I Balzini: la famiglia D’Isanto nel passaggio generazionale in continua crescita

Correva l’anno 1980 quando Vincenzo D’Isanto impiantava il primo ettaro di vigna a Barberino Tavarnelle (FI), frazione Pastine, in una località chiamata al catasto “Balzini” per via dei numerosi avvallamenti del terreno ancora ben visibili.

Inizia così il suo progetto enologico affiancato dalla moglie Antonella. Siamo nel cuore del Chianti Classico, ma qui a I Balzini non si produce Chianti Classico per una scelta precisa di Vincenzo: legato nella sua professione di commercialista a regole rigide, decide di staccarsi da quelle del disciplinare per produrre un vino espressione di una Toscana diversa. Dunque insieme al sangiovese, che non costituisce il nucleo storico della vigna, Vincenzo punta su cabernet sauvignon, merlot e mammolo. Attualmente la cantina vinifica cinque etichette – Balze Rosa, Balze Verdi, Balze Rosse, Balze Nere, I Balzini sotto la denominazione IGP Colli della Toscana Centrale, collocandosi a pieno titolo nel solco della tradizione dei Supertuscans.

Diana D’Isanto

A guidarmi è Diana, figlia di Vincenzo e Antonella, energica, appassionata e innamorata di un’eredità familiare, alla quale sta imprimendo il proprio personale contributo in maniera decisiva dal 2017. Diana, sempre affiancata da Wilma, Tea e Ugo, i tre cani di famiglia, riesce a intrecciare in maniera entusiasmante il racconto delle origini insieme a quello dei traguardi presenti e dei progetti futuri: nelle sue parole si scorge chiaramente l’orgoglio del passaggio generazionale, costituito in egual misura da filiale devozione e sana competizione. È suo il progetto Ritorno al Futuro, con il quale ha riportato in auge nel 2017 la storica etichetta dai tratti minimal e il nome del primo vino prodotto nel 1987, I Balzini, sostituendo l’ormai affermato White Label. Stessa operazione di restyling è stata fatta per il Black Label, che nel 2017 ha trasformato il suo nome in Balze Nere e la sua etichetta in una versione più stilizzata.

Gli ettari di vigna oggi sono diventati sette, tutti parcellizzati data l’acquisizione successiva nel tempo, il regime biologico – sempre praticato –  è stato ufficializzato da pochi anni, la produzione si è attestata tra le 25 e le 30 mila bottiglie annue, di cui una buona parte destinate al mercato estero.

Passeggiando nel prato che digrada verso il fondo della balza su cui sorge l’edificio storico della cantina, iniziamo la visita dalla parte più recente, la barriccaia, e per la precisione dalla sua copertura, perché l’ambiente dove affinano i vini si trova interrato proprio sotto i nostri piedi. Questa scelta permette di mantenere una temperatura adeguata senza l’utilizzo di condizionatori, mentre la luce necessaria per garantire l’illuminazione all’interno del locale è ottenuta dal cattura luce che si erge proprio al centro del prato.

Rispetto per l’ambiente come per l’utilizzo dei pannelli solari, che ricoprono completamente la tinaia di fermentazione, o l’impiego di bottiglie più leggere. Tutti i vini della linea fanno fermentazione in acciaio e, ad eccezione del Balze Rosa e del Balze Verdi, passaggio in legno. Le barriques utilizzate sono di diversa provenienza per poter beneficiare delle variegate caratteristiche del contenitore e le botti vengono sfruttate ben oltre la consuetudine, dal primo al quinto passaggio.

Entriamo successivamente in un locale ricco di emozioni, dove vengono conservati i formati speciali (da 1,5 lt a 12 lt) di White e Black Label (dal 2017 I Balzini e Balze Nere) delle annate passate, spesso già acquistati da chi vuole garantirsi una bottiglia particolare per un evento. In questa saletta climatizzata troviamo le tre Jéroboam che i nonni hanno acquistato per il diciottesimo dei tre nipoti gemelli o la Mathusalem che dovrà essere recapitata a Chicago nel 2036, per il ventunesimo compleanno della figlia dell’acquirente. Un servizio sartoriale che prevede anche l’etichetta con dedica personalizzata su richiesta.

