Romagna: Coriano Wine Festival 2023, “il grande Sangiovese Romagnolo al centro del villaggio”

“Romagna e Sangiovese, sei sempre nel mio cuore”

Così recita il famoso brano di Raoul Casadei, a suggellare l’eterno binomio fra un territorio e un vino. Anzi, fra un popolo e un vino.

I romagnoli: quella gente che nemmeno le alluvioni può scalfire, quelle persone contraddistinte da estrema generosità e genuinità. Li puoi riconoscere nitidamente alle sagre di paese, con gli stand gastronomici dove il profumo di piadina e salsiccia si percepisce da chilometri e il valzer ti trasmette allegria anche se hai appena litigato con la morosa (termine dialettale per fidanzata).

Proprio come la 55ª edizione de La fiera del Sangiovese, svoltasi a Coriano (RN) il 19 e 20 agosto 2023. Da quest’anno diventa anche Coriano Wine Festival, una “mostra mercato” del Sangiovese con i migliori produttori provenienti dalle 16 sottozone ufficialmente riconosciute dal disciplinare del Romagna DOC Sangiovese.

Gli ingredienti sono quelli giusti: 33 produttori, coinvolti nei banchi d’assaggio con le anteprime dei loro Sangiovese, 5 guru del vino a livello nazionale (Maurizio Alongi, Paolo Babini, Enrico Bevitori, Marco Casadei e Marino Colleoni), impegnati in un convegno dal titolo “Sangiovese, indagine su un vitigno al di sopra di ogni sospetto” e infine 4 laboratori di degustazione.

La ricetta è ideata dalle meningi di uno chef per eccellenza, uno che la materia prima la sa trattare sapientemente: Francesco Falcone.

La location? Il pittoresco parterre del Teatro Corte Coriano.

Francesco Falcone

20Italie era presente ed ha selezionato, fra le numerose proposte, 6 anteprime di Sangiovese degne di interesse.

Menta e Rosmarino – Area 66 | 2021 – sottozona Modigliana

Visto il caldo di questi giorni, perché non partire dal territorio più in quota come Modigliana? Area 66 è uno dei Sangiovese in purezza prodotti da Francesco e Luciano, nell’annata 2021 si presenta al calice in un rosso che definirei invitante per la sua capacità di riflettere la luce. Naso che ti porta nel territorio: menta piperita, aghi di pino, piccoli frutti neri e tanta mineralità. In bocca è agilissimo, verticale grazie alle freschezze ma equilibrato grazie al docile tannino. Non si perde facilmente ed è piacevole come un succo di frutta.

Vigne dei Boschi – Poggio Tura | 2019 – sottozona Brisighella

Il “frescolino climatico” ci piace: non scendiamo di quota, ci spostiamo di qualche chilometro ed entriamo a casa di Paolo Babini. Il suo Poggio Tura 2019 è talmente in anteprima che l’annata è scritta a penna su un’etichetta precedente. Veste il calice di un rosso accecante come un’opale di fuoco. Olfattivamente ci regala sentori di piccoli frutti rossi aciduli, vegetazione di bosco e note leggermente terrose. In bocca è esplosivo: l’acidità è spiccata e al tempo stesso piacevole, tannino vispo. Al termine del sorso chiama un altro assaggio, senza stancare. Un vero e proprio Masterpiece di Babini che racchiude un mosto fiore sgrondato e non pressato e 2 anni di riposo in botte grande, usata magistralmente.

Ancarani – Biagio Antico | 2021 – sottozona Oriolo dei Fichi

Restiamo nell’entroterra Ravennate, ma cambiamo completamente terreni, passando dalle marne Brisighellesi alle sabbie gialle di Oriolo dei Fichi. Questo terreno è il responsabile dell’estrema definizione degli aromi che troviamo nel Biagio Antico. L’aspetto del vino è seducente, proprio come una rubellite. Il frutto che si avverte è polposo, di quelli che cogli dall’albero e addenti stando lontano dal corpo per non sporcarti col succo che gronda. La menta piperita e lo zenzero completano il boost di un naso “fresco”. All’assaggio è teso, croccante, con un tannino spigoloso ma piacevole proprio per questo motivo. Il cemento ha riequilibrato il tutto. Servito leggermente sotto temperatura si fa voler molto bene, estivo.

Marta Valpiani – Fiore dei Calanchi | 2021 – sottozona Castrocaro

Mentre continuiamo la traversata perché non fermarsi alle Terme di Castrocaro? Con le sue acque salsobromoiodiche che fanno bene alla salute… e anche al vino, donando incredibile sapidità. Ma Elisa Mazzavillani, che il territorio lo conosce bene, non finisce mai di stupirci. Da un piccolo vigneto nasce il suo nuovissimo Fiore dei Calanchi, un single vineyard – single tonneau, ricavato appunto da un unico cru e lasciato riposare per un anno in un unico tonneau, (a doghe larghe, originariamente pensato per un bianco) per dar vita a 666 bottiglie uniche nel loro genere. Portare il calice davanti agli occhi è come un incontro con una donna elegante e suadente: la sua trasparenza provocante, mai volgare, riflessi splendenti come pietre preziose. Naso che denota un profilo aromatico ricco, di grande profondità. Immediatezza delle note fruttate, sfumature leggermente polverose e note iodate. In bocca si conferma la grande eleganza che trovavamo nei precedenti passaggi, ci pervade il palato. Il tannino è delicato, setoso ma presente. Teso, ma non affatto esile. Superlativo.

