Ritorna Vitigno e Terroir: la Notte del Rosso tra pomodoro e vino

Comunicato Stampa

Ritorna l’evento Vitigno e Terroir, promosso dal Gruppo Giovani dell’Associazione Agro Azzurro nella splendida location di Villa Calvanese di Castel San Giorgio (SA), nei giorni 16, 17 e 18 giugno.

La rassegna La Notte del Rosso è una narrazione enogastronomica completa, immaginata per raccontare le eccellenze dei territori della Provincia di Salerno. Si partirà dal pomodoro per finire con il vino, in un percorso emozionale che coinvolgerà i 5 sensi attraverso un viaggio del gusto lungo le rotte di odori e sapori di casa nostra.

La Notte del Rosso è il colore del brio che unisce esperienze nata sotto la stessa radice culturale, con banchi di assaggio aperti al pubblico, live-cooking e wine experience.

Numerose le Masterclass e le tematiche in approfondimento in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier, main partner della kermesse con ANICAV e Coldiretti.

A tutta birra con KBIRR: imprenditoria brassicola made in Campania

di Titti Casiello

Fare bene a un territorio e alle persone che lo vivono. Fare bene un prodotto, partendo dalle materie prime per crearlo.

Sembra che “fare bene” sia il motto di Fabio Ditto – fondatore di Kbirr – birrificio tutto made in Campania situato nella provincia napoletana – a Giugliano di Napoli – che della territorialità ne ha fatto il suo vanto di eccezione.

“Per anni ho lavorato come importatore in questo settore. Ho visto crescere e incrementare molte attività campane, eppure nessuno che volesse affidarsi integralmente solo alla produttività di questa terra. Alla fine ho deciso di fare il salto, cercando di creare una ricchezza che partisse proprio da qui”.

Correva l’anno 2016 e Ditto apriva i battenti con la sua microazienda: “era un goccificio più che birrificio. Con una produzione di appena 600 ettolitri. Con Achille Certezza – il nostro mastro birrario – cercavamo la cotta perfetta, il luppolo giusto .. e poi finalmente è arrivata. “Ua e che birr” la prima esclamazione quando ci siamo guardati! E da qui è nato anche il nome della nostra azienda.”

Chissà se avrebbe immaginato che dal suo piccolo sogno sarebbe nata un’eccellenza imprenditoriale nel mondo. Con oltre trecentomila litri annui prodotti – oggi Kbirr – si appresta, infatti, a diventare una delle più interessanti realtà brassicole artigiane del nostro Paese.

Eppure di acqua (anzi di birra) ne è passata prima che arrivassero gli elogi del marcato. “Distinzione. E’ questo quello che serve. Perché se nell’industria della birra numeri e volumi raggiungono cifre da capogiro, in quelle artigianali la competizione sta tutta nella capacità di sapersi distinguere attraverso la qualità”.

Per far questo serviva anzitutto un mastro birrario attento e appassionato, come Achille Certezza che, dismessi gli abiti da architetto, è oggi completamente immerso nel fermentato di malto, con una cura ed una passione che paiono tangibili in ogni Kbirr che porti la sua firma.

Di certo non bastava più neanche il “goccificio”: era necessario uno stabilimento di avanguardia che potesse sostenere grandi volumi senza dimenticare i crismi del passato. Da qui, la scelta di una cantina verticale – retaggio dei vecchi birrifici di un tempo quando non c’erano le pompe di sollevamento – con sistemi a caduta tra i tini di bollitura e quelli di ammostamento posizionati esattamente nel piano inferiore, per scendere in ultimo verso le sale delle cotte.

E’ un impianto completamente automatizzato che strizza l’occhio alla sostenibilità ambientale: “tutte le nostre birre non sono filtrate né pastorizzate. Bisogna stare, quindi, attenti alle possibili contaminazioni batteriche ed è necessaria una pulizia maniacale ad ogni singola produzione. Per questo abbiamo creato anche un sistema di recupero delle acque che vengono riutilizzate in fase di ammostamento”. Non esiste al mondo un progetto simile, anche questo vuol dire Campania!

Achille Certezza

Senza dimenticare che, oltre ad evitare sprechi, si recuperano anche fonti di energia rinnovabili: “contiamo a breve di diventare pienamente autosufficienti”, dimostrando anche una forte attenzione verso gli standard ambientali dell’UE.

Ma fare bene per Kbirr passa non solo attraverso un’economia sostenibile, ma anche circolare: “la maggior parte dei nostri fornitori sono tutti campani. Al massimo arriviamo alla Toscana ed al centro Italia”.
Oggi il brand esplode letteralmente, con distribuzioni in mezzo mondo: “esportiamo in quasi tutta Europa, in Giappone e una parte degli Stati Uniti. E dal mese prossimo anche in Australia”.

Una qualità che sa viaggiare all’unisono con i trend del momento attraverso grafiche coinvolgenti e nomi spiritosi che inneggiano al Neapolitan style. Un bel biglietto da visita per parlare così anche ad un pubblico meno edotto su luppoli e tecniche di produzione.
Perché la “Beer Revolution” passa anche da qui: essere al passo coi tempi e le mode, senza dimenticare l’arte ancestrale della sapienza del lavoro e della ricerca delle materie prime.

Rincara la dose Fabio Ditto: “volevo rendere fruibile la qualità attraverso un prodotto popolare come la birra. Ma c’è qualcos’altro che volevo che fosse, poi, a disposizione di tutti: l’arte. Sono convinto che per rasserenare gli animi bisogna circondarsi costantemente di bellezza. Per questo ho scelto la collaborazione con artisti come Alessandro Flaminio, Pasquale Manzo e Luca Carnevale ai quali va il merito di aver contribuito alla realizzazione del progetto #drinkneapolitan con la realizzazione di etichette stilose ed iconiche”. Così come al pari le reinterpretazioni grafiche di Maura Messina o le continue ispirazioni fornite dalla collaborazione con l’artista Roxy in the box.

Oggi il progetto Kbirr conta sette etichette tra Lager, Strong Lager, Scotch Ale, Imperial Stout, Red Strong Ale, American Pale Ale e Golden Ale. E ogni tipologia sembra avere un preciso compito, quello di narrare, tra profumi e gusto, l’eclettismo di una città viva e scaramantica come Napoli a partire dai nomi che ognuna di esse ha, dai significati estrinsecamente napoletani. “Sono tutti termini venuti fuori all’improvviso durante le continue chiacchierate con Achille, tra una discussione su una nuova ricetta o una prova di degustazione”.

La degustazione

In una giornata riservata alla stampa di settore – occasione per visitare anche l’ampliamento produttivo del birrificio e della sala degustazione con le nuove opere artistiche del digital artist Luigi Gallo e del designer Luigi Masecchia – un lungo leit motiv tra birra e cibo è stato garantito dallo chef Domenico Iavarone – stella Michelin del ristorante Josè Villa Guerra di Torre del Greco – e dal maestro cioccolatiere Giovanni Borreca della Pasticceria Pink House di Aversa attraverso proposte culinarie realizzate attraverso l’utilizzo – tra gli ingredienti – anche delle birre Kbrirr.

