Il Presidente di AIS Italia Sandro Camilli parla di enoturismo all’Università di Salerno

Lo scorso 13 Ottobre, il Presidente di AIS Italia Sandro Camilli ha tenuto, presso il DISA-MIS (Dipartimento di Scienze Aziendali-Management e Innovation Systems) dell’Università di Fisciano Salerno, un seminario dal titolo “Enoturismo: la Campania”.

Il Presidente ha parlato per circa un’ora di enoturismo e cultura del vino a una platea di giovani studenti del terzo anno. L’intervento si pone quale spunto di lavoro introduttivo a un’idea progettuale più ampia, elaborata dal Professore Ordinario di Analisi Matematica Ciro D’Apice, che ha lo scopo di potenziare l’esperienza turistica in territori della regione Campania ancora poco valorizzati, creando sinergie tra cultura, gastronomia e vino, e, allo stesso tempo, agendo come leva di de-marketing selettivo nei confronti di aree ormai sature, in primis Costiera Amalfitana e Sorrentina. 

Camilli, citando l’articolo 1 della legge 12 dicembre 2016, n. 238 (testo unico sul vino), che riconosce nel vino un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare, ha sottolineato come l’enoturismo oggi muova un flusso di 13 milioni di persone, pari a 3 miliardi di euro.

Un asset da intercettare assolutamente, anche se l’Italia, rispetto ad altri paesi, presenta ancora forti carenze strutturali.

Per enoturismo intendiamo tutte le attività formative e didattiche (incluse le degustazioni) fino alla commercializzazione dei prodotti all’interno delle aziende vitivinicole, che hanno nel reddito agricolo la propria fonte primaria di sussistenza e che dunque possono trovare ulteriore qualificazione. Perché l’enoturismo risponda coerentemente a una domanda sempre più proiettata verso il turismo esperienziale e territoriale, si rende necessaria una legge fortemente identitaria al fine di evitare le medesime problematiche che, nella normativa sulle attività agrituristiche, derivano dal decentramento legislativo. Solo diffondendo ed elevando la cultura del vino, intesa come sistema di valori legati al territorio, si può creare valore aggiunto di ritorno per quello stesso territorio. E in questo il Presidente Camilli ha ribadito la centralità della figura del sommelier.

La Campania, con le quattro denominazioni di origine controllata e garantita localizzate proprio in quei territori turisticamente più disertati, non sfugge alle logiche di altri areali italiani, che, nella mancata ridistribuzione degli investimenti nelle infrastrutture, trovano la causa principale del loro isolamento.

Da sinistra il Presidente Ais Italia Sandro Camilli e Ciro D’Apice professore ordinario Università di Salerno

Al termine dell’intervento, che ha suscitato interesse tra gli studenti, abbiamo raggiunto il Presidente Ais Italia Sandro Camilli per rivolgergli alcune domande sul tema.

Ha parlato di enoturismo a una platea di studenti di economia e management. Quali sono le sinergie che si possono creare tra Università e mondo del vino per rafforzare un settore ancora carente e disomogeneo in Italia?

<<Tutti i giovani imprenditori che registriamo nel mondo del vino hanno una formazione universitaria di tipo economico, spesso fanno master di specializzazione all’estero e una volta rientrati in Italia prendono in mano le aziende, le trasformano facendo impresa. La formazione universitaria è dunque necessaria, permette di garantire reddito, sfuggendo definitivamente a logiche di povertà che nel passato caratterizzavano le imprese agricole>>.

Cosa sta facendo AIS Italia per migliorare il concetto di enoturismo nel nostro paese?

<<Abbiamo un protocollo d’intesa con il Ministero delle Politiche Agricole, con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con il Ministero della Cultura per mettere a sistema attività sui territori, coinvolgendo anche le scuole, e per sviluppare e promuovere sempre di più il prodotto vino attraverso gli imprenditori agricoli. AIS, con la formazione, vuole rappresentare sempre di più l’anello di congiunzione tra la scuola e il mondo produttivo>>.

Come si fa dunque a intercettare la domanda in una fascia, quella giovanile, che sembra non immediatamente interessata al mondo del vino, secondo quelli che sono i valori della cultura AIS?

<<Non è una domanda facile a cui rispondere, perché i giovani fino a 21/22 anni non sono interessati al mondo del vino. Noi dovremmo invece cercare di entrare nelle scuole e insegnare cosa rappresenta il mondo produttivo della viticoltura insieme al suo prodotto finale, cioè il vino. Parliamo di un patrimonio che ci appartiene, che appartiene all’Italia e dunque è giusto che sia insegnato. La chiave di volta è dunque entrare nelle scuole per fare conoscenza e cultura>>.

L’intervento all’Università di Salerno può essere dunque interpretato in funzione di questo intento, che vede nella formazione rivolta ai giovani il suo pilastro fondamentale.

Montalcino: i vini di Casanova di Neri

Poi un giorno di settembre me ne andai…

Citazione musicale importante per la visita ad una delle cantine più iconiche di Montalcino:  Casanova di Neri. Appena parcheggiato, trovi subito di fronte il meraviglioso skyline del borgo famoso in tutto il mondo per la qualità del suo vino Brunello.

Ci ha ricevuto la solare, gentile e professionale Tiziana Palmieri, la quale oltre ad averci raccontato la storia dell’azienda ci ha fatto fare passeggiare nella vigna adiacente, anticipando così l’ingresso in cantina.  Tre i livelli, prima di entrare in sala degustazione ad assaggiare i capolavori ivi prodotti.
Mentre degustavamo, abbiamo avuto il piacere e l’onore di parlare anche con il titolare Giacomo Neri.

L’azienda vitivinicola è una splendida realtà posta a poca distanza dal centro abitato di Montalcino. Fondata da Giovanni Neri nel 1971, colui che aveva già intuito le grandi potenzialità pedoclimatiche di questo territorio con il preciso obiettivo di produrre un grande vino rosso. Dal 1991 le redini dell’azienda sono passate in mano al figlio Giacomo, affiancato dai figli Giovanni e Gianlorenzo. Un’azienda a conduzione familiare che si estende su 500 ettari, di cui 79 sono vitati. I vigneti sono dislocati in vari versanti e corrispondono agli appezzamenti di: Fiesole, Cerretalto, Collalli, Podernuovo, Pietradonice, Giovanni Neri e Cetine. Variano le altimetrie dai 250 ai 450 metri s.l.m., ed il suolo che è costituito prevalentemente da galestro. Le viti affondano le radici sui terreni da molti anni, alcuni delle quali superano il mezzo secolo.

Le etichette di Casanova di Neri sono molto richieste da collezionisti ed appassionati in ogni parte del globo. Nel 2006, il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 è stato premiato e giudicato come miglior vino al mondo da Wine Spectator,  da molti ritenuta una sorta di vademecum per professionisti del settore e semplici appassionati.
Il fil rouge di ogni vino dell’azienda è la qualità. Rispettosi della tradizione e al contempo pionieri dell’innovazione.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2022 – Rubino intenso, sprigiona note di violacciocca, rosa, marasca e ribes, dal gusto fresco e avvolgente, fine e lungo.