La degustazione si svolge sulla bella terrazza da cui si scorge in lontananza la prima vigna impiantata da Vincenzo e l’uliveta, preesistente alla cantina. Assaggio tutti i vini della linea: le tre etichette per bere bene tutti i giorni (Rosa, Verde, Rossa), i due prodotti di punta (Balze Nere e I Balzini), oltre a una piccola sorpresa che posso, senza tema di smentita, definire intrusa.

Si parte col Balze Rosa, sangiovese in purezza vinificato con una brevissima macerazione sulle bucce: ha normalmente una tonalità fior di pesco affascinante, che, unita al nome dell’etichetta, evoca quasi le balze di una gonna sollevate da un vento dispettoso. Ma io non bevo l’annata corrente, la 2022, già terminata da tempo, bensì un’inaspettata 2020, che nel colore si distingue avvicinandosi più a un orange-wine. Stupisce il naso netto di arancia e spezie dolci, rivelando in bocca ottima struttura, con un tannino piacevolmente presente, salino e persistente su ricordi di melagrana.

Balze Verdi 2021 – blend di sangiovese e mammolo, è un vino croccante e immediato, con sentori fragranti di frutta ed erba sfalciata, che ritroviamo nella bocca fresca e pulita. Effetto volutamente ricercato grazie alla macerazione carbonica e alla vinificazione senza bucce del mammolo. D’altronde anche la scelta dei colori delle varie etichette ha proprio lo scopo di evocare determinati sentori che saranno poi presenti nel bicchiere…

Balze Rosse 2018 il blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, è il primo vino della linea che fa passaggio in legno, generalmente sei-otto mesi in barrique dismesse. Fitto nel rosso granato, al naso si distingue per l’oliva in salamoia, la salsedine, il cappero e il sentore di peperone fresco. Morbido e di ottima freschezza al palato, ritorna con sentori balsamici.

La quarta etichetta in degustazione, Summofonte 2015, prende il nome da un borgo nelle vicinanze, Semifonte, perché ne riproduce la cappella, versione 1:8 della Cupola del Brunelleschi, intorno alla quale si estende il vigneto. Non viene sempre vinificata perché la vigna non è di proprietà. È un blend variabile di sangiovese, cabernet, ciliegiolo e un fattore X ancora non conosciuto.

Chiudiamo la degustazione con le due etichette top di gamma, Balze Nere e I Balzini.

Balze Nere 2017, cabernet e merlot, compatto nel colore e nel naso, si apre lento, svelando una personalità posata, da gentleman di campagna: cuoio, tabacco di sigaro, cenere di camino, cardamomo e chiodi di garofano, il frutto arriva molto dopo con la ciliegia sotto spirito e la mora di rovo. Tannino setoso e freschezza equilibrata invitano continuamente al sorso che si chiude su una liquirizia in caramella.

I Balzini 2017, sangiovese e cabernet, ha un carattere più scattante per la leggera nota di pietra focaia che impreziosisce il naso di prugna e continua su sentori di cumino, noce moscata, fresia, olive in salamoia e rosmarino. La bocca svela ancora una volta un tannino fine e ben integrato con una chiusura che rimanda al cioccolato fondente.

I Balzini

Località Pastine, 19

50021 Barberino Tavarnelle (FI)

Valle d’Aosta: “La Toupie Gourmanda”

Immaginate una passeggiata bucolica tra i filari di Morgex alla scoperta del vitigno locale Prié Blanc e dei prodotti gastronomici tipici della zona, immaginate di essere accompagnati da guide locali che vi raccontano la storia e le tradizioni di questi luoghi… ebbene smettete di immaginare e venite a “La Toupie Gourmanda”.

La “Pergola Golosa”, in dialetto patois La Toupie Gourmanda, è una passeggiata enogastronomica, è un brindisi all’estate, una stagione che ai piedi del Monte Bianco scorre velocemente, ma risulta essere di grande intensità proprio come un vino di montagna.

La camminata parte dai prati lungo la Strada Vi Plana di Morgex e si sviluppa in tappe nelle caratteristiche “casette delle vigne” del Prié Blanc, segue un percorso ad anello dove si viene allietati da intrattenimenti musicali e culturali.