Giovanna Madonia – Fermavento | 2021 – sottozona Bertinoro

È arrivato il momento di spostarci nel ventre della collina romagnola, laddove il vino è così radicato nella cultura degli abitanti che viene chiamato “e ”, ovvero “il bere”. Sulla parte più alta del colle di Montemaggio troviamo Giovanna Madonia, già da diversi anni affiancata dalla figlia Miranda e da Gennaro. È il 26º anno del Fermavento, Sangiovese da vigne allevate ad alberello che non finisce mai di stupire. Più di ogni altro è un fedele lettore dell’annata, del terroir e della mano del produttore. E così anche in questa versione, in bottiglia nemmeno da 2 mesi, si conferma sempre lui, il Sangiovese che mette d’accordo tutti. Si veste in un rosso rodolite veramente intenso, e nella sua austerità regala aromi di frutta matura, sottobosco e spezie. In bocca il tannino è superbo, probabilmente merito di quel terzo di uve che non vengono diraspate portando così quella parte di legno maturo, un po’ come si fa in Borgogna. Profondo. Ma diamogli qualche altro mese.

Chiara Condello – Predappio | 2021 – sottozona Predappio

Forse la zona più rinomata a livello regionale (e non solo) per il Sangiovese, capace di sfornare vini dalla grande espressività grazie ai suoli principalmente argillosi. Noi non saliremo fino in alto, ci fermeremo a Fiumana, da Chiara Condello. Macerazione a chicco intero, sgranellato, ma non pressato, per estrarre una massa color rubino Tanzania intenso dai riflessi scuri. Eh sì, siamo un po’ frivoli anche nei descrittori per una volta! Un anno di botte grande e i 4 mesi di cemento regalano grande profondità al naso. Nonostante la giovane età, l’argilla e l’affinamento lo rendono già abbastanza rotondo e compatto. Muscoloso.

Format centrato, ricchezza di contenuti, il calore dei romagnoli e la poliedricità di un vitigno: sono queste le chiavi di lettura di un evento, che seppur alla sua genesi, ha saputo raggiungere il suo obiettivo. Valorizzazione di un vitigno attraverso un territorio.

Fast forward alla prossima edizione, prevista per il 17 e 18 agosto 2024.

Romagna: il Craft Gin Summer Fest edizione 2023 a Cervia (RA)

Il Gin è senza dubbio il distillato che ha avuto la maggior crescita degli ultimi anni. La sua popolarità non conosce né distinzioni di sesso né fasce d’età, ed è apprezzato soprattutto in miscelazione con acqua tonica a creare il cocktail più diffuso ai giorni d’oggi: il Gin Tonic.

Sarà merito della sua aromaticità, della sua freschezza e del suo brio che assieme regalano gioia a una bevuta che quasi mai è impegnativa, ma sempre carismatica. Le molteplici combinazioni di differenti gin e altrettante toniche lo rendono anche estremamente poliedrico e personalizzabile per adattarsi a differenze di gusti, stagioni e perché no, anche di stati d’animo.

Il fenomeno è in crescita e vede la nascita di tanti eventi a tema: uno degli ultimi degni di nota è il Craft Gin Summer Fest, evento tenutosi venerdì 21 luglio a Cervia, sotto la Torre San Michele, la parte più suggestiva del centro storico della città. L’iniziativa, (per altro anteprima di un altro importante momento dedicato al beverage, denominato Tramonto DiVino) ha visto oltre cinquecento presenze fra curiosi, appassionati, ristoratori e addetti al settore, i quali hanno potuto conoscere ben 25 produttori di gin artigianale.

Presente anche alla manifestazione lo spazio cocktail gestito da Enoteca Regionale Emilia Romagna, sponsor principale dell’iniziativa. 20Italie era presente e ha selezionato per voi 4 produttori di gin artigianale dei quali abbiamo il piacere di condividere brevemente le loro storie e i prodotti di punta.

Gin Bandito – si comincia giocando in casa. Il gin in questione, infatti, è romagnolo 100%: un gin al sale di Cervia. Nasce nel 2019 da un’idea di Alessandro Fanelli, il quale, collaborando con un noto profumiere locale Baldo Baldinini, capisce che il mondo delle essenze e delle botaniche non va relegato ai soli profumi, ma può esaltarsi anche nella distillazione. Non c’è solo questo dietro al suo progetto; c’è anche la forte voglia di promuovere le aziende locali. La gamma di prodotti include ghiaccioli (al gin tonic, al gin e pesca nettarina, al gin e fragola di Cesena e alla vodka e maracuja), cioccolatini al gin (in collaborazione con Gardini Cioccolato), un vermouth conciato al sale di Cervia (in collaborazione con Baravelli dell’azienda agricola Calonga) e un panettone (con crema al gin di Baldo Baldinini e impasto artigianale by Flamigni).