Brunello di Montalcino 2018 – Rosso rubino trasparente, naso di ciliegia, charcouterie, prugna, bacche di ginepro e pepe nero, dotato di trama tannica setosa e grande piacevolezza di beva.

Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2018 – Leggeri i riflessi granati, emana note di prugna, melagrana, cacao, menta e violetta,. Sorso suadente, tannino setoso, preciso e persistente.

Brunello di Montalcino Giovanni Neri 2018 – Rubino vivace, complesso e fine, dalle note olfattive di mirtilli,  prugna, amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Appagante e armonioso.

Pietra d’Onice Toscana Igt 2020 – Cabernet Sauvignon in purezza – Nuance scure e profonde, rivela sentori di mora, mirtillo, cassis e note balsamiche. Chiosa fresco e sapido.

Emilia Romagna: ristorante “Al Vèdel” una storia di famiglia

Una storia di famiglia: così si presenta il ristorante Al Vèdel agli ospiti che varcano la sua soglia.

Ma anche di territorio e tipicità, aggiungiamo noi, raccontate con passione da ben sei generazioni. Era infatti il 1780 quando a Vedole, piccola frazione alle porte di Colorno immersa nella tranquillità della campagna parmense, aprì le porte una bottega con punto di ristoro. Ed è sempre qui, che a distanza di oltre duecento anni, ritroviamo quel casolare, ora trasformato in un elegante e raffinato locale, guidato dallo chef patron Enrico Bergonzi e dalla moglie Edgarda Meldi, assieme alla sorella Monica ed al marito e sommelier Marco Pizzigoni. E poi i rispettivi figli, che potremmo dire nati e cresciuti fra queste mura: Giulia e Carlo e la giovanissima Elisa che già nel weekend fa capolino fra i tavoli.

La famiglia del ristorante “Al Vèdel”

Al Vèdel non ci passi soltanto, ma ci vieni per trovare quel clima accogliente che sa di famiglia, tipico della gente emiliana. Ci vieni per assaporare il gusto della tradizione autentica, tra paste fresche fatte in casa, come gli immancabili tortelli d’erbetta e anolini in brodo, o ancora i prelibati “tortel dols” (antica pasta ripiena tipica di questo lembo di terra, la cui farcia si caratterizza per il gusto agrodolce conferito dalla mostarda di frutti antichi unita al mosto cotto), per arrivare ai secondi di carne, come la punta di vitello ripiena oppure nel periodo invernale i bolliti, senza dimenticare le lumache (da una piccola azienda locale).

Le lumache

Ma al Vèdel ci vieni anche se sei un appassionato di vino, con oltre 1800 etichette inserite in carta, una vera “Bengodi” anche per il collezionista più esperto. E poi i culatelli. Proprio così, al Vèdel ci vieni per farti guidare alla scoperta del Caveau dei Culatelli, la cantina naturale del Podere Cadassa (il salumificio storico di famiglia, annesso al ristorante), dove nel periodo di massimo splendore, stagionano appesi fino a 7.000 culatelli, oltre a fiocchi, salami, pancette, coppe e la rara spalla cruda di Palasone. Un tempio della norcineria, dove regna ancora la regola del fatto a mano, con abili norcini che trasformano un pezzo di carne in una vera eccellenza della salumeria italiana.

Qui vige l’imperativo della qualità senza compromessi e della naturalezza dei salumi. Solo carne, sale, pepe e poi il tempo, per regalare quell’aroma unico di lenta stagionatura, che solo le mura di una cantina naturale sanno regalare. No areazione artificiale, ma apertura e chiusura delle finestre in base alla temperatura e all’umidità del periodo, proprio come si faceva una volta. Nessuno segreto, solo tanta passione e professionalità.

I salumi

Ed è proprio dai salumi che occorre iniziare quando ci si siede alle tavole del Vèdel. In menù troviamo la degustazione classica dei salumi di loro produzione a marchio Podere Cadassa, compresa la Spalla Cotta di San Secondo servita tiepida, un’altra tipicità che contraddistingue la Bassa parmense. Oppure la degustazione delle tre stagionature di Culatello, valutando così le diversità gustative conferite dalla permanenza in cantina. Per arrivare al Gran Nero, ovvero la speciale produzione di salumi di maiale nero, provenienti da allevamenti locali, dove ritrovare il gusto deciso degli insaccati artigianali, caratterizzati da una percentuale maggiore di grasso che conferiscono alle fette un’estrema dolcezza e scioglievolezza all’assaggio.

I “tortel dols”

Parlando di Culatello, occorre precisare che quello presente nella degustazione del ristorante è quello marchiato Terre di Nebbie, che individua una produzione ancora più rigida per questo insaccato, prestando particolarmente attenzione alla filiera della carne, con la scelta di allevamenti sostenibili che tutelano il benessere animale, innalzando così, ancora di più l’asticella della qualità. Ma il Vèdel non vuole dire solo tradizione, la cucina propone infatti anche piatti creativi, dove ritroviamo il pesce, compreso un sontuoso crudo di mare e carni pregiate, come il cervo o la pernice. E quando è periodo immancabile è l’assaggio di tartufo bianco, da gustare al meglio nel risotto alla parmigiana.

Venite… e assaporate.

Al Vèdel

Via Vedole 68

43052 Colorno (PR)

email: info@alvedel.it

Team Costa del Cilento: da Franca Feola dove il pescato del giorno è sempre il protagonista

Franca Feola decide di immergersi tra i fornelli non da subito. Ci vuole prima qualche anno di esperienza e maturazione per concepire finalmente la sua Locanda Le Tre Sorelle a Casal Velino. Tradizione di famiglia nell’amore per il pescato del giorno sempre fresco, sempre di altissima qualità da coniugare ai sapori genuini di un tempo.

Quelli delle primizie dell’orto, magari amplificati da tecniche di cottura solo all’apparenza semplici, eppure tremendamente gustose. Il concetto di cucina boutique, buona solo per gli occhi, per fortuna non appartiene a Franca, che realizza piatti concreti, identitari. Procedere all’interno di un territorio come il Cilento richiede visione creativa, senza smarrire per un secondo l’aderenza a quanto di meglio proposto dall’ambiente circostante.

Contaminazioni sì, ma al giusto prezzo: quello di rimarcare (urge quanto mai) cosa sia la Dieta Mediterranea, tra pomodori colorati e ricchi di sostanze benefiche, pesce azzurro, pasta fatta a mano sfidando il concetto di omologazione. Per il Team Costa del Cilento, l’associazione presieduta da Matteo Sangiovanni, abbiamo qui il racconto di due creazioni di Chef Feola.

La prima riguarda un tagliolino con riccio di mare ed estratto di gambero rosso in olio extravergine di oliva aromatizzato alla rucola. Eleganza e sapore, ben amalgamati dalla sapidità del riccio e dalla delicatezza morbida del gambero.