Assafà Natavota – La birra dello scudetto
Una birra da bere tutti i giorni, di quelle che hai voglia di berla “natavota” (un’altra volta). Ed effettivamente questa Lager si lascia bere con facilità, senza mai essere scontata grazie a quel retrogusto di fiori gialli e frutta esotica che sembrano andare incredibilmente d’accordo. E’ un #musthave dell’azienda, presentata quest’anno in un’edizione speciale realizzata da Luca Carnevale per ricordare la vittoria calcistica napoletana 2023.

Pullicenhelll – una Hoppy Ale che cela – tra note di agrumi e scorza di arancia – non solo un elogio alla maschera simbolo di Napoli, ma anche a quella parte di Napoli più “rovente”, a quel popolo fatto di pizzaioli che vive tra i calori incandescenti dei forni a legna e così dando vita all’altro simbolo della città. E qui il connubio grafico è tutto merito dall’artista Pasquale Manzo.

#CuorediNapoli – l’American Pale Ale (APA) la cui etichetta riprende il marchio registrato dall’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Un vero e proprio brand della città che in Kbirr si esprime tra agrumi olfattivi e tanta vivacità gustativa dove è il luppolo a mostrare la sua nota in evidenza.

Paliata – un Imperial Stout giocata tra le sensazioni dolci del malto e quelle speziate di liquirizia. Un gusto impegnativo e strutturato. Esattamente come una “paliata”, che tra morbidezza e dotazione alcolica quasi si impone al palato lasciando una scia di notevole persistenza sul finale.

Cap’e Fierro -l’ultima nata in casa Kbirr è’ una Strong Lager le cui vesti sono state affidate ad Alessandro Flaminio, scultore napoletano che dell’iconografia di San Gennaro ne ha fatto anche la sua principale firma artistica. L’austerità di un santo come San Gennaro la si ritrova in un gusto deciso di note dolci – tra miele e noci – e in un corpo pieno che chiude tra lidi amaricanti e una potente avvolgenza gustativa.

Birrificio Kbirr
Via Salvatore Piccolo, 133
Zona Industriale ASI, Giugliano in Campania

La ricchezza e la complessità del “Vitigno Salerno”

di Ombretta Ferretto

Si è concluso lo scorso 30 maggio, al Green Resort di Chiusano di San Domenico (AV), l’evento “I vini della dieta mediterranea wine tour: il mese dei vini di Salerno in Campania”.

Un’agenda di cinque incontri, organizzata dal Consorzio Vita Salernum Vites, che ha toccato le province campane durante tutto il mese di maggio, con il preciso intento di valorizzare il patrimonio vitivinicolo della provincia di Salerno.

Quella del Green Resort è stata una serata di riflessioni conclusive: partendo dalla dettagliata presentazione del territorio salernitano, attualmente rappresentato in cinque denominazioni (Castel San Lorenzo DOC, Costa d’Amalfi DOC, Colli di Salerno IGT, Cilento DOC, Paestum IGT), proseguendo con una degustazione alla cieca che aveva lo scopo di evidenziare le diverse tipicità dei vini in base al territorio di produzione.

Alla serata, moderata dalla giornalista Fosca Tortorelli, sono intervenuti i produttori Guido Lenza, delle Aziende Agricole Lenza di Pontecagnano Faiano, e Ciro Macellaro, dell’Azienda Vitivinicola Tenuta Macellaro con sede a Postiglione (SA).

La giornalista Fosca Tortorelli

Il territorio vitivinicolo di Salerno, con un’estensione di quasi cinquemila chilometri quadrati e tremila ettari vitati, si presenta estremamente variegato: a partire dalle scogliere della Costiera Amalfitana fino al Vallo di Diano, passando per il Massiccio degli Alburni e i lunghi litorali tra Paestum e Agropoli, coesistono diversi terroir in grado di dare origine a vini notevolmente differenti, a base non solo dei classici vitigni campani, come Falanghina o Piedirosso, ma anche di molteplici varietà autoctone (basti pensare a Ginestra e Ripoli nella DOC Costa d’Amalfi o all’Aglianicone nella DOC Castel San Lorenzo).

Le attuali cinque denominazioni d’origine non sempre sono in grado di descrivere adeguatamente tale complessità e spesso vanno a sovrapporsi l’una con l’altra creando confusione nella scelta finale da parte del consumatore. Un problema non di poco conto, in un settore dalla qualità media dei vini in forte crescita.

Sono stati serviti otto campioni (tre bianchi, tre rosati, due rossi): scopo della degustazione alla cieca era individuare l’areale di appartenenza di ciascun vino e solo al termine dell’intera degustazione sono state rivelate al pubblico le etichette.  In accompagnamento i raffinati finger food dello chef Gerardo Urciuoli, ispirati a piatti della tradizione campana.

I tre bianchi sono stati oggetto del primo confronto. Si trattava di un IGT Paestum, un IGT Salerno, un DOC Costa d’Amalfi.

Il primo campione è stato individuato senza alcun dubbio come il DOC Costa d’Amalfi: salino in bocca, si distingueva per le note agrumate, di erbette mediterranee, di ginestra. Si trattava di Tredici 2022 – DOC Costa d’Amalfi della cantina Tagliafierro in Tramonti, un blend da uve Pepella e Falanghina.

Declinato su sfumature più dolci di miele d’acacia e cera d’api, morbido al palato, il secondo campione era invece un Colli di Salerno IGT, Falanghina 2021 dell’Azienda Agricola Aita in Eboli.

L’ultimo in degustazione tra i bianchi evidenziava immediatamente un timbro più evoluto e strutturato con sentori di idrocarburi e note agrumate su una scia balsamica di menta piperita. Si trattava di un blend di Fiano e Falanghina, da vigneti fino a duecento metri: Ripaudo 2021 IGT Paestum della Tenuta Macellaro in Postiglione.

Tre bianchi, tre denominazioni situate lungo una direttrice nord-sud che in poco meno di cento chilometri tocca la Costa d’Amalfi, con la sua viticultura eroica, passa per il Parco regionale dei Monti Picentini ed il Monte Raione e arriva all’estremo confine nord del Parco nazionale del Cilento.

Il confronto tra i successivi rosati si è rivelato più interessante per la non immediata riconducibilità dei campioni ai relativi vitigni e areali di produzione. I primi due erano vini frizzanti, lavorati con metodo ancestrale: succose le fragoline di bosco, tra petali di rosa e sentori di maggiorana nel Piedirosso in purezza del Gabry Rosato Frizzante 2022 IGT Colli di Salerno – Aziende Agricole Lenza in Pontecagnano Faiano; sorso più materico e complesso, declinato su frutta matura scura, l’Aglianico in purezza de Il Fric 2021 IGT Paestum di Azienda Agricola Casebianche in Torchiara. Grande bevibilità, infine, per l’ultimo tra i rosati, declinato tra sentori di fiori freschi e lampone: Ronnorà 2022 Paestum IGP di Donna Clara in Licusati.

A concludere la degustazione i due campioni rossi: un Colli di Salerno IGT e un Castel San Lorenzo DOC.