Veniamo al nostro Bandito (45% vol.). Le botaniche utilizzate sono principalmente rosa, camomilla, salvia e rosmarino. La prima in particolare, la rosa, è quella che caratterizza lo spiccato aroma floreale che percepiamo al naso. La scelta è voluta in quanto pochi sanno che la Romagna è uno fra i più grandi produttori di rose. Ne risulta un gin che definirei femminile a causa dell’intensa profumazione. In bocca è balsamico, intenso, con una nota vegetale al centro bocca e un finale che esplode nella rosa che avevamo avvertito in maniera preponderante all’inizio. Il finale è lunghissimo grazie alla spinta sapida del sale di Cervia.

Gin 25zero14 Come il codice di avviamento postale (CAP) di Castenedolo, frazione Bresciana dalla quale proviene l’ideatore Andrea Pellegrini, un ragazzo che lavora nel mondo dell’automotive ma che decide di sfruttare il suo spirito imprenditoriale per dar sfogo a qualcosa di diverso. L’intuizione che il gin potesse “fare tanto” arriva nel 2020 e trova definitiva conferma proprio quest’anno, anno in cui vince il premio di miglior gin Italiano 2023 ai World Gin Awards.

Il Botanic Gin (43% vol.) è caratterizzato principalmente da anice, liquirizia, arancia, limone, rosmarino, basilico e timo. L’intensità olfattiva la fa da padrona, mentre al palato la freschezza degli agrumi regala una bevuta piacevole e dissetante, con un retrogusto di erbe aromatiche che lo rende appetitoso. Da provare assolutamente la versione Navy Strength (57% vol.), stessa ricetta del “fratello minore”, ma con un tenore alcolico decisamente preponderante. Questa importante struttura dona un’avvolgente sensazione pseudocalorica al palato senza appesantire, aprendomi anche ad alcune idee su abbinamenti cibo-cocktail.

Alta Marea – torniamo in Romagna, precisamente a Bellaria Igea Marina, per conoscere Vittorio Bassano, di origini siciliane. È proprio grazie alla passione per la sua terra che nasce questo gin. Lei e il suo mare, di ispirazione al nome del gin e al logo (la Luna, responsabile delle maree). Nella vita fa tutt’altro, è vice responsabile in una GdO locale e, approfittando della pausa durante il lockdown, nel 2020 decide di scaricare a terra la sua passione in questo progetto.

Alta Marea (43% vol.) è caratterizzato da botaniche quali basilico, pompelmo rosa, limone, cannella, alloro e coriandolo. Un gin pulito, agrumato e con una nota speziata. La cannella è l’elemento che spiazza, solitamente usata nei dolci e che contribuisce a donare quell’accenno di piccantezza, spingendo il sorso in lunghezza. Rimane comunque un prodotto molto estivo, grazie alle nuance agrumate e dona una piacevole nota amaricante nel finale dovuta alla presenza dell’alloro.

Da lontano scorgo l’allestimento di un banco degustazione davvero particolare: quello di Gini Rock. Dietro a quel nome e a quella stella c’è infatti un vero rocker, Gianluca Gabriele. La sua storia è recente, datata dicembre 2022, e ha come protagonista un chitarrista convinto del fatto che l’abbinata birra-concerto fosse ormai superata e che fosse necessario infondere un po’ di gin nelle vene dei rocchettari.

Una storia che ci fa ritornare a Brescia, questa volta nella frazione di Moniga del Garda. Gabriele, che nella vita oltre al pallino della musica fa l’agente di commercio, ha deciso di realizzare un gin spinto da pura passione. Iniziando a girare i bar per proporlo, si è sempre trovato davanti gestori che gli recitavano il copione: “ecco un altro con il gin”. Ma una volta convinti all’assaggio, la reazione era “ah, però questo è buono!”. Se ci uniamo il fatto che anche il figlio di Gianluca, Niccolò, è un rocker (batterista), troviamo anche il significato del nome Gini, come le iniziali dei loro due nomi. Completano la melodia una grafica semplice con font che ricorda i Radiohead e la forte attenzione al pianeta con bottiglie da 100% vetro riciclato e packaging tutto plastic free.

Degustando il Gini Rock London Dry Gin (43% vol.) scopriamo che le botaniche principali sono angelica, cannella, coriandolo e pompelmo, con una intro potente e speziata, un chorus fresco ed estivo e un bridge gentile e suadente che accompagna fino a una chiusura decisa.

Che sia anche un modo per portare il rock all’interno del mondo beverage?