Il mezzo pacchero con ricciola, pomodorini dell’orto ed erbette aromatiche viene descritto in video da Franca in persona. Compostezza ed equilibrio fanno il resto. La location è suggestiva ed ha possibilità di ospitare gli avventori in comode camere, nel silenzio della collina cilentana, dove la natura regna ancora selvaggia e incontrastata.

Locanda Le Tre Sorelle

Via Roma

84040 Casal Velino (SA)

Tel: 0974 1848143

Email: info@locandaletresorelle.it

www.locandaletresorelle.it

Molise Tenute Martarosa: il primo moscato al mondo affinato in mare

Comunicato Stampa

Il piccolo Molise vanta un primato ancora poco conosciuto, quasi come fosse nascosto sul fondo del mare. Si produce a Campomarino, precisamente alle Tenute Martarosa di Nuova Cliternia, il primo moscato al mondo affinato in mare. È il Moscato under water che deriva dal vitigno coltivato a circa 2 chilometri dalla riva di Campomarino e che, dopo la lavorazione, viene tenuto per sei mesi nelle acque di Portofino. Una eccellenza nonchè un primato, visto che non parliamo di vini extra regionali affinati in Molise bensì di un prodotto locale che sta per essere lanciato in un mercato sempre più esigente e contraddistinto da qualità in ascesa.

Merito di un’azienda a tradizione familiare che prende origine nel 1938, quando il nonno dei fratelli Pierluigi e Michele, attualmente al comando delle Tenute Martarosa, scelse la terra fertile di Campomarino trasferendosi lì dall’Abruzzo. Da coltivatori di uve, i Travaglini sono diventati produttori di vino nel 2016, con l’obiettivo di crescere e sperimentare, tentato di dare lustro al territorio.

Il vigneto in questione è figlio di un progetto nuovo, che intende contrastare anche il luogo comune secondo cui il moscato sarebbe un vino dolce perfetto esclusivamente per il dessert. Non è così. “È nella sua versione secca che questo vino davvero sorprende, perché mantiene gli stessi profumi ma al palato rivela carattere e freschezza, diventando ideale come aperitivo e come accompagnamento a crudi di mare” svela un sommelier del territorio. L’affinamento in mare promette di aggiungere la carta vincente a queste caratteristiche: il Moscato Under Water annata 2021 è un vino sapido che, data la sua stretta correlazione con l’acqua salata, nasce proprio come vino da abbinare a tartare, ostriche, plateau di cruditè.

Particolari sono anche le bottiglie, che oltre alla raffinatezza delle normali bottiglie di Tenute Martarosa hanno la caratteristica di raccogliere e sedimentare tracce di permanenza in mare che rendono unica e inimitabile ognuna delle circa mille bottiglie affinate a 50 metri di profondità, grazie alla collaborazione con una ditta specializzata. Osservandola da vicino, ogni bottiglia appare come una sorta di quadro astratto, una opera d’arte che contiene a sua volta un’altra opera di grande maestria.

Non è il primo vino a essere affinato in mare ma è il primo moscato e certamente è il primo vino molisano, una assoluta novità e un esperimento del quale il Molise dovrebbe andare orgoglioso, un prodotto destinato a una fascia di pubblico medio-alta che si inserisce in un segmento di mercato ben preciso. Le bottiglie – circa mille – saranno commercializzate solo da un ristretto numero di aziende a un prezzo adeguato rispetto al valore.

Calabria: Terre del Gufo il coraggio di Eugenio Muzzillo di cambiare rotta

Arrivo nel comprensorio di Donnici sotto una pioggia fastidiosa, di quelle sottili che lascia un senso di umido e appiccicaticcio addosso. Per fortuna sono puntuale, anche perché Eugenio Muzzillo mi attende curioso di capire chi fossi da cercare un’intervista nella sua azienda.

Eugenio Muzzillo

Ne nasce uno di quei momenti ideali per cui senti di aver scelto la strada giusta: quella di raccontare volti, filosofie produttive e, naturalmente, varietà d’uva disseminate lungo lo Stivale. Per giungere a Terre del Gufo bisogna percorrere un sentiero immerso nei boschi e lo spettacolo che si offre agli occhi del visitatore è davvero incantevole.

Non pensavo di raccontare una Calabria inesplorata così bella, a tratti selvaggia e suggestiva. Non lo pensavo, ma mi son dovuto ricredere in maniera repentina. I terreni sono quelli di famiglia, del padre, circa 4 ettari coltivati principalmente a magliocco dolce, qui sovrano tra gli autoctoni. La compagnia giusta per lui è il brettio nero, localmente chiamato mantonico nero, utile a domare la vena tannica del varietale d’elezione.

Vini di progetto o vini di esperienza?

La domanda alla quale io ed Eugenio, entrati subito in sintonia, abbiamo cercato di dare una sommaria risposta, senza colpevolizzare il lavoro di nessuno. Ma non è l’unico dei quesiti (apparentemente) irrisolti della nostra amabile chiacchierata. L’altro riguarda proprio il magliocco, in queste terre da sempre, relegato nel passato a dare vini scorbutici, tali da essere surclassati di gran lunga dalle versioni in rosa, meglio gestibili nelle astringenze tanniche ed erbacee. Il mantonico nero riesce nel compito di domarlo, con disinvoltura, senza snaturarne l’anima. E dire che molti viticoltori manco sanno della sua presenza nei propri filari. Dunque, ancora una volta, vini di progetto o di esperienza? Sicuramente avere un progetto è la base per qualsiasi sogno lungimirante, ma si rischia di avere prodotti stereotipati, in forma di copie identiche gli uni agli altri.

Per Muzzillo è così bello potersi distinguere, pur nel rischio calcolato di avere sgrammaticature per un’annata non felice o per qualche piccolo errore di cantina. Come dargli torto, nei limiti dell’umana degustazione?

Gli assaggi

Tante parole e alla fine manca il quibus, la gratificazione di bocca. Partiamo con il Portapiana Igp Rosso Magliocco 2020, da agrumi succosi e more selvatiche. La vena balsamica emerge nel finale, quasi essenza chinata. Mediterraneo e sapido, considerando i minimi interventi effettuati in fase di fermentazione e maturità, dimostra quanto sia importante un lavoro perfetto tra le vigne, per avere il miglior raccolto possibile. La 2021 da vasca è straordinaria per lunghezza e prospettiva. Le differenze sono già lampanti, soprattutto nella struttura, a vantaggio della vintage ancora non in commercio. Ne vedremo delle belle.

Concludiamo con Estremo Dop Terre di Cosenza Donnici Rosso Magliocco 2020 con sosta in anfora di terracotta. Qualche riflessione va fatta, per la maggior evoluzione e compiutezza, al contempo, rispetto al precedente campione. Sempre più vigneron optano per l’utilizzo di contenitori simili e i risultati sembrano (finalmente) soddisfare la linea dell’eleganza.