Fiori scuri e frutta rossa fragrante caratterizzavano i sentori nel primo calice, capace di evidenziare al sorso anche note speziate di pepe bianco ed erbe balsamiche. Individuato come un Costa d’Amalfi (a dirla tutta completamente fuori luogo), era invece il Piedirosso 2021 Colli di Salerno IGT, delle Cantine Giuseppe Apicella, che in Tramonti vinifica utilizzando entrambe le denominazioni.

Scuro al naso, con note fumée, di tostature e di mora di rovo, l’Aglianicone in purezza Castel San Lorenzo DOP dell’Azienda Agricola Cardosa di Marco Peduto. Castel San Lorenzo DOP è la denominazione più piccola della Provincia di Salerno, l’unica senza sbocchi sul mare e l’unica che prevede nella sua base ampelografica l’utilizzo dell’Aglianicone, vitigno autoctono recentemente riscoperto anche in altre zone del salernitano.

Al termine della serata non poteva che sorgere la riflessione sull’ampiezza del “Vitigno Salerno”, non solo in termini geografici, ma anche di sfaccettature gusto-olfattive, che trovano la loro radice nella ricca base ampelografica e nell’enorme diversificazione del suo terroir.

Vini d’Abbazia: una lunga storia dal Medioevo ad oggi

di Silvia De Vita

Per chi ama andare alla scoperta di tradizioni, culture e popoli, il vino consente di intraprendere facilmente viaggi attraverso il tempo, i costumi e i patrimoni intellettuali radicati nella nostra Penisola, (e non solo). L’Italia e l’Europa hanno una lunga storia legata ad abbazie e monasteri e al contributo che essi hanno dato alla salvaguardia della viticoltura tradizionale.

Sin dal Medioevo, le abbazie hanno avuto un ruolo cardinale non soltanto nella produzione di vino per messe e autoconsumo, ma anche nella preservazione dei “cépages” (le varietà d’uva) che altrimenti sarebbero andati persi come ha spiegato Rocco Tolfa, giornalista del Tg2, uno degli ideatori della manifestazione

E’ una storia questa che merita sempre di essere raccontata… ed è successo con la seconda edizione di “Vini d’Abbazia” nella splendida cornice dell’Abbazia di Fossanova – il più antico esempio d’arte gotico-cistercense in Italia, risalente al XII secolo.
Protagoniste dell’evento sono state proprio le abbazie, assieme a monasteri e conventi dislocati su tutto il territorio italiano e francese. Banchi di assaggio di oltre 30 cantine produttrici hanno accompagnato i visitatori, appassionati di vino e operatori del settore, in un viaggio senza confini. Tante etichette provenienti da selezioni curate da religiosi e enologi esperti.

“La scelta delle aziende, come ribadisce Marco De Cave della cooperativa Taste Roots, si è basata sul prestigio e sulla ricerca estenuante. Molte di queste sono tuttora attive, gestite da monaci e suore di diversi Ordini. Altre, lavorano in simbiosi con le abbazie stesse, avendone acquisito le competenze o la gestione diretta. Altre hanno proprio rilevato tali cantine, riprendendo le tradizioni e i progetti locali”.

Ben rappresentato il Lazio, con i vini artigianali del Monastero delle suore Trappiste di Vitorchiano, dell’Abbazia di Valvisciolo di Sermoneta e dell’Abbazia di Casamari a Veroli che domina il torrente Amaseno, e dai vini prodotti nel territorio pontino con le Cantine che aderiscono alla Strada del Vino di Latina: Sant’Andrea, Marco Carpineti, Casale del Giglio, Cincinnato, Pietra Pinta, La Valle dell’Usignolo, Villa Gianna, Donato Giangirolami.

In Campania, la Cantina Feudi di San Gregorio ha voluto dedicare uno dei loro vini più importanti all’Abbazia del Goleto che, fondata nel 1133 a Sant’Angelo dei Lombardi, ha salvato i vitigni autoctoni campani Greco di Tufo, Fiano e Aglianico dalla scomparsa; presente anche Abbazia di Crapolla di Vico Equense.

In Alto Adige, Abbazia di Novacella, quella di Muri-Gries e della Cantina Valle Isarco che cura i vigneti del Monastero di Sabiona; Abbazia di Praglia – Monastero Benedettino della provincia di Padova – e l’Abbazia di Busco del Veneto; l’Abbazia di Rosazzo del Friuli Venezia Giulia, i cui vigneti millenari sono affidati alla Cantina Livio Felluga.

La Toscana è stata rappresentata dalla Badia di Passignano (Abbazia di Vallombrosa), le cui storiche cantine sono in uso da parte della Famiglia Antinori, dall’Abbazia di S. Maria di Monte Oliveto nel Senese, La Pieve di Pievasciata, una delle più antiche del territorio chiantigiano, dal Monastero dei Frati Bianchi di Fivizzano (Massa Carrara), ; mentre l’Umbria e il suo legame tra vino e religione verrà raccontato dall’Azienda Agricola Arnaldo Caprai e dal Monastero di Bose, con le uve coltivate nelle terre del Monastero di San Masseo ai piedi del centro storico di Assisi.

”Le novità di quest’anno sono state diverse, continua Marco De Cave: La presenza delle cantine di abbazie francesi con le quali è nato un gemellaggio proficuo; la collaborazione con Slow Food, con la presenza dei suoi presidi e del suo presidente Carlo Petrini; e la vicinanza al territorio grazie alle diverse iniziative ed experiences connesse in zona”…

Ad arricchire l’evento, inoltre, le diverse Masterclass che si sono susseguite nei 3 giorni.  Di particolare rilievo è stata quella de “I vini autoctoni della provincia di Latina”, alla scoperta di Nero Buono, Bellone, Malvasia Puntinata e Moscato di Terracina condotta magistralmente da Umberto Trombelli, delegato di AIS Lazio- Sez. di Latina.  Marco Caprai, della Cantina Arnaldo Caprai, e Antonio Capaldo, di Feudi di San Gregorio,  esempi di eccellenza italiana nel mondo, per la prima volta insieme, moderati da Isabella Perugini (della Rai), hanno raccontato i loro vini e il legame con le abbazie.

Un’occasione unica per scoprire i “Vini d’Abbazia francesi” è stato l’incontro con l’Associazione Les Vins D’Abbayes.  Inoltre, gli approfondimenti su “La strada del Cesanese”, il vino dei Papi, e su “la cantina Valle Isarco” hanno permesso di conoscere meglio questi territori e le cantine che li rappresentano. Il Consorzio Atina Cabernet DOP ha raccontato l’esperienza della rinascita di un territorio nel cuore della Ciociaria, dove il Cabernet Sauvignon ha trovato il suo habitat già dall’800. Un’opportunità rara è stata la degustazione dei vini naturali del Monastero Trappiste di Vitorchiano, descritti da Giampiero Bea.

Vini d’Abbazia è stata organizzata dall’Associazione Passione di Vino, Taste Roots Soc. Coop., con il Comune di Priverno e la Regione Lazio, ARSIAL, in collaborazione con la Strada del Vino di Latina, Slow Food Lazio, e Slow Wine e Associazione Italiana Sommelier.

