Montalcino: la degustazione dei vini di Camigliano

Vi abbiamo già parlato di Red Montalcino, l’evento creato per celebrare il Rosso di Montalcino in una terra che ha fatto la storia dell’enologia italiana (Red Montalcino: il Rosso di Montalcino festeggia i suoi primi 40 anni).

Mancava ancora un tassello al racconto, quello riguardante la storia di una famiglia, un borgo medievale e della cantina che degnamente lo rappresenta. Stiamo parlando della famiglia Ghezzi che gestisce l’azienda Camigliano dal 1957, anno di acquisizione dei poderi censiti nell’omonimo borgo rurale.

Silvia Ghezzi ci accoglie con la calma serafica di chi vive la quiete dello stare a contatto con la natura, i suoi silenzi, i suoi prodotti.

L’azienda viene raccontata dalle parole di Sergio Cantini, il direttore tecnico. Siamo in una zona di media collina, tra i 300 ed i 400 metri d’altitudine, con suoli profondi ricchi di sabbia, limo e argille. Giunti alla quarta generazione, la cantina rappresenta la storicità di Montalcino, con ben 95 ettari vitati di cui 50 iscritti a Brunello, per un totale di 200 mila bottiglie prodotte ogni anno.

La filosofia stilistica ha vissuto momenti di cambiamento, così come in tante altre Denominazioni d’Italia. Dai retaggi di un passato “nobiliare” in cui i vini erano frutto più di scelte empiriche sul campo che di corrette considerazioni tecniche, si è passati alla ricerca del mercato perfetto, con estrazioni e maturazioni all’epoca considerate invitanti, ma inapplicabili ai contesti attuali dalle temperature climatiche e potenze caloriche ormai fuori scala.

Bisognava, quindi, intervenire recuperando quelle agilità e quelle finezze di sapori un po’ smarrite nell’epoca dell’uso/abuso del legno e delle vendemmie posticipate. Un processo di snellezza simile ad una dieta accurata, che ha portato i suoi frutti con prodotti dinamici, dai tannini meno impegnativi seppur fitti (stiamo pur sempre parlando del Sangiovese).

La famiglia Ghezzi

E tutto ciò lo ritroviamo oggi nel calice, durante il momento degli assaggi nella caratteristica sala degustazione, accogliente quanto un salotto di casa. In etichetta il simbolo del dromedario, nato dalla leggenda che Camigliano fosse un luogo di templari nell’antichità. Il deserto, almeno metaforicamente, è arrivato con un vento di passione e di novità importanti.

La prima, senza dubbio, è il sorprendente Vermentino del Gamal annata 2023: salino, floreale e mediterraneo, senza opulenza e senza acidità costruite a tavolino per compensare eccessi di struttura che il varietale può offrire. Beva giocosa e buon allungo finale, duttile a tavola e nei momenti conviviali.

Scaldati i motori si parte con il Brunello di Montalcino 2019, ancora in fase di assestamento con la dovuta evoluzione in bottiglia che richiede la tipologia. Delineata e succosa la ciliegia, cala leggermente nel centro bocca e recupera nell’aggancio finale per la trama tannica elegante e saporita.

Il Brunello di Montalcino “Paesaggio inatteso” 2019 è una selezione piena, salina e materica. Tannini svolti da manuale, certamente più pronti rispetto alla versione base. Non nascondiamo altresì fiducia anche nello scorrere del tempo in cantina. Suadente la scia balsamica ed officinale con tocchi di salsedine sul finale da condurre davvero verso le dune sabbiose del mare.

Montalcino: visita da Casanuova delle Cerbaie

Il mese di agosto è iniziato decisamente bene, con la visita da Casanuova delle Cerbaie a Montalcino. Recarsi nella patria  del Brunello è sempre molto appassionante, anche nelle giornate torride come quelle estive. Le temperature sono elevate, ma la costante ventilazione aiuta a stemperare la calura climatica.

Mi hanno accolto Simone Carlotti e Cristina Migliore del Wine Hospitality. All’ombra di una quercia secolare ho ammirato lo scorcio su alcune vignee di proprietà e ascoltato con piacere la storia dell’azienda, per poi entrare in cantina nel reparto vinificazione e affinamento vini.

È seguita la degustazione dei loro capolavori in un’accogliente sala ben climatizzata, dove ho avuto il piacere di essere stato raggiunto anche dal direttore Alessandro Brigidi. Alcune nozioni sull’azienda anticipano le note sensoriali dei vini degustati.

La storia

Casanuova delle Cerbaie nasce nel 1980, anno in cui una gentildonna di origini tedesche si innamora di questo meraviglioso lembo di Toscana e dà vita all’attuale realtà. Non avendo eredi, nel 2008 la proprietà passa in mano a Roy Welland, grande appassionato e collezionista di vini.

L’azienda vitivinicola si trova sotto il centro abitato di Montalcino, nel quadrante settentrionale; i vigneti sono posti ad un’ altimetria che varia dai 250 ai 350 metri sul livello del mare, su terreni ricchi di argille e rocce calcaree. La superficie occupa 15 ettari di terreno, di cui 10 interamente vitati con la varietà Sangiovese (Grosso). Gli appezzamenti si trovano intorno alla tenuta ed nelle vocate zone di Montosoli e Casato.

I restanti ettari sono suddivisi tra oliveto, bosco e una piccola parte di seminativo. Una favorevole esposizione ed un microclima ideale con rese molto basse per ettaro sono elementi imprescindibili per dare origine a vini di elevata qualità ,che si contraddistinguono per eleganza gusto-olfattiva. Le uve vengono vinificate separatamente con l’uso di lieviti indigeni. L’ affinamento avviene in botti rotonde da 20 hl e ovali da 24 hl. I vini sono molto identitari: rispecchiano appieno l’areale, coniugando finezza e struttura data anche dai cambiamenti climatici.

La degustazione

Rosso di Montalcino 2022 – rubino trasparente, al naso giungono sentori di violetta, ciliegia, prugna, tabacco  e spezie dolci. Sorso pieno,fresco e saporito, dotato di buona facilità di beva.

Brunello di Montalcino 2019 – vira al granato intenso. Olfatto su eleganti sentori di amarena, bacche di ginepro, liquirizia, e sottobosco. Finale avvolgente, con setosa trama tannica e lunga persistenza aromatica.

Brunello di Montalcino 2018 –  Granato puro, accompagnato da buona trasparenza, al naso è fine e complesso, sprigionando note di prugna, pepe nero, polvere di cacao e caffè, arricchite da nuance balsamiche e agrumate. Appaga al gusto con coerenza e sapore.

Brunello di Montalcino Vigna Montosoli Riserva 2018 –  Il CRU dal colore granato luminoso, con accenni di ciliegiamatura, mora selvatica, sottobosco e spezie orientali. Morbido e suadente dotato di ottima lunghezza in chiusura.