Cilento: l’espressione elegante dell’Aglianicone fa tappa da Silva Plantarium. L’anfora ne è la chiave di volta

“A acen’ a acen’ se face na macena” è un proverbio cilentano che letteralmente significa “acino dopo acino si ottiene la macina”, cioè oliva dopo oliva si raggiunge la quantità giusta per poterla pressare (“A macena”). A poco a poco si ottiene il risultato…

Questo nobile proverbio esprime a pieno la nostra volontà di volere raccontare, a poco a poco, di una terra selvaggia, difficile, spettacolare, variegata e ricca di tradizioni, il cui popolo resiliente e sincero ne mantiene vivi carattere e peculiarità. Caratteristiche in parte presenti anche nel vitigno Aglianicone, uno dei genitori dell’Aglianico, uno dei primi e più antichi vitigni cilentani.

L’Aglianicone in passato era il vino più diffuso dei vigneti nella zona. I fenomeni di acinellatura del grappolo a volte marcate (forse per difetti di morfologia floreale) hanno contribuito in passato al suo abbandono, facendo preferire ai contadini altre varietà più produttive di uva, non rammentando che dal punto di vista enologico tale vitigno si comporta in modo eccellente. Infatti, differisce dal più noto Aglianico, per la presenza di tannini meno aggressivi che ne riducono il tempo di affinamento, mantenendo descrittori aromatici di interessante intensità.

A Torre Orsaia (SA), con più esattezza nella località Cerreto, nel cuore del Cilento, in piena campagna (20 km circa ci separano dallo splendido mare di Scario) un cilentano doc, Mario Donnabella, con la sua famiglia, ha perseguito la mission di preservare le naturali bellezze ed espressioni del territorio. Una terra di cui Mario si dichiara custode con la sua azienda Silva Plantarium, il bosco delle piante. È nato vivaista, ed ha poi inseguito la sua predisposizione emotiva e sentimentale: diventare un viticoltore che si basa sull’agricoltura più naturale. L’approccio a cui lui si riferisce, è quello di non intervenire, di osservare la natura fare il suo corso, accettare ciò che dona senza forzarla, senza addomesticarla a proprio piacimento. Le montagne intorno, il movimento collinare del terreno, la flora e la fauna e l’escursione termica tra il giorno e la notte formano un microclima perfetto per le sue piante e le sue vigne. L’umidità naturale proveniente dai piccoli bacini d’acqua artificiali, la brezza marina, il suolo ricco di humus, arenaria, argilla e calcare completano l’opera.

Quattro sono le sue vigne: Tempa d’Elia e Casino impiantate già da tempo, circa 15 anni fa, Facenna e Terra Rossa più giovani. In questi 4 ettari e mezzo coltiva con cura e dedizione Aglianicone, Aglianico, Fiano, Santa Sofia e Mangiaguerra. Nell’antico casolare di famiglia, il Casino del Cardinale, dove Mario è nato e dove ha vissuto, in una piccola cantina posta nei locali sotterranei, lavora sue uve. I suoi vini macerano in anfora, come una volta: micro ossigenazione garantita, preservando le caratteristiche del varietale. Tutto richiama la semplicità e l’amore, la pazienza e la cura, l’attesa e la rassegnazione tipiche del mondo contadino di un tempo lontano, ma con lo sguardo al futuro, alla salvaguardia del risultato finale.

Mario Donnabella

C’è un’associazione a cui Mario appartiene, Terre dell’Aglianicone, il cui presidente è Ciro Macellaro (altro custode impagabile del vitigno cilentano), che unisce un gruppo di aziende che intendono custodire e diffondere questo vitigno perché ne riconoscono il valore. 

L’Azienda Silva Plantarium produce il rosso Buxento da Aglianicone (biotipo di Castel Civita) in purezza. Il nome richiama Buxentum l’antico nome romano di Policastro, posta alla foce dell’omonimo fiume. L’aglianicone, nato da incroci spontanei in vigna, particolarmente adatto alla coltivazione biologica grazie al grappolo spargolo e allo spessore della buccia, con grandi capacità di adattarsi alle condizioni pedoclimatiche, con resa bassissima, ha trovato forse la sua massima espressione nell’affinamento in anfora.

L’uva è raccolta a mano, tendenzialmente nell’ultima settimana di settembre, selezionando i grappoli, diraspati e poi pigiati. La fermentazione in fermentini d’acciaio è affidata ai lieviti autoctoni. La macerazione delle bucce dura circa dieci giorni, senza aggiunta di solforosa, prestando la massima attenzione al dosaggio dell’ossigeno mediante rimontaggi e delestage. La svinatura è eseguita con una soffice pressatura delle bucce il cui prodotto va poi aggiunto al vino fiore. Dopo circa un mese di riposo, il vino è trasferito in orci di creta sigillati dove attende e matura pazientemente per almeno due anni. Imbottigliato senza l’aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione prosegue il periodo di affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi.

La degustazione viene condotta nell’antico casolare e si articola sulla verticalità delle diverse annate a disposizione (2017-2018-2019).

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2017

Il colore appare subito importante e compatto, un bel rosso rubino carico. Il naso è inizialmente timido, ma, dopo una conveniente attesa, si fa ampio e pronto ad arricchirsi di nuovi sentori regalati dall’ossigenazione. Oltre a frutti rossi (mora e ciliegia sotto spirito su tutti), si percepiscono odori autunnali terrosi, di foglia bagnata, un leggero fungo porcino e poi del cuoio. In bocca risaltano immediatamente equilibrio e ampia freschezza, l’eleganza dei tannini è sorprendente, suadenti e perfettamente armonizzati alla morbidezza della beva.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2019

Il colore è un inchiostro porpora con venature violacee. Il bouquet è complesso e accattivante con profumi di frutta rossa e nera come la prugna e le more e sentori floreali di violetta. Note di spezie orientali accompagnano le sniffate. Sul palato plana un sorso decisamente vinoso e lievemente speziato. Tannini presenti, più acuti rispetto alla 2017, ma pur sempre eleganti. La bocca rimane morbida calda, fluida. Mineralità e buona verticalità persistono nel finale.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2018

Si colloca esattamente a metà delle due precedenti annate degustate. Il naso accoglie il vino di colore rosso rubino, con note fruttate di prugna più matura, amarena e mora; le gradevoli espressioni floreali di viola si mescolano ai sentori fruttati e alle spezie dolci presenti. Alla beva presenta un’incredibile freschezza che lo riporta all’annata più giovane; si affacciano aromi retronasali di frutta croccante. Il palato mantiene una buona morbidezza e i tannini rimangono suadenti e per nulla aggressivi.   

Durante la degustazione a Silva Plantarium, non può mancare l’assaggio del bianco Kamaratòn. Ottenuto da uve Fiano (50%) e Santa Sofia (50%) con utilizzo di lieviti naturali. La macerazione alcolica delle bucce avviene in fermentini d’acciaio. A seguito della svinatura, il vino matura in anfora a contatto con le fecce e viene poi imbottigliato senza aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione. Segue un affinamento in bottiglia per circa 4 mesi. Kamaratòn, richiama il nome greco di Camerota e della superba ninfa del mare, trasformata in roccia da Venere per punizione (il promontorio di Camerota), condannandola a guardare per l’eternità il Promontorio di Palinuro, suo spasimante respinto.