Romagna: Tenuta Uccellina, una viticoltura cesellata fra pianura e collina

di Matteo Paganelli

Si narra che i romagnoli siano un popolo ospitale e se ne ha la conferma quando si arriva in una cantina, manco a farlo apposta nel giorno in cui il produttore deve imbottigliare e, anziché dirti che non ha tempo, ti accoglie calorosamente.

Questo è solo un esempio del classico tipo di trattamento che Alberto, Antonietta ed Hermes Rusticali – Tenuta Uccellina – riservano a chi va a trovarli nella loro azienda agricola a Russi (RA).

Alberto Rusticali

Oggi in particolare si imbottiglia “Ghineo” Romagna DOC Sangiovese Riserva che da quest’anno esce con la sottozona Brisighella in etichetta. Già, perché pochi sanno che, nonostante Tenuta Uccellina sia da sempre ubicata nelle pianure ravennate dove coltivano i loro prodotti di punta Bursôn e Rambëla (di cui parleremo in seguito), continua a puntare sui vitigni Romagnoli per eccellenza: Sangiovese e Albana. Lo fa in collina, proprio in una delle zone più vocate per la viticoltura. La storia abbraccia pianura e collina, usualità e unicità; ma andiamo per ordine.

Le origini della famiglia sono abbastanza comuni qui in Romagna: provenienti dal settore agricolo, con la splendida location ove oggi sorge l’azienda che era un tempo la casa dei nonni; coltivatori d’uva sin da quando attorno al casale non sorgeva alcun centro abitato. Nel 1985 Alberto, mosso da fortissima passione e motivazione, decide di iniziare a diventare produttore di vino, quasi come per hobby (lavorava come dipendente in una distilleria in zona), credendo così tanto nel progetto, al punto da investirci risorse, prendendo in affitto dei vigneti a Bertinoro e iniziando quindi a sponsorizzare la viticoltura di collina.

La produzione prevedeva solo la vendita in damigiane, ai tempi consuetudine locale. La svolta arriva pochi anni più tardi, alla fine degli ’80, quando Pasquale Petroncini de “La Ca’ de Vèn” di Ravenna suggerisce di iniziare a imbottigliare i propri vini. Nascono così le prime annate di Trebbiano, Sangiovese e Albana, sotto la guida enologica del pilastro Sergio Ragazzini.

I risultati non tardano ad arrivare: l’Albana di Romagna DOCG 1989 viene proclamata Albana dei VIP dall’allora Ente Tutela Vini di Romagna e nel 1995 la richiesta è così alta che, oltre ai 2 dipendenti fissi, Alberto è costretto a licenziarsi dalla distilleria per seguire la cantina a tempo pieno. Il 1998 è forse l’anno più importante per Tenuta Uccellina quando, grazie proprio a Sergio Ragazzini, promotore della riscoperta del vitigno dimenticato “Longanesi”, oggi lanciato con il nome Bursôn, fonda assieme ad altri soci il Consorzio “Il Bagnacavallo” per commercializzarlo..

Nel 2004 il Consorzio istituisce il premio “Miglior Bursôn” al quale da allora partecipano ogni anno tutti i produttori iscritti, presentando i loro vini a una commissione di enologi e sommelier. Quello di Tenuta Uccellina si conferma vincitore in svariate annate, la più significativa è proprio l’edizione di quest’anno 2023, anno di premiazione del loro Bursôn “Etichetta Nera” 2016.

Ciò a riprova del fatto che quella vendemmia combacia con il primo anno in cui Hermes, figlio di Alberto e Antonietta, prende le redini enologiche di Tenuta Uccellina. Il 2016 vede inoltre anche l’imbottigliamento di Teodora, un’edizione limitata di Bursôn in soli 1.000 esemplari e solo nelle annate più propizie (prima di questa solo la 2008 e la 2011), da una selezione delle migliori Tonneau. L’etichetta è dedicata a Teodora, l’imperatrice di Bisanzio, della quale nella Basilica di San Vitale di Ravenna è conservato il suo famosissimo ritratto mosaico.

Torniamo indietro alla metà degli anni 2000. Mentre il Bursôn spopolava anche per la poca competizione, non si può dire lo stesso di Sangiovese e Albana. Numerose sono infatti le giovani cantine che vedono la luce in quegli anni, aumentando a dismisura l’offerta e causando un forte deprezzamento con bottiglie in vendita a partire da pochi euro. Si scatena una vera e propria guerra al ribasso, dove a uscirne sconfitti sono purtroppo i proprietari che sceglievano di puntare sulla qualità, costretti a ridurre il prezzo per restare sul mercato con inevitabili ripercussioni sul margine.

Per riuscire a restare a galla, nel 2010 arriva la decisione per Tenuta Uccellina di spostare i suoi vigneti da Bertinoro a Oriolo dei Fichi in modo da migliorare la logistica verso i locali deputati alla vinificazione e guadagnare così in competitività. La famiglia Rusticali opta, nel 2019, per un ennesimo spostamento delle vigne questa volta per ragioni stilistiche, abbandonando i terreni sabbiosi di Oriolo alla ricerca di quelli gessosi di Brisighella, nell’ottica della ricerca di una maggior complessità e profondità.