Società Agricola Casanuova delle Cerbaie

Podere Casanuova delle Cerbaie 335

53024 Montalcino (SI)

Tel. +39 0577 849284

https://www.casanuovadellecerbaie.it

Red Montalcino: il Rosso di Montalcino festeggia i suoi primi 40 anni

Neppure si può parlare di maggiore età, semmai di età della ragione per il Rosso di Montalcino. Uno splendido quarantenne che sta vivendo un momento di particolare euforia, grazie anche all’apprezzamento dei consumatori e al via libera definitivo all’ampliamento della superficie vitata rivendicabile per la Denominazione.

Il vigneto della Doc (attualmente di 519,7 ettari) potrà essere incrementato fino a 364 ettari (+60%). L’ampliamento, inoltre, non comporterà l’impianto di nuove vigne: gli ettari aggiuntivi rivendicabili fanno infatti già parte delle mappe del territorio come quota di vigneti coltivati a Sangiovese ma liberi da albi contingentati. In termini di bottiglie, la produzione potenziale aggiuntiva del Rosso sarà di poco superiore ai 3 milioni che si andranno a sommare alla media attuale di circa 3,6 milioni di pezzi l’anno. 

Cosa ne consegue? Un’attenzione maggiore verso l’intero comparto, con prodotti totalmente diversi che potranno ulteriormente catturare turisti e merchandising in giro per il mondo. Deduzione logica: più soldi per tutti e un’economia florida che porterà benessere a migliaia di famiglie. Il senso stesso del fare impresa.

Sul vino, invece, ancor più certezze per il futuro. Il Rosso di Montalcino ha da sempre rappresentato la bevuta facile, l’immediatezza di un sorso che non esige abbinamenti gastronomici o sforzi d’ingegno magari nella calura delle recenti estati. A 40 gradi all’ombra l’immagine è quella di poter godere di un prodotto da servire ad una temperatura inferiore alla norma e senza concentrarsi necessariamente su zone, stile e potenziale evolutivo. Il bere per il piacere del bere insomma.

Giunta alla terza edizione di Red Montalcino in Fortezza, ben 68 produttori hanno presentato i loro vini nel consueto walk around tasting, tra specialità gastronomiche regionali unite a pietanze vegan e fusion. La soddisfazione dei partecipanti è stata palpabile, così come i tannini del Sangiovese di queste terre, meglio addomesticabili quando non si gioca sulla potenza. Era un po’ anche lo scopo dell’allora presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino Enzo Tiezzi, un illuminato nel mondo dell’enologia, persona dotata di saggezza e spessore che riuscì nel 1984 a conciliare le diverse anime in un progetto avveniristico.

Sì, perché anche Montalcino avrebbe potuto soffrire le difficoltà di altri areali della Toscana; eppure l’unità (almeno apparente) dei vitivinicoltori, la loro voglia d’imparare e lasciarsi guidare dai blasonati che hanno messo a disposizione il proprio sapere per la Comunità e lo spirito di non porre tutto sul piano della politica spicciola, astenendosi da inutili guerre di posizione, ha portato ai risultati positivi sperati.

In ultimo la scelta di eliminare la dualità di competenze e dirigenze accorpando le tipologie sotto la tutela di un solo Ente, altro atto insolito per un’Italia che sa duplicare qualsiasi ufficio e carica di potere.

La degustazione delle vecchie annate, moderata dalla giornalista di Rainews24 Barbara Di Fresco e condotta negli assaggi da Riccardo Viscardi di Doctor Wine, intitolata “Red Evolution: origini e futuro del Rosso di Montalcino”, ha dimostrato il nerbo del Sangiovese quando difettava di maturazioni spinte come quelle odierne. Irsuto agli inizi, superbo nello scorrere delle lancette.

Semmai ci fosse un problema su cui discutere resta quello del cambiamento climatico e dello “snellire” le cariche alcoliche estrattive di uve a pieno carico zuccherino dotate di minor acidità. Altrimenti le resistenze al tempo non saranno le stesse di qualche lustro passato.

Uno stimolo ulteriore per Fabrizio Bindocci, Presidente del Consorzio Vino Brunello di Montalcino e per il Direttore Andrea Machetti. Un modo per far entrare davvero il Rosso di Montalcino nell’eternità. Un ringraziamento particolare a Bernardetta Lonardi e Sara Faroni di Ispropress per l’organizzazione e l’accoglienza della stampa.

Vi rimandiamo alla playlist completa sul nostro canale ufficiale YouTube con tutte le interviste.

Bolgheri e Montalcino: i volti vincenti della Toscana nel mondo

Bolgheri e Montalcino: due volti di un’unica regione, si sono uniti per una sera a mostrare il filo rosso che li unisce: la capacità dei propri protagonisti di portare la Toscana in giro per il mondo. Location dell’evento il ristorante C’è posto per te a Castellammare di Stabia, che, nella consueta formula mensile ideata dal patron Pasquale Esposito, ha proposto una serata a tutta Toscana, non solo nei vini ma anche nei piatti eseguiti dalla resident chef Angela Esposito.

La conduzione di Luca Matarazzo, direttore della testata 20Italie e relatore AIS esperto di Toscana, ha accompagnato l’evento: partendo dall’assunto che bere è un atto d’amore, Luca ci ha portato alla scoperta di luoghi e personaggi di due territori iconici, permettendoci di riconoscerli nel bicchiere.

Iniziamo il racconto da Bolgheri, territorio rinomato e riconosciuto a livello internazionale, ma fino agli anni quaranta del secolo scorso zona paludosa di recente bonifica. Il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, riconobbe qualcosa che gli ricordava la Graves bordolese. Impiantò Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc e diede vita al vino bolgherese più noto, il Sassicaia. Un vino fatto in garage, amava scherzosamente definirlo, ma che ha fatto la storia dei grandi Supertascans, grazie all’enologo Giacomo Tachis proposto dal cugino Antinori.

Bolgheri è strettamente legata ai vitigni cosiddetti internazionali, che, per tipologia di terreni ed esposizione, trovano qui un habitat vocato. Vicino al mare (ma non troppo), è presente un paesaggio a mo’ di gradoni, tra le terre più antiche della Toscana, di circa un milione di anni. Si parte dalle colline metallifere e si arriva fino a terreni argillosi, molto simili al flysch cilentano, che donano sapidità e verticalità al vino. Un anfiteatro naturale all’interno del quale sono stati individuati ventisette tipi di terreni diversi, con diverse caratteristiche nei prodotti.