Kamaraton – IGP Paestum – Bianco 2020

Nel bicchiere il Kamaraton presenta un vivace colore oro appena velato. La tela olfattiva è tessuta da delicate sensazioni di fiori gialli, macchia mediterranea, con prevalenza di albicocca secca e nespola matura. In bocca l’impatto conferma le premesse olfattive con un’avvolgente morbidezza, ed una freschezza ben misurata e piacevole. Lunga la persistenza gusto-olfattiva. La mineralità del sorso risulta appagante e richiede immediatamente quello successivo.

Mario Donnabella non importunando l’opera della Madre Terra, come stesso lui afferma, ottiene una produzione ad ettaro piccolissima, ma porta in bottiglia due vini autentici, puliti, “naturali”, non estremi.

La natura non fa il vino, è l’uomo semmai che fa il vino secondo natura. E il vivaista di Silva Plantarium è proprio bravo in questo. E’ bello immaginarlo come il nocchiero cilentano dei vini naturali…

Lazio: in Ciociaria a passeggio tra le terre del Cesanese

Ma quanto è bello il territorio del Cesanese! Un viaggio nella terra dello storico vitigno autoctono originario del Lazio e precisamente in Ciociaria.

In una bellissima giornata di sole mi trovo dapprima nell’areale del Cesanese del Piglio DOCG in compagnia del Direttore di 20Italie Luca Matarazzo, per approfondire le caratteristiche di questo vitigno rosso che dona vini paragonabili alle tipologie più blasonate. Abbiamo incontrato vignaioli artigianali che ci hanno entusiasmato ed emozionato con le loro storie e con i loro prodotti, dove ogni vino diventa un vero e proprio abito sartoriale in cui si rispecchiano gli elementi distintivi del territorio e della passione di chi lo realizza.

Questo affascinante angolo d’Italia offre molto più di un semplice bicchiere. Paesaggi pittoreschi, tradizioni secolari e una cucina deliziosa che si fondono per creare un’esperienza indimenticabile. Situata nelle colline a sud di Roma, le terre del Cesanese rappresentano un piccolo incanto ricco di borghi, ciascuno con la propria storia e cultura. Quest’areale è stato a lungo celebrato per la sua tradizione vitinicola e culturale; Qui puoi passeggiare per stradine lastricate, ammirare antichi edifici e immergerti nelle tradizioni locali. Impossibile perdere l’opportunità di visitare le cantine storiche, dove i produttori condividono con orgoglio la loro eredità e le loro tecniche tramandate di generazione in generazione.

Sfatiamo il mito della differenza tra Cesanese Comune e di Affile. La leggenda ci parla di questi due vitigni dove il primo è noto per il grappolo più grosso e gli aromi di frutti rossi, dai tannini morbidi. Quello di Affile si dice che tende ad essere più verticale nelle sensazioni organolettiche. Tutta questa differenza, alla fine, non è così evidente e le recenti ricerche dimostrano come la suddivisione sia errata, restituendo importanza a suoli e condizioni pedoclimatiche variabili.

LA VISCIOLA

La prima tappa della nostra visita nel Comune di Piglio, riguarda la Cantina La Visciola di Piero Macciocca, coadiuvato dalla moglie Rosa Alessandri e la figlia Cecilia. Piero è un vero vignaiolo artigianale e la prima impressione, vedendo la piccola cantina ricavata in una sorta di locale deposito, è per una piccola vendita di vino alla buona. L’enorme sorpresa arriva al momento dell’assaggio dei vini, a conferma che non bisogna mai giudicare dalle prime impressioni. La vinificazione in questa cantina è seguita con maestria dall’enologo Michele Lorenzetti. Esperienza e competenza l’altissima qualità rinvenuta nel calice.

Le viti sono coltivate secondo i principi della biodinamica in quattro piccoli appezzamenti per un totale di quasi 6 ettari dai quali provengono i cru che prendono il nome proprio dal terreno di provenienza come il Priore “Mozzatta”, Priore “Ju Lattaro”, Priore “Vignali” e Vicinale. I terreni sono prevalentemente composti da argille rosse ad esclusione del Mozzatta che è composto da argilla bianca e calcare che donano maggiore eleganza e finezza. Priore è il soprannome invece di Piero.

Se volessimo ipotizzare un rapporto tra cantina e vini, per la Visciola esso è “piccola cantina, grandi vini”. In particolare mi riferisco ai cru Cesanese che sono gestiti con una tale capacità che risultano eleganti, con una bocca bellissima già a partire dal  Vicinale. con un crescendo sempre maggiore dove la nota leggermente affumicata è il filo conduttore.

Ecco alcuni appunti di degustazione

Vicinale 2021 Cesanese del Piglio DOCG 13,5°, è il cavallo di battaglia di Piero la cui uva Cesanese viene raccolta dai vari vigneti, dal colore limpido e brillante, al naso coerente con frutti rossi ma anche mirto e note speziate, aromatiche e fumée. Equilibrato in cui nessuna componente prevale in modo determinante sulle altre. Un vino che ci ha fatto esclamare: “’mazza quanto è bono!”

Priore “Vignali” 2021 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Intenso e persistente, ricco, frutti rossi, mirto, spezie, in particolare pepe, leggera nota di tostatura. Qui si inizia a sentire la differenza del cru dove la natura detta legge e si sente l’identità territoriale del vigneto.

Priore “Ju Quartu” 2021 Cesanese del Piglio DOCG 13,5°. Ritrovo il Vignali con la differenza che i sentori virano maggiormente verso il frutto di bosco e il melograno.

Priore “Lu Lattaro” 2020 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Si differenzia dagli altri appena degustati dal colore che in questo caso non tende al granato, ma è di un rosso rubino brillante. Un capolavoro di vinificazione dove prevale la frutta rossa matura, erbe mediterranee, note balsamiche mentolate e liquirizia. Una bella freschezza con un finale morbido e caldo.

Priore “Mozzatta” 2020 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Una bella spina acida che non è esagerata ed è ben bilanciata dai tannini morbidi e setosi. Ovviamente frutti rossi, in particolare lampone e ribes nero. Piante officinali e spezie come china, cannella… un sorso bellissimo che pulisce la bocca e chiede un sorso dopo l’altro. Il finale è lungo e persistente e leggermente sapido. Una bevuta che si ricorda.

Nostrano Lazio Rosso IGT 2020 vinificato con uve Maiolica, un vitigno di origine toscana, imparentato con il Coda di Volpe Rosso. Giovane, piacevole e fresco con belle note di ciliegia e spezie.

Donna Rosa 2021 Passerina del Frusinate IGT 12,5°. Leggermente astringente con un po’ di tannino, morbido, floreale, sambuco.

Cupella 2021 11°, Frusinate IGT Bianco Frizzante rifermentato in bottiglia. Una bella freschezza, note solfuree e agrumate.

