumi freschi, decisamente floreali, seguiti da un corredo che rimanda a frutti rossi di bosco e a prugna matura. In bocca il tannino è ben integrato nel corpo del vino, il sorso è piacevole e il finale sapido.

La Nocetta è ottenuto da un blend di 60% di Sangiovese e da 40% di Cabernet Franc: affascina il color granato e il bouquet complesso in cui si riconoscono note erbacee, di amarena e pepe . Si armonizzano perfettamente le sensazioni caloriche, l’acidità e il tannino, dando vita a un vino caratterizzato da un grande slancio e dinamismo e dal finale persistente.

La Salceta è un luogo magico, che si anima d’estate con serate a tema “ Wine is in the Air”, come quella dedicata alla cultura giapponese con l’abbinamento di diversi tipi di sakè e sushi e a quella con ostriche e mitili.

L’azienda offre inoltre la possibilità di degustazioni e di wine experiences: troverete ad accogliervi oltre a Ettore in persona, la gentilezza, la grande competenza e la professionalità della sua compagna Linda Nano e riceverete un affettuoso benvenuto da Bengio, un dolcissimo bovaro svizzero che protegge le persone, i sogni e le vigne de La Salceta.

Picasso disse che il senso della vita è scoprire quale sia il nostro dono e il nostro scopo, regalare questo dono agli altri: la storia di Ettore Ciancico è una storia di scelte e di coraggio e il suo regalo, i vini emozionanti che parlano diritti al nostro cuore.

Montalcino (SI): visita all’azienda Caprili

di Luca Matarazzo

Bisogna riconoscerlo: fa sempre effetto visitare una realtà ben organizzata, per di più in un areale conosciuto in tutto il mondo, come l’azienda Caprili a Montalcino (SI).

L’emozione nasce dal fatto che i loro vini sono entrati a far parte di quel patrimonio enologico d’Italia, vanto per chiunque grazie al Sangiovese di queste terre, forte di connotazioni eleganti e potenti al tempo stesso. La storia della famiglia Bartolommei, titolari da 4 generazioni, nasce come tanti in Toscana, dal vecchio retaggio dell’epoca della mezzadria.

Nel 1911 già conducevano i poderi della Tenuta Villa Santa Restituta, per poi spostarsi, nel 1952 all’attuale podere denominato Caprili. Nel 1965 decidono di acquistarne la proprietà dai signori Castelli-Martinozzi, tenutari di Villa Santa Restituta, e nello stesso anno impiantano il primo vigneto, denominato ancora oggi “Madre”, da cui si ricavano le selezioni massali per i nuovi innesti.

Agli inizi si trattava di appena un ettaro vitato, per poi crescere, passo dopo passo, fino agli oltre 25 odierni. Non soltanto accrescimento agrario, bensì pure la costruzione di una nuova cantina di vinificazione per arrivare a gestire l’aumento produttivo giunto al record di 54 mila bottiglie con la straordinaria 2019.

La qualità non nasce dal caso: parlando con Giacomo Bartolommei, l’attuale timoniere aziendale, gli sovvengono i ricordi dolci ed affettuosi per suo nonno Alfo, artefice del primo imbottigliamento datato vendemmia 1978 e messo in commercio nel 1983. Alfo era un visionario, un pioniere in quelle stagioni ove il vino italiano neanche conosceva la propria identità e consapevolezza. Il futurismo enologico è visibile nel settore dedicato alle etichette storiche di valore indiscusso, con pezzi rarissimi ancora disponibili per assaggi unici nel loro genere.

Ora come allora, si decide di lavorare in base alle diverse maturazioni del vino nei contenitori, andando prima a comporre il mosaico della tipologia Rosso di Montalcino e poi quello delle botti selezionate verso il Brunello di Montalcino e la Riserva, realizzata solo nelle annate generose e equilibrate. Fusti di varie dimensioni, passaggi, periodi di sosta: dai 30 ai 60 ettolitri e dai 24 ai 36 mesi. Solo il Rosso di Montalcino viene dirottato verso tonneaux e legni da 20 ettolitri per 12 mesi.

In vigna la parte agronomica viene seguita dal padre Manuele, lo zio si occupa delle vendite ed il cugino Filippo Pieri, neppure ventenne, già rappresenta il futuro di Caprili. Giacomo Bartolommei è anche uno dei vicepresidenti del Consorzio del vino Brunello di Montalcino. A lui non potevamo evitare, prima della consueta degustazione, alcune domande sull’andamento della denominazione e dei mercati.

Giacomo, esprimeresti un tuo pensiero sul presente e sul futuro del Brunello di Montalcino? <<Il presente vive ancora una lunga coda positiva di ordinativi frutto della ripresa post-pandemica. Le note dolenti arrivano, invece, dal costo delle materie prime e dagli approvvigionamenti, che molte realtà cercano di attuare per svincolarsi dalla rarefazione di vetro ed etichette. Il futuro trasmette ottimismo, pur con una flessione sui prodotti di bassa fascia fuori dalla denominazione di origine. La richiesta è altissima e si fa fatica a soddisfare tutti i mercati, superando la soglia dei 9 milioni di fascette annue.>>

E per quanto concerne il cambiamento climatico quali sono le sensazioni dei produttori? <<Con il cambiamento climatico bisogna ormai conviverci, probabilmente spostando le altitudini per la vite. Serve inoltre un corretto approvvigionamento idrico, con la costruzione di numerosi bacini di accumulo d’acqua piovana sempre più scarsa durante la primavera e l’estate. Non c’è comunque l’intenzione di aumentare i diritti d’impianto complessivi; ciò rischierebbe infatti di creare un’involuzione nella fiducia dei consumatori, non aiutando il sostegno di adeguati prezzi di vendita.>>

E adesso, ringraziando il collega giornalista Dario Pettinelli per aver organizzato un incontro tanto atteso, passiamo a momenti più ludici: la degustazione dei vini.

