Si parla di rari vini dolci all’evento “Dolce Toscana nel Vino”

Alla Fattoria del Colle di Trequanda, Donatella Cinelli Colombini, in collaborazione con Le Donne del Vino delegazione della Toscana ed il supporto delle giornaliste Maddalena Mazzeschi e Marzia Morganti, in occasione della presentazione alla Stampa del suo nuovo Passito, ha organizzato una degustazione 12 di vini dolci, di cui, 8 Vin Santo, 1 Moscadello di Montalcino, 2 Passito ed 1 Aleatico dal titolo “Dolce Toscana nel Vino”.

Donatella ha fatto gli onori di casa, dando il benvenuto ai partecipanti, la degustazione è stata condotta dall’esperto giornalista Gianni Fabrizio, durante la quale sono intervenute le produttrici, ed infine il Direttore di Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana, Roberto Scalacci ha concluso con aneddoti e considerazioni finali.

Alcune note a margine: queste tipologie di vino vengono prodotte in quantità limitate e sono molto onerose; attualmente trovano poco spazio sia nel settore H0.RE.CA sia nella G.D.O. Accompagnano spesso dessert da servire a fine pasto; una soluzione ideale per aumentarne le vendite potrebbe essere rappresentata dalla vendita al calice, per coloro che si presentano al ristorante in coppia, mentre per tavoli con un maggior numero di commensali è la bottiglia da 0,375 cl il formato preferibile. Donatella ribadisce che tali vini, però, possono essere uniti non solo a dolci, ma anche patè de foie gras e a formaggi sia erborinati sia stagionati o semplicemente in meditazione.

Nel caso della Grande Distribuzione si trovano prodotti a basso prezzo, come Vin Santi fortificati con la fascetta da vino liquoroso che non hanno nulla a che vedere con i Vin Santi naturali che sono contraddistinti da denominazioni di origini controllata o altri passiti di elevata qualità, generando confusione nel consumatore finale. Non tradizionale e obsoleta la pratica di affondare il cantuccino nel calice. Le nuove generazioni, nostro malgrado, fanno poco consumo di vini dolci: sono invece perle enologiche che meritano ampio spazio nelle nostre tavole.

Vin Santo

Il nome Vin Santo si ipotizza che derivi dal Concilio di Firenze del 1439, quando il cardinale greco Bessarione, mentre stava bevendo il vin pretto, esclamò “sembra vino di Xantos”, un vino passito greco di Santorini. Da quel momento fu chiamato Vin Santo. Esistono tuttavia, altre ipotesi da cui far derivare il nome di questo nettare. A Siena si parla di un frate francescano che nel 1348 curava i malati di peste con un vino che era solitamente usato dai confratelli per celebrare messa. Si diffuse, così, la persuasione che avesse proprietà miracolose, valendogli l’appellativo santo. Il Vin Santo toscano è un vino prodotto da uve lasciate appassire dopo la raccolta. Ottenuto con uve di Trebbiano e Malvasia, talvolta con San Colombano e Grechetto. Può essere anche prodotto con uve rosse, maggiormente con Sangiovese e in questo caso si parla di Vin Santo Occhio di Pernice.

Moscadello di Montalcino

Il Moscadello di Montalcino viene prodotto nell’ omonimo Comune. Già apprezzato da Francesco Redi, Ugo Foscolo e il Pontefice Urbano VIII erano dei veri amanti. Montalcino è oggi nota per uno dei più grandi vini rossi italiani : il Brunello. Le origini del Moscadello affondano agli inizi del 1500, attualmente è una Doc ed il vitigno utilizzato per la produzione è il Moscato Bianco, un’uva bianca aromatica, coltivata in tutta la penisola. Può essere prodotto in tre tipologie, Tranquillo, Frizzante e Vendemmia Tardiva.

Aleatico 

L’Aleatico è un vitigno aromatico che dà origine a vini molto piacevoli ed eleganti, diffuso sull’ Isola d’Elba, e conosciuto anche a Gradoli in Alta Tuscia. Vinificato in versione secca, dà origine a vini di buona struttura, ma la tipologia più nota è quella dolce, ottenuta con uve appassite, una vera gemma enologica italiana.

Vini Passiti

Come suggerisce il nome, vengono ottenuti con la pratica dell’appassimento delle uve, talvolta attaccati da botrytis cinerea. Diffusi in ogni regione italiana, pertanto le uve utilizzate sono variabili secondo la provenienza geografica. Vini dolci con un importante residuo zuccherino, ma anche secchi, come l’Amarone della Valpolicella o lo Sforzato o Sfursat della Valtellina.

La Fattoria del Colle si trova nel comune di Trequanda, a poca distanza dal centro abitato  del suggestivo Borgo. L’azienda si trova all’interno sia della Doc Orcia sia della Docg Chianti. Gli ettari vitati di proprietà sono 17, estesi su una superficie totale di 336. Nei vigneti si trovano le varietà di SangioveseFoglia TondaMerlotTraminer e Sagrantino. Posti ad un’altitudine di oltre 400 metri s.l.m., godono di un microclima particolare con forti escursioni termiche tra le ore diurne e notturne, capaci di dare origine a vini di eccellente qualità. La produzione segue metodi di coltivazione biologica, nel pieno rispetto dell’ambiente. La Tenuta è di proprietà di Donatella Cinelli Colombini, già appartenuta ai suoi antenati alla fine del Cinquecento. Un’ azienda, ed è stata la prima in Italia ad esser gestita solamente da donne. Alla Fattoria del Colle oltre alla cantina, si trova un agriturismo con ristorante, piscina e centro benessere con spa. Una nota di merito va all’Orcia Doc Cenerentola, ottenuto con Sangiovese e Foglia Tonda e al il Drago e le Otto Colombe Igt, ottenuto con Sangiovese, Merlot ed altri vitigni autorizzati. 