L’AVVENTURA

Sempre a Piglio, dopo aver percorso una breve distanza giungiamo al Casale Verdeluna che si erge sulla collina circondata da vigneti di Cesanese dove ci accolgono Gabriella Grassi, Stefano Matturro e il loro bellissimo cane. Il Casale è un agriturismo con una capacità ricettiva di 6 camere e un ristorante che riesce a soddisfare tranquillamente cento coperti, oltre ad essere anche la cantina dei vini L’Avventura. Oggi si direbbe “Wine Resort”, ma qui si respira ancora la tradizione contadina locale, dove è possibile gustare i piatti tipici rivisitati dallo Chef Giuseppe Rossi, che utilizza materie prime di qualità a chilometro zero.

SaxaPasserina del Frusinate IGT 2022 12°. Fresco con una intensità floreale tale da farlo sembrare un semi aromatico. Una bella frutta a polpa bianca che chiude con una verve di sapidità che torna a ristabilire gli equilibri.

Campanino” Cesanese del Piglio DOCG Superiore 2020 13,5°. Tra le gemme vinicole di una cantina si cela spesso un vino che incarna l’anima della terra da cui proviene. Il Campanino è uno di quei vini. Note canforate si mescolano con profumi di frutti rossi, creando un bouquet olfattivo che cattura l’attenzione e l’immaginazione.

Picchiatello” Cesanese del Piglio DOCG Superiore. Complessità aromatica che evoca la macchia mediterranea, il naso si riempie di sentori che richiamano le erbe aromatiche e le spezie, promettendo un’esperienza sensoriale unica. Espressione di eleganza con tannini fini che coccolano il palato, oltre a una testimonianza del legame profondo con la tradizione locale.

Camere Pinte” Cesanese del Piglio DOCG Riserva 2021 15°. Profondo e complesso, riserva una serie di sorprese per chiunque sia pronto a scoprire l’ampia gamma di sfumature che il Cesanese può offrire. Si apre con un bouquet intenso e complesso di aromi speziati di pepe nero e tocchi tostati avvolgono i sensi, creando una promessa di profondità e complessità. Trama tannica vellutata.

L’avventura” è il nome scelto dai proprietari, nel momento in cui hanno deciso di intraprendere il cammino di produttori di vino, provenendo da un altro settore, e trovandosi dal notaio per scegliere il nome della nuova attività, si sono chiesti come avrebbero chiamato questa nuova avventura? Ben fatto!

www.agriavventura.it

DAMIANO CIOLLI

Inerpicandoci per le stradine di Olevano Romano, si arriva a casa di Damiano dove si trova anche la cantina. Il vino Cesanese di Olevano Romano è stato per molti anni il più richiesto nelle osterie di Roma ed era un sostentamento sicuro per molte famiglie tra cui il nonno Guido e poi il papà Costantino. Damiano appartiene alla generazione che ha ereditato da loro la passione per il vino, dandogli una svolta trasformando così dal 2001, la produzione da vino sfuso a vino da imbottigliamento.

La passione unita all’amore  per Letizia Rocchi, enologca, fanno la differenza. Oggi Damiano e Letizia sono fieri del lavoro che porta avanti con dedizione e con i suoi 7 ettari riesce a malapena a soddisfare le richieste delle sue bottiglie prenotate prima ancora dell’immissione in commercio.

Abbiamo avuto il piacere di provare il vino direttamente dalle vasche di maturazione e sono convinto nel dire che sono veri capolavori.

Silene – Il Silene è ottenuto da una selezione di uve Cesanese provenienti da quattro vigneti impiantati in epoche diverse, raccolte e fermentate in vasche di cemento separatamente e assemblate prima dell’imbottigliamento. Damiano lo considera un vino di entrata ma ha già le connotazioni per essere bevuto dopo alcuni anni.

Cirsium – Il Cirsium quest’anno cambia nome e da ora in poi si chiamerà DAMIANO CIOLLI Olevano DOC Cesanese Riserva, è un Cru proveniente da un antico vigneto di un ettaro. Raccolta manuale con accurata selezione dei grappoli utilizzando soltanto i migliori e scartando quelli non idonei. La fermentazione è spontanea, una celebrazione dell’armonia naturale la macerazione, che si svolge ancora in cemento. Qui, il vino ha il tempo di estrarre tannini e aromi dalle bucce delle uve.

Questa fase è cruciale per la struttura e la complessità del vino, Dopo la macerazione, il vino viene travasato in botti grandi, dove inizia un periodo di riposo sui suoi depositi o fecce fini. Questo processo dura per i primi 12 mesi, permettendo al vino di maturare lentamente e sviluppare profondità. Alla fine di questo periodo torna nelle vasche di cemento e continua ad evolversi e acquisire caratteristiche uniche. Alla fine di questo meraviglioso viaggio, viene imbottigliato dove riposa per un ulteriore periodo di 12 mesi in cui raggiungerà la sua massima espressione.

www.damianociolli.it

RICCARDI REALE

Altra bellissima realtà, sempre nell’areale del Cesanese di Olevano Romano. Ci troviamo in compagnia di Piero Riccardi e Lorella Reale, due persone che hanno cambiato la loro vita alla ricerca della felicità. Giornalisti RAI entrambi (Piero è anche regista), decidono di acquistare le vigne a Olevano Romano e una bellissima villa a Bellegra, piccolo comune a circa 800 m. di altitudine, dalla quale si può godere di un panorama stupendo.

Piero e Lorella abbracciano da subito l’arte dell’agricoltura biodinamica, un approccio che rispetta la terra e le sue risorse. Poco più di 5 ettari di vigneti, prosperano grazie all’assenza di pesticidi e al sostegno di sovesci e preparati organici vegetali, preservando la fertilità del suolo e consentendo alle piante di esprimersi nella loro essenza. Qui, le viti sono sostenute da pali di castagno locale, e la biodiversità della zona aggiunge profondità ai vini.

Due tipologie di terreno, uno vulcanico e l’altro di arenarie del Cretaceo, conferiscono ai vini una complessità e una freschezza uniche. Ogni fase di affinamento porta alla creazione di varietà distintive, tra cui Cesanese, Malvasia, Rosciola e Riesling. Con la loro dedizione alla biodinamica e all’ecosistema locale, producono vini che catturano l’essenza del terreno e l’anima della natura.

EMOTIQ Riesling Renano IGT Lazio 2021. Un terroir insolito per il Riesling che qui prospera su terreni argillosi misti a componenti vulcaniche. La macerazione sulle bucce dona profondità e complessità. La sosta successiva in botti di castagno dona una struttura morbida. Profumi di fiori di campo e miele si intrecciano in un bouquet aromatico che avvolge i sensi. La componente minerale e dinamica sottolinea la complessità del vino, mentre le note speziate e sapide aggiungono un tocco di fascino.

EMOTIQ Malvasia Puntinata Lazio IGT 2021. Blend di Malvasia Puntinata, Moscato Bianco, Ottonese e Bellone, quattro varietà di uve che si sposano alla perfezione. Questa miscela offre una complessità aromatica che è un vero piacere per i sensi. vinificato con le bucce per una o due settimane in botti di castagno, poi la massa viene tolta, pulita e rimessa nelle botti per 12 mesi con fermentazione spontanea. Grazie al suo colore aranciato è considerato un orange wine.