Alla prossima edizione!

“TUTTOPIZZA” 2023: GIUNTO ALLA SESTA EDIZIONE SI RICONFERMA UN GRANDE SALONE INTERNAZIONALE

di Paolo Loffredo

Tre Padiglioni alla Mostra d’Oltremare di Napoli probabilmente iniziano ad essere pochi per il TUTTOPIZZA, evento fieristico che si propone di essere il primo vero riferimento nazionale per i professionisti del settore.

Oltre il 30% in più di espositori, con due grandi novità: un Padiglione allestito a mo’ di ring a cura di uno dei Main Sponsor della Fiera, il Gruppo Perrella Network, dove i Maestri Pizzaioli, da Valentino Tafuri a … si sono metaforicamente “sfidati” con tanto di guantoni fino all’ultimo impasto, a un intero settore dedicato alle birre artigianali, TUTTOBIRRA.

Oltre 40.000 visitatori registrati in 3 giorni e ben 180 marchi presenti. L’evento, a ingresso gratuito, solo per addetti lavori, ha riconfermato la sua capacità di intercettare correttamente domanda e offerta, mettendo in relazione il mondo dei pizzaioli il mondo imprenditoriale.

Grande spazio è stato lasciato anche alle associazioni di settore, con masterclass di rilievo e temi ben identificati, dal “Pizza Tradizionale Day” ai pairing, quindi tanta possibilità di formazione e aggiornamento, oltre che di relazioni. La vocazione del TUTTOPIZZA diventa sempre più internazionale, con uno sguardo rivolto e focalizzato al futuro di questo settore.

“Castelnovino”: Castelnuovo Berardenga (SI) racconta i suoi vini

di Adriano Guerri

Venerdi 02 giugno si è svolta l’8° edizione di Castelnovino, evento dedicato ai viticoltori e ristoratori di Castelnuovo Berardenga (SI), storica sottozona del Chianti Classico. Nella splendida cornice di Villa Chigi Saracini sono state presentate le etichette riguardanti anche il Chianti Classico Docg versioni annata e Riserva.

V’era inoltre la possibilità di degustare altre tipologie tra bianchi, rosa, bollicine e rossi a denominazione Igt. La kermesse aveva subito uno stop durante la pandemia e adesso è tornata ai fasti del passato. Un appuntamento nato nel 2014 con il beneplacito delle organizzazioni del settore, desiderose di farsi conoscere agli appassionati.

Castelnuovo Berardenga è l’areale più a sud del Chianti Classico. Un luogo di straordinaria bellezza, con colline dai suggestivi borghi, immerse tra boschi centenari, oliveti. Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, tuttavia sono presenti anche altre varietà sia autoctone che alloctone. Il Chianti Classico per disciplinare deve essere prodotto con un minimo di 80% da uve di Sangiovese e consente l’utilizzo di comprimari alla perfetta riuscita stilistica del vino.

Una zona da sempre a forte vocazione vitivinicola, con prodotti di buona struttura ed eleganza. Con l’arrivo delle UGA (Unita Geografiche Aggiuntive), l’orientamento degli appezzamenti “a mo’ di farfalla” si è diviso, con la parte sinistra ricadente nella sottozona Vagliagli e la parte destra invariata su Castelnuovo Berardenga.

A livello sensoriale i vini riflettono un colore rubino intenso e trasparente, con sfumature maggiormente granato nella tipologia Riserva e Gran Selezione. Naso da note tipiche del Sangiovese: violetta, ciliegia e prugna, su finale di sottobosco, liquirizia e spezie. Tannini nobili, eleganza al sorso,  avvolgenza e persistenza lo rendono un vero campione di razza.

Ecco alcuni  tra i miei migliori assaggi

Chianti Classico Riserva Il Grigio da San Felice 2020 San Felice

Chianti Classico Riserva Vigna di Misciano 2019 Borgo Scopeto

Chianti Classico Riserva Fortezza dell’Aiola 2019 Az. Fattoria dell’Aiola

Chianti Classico Riserva 2018 Poggio Bonelli

Chianti Classico Gran Selezione Celarium 2013 Lecci e Brocchi

Chianti Classico Riserva 2019 Fèlsina

Chianti Classico Riserva Berardo 2019 Castello di Bossi

“CAMPANIA BEER EXPO”AL MANN – MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI

Comunicato Stampa

La città di Napoli ospita il “Campania Beer Expo”, primo Salone regionale della Birra Artigianale promosso dalla Regione Campania, in programma il 5 e 6 giugno prossimi presso il prestigioso MANN – Museo Archeologico Nazionale della città di Napoli.

Un evento organizzato su iniziativa dall’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Campania nell’ambito della Legge regionale della Campania 24 giugno 2020 n. 16 che prevede misure a sostegno della agricoltura di qualità e del patrimonio agro-alimentare nel settore della produzione di birra agricola e artigianale. La Legge regionale tra le altre cose promuove l’attività di identificazione e di valorizzazione della produzione birraia agricola e artigianale della Campania; occasioni e iniziative di informazione, promozione e valorizzazione del prodotto “birra agricola e artigianale della Campania” anche attraverso una fiera annuale della birra agricola e artigianale da tenersi, a rotazione, nei diversi territori della regione.

Il “Campania Beer Expo” si inserisce in un momento particolarmente interessante per il settore agroalimentare italiano e la Campania in tal senso presenta un patrimonio estremamente ricco di risorse di notevole pregio sotto il profilo agro-alimentare, dotato di grande attrattività per numerose tipologie di target ed in grado di generare, se adeguatamente sviluppato, un significativo impatto sul sistema socioeconomico regionale. La scelta del MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli è legata alle caratteristiche di questa istituzione culturale, tra le più antiche ed importanti istituzioni culturali al mondo, per ricchezza e unicità del patrimonio e per il suo contributo offerto al panorama culturale europeo. Imponente nell’architettura e nelle collezioni, protagonista della vita culturale in città, è una struttura aperta alla modernità e alle contaminazioni. 

Il “Campania Beer Expo” rappresenta un’occasione unica per scoprire e apprezzare la scena della birra artigianale campana. L’evento vedrà infatti in primo piano una selezione di birrifici regionali, dando ai partecipanti l’opportunità di assaporare una vasta gamma di birre di alta qualità. L’evento è dedicato ai beerlovers e agli operatori specializzati, con banchi d’assaggio, Masterclass e BeerLAB, incontri B2B e una serie di attività coinvolgenti, tra cui il percorso degustazione nel suggestivo Giardino della Vanella del MANN, e la presenza di nomi di primissimo piano nel mondo brassicolo italiano e internazionale.