Il primo dei vini in degustazione, Noi 4 Bolgheri doc 2020 di Tenuta Sette Cieli, è il classico taglio bordolese da Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc impiantati a 400 metri d’altitudine. Nel calice sembra di sentire il soffio del mare, tra note officinali, speziate e mentolate che caratterizzano una bocca giovane e scattante.

Il Piastraia 2019 Bolgheri Superiore doc di Michele Satta, ottenuto da Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese prevede, invece, l’inserimento della varietà dominante in regione. La Famiglia Satta oltre a lavorare in questo territorio le quattro uve bordolesi, è meritevole di aver sperimentato anche il Syrah, il Teroldego e aver riportato in auge il Sangiovese stesso, quando la maggior parte dei vignaioli lo stava espiantando. Giacomo Satta, figlio di Michele, racconta la storia di una realtà vinicola da chi la vive nel quotidiano ed è emozionante cogliere quei piccoli particolari che sembra poi rivedere al sorso. Michele Satta, lombardo con origini sarde, adottato professionalmente a Bolgheri, si trasferisce sulla costa toscana negli anni Settanta del secolo scorso. Non sa nulla di vigna e vinificazione e quando decide di mettersi in proprio nel 1983, sceglie di fare vino perché a quei tempi i terreni coltivati a vigna costavano meno di qualsiasi altro tipo di terreno. Gli stessi momenti in cui Ludovico Antinori fonda Ornellaia, Piermario Meletti Cavallari Podere Grattamacco e, poco dopo, Eugenio Campolmi con Le Macchiole.

“Mio padre si introduce casualmente in una storia di vino, e lo racconta sempre per sottolineare come nella vita accadono cose speciali, da cui non si sfugge”. Il Piastraia 2019 è scuro e impenetrabile. All’inizio, necessita di tempo per rivelare la sua pienezza, ma al contempo riflette l’annata di cui è figlio: equilibrata per clima, piogge ed escursioni termiche. Un vino materico che ci parla di affetto per il territorio.

In abbinamento ai primi due vini, l’Antipasto Toscano con Finocchiona, bis di pecorini, pappa al pomodoro, fagioli all’uccelletto e bombetta al formaggio. Con i fusilli al ferretto al ragù di cinghiale, approdiamo nel secondo dei territori in esplorazione: Montalcino.

La nascita del Brunello di Montalcino è inscindibile dalla famiglia Biondi Santi, in particolare da Clemente, che nel 1820 iniziò a coltivare Sangiovese Grosso in un territorio dove si produceva prevalentemente Moscato Bianco nella tipologia dolce “Moscadello”. Il successo di questo vino è poi dovuto, come per Bolgheri, a giovani imprenditori che hanno creduto nelle potenzialità del territorio. In primis i fratelli Mariani che, coadiuvati dall’enologo Ezio Rivella, hanno dato vita all’azienda che ha portato il nome del Brunello di Montalcino prima negli Stati Uniti: Banfi.

Il primo Brunello di Montalcino in degustazione è Fattoi 2018.

Fattoi è un Brunello “tradizionalista”: prevede l’invecchiamento in botti di rovere da 40 Hl. Legno grande quindi, che mantiene integro il frutto del sangiovese, ancora pienamente godibile in questo bicchiere.

Caprili Brunello di Montalcino docg 2018 dell’Azienda Agricola Caprili è il secondo vino dell’areale. Anche questa una storia di famiglia riscattata dalla mezzadria; anche questo può considerarsi di fatto un Brunello tradizionalista che affina in botte grande. Al naso il frutto fragrante del sangiovese è controbilanciato da arancia essiccata, viola appassita, incenso. Il sorso è carezzevole grazie al tannino finissimo ma presente e risulta spiccatamente saporito. Sia Fattoi che Caprili si trovano su territori esposti ad ovest, un tempo più freschi, ma oggi, col cambiamento climatico in atto, espressione di un sangiovese equilibrato. I terreni prevalentemente argillosi danno nerbo e struttura al tannino. Esattamente ciò che sentiamo al sorso.

Il Peposo dell’Impruneta ci porta nella tradizione più autentica della cucina di Firenze, con uno stracotto che ha origini nel Medioevo e  deve il suo nome all’utilizzo abbondante di pepe in grani durante la cottura nei corposi vini toscani. La chef Angela lo propone insieme ad un piatto della tradizione campana, salsiccia e friarielli, per sperimentare un abbinamento non propriamente regionale – ma perfettamente riuscito – con i vini in degustazione.

Non ci spostiamo da Montalcino, degustando la superstar del 2023, il miglior vino del mondo, come lo ha definito Wine Spectator: Argiano Brunello di Montalcino docg 2018. Un vino italiano, toscano, salito sul podio a portare il vessillo del Made in Italy, cosa fino a qualche decennio fa impensabile.

Fine al naso, dai sentori di un frutto carnoso, e dal palato declinato su scie balsamiche, colpisce per l’equilibrio tra eleganza e potenza. Il sipario si chiude a Bolgheri con due pezzi autentici cavalli di razza.

Partiamo da Ornellaia L’essenza 2014 Bolgheri Doc Superiore, frutto di un’annata impegnativa che si esprime nel bicchiere comunque ad alti  livelli. La 2014 è composta nel blend bordolese con le seguenti proporzioni: 34% Cabernet Sauvignon, 32% Merlot, 20% Petit Verdot, 14% Cabernet Franc. Il naso è un pot-pourri di petali essiccati, spezia e salamoia. Il sorso è pieno, rotondo, con richiami di cioccolato ed una nota piccante nel finale, seguita da tannini morbidi e levigati.

Cavaliere Toscana IGT 2008 di Michele Satta, da Sangiovese in purezza è stato l’omaggio di Giacomo Satta a una serata dedicata alla convivialità. Naso di grande spessore, che spazia dalla moka, all’incenso, dall’arancia essiccata, alla felce e alla macchia mediterranea. Il sorso è progressivo e sferza il centro della lingua, chiudendo lungo e ampio su tostature di caffè.

C’è posto per te

Via Venezia 80053 Castellammare di Stabia

Tel: 081 870 1746

Chiuso il lunedì

Anteprima Brunello di Montalcino: la 2019 sarà l’annata della verità?

Il millesimo 2019 possiede certamente i connotati della grande annata, caratterizzata da attributi salvifici che conducono a un’espressione armoniosa e appagante della rinomata denominazione. La completezza strutturale è un dato di fatto inconfutabile, e la traiettoria della maturazione in bottiglia appare orientata da subito verso un futuro glorioso.

Difficile dire se sia l’annata del secolo, perché il secolo è ancora molto lungo a venire, ma sicuramente possiamo definirla l’annata della verità cha saprà lasciare una traccia indelebile nella memoria. Un millesimo indirizzato da una Natura benevola e in equilibrio, come capita ormai sempre più di rado, in cui predominano con chiarezza cristallina sia la voce del territorio che lo stile di ogni produttore.