Inoltre da Tenuta Uccellina i cosiddetti autoctoni dimenticati abbondano. Uno in particolare vede la luce nel 2012: si tratta della Rambëla, termine dialettale (utilizzabile solo dai produttori del consorzio “Il Bagnacavallo”) con il quale viene indicato il vitigno Famoso. Questo vitigno, di carattere semi-aromatico, si presta in maniera egregia sia alla produzione di un vino fermo secco, sia alla produzione di bollicine.

È risaputo che il Famoso perda la sua carica aromatica dopo i primi 12 mesi dalla vinificazione, e per tale motivo solitamente se ne incentiva il consumo entro l’anno solare; tuttavia, in una recente degustazione di una loro Rambëla con 6 anni sulle spalle, sono state evidenziate caratteristiche di evoluzione decisamente interessanti, con freschezze ancora ben presenti agevolate dalla chiusura Nomacorc e Screwcap, per cercare di regalare qualche altro anno di longevità a questo prodotto tutt’altro che fugace.

Ho resistito fino a fine articolo per parlarvi di quello che a mio avviso è il dulcis in fundo di Tenuta Uccellina. Sto parlando di Biribésch, nome del vino che viene ottenuto da un rarissimo vitigno autoctono chiamato Cavècia. Il nome è dedicato al nonno di Alberto, soprannominato proprio “e biribésch”, il birichino, a indicarne la natura vocata allo scherzo.

Prodotto sia in versione rifermentato in bottiglia, sia in versione metodo classico, si affianca al contesto aziendale di esclusività e incorona una storia di sperimentazione da rare varietà autoctone (ricordiamo il loro spumante Alma Luna da uve Lanzesa e il loro spumante Pelaghios da uve Pelagos, entrambi non più in produzione).

Non resta che far visita ad Alberto, Antonietta ed Hermes per aver fatto della tradizione e dell’innovazione i capisaldi della produzione di vino in Romagna.

Romagna: a Brisighella nasce l’associazione “Anima dei Tre Colli”

di Matteo Paganelli

Anima dei Tre Colli. È questo il nome scelto per la neonata associazione di viticoltori Brisighellesi.

Ai blocchi di partenza sono in cinque: Azienda Agricola Gallegati, Fondo San Giuseppe di Stefano Bariani, Podere Baccagnano di Marco Ghezzi, Vigne dei Boschi di Paolo Babini e Vigne di San Lorenzo di Filippo Manetti.

La prossima ad entrare sarà La Collina di Mirja Scarpellini, anche se i confini dell’associazione sono i medesimi che insistono sulla sottozona Brisighella del Romagna Sangiovese (includendo quindi una parte di Faenza e una parte di Casola Valsenio), portando a circa 18/19 le aziende che potrebbero farne parte. Il fermento che si è creato negli ultimi giorni, infatti, denota un grande interesse all’ampliamento dell’associazione.

Per l’occasione, 20Italie si è recata in quel di Faenza per intervistare Cesare Gallegati, presidente dell’associazione. Da buon padrone di casa, con l’ospitalità che lo contraddistingue, Cesare mi fa accomodare all’ombra nel suo dehor mentre va a prendere due bottiglie che aveva precedentemente raffreddato, per potermele servire durante la chiacchierata. E così, fra i frinii delle cicale e i paupuli dei pavoni, incomincio a porre qualche domanda a Cesare, perché la curiosità a riguardo è tanta.

20Italie (Matteo Paganelli): Cesare, come è nata l’idea di questo progetto e quali sono state le esigenze riscontrate che lo hanno reso necessario?

Cesare: Nonostante il benestare ufficiale sia arrivato il 18 di aprile, è più di un anno che ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto delle riunioni preliminari cercando di coinvolgere più persone possibili e alla fine l’idea è nata da queste cinque aziende che hanno sentito l’esigenza di unirsi per provare a promuovere la nostra sottozona in una maniera più idonea, più incisiva. Finora Brisighella è ben conosciuta per l’olio e per la bellezza del borgo storico. Nonostante nel corso degli anni tanti produttori di vino siano stati premiati dalle guide nazionali, la sensazione è che ancora la Brisighella del vino non sia stata valorizzata come dovrebbe. Oggi, la vediamo inoltre come strumento di risposta all’alluvione che ha messo in luce severe criticità.

20Italie (Matteo Paganelli): Anima dei tre colli. Cosa si cela esattamente dietro a questo nome?