TUCUCA Rosato Lazio IGT 2022. Vinificato con uve Cesanese, anch’esso a contatto con le bucce per quasi un giorno poi affina nelle botti di castagno. Colore rosa ciliegia è caratterizzato da una buona freschezza e da un lieve tannino che asciuga la bocca. Ha un bouquet olfattivo di frutti rossi di bosco, ciliegia croccante, melograno pepe rosa e un tocco di lime.

DIVAGO Lazio Rosato Frizzante IGP 2022. Cesanese in purezza, rifermenta in bottiglia, un vino allegro e gioviale con bollicina molto fine. Fragoline di bosco, lampone e melograno, con naso floreale, fruttato e una nota solfurea. Una parte del mosto viene congelato e sarà aggiunto alla massa in primavera facendo ripartire così la fermentazione conferendogli così una buona profondità.

COLLEPAZZO Cesanese Olevano Romano DOC 2020. Cesanese di Affile in purezza coltivato proprio nell’omonima località. Vinificazione e affinamento in cemento. Note solfuree e fumé, frutta rossa e spezie, un pochino corto.

CÀLITRO Cesanese Olevano Romano Rosso DOC 2020. Un Cru prodotto in un numero limitato di bottiglie, affina in botte grande grazie alla quale riceve il giusto apporto di micro ossigenazione che ne arricchisce il corredo olfattivo. Buon corpo anche se è ancora un po’ verde e necessita di ulteriore tempo per svolgersi  ed evolvere.

NECCIO Cesanese Olevano Romano DOC 2020. Altro Cru interessante affinato in barili. Decisamente più verticale con tannini presenti e ancora non completamente svolti. Frutti rossi maturi, cannella e erbe aromatiche.

www.cantinericcardireale.it

Romagna: Brisighella – Tre colli, tre territori, un’anima

Tutti insieme appassionatamente. No, non ci stiamo riferendo al famoso film americano anni ’60, bensì alla neonata associazione Brisighellese “Anima dei tre colli”. Che cos’è Brisighella? È proprio attraverso l’unità che questa associazione intende dare una risposta a questa domanda. Difatti, il vero intento dell’associazione, per usare una frase del presidente Cesare Gallegati, è “alzare il potenziale emozionale del territorio”.

Da sinistra: Davide Gilioli, Cesare Gallegati, Paolo Babini

Non possiamo far altro che dargli ragione. Il potenziale è alto, e questa comunità di produttori (che sono passati da 5 a 16 in appena 2 mesi) ha una consapevolezza diversa rispetto al passato, e cioè di poter fare qualcosa di buono senza scendere a compromessi. Ma se volessimo qualche numero su Brisighella? Ce ne parla Paolo Babini, il vice presidente.

Nel 2009 Brisighella ottiene la doppia zonazione (vinicola e olearia), nel 2011 la sottozona per il Sangiovese nel disciplinare ufficiale del Romagna DOC e nel 2022 la sottozona Bianco nell’appena citato disciplinare. Tre territori principali ma ben 21 tipologie di suoli differenti. Iniziando dai territori pianeggianti dove troviamo terre fini, sabbie gialle, argille rosse e grigio-azzurre. Salendo di quota si trovano i calanchi calcarei e ancor più su la vena dei gessi. Sul pedemontano troviamo infine marne e arenarie, affogate nei boschi sino a 600 m.s.l.m.

L’associazione è nata ad aprile, ha fatto i primi passi nel web verso i primi di luglio, ma il 4 Settembre ha prepotentemente sgomitato nel mondo Ho.Re.Ca. con una presentazione ufficiale tenutasi al Convento dell’Osservanza di Brisighella. Brisighella in Bianco. Questo il nome scelto, e azzeccato, per l’evento. Basti pensare che di Albana, a Brisighella, ce n’è il 22% di tutta la Romagna (198 ettari sugli 880 totali). La Regina Romagnola incastonata assieme agli altri bianchi, autoctoni e non, fanno di questo territorio l’habitat naturale per potersi esprimere al meglio.

Tu chiamale se vuoi emozioni. Prendiamo in prestito un riferimento al mondo della canzone Italiana per riprendere il concetto di “potenziale emozionale”. Per questo merito è stato scelto Davide Gilioli, noto Sommelier AIS di origini Ferraresi ma trapiantato in Lombardia, che per l’occasione ha guidato i 120 presenti in un seminario composto da una degustazione di alcune fra le migliori espressioni dei bianchi di Brisighella, accuratamente suddivisi in batterie per vitigno.

20Italie era lì per voi, per cui bando alle ciance e via alle danze.

Sauvignon Blanc

La prima batteria è composta da 2 vini.

  • Borgo Casale 2020 – Vigna dei Boschi

Fermentazione e affinamento per 2 anni in legno donano a questo vino un’elegante piacevolezza. Il varietale esprime la sua nota erbacea ma il contrasto dolce gli è donato dalla pesca a polpa bianca e dal fiore d’acacia.

  • Ficcanaso 2021 – Villa Liverzano

Siamo nella zona dei gessi, e la mineralità difatti si fa sentire donando una piacevole freschezza a questo Sauvignon. L’affinamento in 6 mesi in barrique dona al vino anche larghezza ed espressioni di pesca gialla matura e frutta tropicale/esotica. Equilibrio stravolgente.

Trebbiano

È ora della batteria che ha come protagonista il bianco più bistrattato della Romagna. In questo caso sono 3 i vini che vengono messi a confronto.

  • Floresco 2022 – Podere la Berta

Criomacerazione e tutto acciaio per un vino che sorge principalmente su argilla e sabbia. È proprio questo mix di terreni che donano al vino un carattere tutt’altro che neutro. Il nome del vino è forse un richiamo a ciò che avvertiamo nel calice: fiore di sambuco e biancospino. La bocca è intensa con note di mela golden e melone bianco. Finale sapido.

  • Tera 2022 – Fondo San Giuseppe

Una vigna letteralmente in mezzo ai boschi, a 450 m.s.l.m. Sono 2 i cloni a partecipare a questo capolavoro: il trebbiano della fiamma e il trebbiano cosiddetto “montanaro”, ognuno che fa la sua parte donando acidità e struttura. Siamo in una zona prettamente calcarea e il vino, dopo una fermentazione in acciaio, fa un passaggio per il 75% della massa in cemento e per la restante parte in barrique. Sottile, teso. Ci parla di erbe di montagna, di roccia. Ma appena si scalda prende volume e invade il palato.

  • Trés Bien 2022 – Baccagnano

Molto bene questo trebbiano, non solo nel nome polisemico. In realtà un 40% è composto da Chenin Blanc che dona quella parte di speziatura dolce/orientale. Il frutto è inconfondibilmente riconoscibile in una mela tagliata e lasciata ossidare. Il trebbiano torna prepotentemente donando acidità e sapidità. Chiusura piacevolmente amaricante.