Il Brunello di Montalcino 2019 conferma ogni certezza

Non eravamo pieni di aspettative quando finalmente abbiamo varcato la soglia del Chiostro di Sant’Agostino, sede storica di Benvenuto Brunello, una delle anteprime più attese ogni anno. Niente affatto, ci siamo accomodati in postazione pieni di certezze. E non per sentito dire, o semplicemente perché l’andamento regolare delle stagioni ha traguardato in cantina uve non solo sane, ma a dir poco perfette rispetto a tutti i parametri di maturazione. Il potenziale delle grandi annate si è palesato immediatamente e con grande eloquenza sin dal primo assaggio di botte nell’ormai lontano 4 gennaio 2020.

Un sorso che fu un incipit stupefacente che suscitò curiosità e gioia, seguito poi da numerose esperienze di degustazione nel corso degli anni, esplorando il ricco territorio di Montalcino. Assaggiare un vino in definizione è un po’ come sbirciare alle spalle dell’artista, ammirando ogni singola pennellata che contribuisce all’opera completa. L’evoluzione sulla tela è in ogni istante un’opera a sé stante. Allo stesso modo, ogni assaggio di botte racconta una storia sospesa nel senzatempo dove il passato e il futuro sono entrambi pienamente manifesti nel presente.

Potenza e Controllo

Certamente ricorderete l’iconico scatto di Annie Leibovitz con Carl Lewis che sta per scattare ai blocchi di partenza con ai piedi un paio di tacchi a spillo rossi. Sono ormai 31 anni che lo slogan “La potenza è nulla senza il controllo”accompagna il marchio Pirelli. Ebbene, l’immagine e lo slogan sono riaffiorati alla mente con la progressione degli assaggi, in questa annata dove non manca davvero nulla, è tutto al posto giusto anche se a volte non ancora perfettamente in equilibrio.

Intensità e raffinatezza, unitamente a una dinamica tensione al palato, caratterizzano la maggior parte dei calici, e la sfida principale rimane il raggiungimento di un equilibrio ottimale tra calore alcolico, tannini e acidità. Come sempre, le interpretazioni più convincenti si rivelano attraverso un bilanciamento armonioso tra tutte le componenti.

Sebbene qualche campione fosse ancora un po’ timido di naso, l’espressiva eloquenza del sorso non è mai mancata, e ciò che ha sorpreso maggiormente in ogni assaggio è stata la dolcezza dei tannini, anche quando presentavano qualche asperità e tratti di ruvidezza tipici della gioventù.

Augusta Boes autore di 20Italie

Gli assaggi più convincenti

Senza voler dare punteggi né stilare graduatorie, riportiamo di seguito le etichette che ci hanno colpito maggiormente.

Casanuova delle Cerbaie – leggiadro e stratificato nei profumi, fresco, dinamico e scorrevole al sorso, e con tannini dolci e levigati, questo è un Brunello talmente godibile che in tavola rischierà di finire sempre troppo presto.

Poggio di Sotto – un vino che non si discute, si ama. Un Brunello esemplare, profondo, completo ed equilibrato in tutte le sue parti, e che si conferma tra le punte d’eccellenza della denominazione.

Franco Pacenti – precisione ed eleganza sono ormai caratteristiche consolidate che trovano la massima espressione nel sorso carnoso e sfaccettato di Rosildo, un vero e proprio cru in equilibrio perfetto tra energia e armonia.

Fattoi – equilibro, intensità e scorrevolezza fanno da complemento a un naso complesso, profondo ed elegante per questo Brunello la cui coerenza gusto-olfattiva ne amplifica notevolmente la piacevolezza.

La Serena – è il canto della terra verso il cielo, dal bouquet intenso e variegato che, insieme al frutto, profuma di fiori di campo, erbe aromatiche e brezza marina. Complesso e potente, eppure agile e teso, regala gioia ad ogni sorso.

Sanlorenzo – quest’anno Luciano Ciolfi si presenta in smoking con un Brunello inedito e di intrinseca eleganza. Ribes, mirtilli e fragoline di bosco, uniti a una evidente carica balsamica e a una trama tannica fitta e carezzevole, riportano nel calice sensazioni che evocano la Borgogna.

Pietroso – solare, luminoso, esplosivo, è un Sangiovese didattico al naso, con un tripudio di violette e amarene seguite poi da note ematiche, di arancia e cacao. Il calice perfetto con una bella fiorentina al sangue.

Cava D’Onice – Colombaio – piacevolezza e precisione ne caratterizzano il sorso balsamico, fresco, equilibrato e disteso, con tannini dolci e perfettamente integrati. È ghiotto e infinito nella chiusura e non si fa certo dimenticare.

Ridolfi – i Brunello di Gianni Maccari sono come gli acquerelli in cui non ci può essere spazio per l’errore, e fluiscono sempre con eleganza e precisione. Il Donna Rebecca in particolare è profondo e sontuoso con note di cioccolata e arancia che lo rendono davvero irresistibile.

Gorelli – è quello che meglio rappresenta lo slogan Pirelli, e che riesce a coniugare magistralmente complessità e leggiadria, materia e leggerezza, eleganza e disinvoltura, potenza e controllo. Un grandissimo Brunello destinato a regalare intensi picchi di gioia nel tempo.

Ancora una volta, Montalcino si conferma come DOCG d’eccellenza, la cui produzione si distingue per la capacità diffusa di saper fare bene al di là delle caratteristiche specifiche di terroir, e della personale interpretazione di ogni singola cantina. L’orientamento stilistico è sempre più indirizzato verso vini che riescono a coniugare struttura e intensità con la piacevolezza, dinamicità e scorrevolezza del sorso, da godere subito ma pur sempre destinati a durare nel tempo.

Unico rammarico è che le defezioni tra le Cantine punte di eccellenza del territorio cominciano ad essere un po’ troppe. Un fenomeno che non può essere ignorato e che ci si augura possa presto arrestarsi, magari anche con il rientro in campo di Produttori di cui, oggettivamente, continuiamo a sentire la mancanza.

Montalcino: i vini di Casanova di Neri

Poi un giorno di settembre me ne andai…

Citazione musicale importante per la visita ad una delle cantine più iconiche di Montalcino:  Casanova di Neri. Appena parcheggiato, trovi subito di fronte il meraviglioso skyline del borgo famoso in tutto il mondo per la qualità del suo vino Brunello.

Ci ha ricevuto la solare, gentile e professionale Tiziana Palmieri, la quale oltre ad averci raccontato la storia dell’azienda ci ha fatto fare passeggiare nella vigna adiacente, anticipando così l’ingresso in cantina.  Tre i livelli, prima di entrare in sala degustazione ad assaggiare i capolavori ivi prodotti.
Mentre degustavamo, abbiamo avuto il piacere e l’onore di parlare anche con il titolare Giacomo Neri.