Cesare: Anima inteso come comunità, come capitale umano che oggi insiste su Brisighella, un gruppo di persone che ha capito che da soli non si va da nessuna parte. Un gruppo di anime coese ma allo stesso tempo diverse; abbiamo infatti anime di vignaioli anarchici, anime di vignaioli estremi e anime di vignaioli nobili. Nonostante questa diversità, c’era la volontà di dire: “mettiamoci assieme e proponiamo un vino con un protocollo condiviso che tutti, seppur nella loro interpretazione, dovranno seguire”. Tre colli come i tre areali di Brisighella: le zone alte (marnose-arenacee), i gessi e i terreni calcarei. Zone molto diverse nel contenuto geologico ma che fanno del terroir la loro cifra stilistica che li unisce, alla ricerca dell’identità.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è lo scopo del vino che uscirà con l’etichetta e il marchio di questa nuova associazione?

Cesare: La volontà di aver un vino con una valenza nazionale e internazionale, una credibilità anche fuori dal nostro areale. Per questo motivo il disciplinare prevederà affinamento in legno, perché non esiste al mondo un vino di grande spessore che non abbia avuto un passaggio, seppur minimo, in legno. Del resto, il disciplinare prevederà poche altre cose che però caratterizzano la cifra stilistica del vino: no macerazioni estreme, no anfora, no ossidazioni. Non ci sarà qualcuno che giudica, dovrà essere un lavoro che viene fuori dalla condivisione, dagli assaggi continui che faremo, per accordare il gruppo. Questa è la cosa bella. Un po’ come succede in Borgogna, dove c’è un’idea condivisa di vino e se qualcuno fa un vino straordinariamente buono ma non è accordato con l’idea comune non viene apprezzato.

20Italie (Matteo Paganelli): Perché è stata scelta proprio l’Albana come unico vitigno di questo nuovo protocollo?

Cesare: È stata una scelta ponderata da un presupposto. È vero che noi facciamo dei grandi Sangiovese e che il Sangiovese è un vitigno importantissimo che caratterizza la Romagna e i Romagnoli. Ma quello che ti può far svoltare veramente a livello nazionale e internazionale dove ‘ci sei tu e nessun altro’, è l’Albana. È su questa che dobbiamo puntare se vogliamo farci riconoscere. Possiamo fare un Sangiovese buonissimo ma oggi il Sangiovese nel mondo è Toscana. L’Albana invece ce l’abbiamo solo noi. Quando l’Albana diventò la prima DOCG bianca d’Italia, il sistema era tarato su una risposta completamente diversa. In una Romagna del 1987 dove “si vendeva solo ciò che pesava”, dove si era abituati a rese di 300 quintali per ettaro, entrare con un disciplinare che te ne imponeva 110 ha reso l’Albana non più interessante, causandone il crollo degli ettari vitati dai 10.000 dell’epoca ai poco più di 800 odierni. Oggi giorno, pensando a un’Albana di collina dove le produzioni sono per forza di cose limitate, possiamo dare la risposta che finalmente coincide con gli interessi comuni.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è il futuro dell’associazione?

Cesare: È presto per dirlo. Sicuramente questo lavoro lo cederemo alle future generazioni perché non so se ce la faremo a vedere concretamente i risultati. Vogliamo dare loro una possibilità di lavorare su qualcosa di diverso, e questo progetto potrà servire da traino pure per il Sangiovese e per il Trebbiano, perché in Romagna si può fare qualcosa di molto bello.

Romagna: Raffaella Bissoni la “fata” delle vigne

di Matteo Paganelli

È sempre un piacere andare a trovare Raffaella in quel di Casticciano (piccola frazione ai piedi di Bertinoro), ma forse in questa occasione è ancora più piacevole poterla riabbracciare dopo i recenti disagi causati dalle alluvioni in Romagna.

Raffaella, infatti, aveva da poco finito di liberare la strada sterrata che separa quella principale dalla sua proprietà. Sono 4 in tutto le frane che l’hanno colpita spiega, indicandoci una parte smottata, tipologia di frane generate perché la terra nel sottosuolo non riesce ad assorbire l’acqua con la stessa velocità di quella in superficie. Si viene quindi a creare una sorta di cuscino d’acqua che spinge verso l’alto e causa lo scivolamento del terreno.

Raffaella Bissoni

Raffaella non esita un istante e inizia a raccontarci di natura. Ci fa notare ad esempio, che alle sue spalle c’è una tipologia di pianta da siepe (Viburnum Tinus) che fiorisce a fine febbraio e quindi molto utile sia per gli insetti che trovano già i fiori che è praticamente ancora inverno, sia per gli uccelli, i quali mangiando le bacche poi le digeriscono portando le sementi ovunque. “Io ne ho a decine e decine ovunque” dice Raffaella, mentre indica con la mano i vari punti in cui la siepe si è propagata tutt’intorno.

Quando la Bissoni arrivò a Bertinoro non aveva mai praticato la scienza agronomica prima di allora. Venne da una storia di paese, di quelle come ce ne sono tante. Si è letteralmente innamorata delle colline che le permettevano una visione allargata del paesaggio a dir poco rassicurante. Un paesaggio privo di illuminazione artificiale notturna, perché “la natura ha bisogno di avere la luce di giorno e il buio di notte”, il che permette anche una catena alimentare nel mondo animale e degli insetti più equilibrata (la tignola, ad esempio, si moltiplica a dismisura nei territori con un eccessivo inquinamento luminoso).