L’apertura ufficiale si terrà lunedì 5 giugno alle ore 15e30 con la tavola rotonda intitolata “Autenticamente campana: la birra artigianale dagli albori alla biodiversità”, che vedrà la partecipazione della Regione Campania e di importanti rappresentanti del settore, tra cui il presidente nazionale di Unionbirrai, Vittorio Ferraris, il presidente regionale di AIS Campania, Tommaso Luongo, Lorenzo Dabove “Kuaska”, considerato una delle figure più influenti nel mondo della birra artigianale in Italia, e Teo Musso, presidente “Consorzio Birra Italiana” per la Tutela e Promozione della Birra Artigianale Italiana da Filiera Agricola, padre putativo della birra artigianale in Italia. Nel corso del primo giorno, si terranno anche due Masterclass di grande interesse. La prima, intitolata “La Campania capitale della pizza e della birra“, vedrà gli interventi del rinomato pizzaiolo Giuseppe Pignalosa, di Tommaso Luongo, presidente regionale AIS Campania, e del giornalista Luciano Pignataro. La seconda Masterclass, dal titolo “La biodiversità del territorio come ingrediente della birra“, sarà tenuta da Alfonso Del Forno, giornalista enogastronomico e referente regionale UBT (Unionbirrai Beer Tasters).

La giornata successiva, martedì 6 giugno, offrirà ulteriori opportunità di esplorare il mondo della birra artigianale. Nel Giardino della Vanella si terrà un percorso degustazione con banchi d’assaggio, dove i partecipanti potranno scoprire le eccellenze dei birrifici aderenti all’evento. Saranno inoltre organizzati incontri B2B per favorire lo sviluppo di collaborazioni tra i produttori e gli operatori del settore. Il martedì pomeriggio si terrà anche un BeerLAB dal titolo “Come comunicare la birra artigianale?“, che includerà interventi di chi svolge un ruolo fondamentale nel fornire ai clienti un’esperienza di qualità nel consumo di birra, i publican: parteciperanno Antonio Romanelli di “Hoppy Ending” e Fabrizio Ferretti di “Mosto – Birra&Distillati” con Gabriele Pollio, delegato AIS Napoli. Successivamente, si svolgerà una Masterclass dal titolo “Equilibri di Gusto”, con interventi di Gabriele Pollio, delegato AIS Napoli, e Lorenzo Dabove “Kuaska”.

Nel Giardino della Vanella saranno riservati spazi speciali per la Regione Campania e per AIS Campania, dove sarà possibile approfondire le peculiarità del territorio e dell’associazione. La giornata si concluderà con un BeerLAB incentrato sul tema “Birra e turismo: la Campania da scoprire“. Gli interventi saranno tenuti da Vito Pagnotta, socio fondatore e consigliere del Consorzio Birra Italia, e Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana.

Ecco i birrifici aderenti all’evento “Campania Beer Expo”: 082TRE, Skapte Handcraft Beer, Cifra, Cuoremalto, Kbirr Napoli, Microbirrificio Artigianale Incanto, Birrificio Ventitré, Serrocroce – La birra artigianale da filiera agricola, Terravecchia, Parthenya, Birrificio Artigianale Napoletano N’Artigiana, Birra Karma, Malbrewing, Birrificio Sorrento, Magifra Excellent Craft Italian Beer, Microbirrificio artigianale 84030, Maestri del Sannio, Microbirrificio Artigianale Okorei e Birrificio Dell’Aspide.

L’evento “Campania Beer Expo” rappresenta un’opportunità unica per immergersi nel mondo della birra artigianale campana e apprezzare la sua diversità e qualità, dedicato a tutti gli amanti della birra e gli operatori del settore per una due giorni indimenticabile dedicata alla birra artigianale campana in un luogo di indiscutibile fascino nel cuore di Napoli.Tutte le informazioni anche per ticket e prenotazioni su www.campaniabeerexpo.it.

Gaja: una semplice storia di famiglia

di Ombretta Ferretto

“Sono nato a Barbaresco, un piccolo paese di seicento anime, che ha dato il nome al vino”.

Ha esordito così Angelo Gaja all’Hotel Renaissance Mediterraneo, nella lectio magistralis che ha emozionato la platea di appassionati e professionisti del vino. Una narrazione durata quasi tre ore passando attraverso ricordi di famiglia, grandi successi e nuovi progetti.

Passato, presente, futuro sono stati i fili conduttori che hanno intessuto la trama di un racconto di famiglia, iniziato a metà del diciannovesimo secolo in un minuscolo comune della Provincia Granda e giunto oggi a lambire l’Etna, passando attraverso Montalcino e Bolgheri tra le varie tenute in proprietà. Protagonista indiscusso il vino, straordinario portatore di cultura e vero ambasciatore del Made in Italy nel mondo.

Non ha bisogno di presentazioni Angelo Gaja, della quarta generazione di una cantina sita all’indirizzo storico di via Torino, nel comune di Barbaresco. Classe 1940, nipote di Clotilde Rey, maestra di origine francese, e di Angelo, “produttore di vini di lusso e da pasto”, è lui che ha diffuso il nome del Barbaresco nel mondo, proseguendo nell’intento che era già stato del padre Giovanni di “fare un Barbaresco migliore del Barolo” .

La riconoscenza va a nonna Clotilde e al padre Giovanni, i primi maestri a indirizzarlo su quella strada che Angelo ancora percorre, avendo ben chiaro dove ricercare le origini del proprio successo. Si definisce un artigiano, facendo propria una frase della nonna: fare, saper faresaper far farefar sapere. Un elogio al lavoro manuale, che, nel perseguimento di un progetto, deve andare di pari passo all’ingegno, alla capacità di trasmettere l’arte alle generazioni successive e al talento di diffonderlo sul mercato.

L’83% dei viticoltori italiani sono artigiani per cui il motto “piccolo è bello” suona all’orecchio più intonato quando diventa “piccolo è difficile”, ed è proprio in questa prospettiva che Angelo vede ancora il suo lavoro e quello della cantina di famiglia. Alla base del suo progetto i pochi e semplici insegnamenti del padre: pensare fuori dai luoghi comuni, non adagiarsi mai sulle certezze, rispettare sempre il lavoro degli altri. Un progetto che pone al proprio centro il vino come portatore di valori, paesaggi, umanità perché chi sa bere, sa vivere. In questa visione vanno collocate la volontà e la capacità di interpretare altri terroir fuori dalle Langhe.

Al 1994 risale l’acquisizione di Pieve Santa Restituta in Montalcino e due anni dopo di Ca’ Marcanda a Bolgheri: due realtà vinicole estremamente diverse che hanno imposto una riflessione importante sul futuro. Areali vocati a produzione monovitigno (come Barolo, Barbaresco, Montalcino) devono prepararsi ad affrontare le difficoltà crescenti derivate dai cambiamenti climatici: un serio ragionamento sulla vinificazione in blend come pure l’innalzamento dell’altitudine delle vigne sono solo due delle possibili soluzioni che si prospettano all’orizzonte.

L’affezione alla terra impone inoltre scelte di sostenibilità, perché è necessario “imparare a leggere il presente con gli occhi del domani”. La pratica agronomica nelle vigne Gaja già da tempo prevede  l’inerbimento e le fioriture spontanee; il nomadismo apistico favorito tra i filari è indice della buona salute del vigneto. In questa prospettiva di sostenibilità è nata Ca’ Marcanda, a Bolgheri, una cantina  completamente eco compatibile e integrata nel paesaggio rurale, ideata dall’Architetto Giovanni Bo, che ha progettato tutte le cantine di casa Gaja, perseguendo un ideale stilistico incentrato sul sottrarre anziché caricare.