L’azienda vitivinicola è una splendida realtà posta a poca distanza dal centro abitato di Montalcino. Fondata da Giovanni Neri nel 1971, colui che aveva già intuito le grandi potenzialità pedoclimatiche di questo territorio con il preciso obiettivo di produrre un grande vino rosso. Dal 1991 le redini dell’azienda sono passate in mano al figlio Giacomo, affiancato dai figli Giovanni e Gianlorenzo. Un’azienda a conduzione familiare che si estende su 500 ettari, di cui 79 sono vitati. I vigneti sono dislocati in vari versanti e corrispondono agli appezzamenti di: Fiesole, Cerretalto, Collalli, Podernuovo, Pietradonice, Giovanni Neri e Cetine. Variano le altimetrie dai 250 ai 450 metri s.l.m., ed il suolo che è costituito prevalentemente da galestro. Le viti affondano le radici sui terreni da molti anni, alcuni delle quali superano il mezzo secolo.

Le etichette di Casanova di Neri sono molto richieste da collezionisti ed appassionati in ogni parte del globo. Nel 2006, il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 è stato premiato e giudicato come miglior vino al mondo da Wine Spectator,  da molti ritenuta una sorta di vademecum per professionisti del settore e semplici appassionati.
Il fil rouge di ogni vino dell’azienda è la qualità. Rispettosi della tradizione e al contempo pionieri dell’innovazione.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2022 – Rubino intenso, sprigiona note di violacciocca, rosa, marasca e ribes, dal gusto fresco e avvolgente, fine e lungo.

Brunello di Montalcino 2018 – Rosso rubino trasparente, naso di ciliegia, charcouterie, prugna, bacche di ginepro e pepe nero, dotato di trama tannica setosa e grande piacevolezza di beva.

Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2018 – Leggeri i riflessi granati, emana note di prugna, melagrana, cacao, menta e violetta,. Sorso suadente, tannino setoso, preciso e persistente.

Brunello di Montalcino Giovanni Neri 2018 – Rubino vivace, complesso e fine, dalle note olfattive di mirtilli,  prugna, amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Appagante e armonioso.

Pietra d’Onice Toscana Igt 2020 – Cabernet Sauvignon in purezza – Nuance scure e profonde, rivela sentori di mora, mirtillo, cassis e note balsamiche. Chiosa fresco e sapido.

Montalcino: la degustazione dei vini della cantina Sesta di Sopra

Quando percorrevo la strada bianca che da Sant’Angelo in Colle conduce verso Castelnuovo dell’Abate, passando in prossimità di Sesta di Sopra, ogni volta mi spingeva la curiosità dal fermarmi per una visita.

Oggi è arrivato il momento tanto atteso, accolto Matteo Marenda, nipote del titolare, dietro supporto del valido collaboratore Walter Tiberti. L’azienda Sesta di Sopra si trova nella patria del Brunello di Montalcino, nel versante a sud-est del Comprensorio.

Un antico casale si erge con torre d’avvistamento, acquistato e restaurato dai coniugi torinesi Enrica Bandirola e Ettore Spina nel 1980. La prima vendemmia del 1999 con immissione nel mercato nel 2004 fu subito un successo, con il punteggio di 95 centesimi attribuitogli dalla rivista americana Wine Spectator. Gli ettari vitati sono 4, estesi su una superficie complessiva di 60, ove trovano dimora anche alcune d’olivo e bosco. 

L’altimetria dei vigneti, che vantano la certificazione biologica, supera i 400 metri s.l.m. e le radici affondano su terreni ricchi di calcare ed in profondità argillosi. La cantina si trova accanto al casale ed è funzionale, perfettamente mantenuta con botti di rovere e barriques per l’élevage, e tini d’acciaio per la vinificazione.

Le rese per ettaro sono molto basse, il logo dell’azienda è il sole, un antico simbolo etrusco ritrovato nei pressi.

Brunello di Montalcino

Montalcino è un comune italiano della provincia di Siena in Toscana. È una località nota per la produzione del vino Brunello di Montalcino. Si colloca nel territorio a nord-ovest del Monte Amiata, alla fine della Val d’Orcia, al confine con la provincia di Grosseto.

Vino rosso, perla  che l’enologia italiana ha saputo esprimere con risultati strepitosi. La sua affermazione è notevole sia in Italia sia nel resto del Mondo. Nel 1966 il suo rilancio con l’ottenimento della Doc e la nascita del Consorzio di Tutela, che hanno consentito di fare notevoli passi in avanti con ammodernamenti in cantina e rinnovamenti di nuovi vigneti quasi esclusivamente con Sangiovese.

Seguirà nel 1980 l’arrivo della Docg, uno tra i primi vini in Italia ad ottenere questo prestigioso riconoscimento. Da qui, con modifiche al precedente disciplinare già severo, è stato raggiunto un ulteriore innalzamento in termini di qualità. Il territorio presenta aspetti pedoclimatici diversi in ogni zona. A nord si ottengono vini di buona struttura, profumati ed eleganti, ad est vini più tannici adatti all’invecchiamento, a sud vini di grande struttura, molto profumati, ad ovest, vini eleganti, armonici, da lungo invecchiamento.

La vicinanza al Monte Amiata crea un microclima ideale per la coltivazione della vite con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Si ottengono vini di eccellente qualità. Il Brunello di Montalcino viene prodotto con le tipologie: Vendemmia/Annata, Selezione e Riserva.

Il Sangiovese ha trovato a Montalcino un habitat ideale ed il baricentro nella sua massima espressione, più di ogni altra zona. A Montalcino si producono inoltre anche altri importanti  vini, come il Rosso di Montalcino e il Moscadello.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2021 – Rosso rubino trasparente, rivela sentori di viola mammola,  frutti di bosco,  prugna e ciliegia,  sorso lungo e soddisfacente. Fine ed equilibrato.

Brunello di Montalcino 2018 – Rubino con sfumature granato intenso, emana sentori di amarena, violetta,  rabarbaro, arancia sanguinella, liquirizia e spezie dolci. Sorso avvolgente, pieno e persistente.

Brunello di Montalcino Magistra 2018 – Tende al granato vivace, con nuances di rosa appassita,  tabacco, polvere di cacao,  ginepro e pepe nero. Materico, ricco e decisamente duraturo.

Sesta di Sopra

53024 Montalcino (SI)

www.sestadisopra.it

Gaja: una semplice storia di famiglia

di Ombretta Ferretto

“Sono nato a Barbaresco, un piccolo paese di seicento anime, che ha dato il nome al vino”.