Sono tante le filosofie che Raffaella ha fatto sue e mette in campo: la permacultura, l’agricoltura rigenerativa, l’agromeopatia, la biodiversità: tutto ciò che possa permetterle di capire meglio come funziona la natura e quindi anche di rispettarla maggiormente. Quest’ultima, la biodiversità, ovvero la perfetta convivenza fra animali, insetti, piante e persone, va a influire sui vini. Le piante, convivendo in modo integrato con gli altri fattori, aumentano la loro resilienza e sono in grado di dare prodotti con maggiori complessità. Tutto ciò che vediamo in Raffaella è spontaneo, senza che ci sia stato un intervento umano di integrazione.

Ma veniamo alla degustazione: Raffaella ci ha preparato una memorabile verticale di Girapoggio, il suo Romagna DOC Sangiovese Superiore, nelle annate dalla 2020 alla 2010.

Batteria 1: Annate 2020, 2019, 2018, 2017, 2016

2020

Materico, dal colore trasparente e riflessi rubino. Al naso colpisce un’impronta fresca di menta nepitella, mentre il frutto è agrumato su note di pompelmo rosa e il floreale richiama i petali di rosa rossa. In bocca è agile con un tannino veramente piacevole frutto di una maturazione fenologica ben centrata.

2019

La rotazione del calice rivela una consistenza maggiore rispetto al campione precedente e l’olfatto è quasi ematico con richiami di sottobosco e corteccia. Riconoscibili ciliegia scura e fiore di papavero. In bocca domina la freschezza invitante e la struttura conferma il tutto.

2018

In quest’annata ritornano le note di menta miste a terra e sottobosco. Ciliegia rossa e fragrante, e un frutto che vira su lampone e fragoline di bosco. La rosa canina completa il bouquet floreale. Rispetto ai precedenti l’acidità scende andando a perdurare in un notevole equilibrio, merito anche del tannino delicato e appena percettibile.

2017

Naso polveroso e austero. Il vegetale passa al secco così come il floreale che diventa appassito. L’annata calda la si percepisce dalla nota calorica ben avvertibile che ci ricorda il tipico “mon chéry”. Si rivela comunque il più interessante della batteria, con sentori di crema di caffè, balsamico, tostatura, foglia di tabacco. Intrigante.

2016

Annata è sinonimo di grande evoluzione. Colore che inizia a virare su note granate. Frutta matura riconducibile come l’amarena, finalmente la viola mammola identificativa del Sangiovese. Completano il corredo aromatico timo, rosmarino, caffè e cioccolato. In bocca è integro e perfettamente bilanciato. Colpisce per lunghezza.

Batteria 2: Annate 2015, 2014, 2013, 2012

2015

Per questa seconda batteria i colori iniziano a virare sul granato non perdendo però in trasparenza. Ciliegia sotto spirito, fiori rosa appassiti, caramello, torrefazione e nota fungina. Entra al palato deciso e teso: nonostante l’invecchiamento la freschezza è invidiabile.

2014

Questo non sembra neppure un Sangiovese. Alla cieca, qualsiasi esperto potrebbe affermare di trovarsi di fronte a un Borgogna compassato. Pesca melba, artemisia a tratti da vermouth rosso. Sapidità che colpisce.

2013

Al traguardo dei 10 anni, torna la freschezza a farla da padrona. Naso immerso in infusione di erbe aromatiche e speziature accattivanti. Tannino palpabile, essenziale per controbilanciare una notevole rotondità data dalle morbidezze.

2012

Superlativo. Naso elegante e fine, recuperiamo le note di mentuccia che sentiamo anche nelle annate più recenti e le andiamo a completare con agglomerati di spezie. In bocca avvolge come un liquore al cioccolato.

Batteria 3: Annate 2011, 2010

2011

Sugli ultimi esemplari in degustazione i colori diventano granato intenso. Altra annata calda simile alla 2017, che trova riscontro in aromi di frutti rossi in confettura, finocchietto selvatico, cera e caramella mou. In bocca resta timido, non confermando ciò che aveva rivelato il naso. Tannino scontroso.

2010

Sentori nitidi, franchi, puri che toccano tutte le famiglie passando fra marasca, pot-pourri, resina, catrame e liquore di caffè. Sorso vibrante ed energico. Vino complesso. Questa interessante verticale non può far altro che confermare l’encomiabile lavoro di Raffaella dimostrata nell’ottima serbevolezza dei suoi prodotti.

Romagna: Elisa Mazzavillani, “la vignaiola indipendente”

di Matteo Paganelli

Non trovo appellativo più appropriato di questo per descrivere Elisa Mazzavillani – Azienda Agricola Marta Valpiani.