I vini degustati

Aleatico Sovana DOC Superiore 2022 – Fattoria Aldobrandesca

Solalto IGT Toscana 2019 – Fattoria Le Pupille

Florus Moscadello di Montalcino Doc 2019 – Banfi

Passito IGT Toscana 2018 – Donatella Cinelli Colombini

Vin Santo di Montepulciano DOC 2016 – Dei

Vin Santo del Chianti Classico DOC 2018 – Castello di Querceto

Vin Santo DOC 2013 – Badia a Coltibuono

Vin Santo del Chianti Doc 2004 – Tenuta il Corno

Red Label Vin Santo del Chianti DOC 2015 – Castello Sonnino

Vin Santo di Carmignano DOC Riserva 2016 – Capezzana

Vin Santo di Carmignano DOC Occhio di Pernice 2012 – Tenuta Artimino

Vin Santo del Chianti Rufina DOC 2006 – Villa di Vetrice

Dopo la degustazione dei vini, una degustazione di formaggi selezionati da Andrea Magi e abbinati al passito di Donatella Cinelli Colombini hanno preceduto il pranzo, per noi preparato dalla Chef Doriana Marchi con piatti tipici della tradizione toscana. Il dessert accompagnato al Passito è stato realizzato dal pasticcere campione del mondo Rossano Vinciarelli.

“Viaggio in Champagne” parte prima: Chavost e lo champagne materico

Chavot Courcourt è un piccolo villaggio che conta poco meno di quattrocento anime, adagiato su uno dei dolci declivi vitati che caratterizzano la Valle della Marna con nitide pennellate di colori. La piccola chiesa di San Martino, col suo cimitero, domina l’orizzonte e caratterizza un tipico paesaggio da favola.

È qui che si trova Chavost, nome ancestrale di Chavot Courcourt, la prima maison di champagne che visitiamo durante un brevissimo ma intenso viaggio in una delle regioni vinicole più affascinanti della Francia. Fabian Daviaux, giovane e talentuoso Chef de Caves, ci accompagna in una visita completamente fuori dagli schemi, durante la quale tocchiamo con mano alcune delle fasi salienti della produzione dello champagne.

Ai tempi della visita eravamo in pieno periodo di vendemmia, dichiarata ufficialmente aperta dal Consorzio l’11 settembre, e incontriamo squadre di vendangeurs provenienti dagli angoli più disparati della Francia, ci muoviamo tra cumuli di uva pigiata e respiriamo profumo di mosto. L’intero villaggio è una fucina a cielo aperto di cui Chavost, minuscola realtà cooperativa nata nel 1946 e costituita da una quindicina di famiglie, è il cuore pulsante.

La nostra esperienza inizia dai locali di pressatura delle uve, dove sono accatastate decine di cassette di Pinot Noir e Chardonnay. Anche qui in Champagne la 2023 non è stata un’annata facile a causa delle condizioni climatiche che, soprattutto in primavera e estate, hanno vessato la regione con piogge continue o picchi di caldo eccessivo. Pinot Noir e Pinot Meunier in particolare hanno risentito sviluppando problemi di muffe o acinellatura, miglior sorte è toccata invece allo Chardonnay.

I cinque ettari di vigneti afferenti a Chavost, ci spiega Fabian, sono in conversione bio. 

Assistiamo alla pressatura dello Chardonnay: 1.2 bar è la massima pressione applicata, con la conseguenza che lo scarto della pressa è un grappolo i cui acini sono  ancora ricchi di succo, ma vengono destinati alla distilleria o all’industria cosmetica. “Sacrificio” necessario per ottenere le cuvées di primissima qualità, che andranno a costituire i vini d’assemblaggio della linea “Sans sulfites ajoutés” (senza solfiti aggiunti). Qui entriamo nel merito dello stile di Chavost e di Fabian: solo lieviti autoctoni per i loro champagne, senza solfiti aggiunti, non filtrati e a dosaggio zero. Scelta che obbliga a un lavoro certosino in vigna, alla raccolta nel momento di perfetta maturazione tecnologica delle uve e al controllo pedissequo di tutte le successive fasi di lavorazione.

Passiamo alla sala di fermentazione. Assaggiamo il succo d’uva Chardonnay: un nettare dolce e piacevole; assaggiamo il mosto di Pinot Meunier in fermentazione da uno, cinque, sette giorni: la dolcezza sfuma via via in quelli che saranno i caratteri dominanti degli champagne finali, la freschezza vibrante e il retrogusto piacevolmente amaricante del pompelmo. Diversi tini sono anche destinati a grandi maison di champagne, che non possiamo in questa sede citare per via dei contratti di riservatezza.

Infine la degustazione, in terrazza, come si conviene agli amici, davanti alla distesa di vigne che ci ha accolto al nostro arrivo. È questo forse il momento più peculiare e spettacolare della nostra visita: tutti gli champagne in degustazione vengono sboccati sul momento, alla volée, permettendoci di apprezzare al meglio le caratteristiche dello stile Chavost. E materico è sicuramente l’aggettivo per definire, con un’unica parola, questo champagne, che, attraverso le scelte dell’uso esclusivo di lieviti indigeni e del dosaggio 0, esprime al meglio le caratteristiche dei terreni gessosi su cui crescono le viti.

BLANC D’ASSEMBLAGE 2021

50% Chardonnay – 50% Pinot Meunier – uve da agricoltura convenzionale

30% della massa vinificata in barrique

Senza solfiti aggiunti – dosaggio 0

Naso immediatamente minerale, poi piccoli frutti rossi ancora acerbi.

Spinoso in bocca, a tratti tagliente, si delinea già timidamente la nota di pompelmo che caratterizza gli champagne Chavost. Un puledro ancora da domare, che si farà apprezzare al suo meglio non prima di un anno.

BLANC D’ASSEMBLAGE 2022

67% Chardonnay – 33% Pinot Meunier – uve da agricoltura convenzionale

20% della massa vinificata in barrique

Senza solfiti aggiunti – dosaggio 0

Definito da Fabian uno “young champagne” (chi mai sboccherebbe uno champagne a meno di un anno dalla vendemmia delle uve?), mostra già un carattere definito, con chiari sentori fruttati. Il naso infatti è di mela verdissima ma anche di fiori bianchi fragranti. In bocca è fresco e piacevolmente lungo sulla caratteristica nota amaricante.

EUREKA 2020

 50% Chardonnay – 50% Pinot Meunier – uve da agricoltura biologica

100% della massa vinificata in barrique

Senza solfiti aggiunti – dosaggio 0

Top di gamma della linea, Eureka è il compendio dello stile Chavost. Al momento di decidere il nome, la scelta era tra Abracadabra e Eureka. Quest’ultimo ebbe la meglio perché lo champagne non è il risultato di una formula magica ma la perfetta sintesi del duro lavoro in vigna e delle corrette pratiche di cantina.