Ha esordito così Angelo Gaja all’Hotel Renaissance Mediterraneo, nella lectio magistralis che ha emozionato la platea di appassionati e professionisti del vino. Una narrazione durata quasi tre ore passando attraverso ricordi di famiglia, grandi successi e nuovi progetti.

Passato, presente, futuro sono stati i fili conduttori che hanno intessuto la trama di un racconto di famiglia, iniziato a metà del diciannovesimo secolo in un minuscolo comune della Provincia Granda e giunto oggi a lambire l’Etna, passando attraverso Montalcino e Bolgheri tra le varie tenute in proprietà. Protagonista indiscusso il vino, straordinario portatore di cultura e vero ambasciatore del Made in Italy nel mondo.

Non ha bisogno di presentazioni Angelo Gaja, della quarta generazione di una cantina sita all’indirizzo storico di via Torino, nel comune di Barbaresco. Classe 1940, nipote di Clotilde Rey, maestra di origine francese, e di Angelo, “produttore di vini di lusso e da pasto”, è lui che ha diffuso il nome del Barbaresco nel mondo, proseguendo nell’intento che era già stato del padre Giovanni di “fare un Barbaresco migliore del Barolo” .

La riconoscenza va a nonna Clotilde e al padre Giovanni, i primi maestri a indirizzarlo su quella strada che Angelo ancora percorre, avendo ben chiaro dove ricercare le origini del proprio successo. Si definisce un artigiano, facendo propria una frase della nonna: fare, saper faresaper far farefar sapere. Un elogio al lavoro manuale, che, nel perseguimento di un progetto, deve andare di pari passo all’ingegno, alla capacità di trasmettere l’arte alle generazioni successive e al talento di diffonderlo sul mercato.

L’83% dei viticoltori italiani sono artigiani per cui il motto “piccolo è bello” suona all’orecchio più intonato quando diventa “piccolo è difficile”, ed è proprio in questa prospettiva che Angelo vede ancora il suo lavoro e quello della cantina di famiglia. Alla base del suo progetto i pochi e semplici insegnamenti del padre: pensare fuori dai luoghi comuni, non adagiarsi mai sulle certezze, rispettare sempre il lavoro degli altri. Un progetto che pone al proprio centro il vino come portatore di valori, paesaggi, umanità perché chi sa bere, sa vivere. In questa visione vanno collocate la volontà e la capacità di interpretare altri terroir fuori dalle Langhe.

Al 1994 risale l’acquisizione di Pieve Santa Restituta in Montalcino e due anni dopo di Ca’ Marcanda a Bolgheri: due realtà vinicole estremamente diverse che hanno imposto una riflessione importante sul futuro. Areali vocati a produzione monovitigno (come Barolo, Barbaresco, Montalcino) devono prepararsi ad affrontare le difficoltà crescenti derivate dai cambiamenti climatici: un serio ragionamento sulla vinificazione in blend come pure l’innalzamento dell’altitudine delle vigne sono solo due delle possibili soluzioni che si prospettano all’orizzonte.

L’affezione alla terra impone inoltre scelte di sostenibilità, perché è necessario “imparare a leggere il presente con gli occhi del domani”. La pratica agronomica nelle vigne Gaja già da tempo prevede  l’inerbimento e le fioriture spontanee; il nomadismo apistico favorito tra i filari è indice della buona salute del vigneto. In questa prospettiva di sostenibilità è nata Ca’ Marcanda, a Bolgheri, una cantina  completamente eco compatibile e integrata nel paesaggio rurale, ideata dall’Architetto Giovanni Bo, che ha progettato tutte le cantine di casa Gaja, perseguendo un ideale stilistico incentrato sul sottrarre anziché caricare.

Ombretta Ferretto autore di 20Italie

Angelo ha saputo mantenere il filo conduttore del suo racconto teso tra radici, famiglia e vino come espressione del territorio. Ha concluso parlando a lungo dei figli, Gaia, Rossana, Giovanni, e dell’importanza che riveste all’interno di una realtà artigiana il passaggio generazionale, da curare per tempo e con attenzione, affinché ognuno rivesta il ruolo più adeguato al proprio talento e alla propria volontà di rimanere legati all’attività di famiglia, trovando il giusto equilibrio all’interno di un percorso che, tracciato da tempo, mira a proseguire ancora a lungo.

La successiva degustazione si è concentrata su annate recenti di etichette provenienti da tutti i terroir su cui opera Gaja ed è stata condotta da Tommaso Luongo, Presidente AIS Campania, Franco De Luca, Responsabile della didattica AIS Campania e Gabriele Pollio, Delegato AIS Napoli. E come a voler parafrasare Angelo, che non mette mai il naso nel vino perché il vino preferisce raccontarlo attraverso i luoghi e le persone, ciascuno di questi calici ci ha permesso di immergerci nei rispettivi terroir.

Siamo andati immediatamente sull’Etna, l’areale più lontano dalle origini storiche di Gaja, e al recente progetto di collaborazione con la cantina Graci, in una Sicilia a lungo ammiccata, su insistenza di Giacomo Tachis, e infine raggiunta. È un caleidoscopio di profumi e sapori Idda (Bianco Sicilia dop 2022 Carricante in purezza), “Lei” in dialetto, riferendosi alla natura femminile dell’Etna, capricciosa e al contempo materna. Una passeggiata tra cespugli di ginestra aggrappati a colate laviche solidificate, salino e rinfrescante come il respiro del mare, il sorso appaga senza mai stancare.

Un salto ci riporta indietro in Piemonte, nella Langa di Fenoglio, tra viti raccolte su alberi di frutta, gli alteni, quando la vigna era solo una minima parte delle colture, e i fiori di brassica, che crescono spontanei tra le vigne. Alteni di Brassica (Langhe DOP 2020 – Sauvignon blanc in purezza) è dissetante per la sottile vena di frutto non completamente maturo, ingentilita dalla nettezza dei profumi di sambuco e gelsomino.

Un aneddoto narra che Giovanni Gaja, papà di Angelo, fosse rimasto talmente deluso dalla sostituzione di una vigna di Nebbiolo con una di Cabernet Sauvignon, che passandogli affianco, avesse scosso la testa e borbottato “Darmagi!” (Peccato, in piemontese). Il colore del vino è rosso, sosteneva, per cui, quando fu invece  impiantato Chardonnay, non se ne curò.

Gaia & Rey (Langhe DOP 2021 – Chardonnay in purezza) nasce nel 1983 come omaggio alla nonna di Angelo, Clotilde Rey, ma quando il grafico vide il nome per esteso sull’etichetta, esclamò: “A’m pias nen Clotilde” (Non mi piace Clotilde) e dunque Gaia, allora bambina, affiancò il nome della bisnonna per il primo Chardonnay italiano maturato in barrique. Femminile, elegante, discreto negli sbuffi minerali che riportano alla memoria certi Mersault e si intrecciano alla freschezza calda e avvolgente di agrume candito, che termina in una lunga nota piacevolmente amaricante. Dopo questo sorso, ci sembra quasi di averla conosciuta Clotilde.