Non solo per essere la coordinatrice Romagna FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, associazione di vignaioli che promuove l’anti-burocrazia e che assicura la produzione dalla A alla Z “dentro le mura di casa”), ma perché è davvero indipendente da tutto e da tutti. Lo dimostra nei suo modi di fare, nella caparbietà, nel non ascoltare nessuno se non il proprio istinto. Del resto questo titolo è scritto pure nel cartello che si può scorgere da Via Bagnolo, appena si varca la soglia della sua cantina.

È un lunedì pomeriggio di aprile, e ha appena smesso di grandinare. Elisa è visibilmente (e comprensibilmente aggiungo) contrariata: teme che la grandine possa aver causato qualche danno ai vigneti già in piena fioritura. Purtroppo, dobbiamo convivere con il fatto che il grande cambiamento climatico stia “guastando” il tempo creando eventi atmosferici anomali e inaspettati. «Se deve farla a Luglio [la grandine, n.d.r.], è meglio che la faccia adesso» commenta con un tono da magra consolazione.

Elisa mi accoglie nella sala degustazioni che ben conosco, ma che ogni volta mi lascia incantato per la cura dei dettagli. Sparse un po’ ovunque, in perfetto stile Shabby chic, troviamo le bottiglie: alcune sul banco, altre posizionate in basso, altre ancora su mensole dedicate e collocate come fossero trofei. Sono 7 etichette che Elisa produce: 4 da uve Sangiovese, 2 da Albana e 1 rifermentato in bottiglia da uve Trebbiano. Anche se in cantiere è previsto un ulteriore Sangiovese che uscirà a breve.

Dopo le classiche chiacchiere di routine, assaggiamo subito qualcosa, mentre approfitto del momento per affacciarmi sulle vetrate e scorgere i paesaggi quasi lunari, caratterizzati dai grossi scorci dei calanchi che primeggiano magistralmente sulla vallata. La visita odierna è principalmente dedicata alle sue due versioni di Albana, che oggi escono entrambe sul mercato sotto la denominazione Romagna Albana DOCG. La conquista della fascetta è stata piuttosto ardua; seppur produca Albana in purezza dal 2018 (prima in blend con altri bianchi autoctoni), ha potuto rivendicarla solo nel 2020. La chiusura screwcap con tappo a vite non era ancora ammessa da disciplinare.

Elisa crede fermamente in questo progetto, che ha una chiara impronta ambientalista, ed ha preferito declassare per alcuni anni i vini etichettandoli come Forlì IGT Bianco, continuando ad avanzare le proprie idee dall’interno, senza mollare di un centimetro. Ce l’ha fatta! Ed a chi critica questa scelta, sostenendo che un vino ha bisogno del tappo di sughero per respirare, ella risponde che “il vino non è un pesce rosso, ha bisogno di micro-ossigenazioni, non di ossidazioni, e la screwcap può essere una valida chiusura tecnica per raggiungere tale obiettivo”.

Due le etichette dedicate all’Albana degustate: “Delyus” “Madonna dei Fiori”.

Romagna Albana Docg Delyus 2022

Viene coltivata da nuovi impianti del 2016 su un appezzamento principalmente caratterizzato da arenaria con sabbie. Dedicata al padre Delio raffigura in etichetta una Mandragora, pianta mistica che qualcuno avrà sicuramente visto nei film su Harry Potter, e che indica, nel suo significato, il furore e delirio umano. L’aspetto nel calice è invitante, giallo paglierino e nuance dorate. Il naso ricco di erbe aromatiche: timo, rosmarino. Non tarda ad arrivare il frutto: la tipica albicocca dalla polpa ancora croccante e con scie di pesca bianca; c’è anche una nota iodata finale molto percettibile. In bocca la prima cosa che si avverte è il sale, filo comune di tutto il territorio di Castrocaro Terme. L’acidità palpabile, ma non invadente. La struttura di medio impatto, merito anche della componente alcolica poco esuberante e perfettamente integrata. Salino e immediato: che voglia di bere subito un altro calice!

Romagna Albana Docg Madonna dei Fiori 2022

Da vecchi impianti curati con amore. Terreni caratterizzati dalla presenza di argille ocra, che ritroveremo quasi per osmosi all’interno del vino, in una struttura più accentuata rispetto a Delyus.
Il nome è una dedica alla patrona di Castrocaro Terme e l’etichetta raffigura una hemerocallis o ‘bella per un giorno’, con un significato in contrapposizione alla breve vita dei fiori: Elisa persevera e non molla mai! Colore leggermente più saturo, con una nota dorata vivida. L’olfatto non richiama ad un’aromaticità spiccata, ma si percepisce piuttosto un frutto citrino, confermato al sorso, con una freschezza verticale spalleggiata armoniosamente dall’estrema sapidità.

Credo che dobbiate tutti andare a trovare Elisa Mazzavillani. Del resto lei è come l’Albana: non la si addomestica, la si ama e basta.