Eureka ha immediatamente sentori di biancospino, seguono note agrumate e di erbe aromatiche. Al sorso si rivela elegante, pulito e di vibrante freschezza.

ROSE DE SAIGNEE 2022

67% Pinot Noir – 33% Pinot Meunier – uve da agricoltura biologica

Vinificato in acciaio

Senza solfiti aggiunti – dosaggio 0

Colpisce immediatamente il colore corallo carico.

Pot pourri di petali di rosa rossa e golose fragoline di bosco caratterizzano il naso, mentre al palato si rivela gustoso, piacevolmente croccante e tipico nel retrogusto di pompelmo.

RATAFIA’

“Du moût de raisin, de l’alcol, et pis c’est tout!”, recita l’etichetta della ratafià Chavost: “mosto d’uva, alcol e questo è tutto”.

Ottenuta con un volume d’alcol ogni quattro di mosto (50% di Chardonnay e 50% di Pinot Meunier), questa ratafià è elaborata con metodo solera.

Il risultato è un liquore che non supera il 20% vol.alc. dai piacevoli sentori di rosa, uva passa e distillato, perfetto accompagnamento per formaggi erborinati e dolci.

Champagne Chavost

16 Rue d’Ilbesheim

51530 Chavot-Courcourt

Francia

Calabria – Giraldi & Giraldi: gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa

Per gli appassionati di calcio, Vialli e Mancini erano i gemelli del gol ai tempi della Sampdoria dello scudetto e di una Nazionale italiana (forse) mai così bella e affiatata. Al cinema, invece, De Vito e Schwarzenegger sembravano teneri e, altresì, improbabili nel ruolo di fratelli separati alla nascita. Anche il mondo del vino non poteva restare lontano da simili storie, fatte di quel legame affettivo e in parte chimico che lega due omozigoti fin dai loro primi passi.

È il caso di Pierfrancesco e Alessandro GiraldiGiraldi & Giraldi giovani e appassionati vitivinicoltori di Rende (CS), in quella terra meravigliosa che è la Calabria. Entrambi iscritti alla Facoltà di Ingegneria, protetti nelle scelte dalla saggezza dei genitori Giuliana e Francesco. Poi, complice i ricordi degli studi superiori e di un professore di agraria particolarmente illuminato, la vita cambia con un click e si trasforma nelle vesti di Madre Natura, pronta a chiamare i ragazzi all’impegno e sacrificio nella terra nuda. I poderi, per fortuna, erano già lì, grazie alla mentalità di queste parti, dove ciascuna famiglia mantiene il piccolo terreno adibito o orto e coltivazioni casalinghe, vite inclusa.

Nel 2003 avviene l’impianto del primo mezzo ettaro di Magliocco ed ora, a distanza di quattro lustri, siamo arrivati ad una consistenza complessiva di ben 18 ettari per circa 100 mila bottiglie suddivise in 4 referenze. Una proporzione assolutamente perfetta, tenendo conto di quanto possa raccontare l’areale in termini di diversificazione e qualità, senza confondere troppo le idee. Lavorazioni semplici, minimaliste per il bianco e il rosato, con lunghe macerazioni per i rossi, vinificati ad acino intero e con utilizzo di lieviti selezionati. Solo 5 varietà coltivate nell’ambito aziendale: Chardonnay e Greco Bianco per la bacca bianca; Magliocco, Greco Nero (un autoctono locale differente dal Magliocco Gentile) e Cabernet Sauvignon per il rosso.

La degustazione

Partiamo da Arintha 2022, Greco Bianco con un piccolo saldo di Chardonnay. Indomito, dalla buona salinità e freschezza di lime condito da erbe mediterranee. Versatile e meno impegnativo negli abbinamenti rispetto ad altre tipologie.

Donna Giuliana 2022, dedicato alla madre di Alessandro e Pierfrancesco. Donna straordinaria, che cura amorevolmente l’accoglienza nella casa di famiglia, adibita anche a cantina e sala degustazione. Riveste, nel dietro le quinte, il classico ruolo della madre saggia che guida i propri cuccioli senza interferire nelle loro esperienze. Il rosato proposto ha carattere e gradevolezza, blend di Magliocco e Greco Nero quasi in parti uguali. Fragoline selvatiche, agrumi rossi, fiori di pesco e chiosa salmastra lo rendono un vino equilibrato fuori dai canoni classici dei rosè.

Monaci 2022 da Magliocco in purezza. Nato su terreni argillosi dai richiami marini, vinifica e matura solamente in acciaio e bottiglia, svolgendo anche la fermentazione malolattica per addomesticare i tannini robusti del varietale. L’annata è risultata particolarmente generosa, dimostrando potenza e irruenza tali da rendere il vino interessante sui piatti a lunga cottura della tradizione italiana. Meglio la 2021, declinata interamente tra frutto e goduria di bocca, apprezzabile anche come sorso di meditazione e compagnia.

Gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa! Al prossimo racconto.

“Consumando S’Impara 2023”: spunti di riflessione per avvicinarsi al mondo del vino naturale lontano da preconcetti e falsi miti

Consumando s’impara – la festa del consumo critico – si è svolta con grande successo di pubblico e partecipanti, lo scorso 15 ottobre a Padova, nella splendida Piazza della Frutta.

Un’appassionata decima edizione che ha visto presenti ben 120 cantine provenienti da Italia, Slovenia, Austria legate al mondo del vino naturale, dove è stato possibile interagire con i vignaioli e degustare la loro produzione.