Partiamo dal Rosso di Montalcino 2021, che dimostra il calore dell’annata siccitosa e torrida, con alcune vasche di fermentazione dai valori record per componente alcolica. In questi casi, oggi più che mai, la mano dell’uomo diventa necessaria per riportare le condizioni entro normali limiti di piacevolezza. La tipologia non consente particolari espressioni estrattive o materiche con rinuncia, invece, ad un sorso dinamico e immediato. Per fortuna (e bravura), il target gustativo resta sempre l’agrume rosso con buoni spunti minerali e scie di erbe mediterranee. Obbiettivo raggiunto.

Il Brunello di Montalcino 2018 mostra i caratteri di una vintage totalmente differente rispetto alla 2021, giocata maggiormente su toni freschi e meno pomposi. Come sempre, preferiamo evitare giudizi e facili vaticini da rabdomanti mediatici, evidenziando che la qualità altissima non è legata necessariamente a persistenze tanniche irsute o altre componenti. Ogni anno è un racconto diverso, per chi sa narrarlo e per chi vuole ascoltare. Questo parla di ciliegie succose, tendenze all’amaricante tipiche del varietale ed un sorso che è pura goduria di bocca. Berlo ora o tra un po’ sarebbe come il dubbio amletico irrisolvibile tra l’uovo e la gallina. Perché esitare?

Piemonte: il Barolo “Pierin” di John Maiolo

di Olga Sofia Schiaffino

Nel mondo del vino si presentano spesso occasioni fortunate di incontrare persone che ti colpiscono per le loro qualità e la loro determinazione: tra questi John Maiolo, appassionato di vino e con un grande sogno realizzato.

Da buon piemontese ha il Nebbiolo nell’anima e un progetto preciso: creare quel vino particolare che parli al cuore. Ma dove trovare le uve? Per fare un vino memorabile ci vuole qualcosa di speciale, come le uve dal vigneto storico nel cuore di Monforte d’Alba appartenuto al Pierin, Langhetto d’altri tempi e vignaiolo esperto.

Egli dedicò la vita alla vigna, un appezzamento con esposizione sud ovest nella Menzione Geografica Aggiuntiva “Ginestra”; intorno al 2006 vendette la proprietà ai fratelli Faccenda di Cascina Chicco, pretendendo però di continuare a lavorarla. Solo la morte, avvenuta nel 2018, lo separò definitivamente dalle piante e dalla terra tanto amata nel suo lavoro.

I nuovi proprietari, che da 4 generazioni sono dediti alla viticoltura e oggi possiedono circa 50 ettari nelle zone più vocate di Roero e Langhe, sono, per fortuna, degni rappresentati di un terroir unico e promotori di quei principi etici appartenuti al buon Pierin.

John Maiolo si rivolge a Enrico Faccenda per il suo progetto e decide di imbottigliare, con una propria etichetta, le uve provenienti dalla vigna di Pierin. Nasce un barolo davvero unico, vivo, autentico. Un vino a cui sono stati attribuiti punteggi elevati dalla critica di settore e che merita di essere descritto e narrato con termini alla portata di tutti.

Guardiamo la bottiglia prima di tutto: l’Albeisa, simbolo del territorio delle Langhe, con 300 anni di storia sulle spalle, è stata modellata dai maestri vetrai delle antiche Vetrerie di Poirino (TO). In etichetta un dipinto che raffigura le colline dell’Albese a Serralunga, una storia di famiglia in un mondo di ricordi dell’infanzia, di tradizioni contadine, dove l’uomo e la natura sono in perfetta armonia. Il padre di John, uno dei più grandi pittori europei naif-figurativi del secolo scorso, soleva ritrarre quei luoghi ricamati in ordinati filari per accogliere il nobile nebbiolo. Sembra di affacciarsi a una finestra a contemplare il paesaggio intorno, mentre nel calice si sprigionano profumi di viola, lamponi, ciliegia che sembra quasi in confettura, poi liquirizia, tabacco e cioccolato.

L’assaggio è emozionante, puro velluto liquido, con un tannino preciso e ordinato che anima il sorso:  la nota speziata accompagna il finale che si allunga, riportando alla memoria sentori e sapori. Un lavoro attento e scrupoloso, a cominciare dalla vendemmia manuale, iniziata nella seconda metà di ottobre nel 201, con due passaggi a distanza di circa 10 giorni di differenza. La fermentazione si è svolta in due settimane, in piccole vasche di acciaio con numerosi rimontaggi. La macerazione è durata invece 45 giorni; al termine di essa il vino è stato messo in botti di rovere da 2000 litri per attendere la fermentazione malolattica. Il periodo di affinamento si è compiuto per circa 32 mesi in botti grandi di rovere e per 13 mesi di nuovo in vasche d’acciaio.

Guardo John e mi colpisce il suo sguardo luminoso, mentre è in attesa di un commento sul prodotto che ho appena degustato: un vino che ti prende per mano e ti conduce in una dimensione dove c’è posto solo per le persone buone, per l’onestà e per l’amore a Madre Terra che ci ha dato i natali.

L’annata del Barolo Docg “Pierin” 2016 si divide in 1400 bottiglie, 100 Magnum e 10 Jeroboam, che promettono meraviglie per il futuro e che spero di avere l’occassione di riassaggiare, sicuramente in ottima compagnia.