Ombretta Ferretto autore di 20Italie

Angelo ha saputo mantenere il filo conduttore del suo racconto teso tra radici, famiglia e vino come espressione del territorio. Ha concluso parlando a lungo dei figli, Gaia, Rossana, Giovanni, e dell’importanza che riveste all’interno di una realtà artigiana il passaggio generazionale, da curare per tempo e con attenzione, affinché ognuno rivesta il ruolo più adeguato al proprio talento e alla propria volontà di rimanere legati all’attività di famiglia, trovando il giusto equilibrio all’interno di un percorso che, tracciato da tempo, mira a proseguire ancora a lungo.

La successiva degustazione si è concentrata su annate recenti di etichette provenienti da tutti i terroir su cui opera Gaja ed è stata condotta da Tommaso Luongo, Presidente AIS Campania, Franco De Luca, Responsabile della didattica AIS Campania e Gabriele Pollio, Delegato AIS Napoli. E come a voler parafrasare Angelo, che non mette mai il naso nel vino perché il vino preferisce raccontarlo attraverso i luoghi e le persone, ciascuno di questi calici ci ha permesso di immergerci nei rispettivi terroir.

Siamo andati immediatamente sull’Etna, l’areale più lontano dalle origini storiche di Gaja, e al recente progetto di collaborazione con la cantina Graci, in una Sicilia a lungo ammiccata, su insistenza di Giacomo Tachis, e infine raggiunta. È un caleidoscopio di profumi e sapori Idda (Bianco Sicilia dop 2022 Carricante in purezza), “Lei” in dialetto, riferendosi alla natura femminile dell’Etna, capricciosa e al contempo materna. Una passeggiata tra cespugli di ginestra aggrappati a colate laviche solidificate, salino e rinfrescante come il respiro del mare, il sorso appaga senza mai stancare.

Un salto ci riporta indietro in Piemonte, nella Langa di Fenoglio, tra viti raccolte su alberi di frutta, gli alteni, quando la vigna era solo una minima parte delle colture, e i fiori di brassica, che crescono spontanei tra le vigne. Alteni di Brassica (Langhe DOP 2020 – Sauvignon blanc in purezza) è dissetante per la sottile vena di frutto non completamente maturo, ingentilita dalla nettezza dei profumi di sambuco e gelsomino.

Un aneddoto narra che Giovanni Gaja, papà di Angelo, fosse rimasto talmente deluso dalla sostituzione di una vigna di Nebbiolo con una di Cabernet Sauvignon, che passandogli affianco, avesse scosso la testa e borbottato “Darmagi!” (Peccato, in piemontese). Il colore del vino è rosso, sosteneva, per cui, quando fu invece  impiantato Chardonnay, non se ne curò.

Gaia & Rey (Langhe DOP 2021 – Chardonnay in purezza) nasce nel 1983 come omaggio alla nonna di Angelo, Clotilde Rey, ma quando il grafico vide il nome per esteso sull’etichetta, esclamò: “A’m pias nen Clotilde” (Non mi piace Clotilde) e dunque Gaia, allora bambina, affiancò il nome della bisnonna per il primo Chardonnay italiano maturato in barrique. Femminile, elegante, discreto negli sbuffi minerali che riportano alla memoria certi Mersault e si intrecciano alla freschezza calda e avvolgente di agrume candito, che termina in una lunga nota piacevolmente amaricante. Dopo questo sorso, ci sembra quasi di averla conosciuta Clotilde.

Il vino deve essere in grado di restituire il luogo d’origine e dunque la ricerca dei suoi caratteri distintivi deve essere costante. Le vigne di Pieve Santa Restituta crescono a 600 metri d’altezza, per far fronte al cambiamento climatico e all’innalzamento delle temperature. Elegante e snella la 2018 di Rennina (Brunello di Montalcino DOP), tratteggiata dalla balsamicità delicata di origano fresco e timo, è già piacevolmente godibile per la trama vivace ma non invadente del tannino.

Per lo stesso principio di espressività territoriale, le vigne di Ca’Marcanda guardano il mare, godendo del riverbero del sole, mentre i boschi alle loro spalle garantiscono quell’escursione termica necessaria allo sviluppo del profilo olfattivo tipico di questo tratto di costa toscano. Ed è un’esplosione di macchia mediterranea Camarcanda (Bolgheri DOP 2020 – Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc), dove la potenza, governata a regola d’arte, si fa talmente snella e sottile da restituire un tannino setoso su lunghissime scie balsamiche di liquirizia.

Gli ultimi due campioni in degustazione non potevano che riportarci nel Piemonte delle radici e della memoria.

Al naso compatto, scuro, quasi impenetrabile, Sperss (Barolo DOP 2018) evoca già nel nome i caratteri che emergono nei profumi (Sperss significa nostalgia in piemontese). Maschile nelle note di ciliegia sotto spirito, cannella e coriandolo, è sobrio e compatto e mostra il carattere di un vino piemontese di razza, dalla freschezza preponderante e dal tannino che asciuga senza mai aggredire. Ancora una volta l’etichetta celebra una storia di famiglia, perché la vigna di Serralunga da cui sono prodotte le uve di questo Barolo è la stessa in cui Giovanni vendemmiava da ragazzo, ben prima che i Gaja possedessero parcelle di terra nell’areale del Barolo. Solo nel 1988 Angelo riuscirà ad acquisire la vigna, la prima nella denominazione Barolo, la stessa legata ai ricordi della gioventù spensierata di suo padre.

Il Barbaresco 1979 ha concluso l’emozionante serata, tre ore in cui tempo e spazio sono rimasti sospesi nel racconto affascinante dal sapore piemontese di Angelo Gaja. Il tempo sembrava essersi fermato anche per quest’ultimo calice, che solo nell’aspetto tradiva il carico d’anni sulle spalle e neanche in modo così palese. Elegante, perfettamente coeso, in straordinario equilibrio tra la freschezza ancora appagante e le note evolute di sottobosco, ruggine, incenso, ci è sembrata l’immagine trasposta in vino di un uomo straordinario, che ha scritto un pezzo della storia enoica italiana.

Angelo si è soffermato a lungo sul ruolo della ristorazione  nella diffusione della cultura del vino, attraverso la convivialità, l’accoglienza e la corretta comunicazione, e sulle donne, che negli ultimi venticinque anni hanno saputo imporsi come assaggiatrici più attente e sensibili degli uomini.

Tutti devono fare qualcosa nella vita per vivere e sostenersi, ma solo l’artigiano ha un suo progetto nel quale profonde impegno costante; quando il progetto viene realizzato, allora l’artigiano deve diventare un maestro di bottega che trasferisce il saper fare; infine bisogna essere capaci di andare sul mercato e far conoscere il proprio progetto.

L’etichetta minimal nera e bianca ha reso celebre nel mondo il marchio Gaja : il nero idealizza il passato su cui non si può più scrivere e su cui è impresso solo il nome Gaja; il bianco, invece, è al contempo presente e futuro, ancora scrivibili, ma rappresentati attraverso nell’essenzialità delle informazioni d’etichetta.