Ecco alcune delle aziende che ho avuto il piacere di scoprire o di ri-scoprire

  • Klinec: siamo nella Brda, al di là di quella linea invisibili che separa Italia da Slovenia. Un artista sia in vigna che in cantina. Pregevole il Gardelin, un pinot grigio macerato sulle bucce e affinato 36 mesi in botti di legno di acacia. Un esempio per tutti coloro che vogliono produrre orange wine.
  • Enoteca La Caneva di Mogliano Veneto ha portato in degustazione vini davvero speciali tra cui la malvasia di Pietra.
  • Tropfltalhof, azienda biodinamica dell’Alto Adige, ha presentato tra le altre referenze il RosèMarie, dedicato alla moglie, che vede un 15% di cabernet sauvignon e da un 85% di merlot a comporre il blend, vinificato in anfora. Un vino vivo, vibrante, succoso e piacevole alla beva.
  • Dalla Liguria il filosofo del vino Andrea Kihlgren dell’azienda Santa Caterina pratica la biodinamica da sempre; i bianchi d aa vermentino e albarola, vinificate in purezza esprimono l’essenza del territorio. Giuncaro, un Igt Liguria di Levante, si compone di un 70% di friulano e un 30% di sauvignon: un assaggio molto particolare e degno di nota, preciso e pulito.

  • Azienda Demarie ha presentato Sabbia, un vino da un blend di uve autoctone del Piemonte che crescono su terreni sabbiosi; macerazione sulle bucce durante la fermentazione e affinamento in legni francesi e un rifermentato davvero interessante, un inno alla gioia di nome Luigi.
  • Insolente Vini produce vini in provincia di Verona con le uve provenienti da una sola vigna: lieviti indigeni, senza controllo della temperatura né filtrazioni: una nutrita selezione di pet nat, tra cui M E 3 annata 2019 da durella impiantata circa 45 anni fa e G E 3 sempre 2019, ottenuto da pinot grigio e durella.
  • Asja Rigato, conosciuta alla manifestazione Sbarbatelle 2023, conferma la sua capacità di emozionare e lo fa con un rifermentato da moscato giallo, Flower Power, dall’etichetta sgargiante e dai profumi floreali e fruttati.

  • Raina di Francesco Mariani ha portato l’Umbria all’ attenzione del pubblico; dal 2012 gestisce le vigne secondo i principi della biodinamica nel territorio di Montefalco. Campo di Raina è un sagrantino 100% che macera per circa 15 giorni e affina 12 mesi in acciaio e 24 mesi in botti di rovere, non è chiarificato né filtrato. Confettura di prugne e visciole, richiami terrosi e balsamici, fiori secchi , tannino scolpito e buon potenziale di invecchiamento.
  • Podere Cipolla di Denny Bini si trova a Reggio Emilia e si è votato alla vinificazione da Lambrusco; il suo è un approccio artigianale, legato alle proprie tradizioni contadine. Levante Bianco 90 è un vino frizzante pet nat da spergola, malvasia e moscato. Brioso, fresco e profumato.

Insieme al buon vino erano in piazza 5 stand gastronomici a cure di altrettante enoteche di Padova; l’evento è stato magistralmente organizzato da “All’Ombra della Piazza” e Brutal e aspetteremo con curiosità il prossimo appuntamento.

Villa Saletta Tour al nastro di partenza con il tema “pizze d’autore”

La prima tappa del Villa Saletta tour con il tema “Pizze d’autore” si è svolta presso la pizzeria Il Vecchio e il Mare di Firenze. La prima di 5 tappe, organizzata e condotta,  rispettivamente dai giornalisti Roberta Perna e Leonardo Romanelli con la presenza del direttore tecnico dell’azienda David Landini.

Villa Saletta si trova in località Montanelli a Palaia in provincia di Pisa, un antico borgo che affonda le sue origini nell’anno 980. Appartenuto ad importanti famiglie, oggi grazie agli inglesi Hands, imprenditori nel mondo dell’hotellerie di lusso e dopo una attenta restaurazione ha ritrovato nuova vita. La tenuta è immersa nei 1400 ettari di proprietà tra oliveti, vigneti, boschi e coltivazioni varie. I vitigni coltivati sono Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. In futuro verranno messe a dimora anche barbatelle di Chardonnay.

Moderna e funzionale la cantina costruita per dare origine a vini espressivi e di elevata qualità con timbro bordolese, ma animo marcatamente toscano. La gestione della Tenuta è stata affidata all’esperto enologo David Landini. A breve gli ettari vitati supereranno gli 80. Villa Saletta mette a disposizione anche casolari immersi nel verde della campagna e tre ville per l’ospitalità.

Il Vecchio e Il Mare si trova a Firenze in via Gioberti, all’interno di una corte, un angolo tranquillo con ampi spazi sia all’aperto sia al coperto. La cucina di mare è curata dallo chef Daniele Di Sacco e la pizza da Mario Cipriano con versioni napoletane sia classiche che rivisitate. Pizze con farine selezionate e impasti calibrati. Tre spicchi conferiti dal Gambero Rosso per ben quattro volte. Il titolare è il dinamico Pasquale Naccari.

Il menù con abbinamenti

Montanarina con trippa di ricciola come benvenuto

Padellino crema di fiordilatte affumicato, porchetta di mare, patate del Casentino sfogliate – abbinato
Villa Saletta Rosé 2021 – Sangiovese, Merlot,  Cabernet Sauvignon e Franc – dai riverberi rosa cerasuolo e nuances olfattive di ribes rosso, lampone, melagrana e fragolina di bosco, sorso fresco e sapido, suadente e persistente.

Impasto classico con Fiordilatte campano, crema di zucca fresca Toscana, salsiccia di cinta senese presidio Slow Food e funghi porcini spadellati – abbinato a Chiave di Saletta 2018 – Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc- rubino luminoso con note balsamiche e speziate, polvere di cacao, rosa appassita e tabacco. Sorso avvolgente con tannini nobili, pieno e coerente.

Impasto classico margherita – in abbinamento a Saletta Giulia 2018 – Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon – rubino intenso sprigiona sentori di corbezzolo, rosa canina, spezie, liquirizia e tostature. Al palato risulta delicato e rotondo al tempo stesso.

Pizza alla pala con provola affumicata campana, gorgonzola mascarponato, speck Sauris e tarallo napoletano sbriciolato – con Chianti Superiore 2018 – Sangiovese in purezza – dalle sfumature di violetta, amarena, prugna, pepe nero e arancia sanguinella. Tannino setosi, sapidi ed equilibrati.

Pizza e vino si conferma sempre di più una garanzia in fatto di abbinamento.