Il vino deve essere in grado di restituire il luogo d’origine e dunque la ricerca dei suoi caratteri distintivi deve essere costante. Le vigne di Pieve Santa Restituta crescono a 600 metri d’altezza, per far fronte al cambiamento climatico e all’innalzamento delle temperature. Elegante e snella la 2018 di Rennina (Brunello di Montalcino DOP), tratteggiata dalla balsamicità delicata di origano fresco e timo, è già piacevolmente godibile per la trama vivace ma non invadente del tannino.

Per lo stesso principio di espressività territoriale, le vigne di Ca’Marcanda guardano il mare, godendo del riverbero del sole, mentre i boschi alle loro spalle garantiscono quell’escursione termica necessaria allo sviluppo del profilo olfattivo tipico di questo tratto di costa toscano. Ed è un’esplosione di macchia mediterranea Camarcanda (Bolgheri DOP 2020 – Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc), dove la potenza, governata a regola d’arte, si fa talmente snella e sottile da restituire un tannino setoso su lunghissime scie balsamiche di liquirizia.

Gli ultimi due campioni in degustazione non potevano che riportarci nel Piemonte delle radici e della memoria.

Al naso compatto, scuro, quasi impenetrabile, Sperss (Barolo DOP 2018) evoca già nel nome i caratteri che emergono nei profumi (Sperss significa nostalgia in piemontese). Maschile nelle note di ciliegia sotto spirito, cannella e coriandolo, è sobrio e compatto e mostra il carattere di un vino piemontese di razza, dalla freschezza preponderante e dal tannino che asciuga senza mai aggredire. Ancora una volta l’etichetta celebra una storia di famiglia, perché la vigna di Serralunga da cui sono prodotte le uve di questo Barolo è la stessa in cui Giovanni vendemmiava da ragazzo, ben prima che i Gaja possedessero parcelle di terra nell’areale del Barolo. Solo nel 1988 Angelo riuscirà ad acquisire la vigna, la prima nella denominazione Barolo, la stessa legata ai ricordi della gioventù spensierata di suo padre.

Il Barbaresco 1979 ha concluso l’emozionante serata, tre ore in cui tempo e spazio sono rimasti sospesi nel racconto affascinante dal sapore piemontese di Angelo Gaja. Il tempo sembrava essersi fermato anche per quest’ultimo calice, che solo nell’aspetto tradiva il carico d’anni sulle spalle e neanche in modo così palese. Elegante, perfettamente coeso, in straordinario equilibrio tra la freschezza ancora appagante e le note evolute di sottobosco, ruggine, incenso, ci è sembrata l’immagine trasposta in vino di un uomo straordinario, che ha scritto un pezzo della storia enoica italiana.

Angelo si è soffermato a lungo sul ruolo della ristorazione  nella diffusione della cultura del vino, attraverso la convivialità, l’accoglienza e la corretta comunicazione, e sulle donne, che negli ultimi venticinque anni hanno saputo imporsi come assaggiatrici più attente e sensibili degli uomini.

Tutti devono fare qualcosa nella vita per vivere e sostenersi, ma solo l’artigiano ha un suo progetto nel quale profonde impegno costante; quando il progetto viene realizzato, allora l’artigiano deve diventare un maestro di bottega che trasferisce il saper fare; infine bisogna essere capaci di andare sul mercato e far conoscere il proprio progetto.

L’etichetta minimal nera e bianca ha reso celebre nel mondo il marchio Gaja : il nero idealizza il passato su cui non si può più scrivere e su cui è impresso solo il nome Gaja; il bianco, invece, è al contempo presente e futuro, ancora scrivibili, ma rappresentati attraverso nell’essenzialità delle informazioni d’etichetta.

Montalcino (SI): visita all’azienda Caprili

di Luca Matarazzo

Bisogna riconoscerlo: fa sempre effetto visitare una realtà ben organizzata, per di più in un areale conosciuto in tutto il mondo, come l’azienda Caprili a Montalcino (SI).

L’emozione nasce dal fatto che i loro vini sono entrati a far parte di quel patrimonio enologico d’Italia, vanto per chiunque grazie al Sangiovese di queste terre, forte di connotazioni eleganti e potenti al tempo stesso. La storia della famiglia Bartolommei, titolari da 4 generazioni, nasce come tanti in Toscana, dal vecchio retaggio dell’epoca della mezzadria.

Nel 1911 già conducevano i poderi della Tenuta Villa Santa Restituta, per poi spostarsi, nel 1952 all’attuale podere denominato Caprili. Nel 1965 decidono di acquistarne la proprietà dai signori Castelli-Martinozzi, tenutari di Villa Santa Restituta, e nello stesso anno impiantano il primo vigneto, denominato ancora oggi “Madre”, da cui si ricavano le selezioni massali per i nuovi innesti.

Agli inizi si trattava di appena un ettaro vitato, per poi crescere, passo dopo passo, fino agli oltre 25 odierni. Non soltanto accrescimento agrario, bensì pure la costruzione di una nuova cantina di vinificazione per arrivare a gestire l’aumento produttivo giunto al record di 54 mila bottiglie con la straordinaria 2019.

La qualità non nasce dal caso: parlando con Giacomo Bartolommei, l’attuale timoniere aziendale, gli sovvengono i ricordi dolci ed affettuosi per suo nonno Alfo, artefice del primo imbottigliamento datato vendemmia 1978 e messo in commercio nel 1983. Alfo era un visionario, un pioniere in quelle stagioni ove il vino italiano neanche conosceva la propria identità e consapevolezza. Il futurismo enologico è visibile nel settore dedicato alle etichette storiche di valore indiscusso, con pezzi rarissimi ancora disponibili per assaggi unici nel loro genere.

Ora come allora, si decide di lavorare in base alle diverse maturazioni del vino nei contenitori, andando prima a comporre il mosaico della tipologia Rosso di Montalcino e poi quello delle botti selezionate verso il Brunello di Montalcino e la Riserva, realizzata solo nelle annate generose e equilibrate. Fusti di varie dimensioni, passaggi, periodi di sosta: dai 30 ai 60 ettolitri e dai 24 ai 36 mesi. Solo il Rosso di Montalcino viene dirottato verso tonneaux e legni da 20 ettolitri per 12 mesi.