Roma Doc – “Roma DOCet”

di Alberto Chiarenza

Quando leggo Roma, il mio pensiero non può fare a meno di andare alla Roma imperiale, che ha portato la gloria in tutto il mondo allora conosciuto e raggiungibile. Ho in mente la scena del film Il Gladiatore che si precipita sul nemico al galoppo incitando le sue armate gridando, “al mio segnale scatenate l’inferno”.

Film a parte, oggi vedo quella energia nei produttori che hanno il desiderio di far conoscere questa giovane realtà con convinzione e determinazione e con il desiderio di comunicare al mondo intero, che il vino di Roma sta tornando e sarà una sfida interessante di cui d’ora in poi sentiremo spesso parlare.

L’energia si percepisce, ma saranno pronti i produttori a collaborare in armonia con lo scopo comune di una crescita di tutti, nel bene della Denominazione?

Il progetto del Consorzio di Tutela Vini Roma DOC voluto dal Presidente Tullio Galassini è stato chiamato Roma DOCet, come a significare che Roma insegna e… molto altro. Il progetto è stato affidato alla Agenzia di Comunicazione MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni, oltre che l’Agenzia Gheusis di Silvia Baratta.

Lo scopo, direi raggiunto, è stato quello di promuovere il vino della Denominazione “Roma” e di tutelarne la qualità del prodotto, molto apprezzato in tutto il mondo, importante risorsa per l’economia locale. Tra le attività del Consorzio ci sono la promozione enogastronomica attraverso eventi e manifestazioni, la partecipazione a fiere del vino e la creazione di strumenti per informare i consumatori sulle caratteristiche del vino.

Mi riallaccio all’articolo scritto dal mio collega Morris Lazzoni, con cui abbiamo condiviso il press tour in quattro aziende appartenenti al Consorzio Roma DOC di cui vi parlo delle cantine Poggio le Volpi e Fontana Candida.

Ci troviamo a Monte Porzio Catone alle pendici di quello che, seicentomila anni fa, era un grande vulcano, forse il più grande complesso vulcanico d’Europa e attualmente una montagna vulcanica allo stato quiescente dai terreni estremamente fertili. Un terreno eterogeneo ma ricco di micro elementi minerali e organici che conferiscono ai vini, peculiarità uniche. Una collina in particolare, proprio sotto al paese che porta il nome del celebre oratore romano, Marco Porcio Catone che scrisse in latino un trattato di agricoltura il De Agri Coltura , dove si parlava già di come coltivare la vite, pianta che rivestiva una grande importanza per i romani.

Questa collina oggi, attraversata dall‘autostrada divide da un lato la Cantina  Fontana Candida, con una lunga storia alle spalle e che ha reso famoso il vino Frascati in tutto il mondo, e dall’altro in direzione di Monteporzio Catone, la Cantina Poggio le Volpi importante realtà vitivinicola del Comprensorio con spiccata propensione all’eccellenza.

Incontriamo prima Alessandro Jannece, Responsabile della Comunicazione di Fontana Candida che ci accoglie e ci parla di questa storica cantina, accompagnandoci attraverso un percorso che passa dagli impianti di imbottigliamento, ai vigneti, alla bottaia e a seguire nella grotta scavata nel terreno vulcanico dove sono ben evidenti le stratificazioni delle colate laviche. In questa grotta la temperatura è costante tutto l’anno a circa 10/12 gradi, qui vengono riposte le bottiglie in affinamento e le Riserve. Dopo la grotta è stata la volta della visita in sala degustazione, in una raffinata e storica palazzina dove abbiamo degustato i vini Roma DOC Bianco e Rosso, oltre a concederci la degustazione delle altre referenze tra cui due annate storiche del famosissimo Frascati Superiore Riserva Luna Mater.

L’uva per la produzione del vino proviene da circa 350 ettari di estensione di cui circa 20 di proprietà, che permette di produrre dai 3 ai 4 milioni di bottiglie/anno in base alla annata. Fontana Candida rappresenta il 45% della produzione della Denominazione Frascati. Si tratta di una delle realtà più significative nell’ambito della produzione vinicola nella zona, tanto che la sua storia è radicata nel territorio dal 1957, anno della fonazione e trova la sua espressione più autentica nelle colline dei comuni di Frascati, Grottaferrata e Monte Porzio Catone, ma non solo. Anche i comuni di Roma e Montecompatri contribuiscono alla produzione.

Dagli inizi degli anni 2000 la cantina è stata rilevata dal Gruppo Italiano Vini, che ha scelto l’enologo Mauro Merz, originario di Trento e laureato in Enologia all’Università di San Michele all’Adige (BZ), a dirigere Fontana Candida. Sotto la sua guida c’è stato uno slancio in avanti, in termini di qualità.

Fontana Candida svetta per tradizione secolare e vastità degli appezzamenti, con il Vigneto Santa Teresa che spicca per la importanza. Con i suoi 13 ettari di superficie, rappresenta un vero e proprio gioiello per l’azienda, oltre agli 8 ettari che circondano la tenuta in cui sussiste trovare una vigna didattica con filari di Malvasia Puntinata allevata con il sistema a conocchia, ovvero con la pianta che si arrampica su quattro canne unite alla sommità.

Il vino Roma DOC viene vinificato in bianco, con uve Malvasia Puntinata e Bombino e il rosso, con uve Montepulciano e Cesanese. Sia per il Roma DOC Bianco  che per il Roma DOC Rosso, sono stati selezionati vitigni autoctoni proprio per valorizzare il territorio laziale. Una Produzione di 50.000 bottiglie suddivise equamente tra Bianco e Rosso, sono destinate anche al mercato giapponese.

Poggio le Volpi nasce da una famiglia di agricoltori con una tradizione che inizia dal 1920. Felice Mergè, rappresenta la terza generazione della famiglia ed è lui a dar vita all’attuale realtà proprio su questo “poggio” dove la vista spazia su Roma lo fa innamorare di questo luogo.

Si trova a 400 metri s.l.m. nell’area la dell’antico Tusculum una zona particolarmente vocata che apporta mineralità ai vini bianchi. Il capostipite è stato Manlio Merge che produceva vino sfuso e lo portava a Roma con il famoso carretto usato per rifornire le osterie romane. Da allora ne hanno fatta di strada i Mergè, divenendo uno dei punti di riferimento per il vino romano e non solo, fino ai giorni nostri dove Poggio le Volpi è sinonimo di eccellenza.

Ci accoglie Rossella Macchia, moglie di Felice e Responsabile Commerciale della cantina, che ci accompagna per un percorso molto bello tra piante ornamentali e fiori in un susseguirsi di profumi di primavera, fino alla vigna per poi risalire il Poggio e visitare la bottaia, dove ben allineate troviamo sia tonneaux che barriques, tutte di pregiato rovere francese. Dalla bottaia Rossella ci conduce su una terrazza a sbalzo con vista panoramica sui vigneti con lo sfondo della città eterna più in basso, e qui la sensazione di benessere è evidente perché l’insieme delle percezioni olfattive e visive, appaga la mente e il cuore.