Modena Champagne Experience: tutta la magia delle bollicine minuto per minuto

Si sono chiusi si battenti su Modena Champagne Experience che anche quest’anno si conferma punto di riferimento a livello europeo per tutti gli operatori del settore e per gli appassionati delle iconiche bollicine francesi. La manifestazione organizzata da Società Excellence, giunta alla sesta edizione, ha registrato oltre 6000 accessi nelle due giornate del 15 e 16 ottobre. I visitatori, provenienti da tutta Italia, hanno avuto l’occasione di girare idealmente nelle varie zone della AOC Champagne e ampliare la loro conoscenza grazie alla presenza di 176 aziende, tra grandi Maison e piccoli vigneron, che hanno messo in degustazione più di 900 vini.

Luca Cuzziol, Presidente di Società Excellence, racconta: “l’obiettivo era, come al solito, quello di mettere i tantissimi cultori dello champagne presenti in Italia nelle condizioni migliori per poter approfondire la conoscenza di questo magnifico vino”. “L’Italia è uno dei mercati di riferimento a livello mondiale per il consumo di Champagne, il più importante per quanto riguarda le cosiddette cuvée de prestige. Oggi possiamo dire che il nostro Paese, e Modena in particolare, ospita anche la manifestazione più importante d’Europa per quantità e qualità di aziende espositrici appartenenti al mondo dello Champagne”. 

Arduo il compito nello scegliere le degustazioni, dopo un passaggio tra le Maisons più famose, il mio tour ideale tra le varie aree della Champagne mi ha portato a fare nuove conoscenze, eccone alcune:

Champagne Colin, azienda a gestione familiare che produce dal 1829 degli ottimi champagne. Negli anni a seguire, e fino a quasi i giorni nostri, la presenza femminile nella conduzione dell’azienda è stata preponderante. Tra gli anni Cinquanta e Novanta, Champagne Colin ha aderito a una cooperativa e dal 1997 fa parte de Vignerons Indépendants. L’Azienda è situata nella Côte des Blancs, nel villaggio di Vertus e produce Champagne Blanc de Blancs Premier e Grand Cru. La maggior parte del vigneto è piantata a Chardonnay, uva che dà meravigliosi e longevi Blanc de Blancs. Una piccola parte è piantata a Pinot Nero e Pinot Meunier e si trova a Sézanne. Piacevolmente colpita dal loro Premier Cru Brut Castille Rosé, Chardonnay e Pinot Noir che insieme regalano un colore rosato e un perlage fine e persistente. Lamponi e melograno al naso, con note speziate e una beva che dona un’ottima profondità.

Quentin Beaufort Blanc de Noir La maison è stata fondata nel 2007 a Polisy nella Côte de Bar da Quentin figlio di Jacques della maison André Beaufort che nel 1971 fu pioniere del biologico in terra di Champagne. Il loro Blanc de Noir 100% Pinot noir riposa oltre 39 mesi sui lieviti e il dégorgement avviene alla volée. Un tripudio di profumi: frutti rossi, cioccolato fondente e scorze di agrumi, le bollicine sono finissime e delicate. Interpreta fedelmente il territorio. Grande freschezza, armonica ed equilibrata la chiusura con lungo finale.

Erick Schreiber, Azienda portata avanti da Erick Schreiber, agronomo-enologo e pioniere della biodinamica nell’areale. Nel 1988 crea la prima bottiglia di Champagne Biodinamico: l’obiettivo è di preservare il più possibile la fertilità del suolo, evitando contaminazioni chimiche. Tutti gli champagne prodotti risultano genuini, svolgono al meglio la complessità aromatica, la freschezza e la mineralità, più durevoli nel tempo e rappresentano la massima espressione del loro terroir d’origine. Curioso il racconto dell’energia Astrale, nel 2008 in alcuni vigneti sono stati posti alcuni Megaliti che andrebbero a concentrare questa energia sulla vigna influenzandone positivamente il ciclo vegetativo. Il loro Grande Réserve Brut esprime il cuore del terroir. Cuvée composta dalle selezioni dei migliori Pinot  Noirs e Chardonnay di 3 diverse annate. Potente ed elegante. Note di frutti rossi, lunga persistenza in bocca, molta freschezza e una bella complessità aromatica. Esprimerà sicuramente tutto il suo potenziale con l’invecchiamento.

Stephane Breton La sede della Maison è a Congy, una piccola cittadina a 30 minuti da Epernay, fra la Côte Des Blancs e i vigneti di Sézannais. La storia della maison Breton Fils ha inizio nel 1945 quando Olivette ed Ange Breton decisero di produrre e vendere il proprio champagne, coltivando 2 ettari di vigneto per un totale di 300 bottiglie. Oggi l’azienda si è decisamente ampliata e vanta una produzione di 150.000 bottiglie l’anno grazie ai 17 ettari di vigneti sparsi nel territorio della Champagne Ardenne. Le cantine, tipiche della regione, sono state scavate nella pietra dallo stesso Ange Breton nel corso degli ultimi 60 anni, ed è qui che i vini trovano le condizioni ideali per invecchiare nel modo migliore. la Maison sia annovera fra i principali Récoltant-Manipulant della Champagne. Stephane Breton Blanc de Blanc uve bianche principalmente Chardonnay, affina 24 mesi. Colore dorato chiaro, perlage fine e persistente. Note al naso floreali, fruttate e agrumate, avvolgente e fresco in bocca. Morbido e lunga persistenza.

Henriot fondata nel 1808 daApolline Henriot a Reims è tra le più antiche maison della regione.  Ancora a conduzione familiare produce Champagne ricercati e raffinati.  La cantina possiede circa 30 ettari suddivisi tra la montagna di Reims e la Cote de Blanc in cui coltivano nel primo Pinot Nero e nel secondo Chardonnay, oltre una piccola parte di Pinot Meunier. Votati alle coltivazioni biologiche, i vigneti vengono vinificati separatamente portando alla realizzazione di cuvée territoriali e Vin de reserve frutto di assemblaggi delle migliori annate passate. In degustazione CHAMPAGNE BRUT MILLESIMÈ 2012 54% Chardonnay e 46% Pinot Noir. Annata difficile dal punto di vista climatico quella del 2012 almeno nella prima parte dell’anno, che mette a dura prova i produttori e qui le capacità della Maison vengono tutte fuori e ne nasce una vera perla. Affinamento sui lieviti minimo 84 mesi prima della sboccatura. Una bollicina ricca che presenta una bella complessità negli aromi di frutta matura, al palato si presenta minerale con elegante struttura e freschezza avvincente.