In vigna la parte agronomica viene seguita dal padre Manuele, lo zio si occupa delle vendite ed il cugino Filippo Pieri, neppure ventenne, già rappresenta il futuro di Caprili. Giacomo Bartolommei è anche uno dei vicepresidenti del Consorzio del vino Brunello di Montalcino. A lui non potevamo evitare, prima della consueta degustazione, alcune domande sull’andamento della denominazione e dei mercati.

Giacomo, esprimeresti un tuo pensiero sul presente e sul futuro del Brunello di Montalcino? <<Il presente vive ancora una lunga coda positiva di ordinativi frutto della ripresa post-pandemica. Le note dolenti arrivano, invece, dal costo delle materie prime e dagli approvvigionamenti, che molte realtà cercano di attuare per svincolarsi dalla rarefazione di vetro ed etichette. Il futuro trasmette ottimismo, pur con una flessione sui prodotti di bassa fascia fuori dalla denominazione di origine. La richiesta è altissima e si fa fatica a soddisfare tutti i mercati, superando la soglia dei 9 milioni di fascette annue.>>

E per quanto concerne il cambiamento climatico quali sono le sensazioni dei produttori? <<Con il cambiamento climatico bisogna ormai conviverci, probabilmente spostando le altitudini per la vite. Serve inoltre un corretto approvvigionamento idrico, con la costruzione di numerosi bacini di accumulo d’acqua piovana sempre più scarsa durante la primavera e l’estate. Non c’è comunque l’intenzione di aumentare i diritti d’impianto complessivi; ciò rischierebbe infatti di creare un’involuzione nella fiducia dei consumatori, non aiutando il sostegno di adeguati prezzi di vendita.>>

E adesso, ringraziando il collega giornalista Dario Pettinelli per aver organizzato un incontro tanto atteso, passiamo a momenti più ludici: la degustazione dei vini.

Partiamo dal Rosso di Montalcino 2021, che dimostra il calore dell’annata siccitosa e torrida, con alcune vasche di fermentazione dai valori record per componente alcolica. In questi casi, oggi più che mai, la mano dell’uomo diventa necessaria per riportare le condizioni entro normali limiti di piacevolezza. La tipologia non consente particolari espressioni estrattive o materiche con rinuncia, invece, ad un sorso dinamico e immediato. Per fortuna (e bravura), il target gustativo resta sempre l’agrume rosso con buoni spunti minerali e scie di erbe mediterranee. Obbiettivo raggiunto.

Il Brunello di Montalcino 2018 mostra i caratteri di una vintage totalmente differente rispetto alla 2021, giocata maggiormente su toni freschi e meno pomposi. Come sempre, preferiamo evitare giudizi e facili vaticini da rabdomanti mediatici, evidenziando che la qualità altissima non è legata necessariamente a persistenze tanniche irsute o altre componenti. Ogni anno è un racconto diverso, per chi sa narrarlo e per chi vuole ascoltare. Questo parla di ciliegie succose, tendenze all’amaricante tipiche del varietale ed un sorso che è pura goduria di bocca. Berlo ora o tra un po’ sarebbe come il dubbio amletico irrisolvibile tra l’uovo e la gallina. Perché esitare?

Caparzo: Montalcino “veste di rosa” con i vini di Elisabetta Gnudi Angelini

di Adriano Guerri

Caparzo e l’eleganza dei vini di Elisabetta Gnudi Angelini

Lo scorso 27 febbraio con amici e colleghi con i quali condivido la passione per il nettare di Bacco, ho visitato l’azienda vitivinicola Caparzo. Per me non era la prima volta, ma la curiosità di degustare le nuove annate era forte ed ho colto al volo l’occasione per rinfrescarmi la memoria.

Caparzo è una delle aziende vitivinicole storiche di Montalcino, fondata nel 1970, è tra le prime 30 iscritte al Consorzio del Vino Brunello di Montalcino. Ai suoi albori gli ettari vitati erano 46, mentre attualmente ne vanta circa 100 grazie all’acquisto della Tenuta, avvenuto nel 1998, da parte di Elisabetta Gnudi Angelini.

al centro da sinistra Elisabetta Gnudi Angelini

Da allora la cantina, oltre ad aver ampliato gli ettari vitati, è stata completamente rinnovata negli impianti a vigna e nei locali di vinificazione completamente ipogei. Un’ azienda all’avanguardia,  tra le prime nel comprensorio ad essersi dotata di pannelli solari per soddisfare il fabbisogno energetico.

I vigneti giacciono su più zone, beneficiando di diversi terroir e microclima presenti. Cambiano le altimetrie che vanno dai 220 agli oltre 300 metri s.l.m. Elisabetta è una profonda estimatrice di Sangiovese e dell’autoctono Moscadello (Moscato Bianco), oltrché degli internazionali Chardonnay, Sauvignon Blanc, Traminer e Cabernet Sauvignon.

Il Brunello di Montalcino “La Casa”, cru ottenuto dai vigneti di Montosoli, è stato tra i primi nel 1977 ad essere  prodotto da singolo vigneto. Nel 1983 stessa iniziativa per il Rosso di Montalcino “La Caduta”. 

La strada francigena nel tratto da Buonconvento-Torrenieri attraversa le vigne della Tenuta e la Cantina, i passanti hanno la possibilità di fare una pausa ristoratrice e degustare i vini della Caparzo come ha fatto il sottoscritto. 

Elisabetta si avvale del prezioso aiuto di fedeli collaboratori e dei figli Alessandra e Igino Angelini.
I vini di Caparzo sono presenti e apprezzati per la loro qualità in oltre 40 paesi, oltre che nel nostro.

La degustazione

Rosso di Montalcino 2021: veste rubino intenso, con le tipiche sensazioni di violetta, rosa, lampone e melograno. Si muove sinuoso al sorso, dotato di grande eleganza.


Rosso di Montalcino “La Caduta” 2019: più vivace nelle nuance di mora, prugna, ribes e liquirizia e nel gusto pieno ed avvolgente.


Brunello di Montalcino 2018 vira verso il granato, con sentori di violacciocca rossa,  amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Caldo e generoso al palato, si offre in tutte le sue avvolgenze.

 
Brunello di Montalcino 2018 “La Casa”: granato acceso, al naso esprime, a cascata, frutta di bosco, pot-pourri floreale, note speziate e tostate. Bocca poderoso, con tannini scalpitanti e ben integrati, il cui ricordo resta a lungo.


Brunello di Montalcino Riserva 2017: granato trasparente, declinato tra amarene, prugna acerbe e sottobosco, uniti a note balsamiche da after eight. Rotondo e seducente, chiude con una interminabile persistenza aromatica.

Ca’ del Pazzo Toscana Igt 2018: Sangiovese 50% e Cabernet Sauvignon 50%, colore rubino profondo, libera note di mora, mirtillo, viola appassita, tabacco, liquirizia e spezia dal palato morbido e ben equilibrato.