Sangiovese

Ma cosa c’entra il Sangiovese? Avevamo detto “Brisighella in Bianco”!

  • Via Zia 2021 – La Collina

I Romagnoli, compreso il sottoscritto, non sono dei grandi amanti del Sangiovese fermo vinificato in bianco. Forse un po’ per pregiudizio, o forse un po’ per gli scarsi risultati ottenuti da altri produttori. C’è da dire che il lavoro di Mirja ha stupito. Merito dei numerosi tentativi che hanno portato a questo vino tutt’altro che scontato e inquadrato nella qualità. Le note varietali richiamano inevitabilmente la fragolina di bosco, il lampone e il ribes, nonostante sia bianco dorato il suo colore. La parte mentolata amalgama il tutto con freschezza. Croccante.

Albana

La batteria più ricca, composta da 6 vini, è dedicata all’unica DOCG Romagnola.

  • Corallo Giallo 2022 – Gallegati

Come dice il nome, siamo sul monte Corallo, dove terreni fini calcarei donano un’esplosività aromatica al vino. La parte agrumata di mandarino e scorza d’arancia ci fa restare ancora in estate, come avessimo una spremuta in mano. Poi arriva lei, la scorbutica Albana, col suo carattere di potenza e spessore, a rendere il vino tutt’altro che semplice. DNA Albana.

  • Belladama 2021 – Poggio della Dogana

Fermenta in acciaio e poi sosta 10 mesi in cemento. Siamo su sabbie gialle, e lo si capisce anche dall’estrema finezza e complessità dei profumi. Agrume giallo, scorza di pompelmo, ginestra, miele millefiori e pesca nettarina. Entra in bocca agile e teso e poi la sferzata tannica completa le durezze ad equilibrare la struttura identitaria del vitigno.

  • Toni Bianco 2021 – Zinzani

Siamo probabilmente alle quote più basse, al confine col comune di Faenza, per un vino che tocca solo acciaio. Qual errore faremmo a farci condizionare dalle premesse! Un vino ricco, caldo, dal buon tenore alcolico che tuttavia mantiene alte le freschezze e ci stupisce con una particolare nota balsamica.

  • Albagnese 2021 – Casadio

Non solo pianura per il produttore Cotignolese che detiene vigneti anche nel bel mezzo della vena dei gessi e che dedica alla bionda nipote Agnese, il vitigno romagnolo biondo per eccellenza. Criomacerazione e poi fermentazione e affinamento in solo acciaio. La mineralità è ben presente ma non invadente. L’olfatto si arricchisce di delicatezza agrumata per anticiparci una bevuta equilibrata che non si perde dopo la deglutizione.

  • Bicocca 2021 – Vespignano

Prima annata e primo esperimento di Albana per la nuovissima azienda agricola Vespignano. Siamo sugli ultimi calanchi prima del gesso e le uve provengono da una vigna del 1941 allevata a pergoletta Romagnola. 1 giorno di macerazione sulle bucce con un risultato tutto sommato buono ma sicuramente da perfezionare.

  • Anam Orange 2021 – Vigne di San Lorenzo

Scende in campo l’estroso Filippo Manetti e fa subito gol con questa superba espressione di Albana. Ben 1 mese di macerazione in anfora georgiana per poi concludere l’affinamento sulle sue fecce fini in acciaio per un anno senza chiarifiche né filtrazioni. Agrume candito, nespola e albicocca matura per un orange wine che non stanca mai.

  • Marcello 2022 – Terrabusi

Siamo precisamente a Fognano, per conoscere un’altra realtà piuttosto giovane del mondo del vino Brisighellese. La loro Albana viene macerata per 5 giorni e affinata circa 6/7 mesi in legno. Profilo aromatico ricco, di grande profondità. Sorso di grande spessore che richiama il frutto maturo. Vitigno che si nasconde un po’ nella tecnica di vinificazione.

Famoso

Unico della sua batteria e ultimo assaggio dedicato al traminer Romagnolo.

  • Doronico 2022 – Bulzaga

Argille e calanchi sono la culla di un vitigno che solitamente si esprime, per il territorio Ravennate, solo nelle pianure a destra della Via Emilia. Vinificazione totalmente in acciaio per una finezza di profumi molto particolare. Che sia un modo per rispondere al Famoso di Mercato Saraceno?

Modena Champagne Experience 2023: in programma la VI edizione il 15 e 16 ottobre

Ci siamo! Anche quest’anno torna la tanto attesa manifestazione dedicata alle blasonate bollicine d’Oltralpe.

Modena Champagne Experience punto di riferimento per i professionisti del settore, non solo in Italia, ma in tutta Europa, si terrà domenica 15 e lunedì 16 ottobre nei padiglioni di Modena Fiere, sotto l’organizzazione di Società Excellence realtà che riunisce ventuno aziende italiane della distribuzione vitivinicola di alta qualità.

Gli appassionati e i professionisti del settore potranno avvicinare oltre 175 aziende tra storiche Maison e piccoli vigneron.

Numeri da capogiro, oltre 900 champagne suddivisi in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse aree della Regione: dal cuore del territorio di produzione tra Reims ed Epernay (Montagne de Reims), alla Vallée de la Marne, fino alla Côte des Blancs e ad Aube.

Luca Cuzziol, presidente di Società Excellence, racconta: Riuscire ogni anno a fare sempre meglio è una sfida importante e ambiziosa, ma è anche l’obiettivo che guida il nostro quotidiano lavoro di importatori e distributori”. “L’anno scorso eravamo già molto soddisfatti di essere riusciti a riunire nello stesso luogo un numero molto consistente e rappresentativo di aziende della Champagne. Quest’anno siamo riusciti ad aumentare ulteriormente il numero e questo è motivo di ulteriore soddisfazione”.

Non mancheranno gli approfondimenti con Masterclass di alto livello che condurranno ad esperienze uniche, come Bollicine al buio, dove a guidare i partecipanti alla blind ci sarà Luca Boccoli, Chevalier de l’Ordre des Coteaux de Champagne; sarà poi la volta del raffinato Blanc de Blancs raccontato da Luigi Bertini, enologo di professione. E poi ancora gli Champagne Rosé con Luciano Ferraro, vicedirettore del Corriere della Sera, e Paolo Porfidio, head sommelier e coordinatore ASPI e le Top Cuvée di Francesco Falcone, degustatore, scrittore e divulgatore indipendente. Manlio Giustiniani, docente FIS e collaboratore di molte testate di settore, condurrà un approfondimento dedicato al millesimo 2008 con 5 grandi rappresentanze in degustazione. Michel Bettane, grande nome della critica internazionale, illustrerà che cos’è la cosiddetta “Vinification à l’ancienne”, con le tecniche di produzione della vecchia scuola che realizza champagne con l’aiuto del legno.

Una prestigiosa passerella irrinunciabile, STAY TUNED!

Per maggiori dettagli, vendita dei biglietti e calendario delle Masterclass ecco il link al sito ufficiale:

https://www.champagneexperience.it

Prosit!