Esco soddisfatta, ho degustato bene, ho conosciuto produttori, distributori e nuovi compagni di bevute. L’atmosfera spumeggiante già mi manca, non mi resta che dire au-revoir Modena Champagne Experience!

“A Votre santé”

Lazio: D.S. Bio di Danilo Scenna “autoctono” purosangue

“Traccia la tua rotta verso una stella e supererai qualsiasi tempesta”, scriveva Leonardo Da Vinci. E così usciamo dall’areale del Cesanese viaggiando più a sud ai confini tra Lazio, Abruzzo e Campania, in località Pescosolido nei pressi di Sora (FR), dove si trova una stella nascente, la Cantina D.S. Bio di Danilo Scenna.

Quando faceva parte al Regno delle Due Sicilie, questo territorio apparteneva alla Campania, e fu Federico II a chiamare tutti i paesi della zona con il nome dei quartieri di Napoli. Ancora oggi il dialetto locale è un misto tra campano e abruzzese.

Danilo ha ereditato vigneti a piede franco di ottanta anni che crescono su pendii proibitivi per la meccanizzazione costringendo alla cura manuale, con un approccio olistico, ecologico ed etico, secondo la filosofia di Demeter. Oltre ad essersi appassionato all’allevamento di cavalli, Danilo si è dedicato alla coltivazione della vite con tanta passione ma soprattutto seguendo i principi di sostenibilità con il metodo della agricoltura biodinamica.

Tradizione e innovazione si incontrano perfettamente portando di pari passo la produzione di viti che contano svariati lustri, e una cantina moderna, diffusa in un piccolo borgo che Danilo sta ristrutturando dandogli nuova vita. Vitigni come Maturano, Pampanaro, Trebbiano, Lecinaro, Uva Giulia.

La qualità dei suoi vini in crescita, in alcuni casi hanno qualche angolo da smussare date le varietà autoctone riscoperte e salvaguardate, ma sempre “ben fatti” e la passione, la cura e la determinazione, sono qualità che ritroviamo nel bicchiere. Nessuna chiarifica, filtrazione o alterazione per tutti i vini prodotti.

INDOMATO Macerato 2021 85% Maturano, 10% Pampanaro e 5% Trebbiano. Nel mondo del vino, ci sono creazioni che sfidano le convenzioni e incantano con la loro audacia. Si presenta con un carattere fresco di note agrumate e un finale sorprendentemente sapido.

MATRE Frusinate IGT Bianco 2018. 60% Maturano e 40% Trebbiano a piede franco, è una celebrazione dell’eleganza e della complessità vinicola. Con il suo bouquet floreale che richiama la magnolia, la ricca gamma di sapori e l’evoluzione in bocca, questo vino è un’esperienza che merita di essere esplorata e apprezzata. Incanta con una beva fluida e scie di frutta esotica.

INDOMATO Rosato 2022. Uva Giulia in purezza vendemmiata a novembre con raccolta manuale delle uve e dopo la spremitura, la massa non ha nessun contatto con le bucce. Una bella spalla acida con note agrumate e verdi, finale leggermente amaricante.

VOLUMNIA Rosso del Frusinate IGT 2021. Sangiovese 40%, Lecinaro 40% e Uva Giulia 20%. Rivela solo un assaggio del suo potenziale. Bene attendere uno o due anni prima di aprirlo, per godere pienamente delle sue qualità.

PALMIERI Lecinaro del Frusinate IGT 2021, Lecinaro in purezza, Palmieri è un’autentica espressione di questa varietà di uva. Una scoperta sensoriale che delizia con note solfuree e vegetali arricchite da un intrigo di erbe aromatiche. Affascinante.

ARCARO Maturano del Frusinate IGT 2021, da Maturano in purezza coltivate su un terreno ricco di bauxite. Vinifica in vasche di cemento senza macerazione con le bucce e senza lieviti selezionati ma con i suoi stessi lieviti. Macerazione carbonica iniziale, affina sulle fecce fini per 6/7 mesi durante i quali viene effettuato il bâtonnage.

Esempio di eleganza in bottiglia, è un vino che merita di essere esplorato da chi cerca autenticità e carattere in ogni bicchiere. Di tutti il mio preferito.

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Estro Beef-Bar a San Giorgio a Cremano: nella città che ha dato i natali a Massimo Troisi si punta alla ristorazione di alta qualità

Scusate il ritardo. La frase non è il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, nativo di San Giorgio a Cremano (NA). E non ha neppure valenza di gioco con doppio fine, per evidenziare qualcosa di accattivante nella scelta gastronomica. Il ritardo è, per una volta, quello del sottoscritto nell’aver dimenticato di visitare, da troppo tempo, un luogo del cuore che mi lega ai ricordi dell’essere campano e “uomo del Sud”. Quanto è mancato colmare questo vuoto, maledetta nostalgia degli anni che scorrono inesorabili. Poi arriva finalmente il giorno desiderato, con la visita al ristorante Estro Beef-Bar in uno dei continui viaggi alla ricerca di ciò che conta nel mondo della ristorazione.

Nel traffico dell’ora di pranzo scorgo un grazioso dehor esterno, di pertinenza del locale, grato della fortuna di aver trovato posto con la macchina proprio di fronte ad esso. La giornata sembra iniziare per il verso giusto e prosegue accolto dal direttore di sala Fabio Petricelli, esperienze pluriennali in giro per il mondo, coadiuvato dal maître Alfonso Improta.

La bassa età anagrafica dello staff è il sottile filo rosso, con lo chef Francesco Sorrentino poco più che trentenne dal curriculum già ampio. Suoi i piatti, selezionati tra una lunga lista, che soddisfa appieno le tendenze delle clientela. Si passa dagli assaggi in stile street food, per andare verso antipasti e primi ricchi di tradizione rivisitata in chiave moderna. La ricerca è incessante, a volte anche eccessiva, ma per nulla scontata.