Il bello non è ancora finito perché entriamo nel Ristorante Epos, un vero e proprio gioiello che trasuda bellezza ed eleganza e dovunque cade lo sguardo si notta la cura per ogni minimo dettaglio, per regalare al visitatore un senso di stupore e ammirazione.

Toni caldi e riflessi dorati caratterizzano gli ambienti con una alternanza di elementi di arredo, bottiglie e legni di rovere, la luce soffusa, il soffitto sapientemente coperto di tralci d’uva, che fanno capire di essere in una realtà unica nel suo genere. Felice Mergè è una persona che ama il bello, la buona cucina e il buon vino ed è molto attento a trasmettere queste sensazioni a chiunque venga a visitare la sua cantina e il ristorante.

Il pranzo con abbinamento vini è stato il coronamento di una visita memorabile. L’eccellenza degli ambienti si riflette anche sulla qualità dei piatti con portate, dall’entrée al dolce, che hanno soddisfatto pienamente i palati di tutti i partecipanti al tour.

Best Wine Stars: le “stelle” del vino splendono a Milano

di Carolina Leonetti

Nelle giornate del 20-21 e 22 maggio si è tenuta a Milano, Palazzo del Ghiaccio, la quarta edizione dell’evento-degustazione Best Wine Stars.

Oltre 200 realtà wine e spirit selezionate dalla società Prodes Italia, con ben 800 etichette in degustazione: una bella vetrina per i produttori che hanno avuto l’occasione di presentarsi al grande pubblico e agli addetti del settore. La manifestazione ha avuto anche momenti di approfondimento con talk e masterclass tenuti da esperti organizzate in collaborazione con la sommelier e scrittrice Adua Villa.

Carolina Leonetti autore di 20Italie

Tra le news di questa quarta edizione la presenza di un’area bio dedicata a quelle aziende che hanno fatto della sostenibilità la loro missione. Il giro tra i banchi d’assaggio, accompagnata dalla mia amica e sommelier Marta, si prospetta davvero interessante.

Il tour inizia con la Cantina Merlotta Vignaioli dal 1962. Siamo in Romagna, precisamente a Imola; qui da oltre sessant’anni si coltivano vitigni autoctoni e dalla fine degli anni novanta l’attenzione della cantina alle colture internazionali è stata una carta vincente che ha portato a nuove interpretazioni di Chardonnay e Cabernet Sauvignon.

L’assaggio parte con due bollicine, la prima a base Pinot Nero e Chardonnay: Predio Brut dal nome affascinante “Perla Rara”, qui l’armonia tra l’eleganza dello Chardonnay e la struttura del Pinot Nero danno vita ad uno spumante metodo Charmat Lungo molto interessante, elegante e cremoso con una spiccata mineralità; la seconda è un’interpretazione del vitigno autoctono della zona, il Pignoletto, uno spumante brioso, fresco con note che richiamano la mela golden e rimandi floreali.

Il colpo di fulmine arriva con il loro Romagna Albana Secco “Icona di Stile”, un tripudio di profumi e sapori, dalla frutta tropicale alle note mielate e ammandorlate.  Un vino elegante, sontuoso prodotto da uve che nelle annate favorevoli vengono attaccate della botritys cinerea, una bevuta nobile.

Ci spostiamo in Toscana da Tenuta di Artiminio, posta sui colli del Montalbano ha una storia che si perde nei secoli, dal periodo etrusco al 1596 quando il Granduca Ferdinando I de ‘Medici fece erigere la Villa Medicea “La Ferdinanda”.

La loro produzione spazia dalle blasonate DOGC Carmignano e Chianti, ad un vino che attira per il nome stravagante Vin Ruspo, rosato che vedrei ben abbinato alla pappa al pomodoro, per arrivare alle IGT e l’assaggio di Artumer, blend di Trebbiano e Petit Manseng anticipa le bevute estive.

Scendiamo ancora lo Stivale per arrivare in Abruzzo a Contrada Camerino, dove ad accoglierci troviamo  il patron della cantina La Lignite. Il racconto diretto dei produttori è molto coinvolgente, una storia familiare che parte dai nonni, dal lavoro quotidiano nei terreni fertili e vocati per la coltivazione della vite. Partiti da una piccola produzione ad uso familiare, con gli anni l’azienda si è strutturata per far fronte alla crescente richiesta e per dare vini sempre di ottima qualità. Il nome dell’azienda fa riferimento al luogo in cui si trova il vigneto, su una vecchia miniera di lignite dismessa.

Due sono le linee: Lignite e Montevignani. Non posso tirarmi indietro e li assaggio tutti! Della linea Lignite mi colpisce il rosato, un bel rosato carico da Montepulciano in purezza, un gusto morbido, l’utilizzo esclusivo dell’acciaio per la fermentazione e maturazione esalta le caratteristiche del frutto e del territorio. Montevignani è invece il loro fiore all’occhiello, blend di Montepulciano e Cabernet, affinato in piccole botti, regala una grande finezza e leggerezza gustativa.

Il nostro giro è un po’ strano, decidiamo di risalire la Penisola e approdiamo in Friuli dall’azienda Paradiis che prende il nome dalla piccola frazione Paradiso, nel Comune di Pocenia a metà strada tra Udine e Lignano Sabbiadoro. In questa zona del medio Friuli Venezia Giulia, dove le terre sono definite “terre forti” proprio per la natura geologica dei terreni, particolarmente tenaci, argillosi e adatti alla coltivazione di uve a bassa resa per ettaro, l’azienda produce vini dotati di spiccata personalità spaziando dai vitigni autoctoni a quelli internazionali. Mi soffermo sul Friulano e sul loro Refosco dal peduncolo rosso, e ne riconosco le peculiarità di cui sono grande ammiratrice, due bevute veramente interessanti.

Quando si sta bene e si è intenti a fare cose interessanti non ci si rende conto del tempo che vola. Sono quasi le 17 ed è ora di avvicinarci ai tavoli della masterclass che abbiamo prenotato: “Sensibili alla Sostenibilità” Le aziende protagoniste sono Borgoverde Soc Agricola S.S., Bulichella, Marisa Cuomo e Monviert a raccontarcele Francesco Quarna al fianco di Adua Villa.

Si parte con Isabella, Manzoni Bianco di Borgoverde, per passare alla Ribolla Gialla di Monviert, quindi allo spettacolare Fiorduva di Marisa Cuomo; Il Rubino e Montescristo di Bulichella tra i rossi, ritorna Marisa Cuomo con il Furore Riserva, e si conclude con lo Schioppettino di Monviert e il 39 di Borgoverde.  Otto vini che ci fanno percorrere altrettanti viaggi verso terre così diverse.

La giornata volge al termine, un ultimo giro tra i banchi non può mancare, cos’altro dire se non che non si finisce mai di imparare. E si impara soprattutto parlando con i produttori che sono ogni giorno in prima linea, che affrontano fatiche e difficoltà, che amano la loro terra, che danno vita, per scomodare Galileo, allo straordinario composto di umore e di luce.

Prosit!