I sapori si riconoscono nella propria essenza, sia per quantità che qualità di ingredienti. E la materia prima fa da sempre la parte del leone. Come a riguardo delle carni, provenienti da allevamenti facenti capo ad Antonino Grillo, il titolare dell’Estro Beef-Bar. La carta dei vini è in profonda trasformazione, giunta alle attuali 300 referenze, un numero comunque ritenuto adeguato per la tipologia. Le frollature vengono effettuate su indicazioni di Antonino, evitando di arrivare alle punte estreme degli oltre 60 giorni, già sufficienti nella filosofia del locale a proporre il miglior taglio possibile alla giusta maturazione. Presente nel menu anche una mini degustazione utile a capire l’importanza del procedimento di preparazione e cottura.

Tanta sostanza, tanta praticità, pochi fuochi d’artificio. Esattamente ciò che a noi di 20Italie piace raccontare. L’antipasto è una tartare di scottona, con arachidi tostate e sotto forma di salsa, burro e perlage di aperol spritz, con granelli di sale. Divino è dir poco.

Segue la rivisitazione del peperone imbottito dalla forma di ciambella, su cremoso di peperone e spuma di parmigiano dove le consistenze perfette si amalgamano senza slegature o distorsioni.

Il risotto cacio e pepe con framboises, lamponi ice e zest di limone è un piatto su cui ci si può lavorare a patto di non avere eccessivi riverberi dolci nel fine bocca.

E poi lei, la regina, la carne presentata cruda in un cofanetto a mo’ di scrigno delle delizie e cotta alla brace, tenera e saporita. Perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Ci scuserete per il ritardo, ma le cose buone valgono la pena d’essere attese.

Estro Beef-Bar

Via Alessandro Manzoni, 102

80046 San Giorgio a Cremano (NA)

Tel 081 18367365

Taranto: guida essenziale alla scoperta della città dei due mari

L’incanto delle mitologiche sirene, l’influenza culturale di Sparta e della Magna Grecia, fanno di Taranto una delle mete italiane più interessanti da visitare.

Unica nel suo genere è chiamata la “città dei due mari” poiché unisce Mar Grande e Mar Piccolo. Taranto è pronta a far parlare di sé, non solo per le note vicende legate all’acciaieria, ma per un fermento culturale che rimette al centro storia e tradizione da tramandare nei secoli.

Taranto, per noi gastronomi itineranti, significa anche cozze nere e Primitivo di Manduria, da gustare secondo il giusto pairing per non sacrificare mai il gusto. Andare alla scoperta di questa città equivale al mettersi alla prova per una giornata diversa dal solito, o per un weekend all’insegna di scoperte a tema cultura, buon vivere, buon mangiare e ovviamente, buon bere.

Attraverso le epoche per fare storia

Le origini si perdono nei tempi e ogni traccia è certificabile anche solo percorrendo le sue strade. Le prime, datate VII secolo A.C., sono riconducibili alla spartana Taras. Nell’epoca della massima espansione della Magna Grecia, Taranto è diventata un punto di riferimento per il commercio, data la posizione strategica sul mare. Crocevia di differenti culture, testimoniate dal MArTA, Museo Archeologico Nazionale di Taranto, che possiede oltre 200.000 reperti archeologici dalla preistoria fino ai giorni nostri. La testa di donna è una delle opere più incisive per bellezza e conservazione, senza dimenticare le teste del giovane Cesare Augusto ed Eracle.

Il Castello Aragonese, in tutta la sua magnificenza, fa da vedetta sul mar Piccolo dal suo isolotto. È una struttura visitabile che dimostra quanto le diverse epoche ne abbiano segnato l’evoluzione, maestoso simbolo della città. Il Ponte Girevole, o Ponte Porta Nuova, è invece una sorta di lasciapassare per le navi più grandi che devono solcare il Mar Piccolo. Un gioiello di ingegneria.

Importante il centro storico che con la sua architettura senza età. Suggestive le stratificazioni degli edifici in superficie e nei sotterranei. Si, certamente, perché Taranto annovera cripte e ipogei visitabili, come l’Ipogeo di Palazzo de Beaumont Bellacicco situato ben 5 metri sotto il livello del mare.

La Taranto amante della Natura

Se la storia di Taranto sembra essere volta a uno sviluppo industriale, certamente non mancano le eccezioni che stupiscono a pochi passi dalla costa. La svolta naturalistica l’assicura l’associazione Jonian Dolphin Conservation (in sigla J.D.C.) che ci porta a scoprire i cetacei più intelligenti del mare: i delfini. L’attività, iniziata nel 2009, è orientata allo studio di questa specie che ha trovato un habitat perfetto per prosperare, divenendo una icona. La J.D.C. coniuga il sano divertimento di una gita in barca, all’osservazione dei delfini che saltano tra le onde, alla scoperta della biodiversità marina ionica. La mission, riuscita, è quella di vivere un’esperienza giornaliera irripetibile con approdi verso paradisi incontaminati.

A tavola la regina

La cozza tarantina, carnosa e saporita, è la regina della tipicità territoriale. Presidio Slow Food al quale hanno già aderito oltre venti mitilicoltori, richiedo impegno nel rispettare canoni precisi per poter essere identificata come tarantina al 100%, riguardanti le tempistiche di allevamento, il rispetto dell’ecosistema circostante, l’impatto ambientale ridotto. La migliori cozze sono quelle del Mar Piccolo, poiché beneficiano delle correnti di acqua dolce, i cosiddetti “citri”. L’afflusso di acqua salmastra crea le condizioni ideali per la coltivazione di questi mitili, che risultano così meno sapidi. Si presta perfettamente per i tubettini con le cozze, un classico di Puglia, al naturale nella classica impepata rigorosamente al verde, oppure con olio, aglio e peperoncino, e gratinate per chi non vuole rinunciare a sapori più forti. La cozza “integralista” è quella che si gusta cruda, al massimo intinta in un mix di olio, limone, pepe e prezzemolo.

Terra di Primitivo

E se l’idea delle cozze cucinate in modi più disparati possibili, ci fa venir sete, allora è il momento di andare alla scoperta delle realtà vitivinicole territoriali. Prima di tutto è bene dire che Taranto è terra di Primitivo di Manduria. Proprio verso il Golfo di Taranto si concentrano i vigneti più rappresentativi. Il territorio comprende soprattutto la città di Manduria, ma non manca Francavilla Fontana, limite settentrionale dell’areale. Rientrano nella provincia anche Carosino, Monteparano, Leporano, Pulsano, Faggiano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, San Marzano di San Giuseppe, Fragagnano, Lizzano, Sava, Torricella, Maruggio e Avetrana, oltre ad Erchie, Oria, Torre Santa Susanna in provincia di Brindisi. Ne vengono fuori vini unici, freschi e dalla muscolatura mai eccessiva, ottimi per accompagnare carni cotte al fornello, (su tutte le bombette), una prerogativa della zona che riflette le abitudini della vicina Valle d’Itria. Rossi che, nella versione Riserva, si impreziosiscono di sentori terziari senza mai snaturarsi. Per una cena pop il Primitivo di Manduria si esprime perfettamente come rosato, perfetto per le chiancaredde al sugo di pomodoro e basilico, o con la semplice frisella artigianale.

Anche il Primitivo di Manduria Dolce DOCG ha il suo riconoscimento, accompagnando tutto l’anno il fine pasto, dolcetti di Natale inclusi. Su tutti vincono sempre le carteddate, strisce di pasta da friggere e inzuppare nel vin cotto d’uva o fichi. Primitivo di Manduria è sinonimo anche di enoturismo, quindi per tutti i wine lovers non mancano cantine immerse nelle campagne pugliesi più autentiche e suggestive d’Italia.

Sake Days a Firenze: il racconto dell’evento unico nel suo genere per gli amanti del Giappone (e non solo)

Domenica 8 ottobre al Renny Club in via Baracca 1 a Firenze, in occasione della terza edizione dei Sake Days si è tenuta una manifestazione unica nel suo genere, che ha visto coinvolti i principali distributori e importatori di bevande provenienti dal Giappone.

Una masterclass molto interessante, volta a far scoprire quanto il sake possa rappresentare una scelta perfetta per gli abbinamenti ai piatti della dieta mediterranea, è stata condotta da Gaetano Cataldo, sommelier ed esperto di sake e da Luciana Mandarino di Madstudio/Marificio.

Il Marificio è un laboratorio di idee culinarie che prende forma e vita dai pesci più pregiati e ricercati del mare italiano, che vengono lavorati per creare salumi di pesce, quali la bresaola di tonno, il girello di pesce spada, la lonza di morone: una proficua collaborazione tra lo chef stellato Pasquale Palamaro e l’armatore Filippo Castaldi. Il cibo che viene creato è sostenibile, a basso impatto ambientale ed etico.

Cataldo ha stimolato la platea con alcune considerazioni, riguardanti la “compatibilità” dei sapori della dieta mediterranea con la bevanda giapponese a base di riso.

Italia e Giappone si trovano alle stesse latitudine e sono circondate dal mare, l’Italia solo su tre lati essedo una penisola; entrambe si estendono in lunghezza, abbracciando diversi paralleli e hanno suoli vulcanici e territori sismici. Le abitudini alimentari di questi paesi sono state valutate positivamente dallo studio del Dott. Ancel Keys, nell’ambito di una ricerca sulla longevità della popolazione verso gli anni Sessanta (Seven Countries Study), abbinate a un corretto stile di vita.

Le vicende storiche legate alla seconda Guerra Mondiale hanno sicuramente frenato l’entrata e la diffusione di prodotti giapponesi sul mercato statunitense, cosa che non è accaduta per quanto riguarda quelli italiani.

E’ stato molto interessante scoprire come il pesce del nostro mare, lavorato con passione e cura, affumicato e salato possa diventare un partner perfetto per le varie tipologie di sake! Il sapore umami è la chiave di lettura dei vari piatti di entrambe le cucine, per cui ricercare nel nostro caso un sake adatto a bilanciare l’esperienza gustativa.

La degustazione è iniziata con un sake spumantizzato, con il quale si è brindato in apertura della degustazione. I relatori hanno consigliato di tenere piccole quantità di cibo e di sake in modo da provare diversi abbinamenti e trovare il cosiddetto best pairing.

Sicuramente il sommelier o il ristoratore devono conoscere molto bene i piatti e gli ingredienti, in modo da poter consigliare il sake più adatto, alla corretta temperatura di servizio.

Il primo piatto di insaccati di mare del Marificio ha visto una ricciola nera, preparata come lonza di morone, di colore bianco, una salamella dolcemare (una ricetta trattata con il vino ischitana) e un girello di pesce spada, mentre il secondo è stato composto con un insaccato da pesce spada, ricciola e tonno, seguita dalla bresaola di tonno e per finire la ‘nduja di Spilinga, con peperoni gialli e rossi.

Il sake, contenendo circa un quinto in meno di acidi fissi rispetto al vino, riesce ad abbinarsi molto piacevolmente: Il primo sake degustato, un Tokubetsu Junmai, (junmai= senza aggiunta di alcol) ha un nome che tradotto significa Luna dopo la Pioggia e proviene dalla prefettura di Hiroshima; la sgrammatura del chicco di riso, scelto di una tipologia aromatica, si aggira al 60%. Un sake delicato ed elegante, con profumi che vanno ricercati dentro il bicchiere, tra cui spiccano le note aromatiche e speziate, con una lieve piccantezza sul finale. Il secondo sake in degustazione è Dassai 45, ottenuto da un riso la cui sgrammmatura si aggira al 45% e appartiene alla tipologia Junmai Daiginjo, con vibrante intensità e profumi erbacei, frutta tropicale, guanabana, umami e speziati. Il terzo sake servito richiede un tempo maggiore perché possa aprirsi e possa essere apprezzato grazie alle sensazioni retrolfattive: una tipologia di Futsushu, prodotto per la prima volta dalla cantina nel 1964, riprendendo l’antica tradizione dei Taru sake, che prevedono l’utilizzo delle botti di cedro. Si apprezzano sensazioni di cedro appunto, di conifere, di menta piperita, di umami. Una esperienza molto stimolante e interessante, che ha aperto la mente agli abbinamenti con i prodotti del nostro mare, sapientemente trattati; il sake rappresenta un mondo che merita di essere approfondito, perché espressione di una cultura millenaria.

A tal proposito, a breve inizieranno i corsi organizzati dalla Scuola del Sake, per ora a Firenze, con Giovanni Baldini e molti altri validissimi relatori del calibro di Gaetano Cataldo.