Un format innovativo voluto fortemente dai produttori locali, nato nel 2015, che ha lo scopo di promuovere il territorio nella sua interezza, un modo originale per raccontare Morgex e i suoi dintorni, rivisitando sapori e abbinamenti in chiave contemporanea.

Un’esperienza della durata di circa 3 ore, ma prenotando l’ultimo turno vi assicuro che le ore sono molte di più (anche 5), intervallate da momenti di animazione che permettono di scoprire le tradizioni e la vita rurale tipica dell’agricoltura di montagna.

Arriviamo al punto di ritrovo alle 14 dove ci vengono distribuiti i calici per le degustazioni, si parte lungo la strada Vi Plana che si fa spazio nel verde, tra vigneti circondati da vette altissime, saliamo sul trattore che ci condurrà nelle vigne.

Le tappe enogastronomiche sono deliziose, dall’antipasto al dolce, ospitate nelle “casette delle vigne”, piccole strutture in pietra che per generazioni i vignerons hanno utilizzato per organizzare il loro lavoro, come magazzino o alloggio temporaneo (in alcune troviamo stufe e camini) e per conservare l’acqua piovana utilizzata per i trattamenti della vigna o per l’irrigazione.

In ogni casetta troviamo i produttori di vino del territorio, ogni vino è stato abbinato al menù dello chef Agostino Buillas, realizzato servendosi esclusivamente dei prodotti di Morgex et La Salle.

Ecco gli assaggi:

  • Corn dog di escargot: lumache su stecco fritte in pastella
  • Fantasia del vigneron: una insalatina con fiori eduli e gelatina di vino bianco
  • Gnocchetti di patate con fonduta di caprino e polvere di mocetta (la mocetta è un tipico salume valdostano, preparato con la coscia di mucca invecchiata secondo l’antico metodo di salagione e conservazione)
  • Asado gourmet
  • Cassata valdostana
  • Rivisitazione del tipico caffè alla valdostana (il caffè valdostano è quello nella grolla, una coppa dell’amicizia dalla quale si beve a turno)

Ad accompagnare i piatti i vini dei 5 produttori locali:

Brunet Piero

Cave Mont Blanc

Café Quinson Winery

Ermes Pavese

Vevey Marziano

Qui il Prie Blanc la fa da padrona, a Morgex troviamo i vigneti più alti d’Europa, fino a 1250 metri. Una varietà coltivata a piede franco su terrazzamenti eroici che regala vini decisamente minerali, con una marcata acidità e un’elegante struttura. Molto versatile, si presta alla spumantizzazione in metodo classico e alla produzione di icewine con uve vendemmiate a fine dicembre quando la temperatura scende al di sotto dello zero.

Una breve descrizione dei vini

  • Cave Mont Blanc Metodo Classico “Glacier”, un vino che va bene a tutto pasto che regala al naso note di fiori bianchi, agrumi e pera. Fresco e minerale in bocca. Cave Mont Blanc è un’istituzione nella zona, ai piedi del Monte Bianco, valorizzazione e rispetto del territorio la filosofia che portano avanti.
  • Piero Brunet, una piccola realtà a conduzione famigliare che opera dal 1985 e che coltiva in maniera eroica il vitigno Prie Blanc. Una grande attenzione all’ambiente nella produzione con la riduzione al minimo dei trattamenti antiparassitari. Un vino di grande piacevolezza che richiama erbe di montagna e fiori di campo, un gusto secco ma molto delicato.
  • Vevey Marziano – la Crotta de la Meurdzie, azienda agricola che nasce nel 1981. Marziano è un vigneron d’altri tempi con un grande attaccamento alla tradizione e uno sguardo sempre attento all’innovazione. Il suo vino è veramente interessante, di grande equilibrio e avvolgente al palato dove le note erbacee, agrumate e di frutta come mela e pera creano una bella armonia. L’etichetta è un’opera d’arte.
  • Blanc de Morgex e de La SalleNathan”- Ermes Pavese La cantina si estende su 3 ettari vitati coltivati a “pergola bassa” per evitare i danni dalle rigide temperature notturne e salvaguardare l’integrità delle piante di Prié Blanc. Il vino è dotato di una bella freschezza e vivacità. La fermentazione avviene per la maggior parte in barrique di rovere francese di primo o di terzo passaggio, dove vengono effettuati frequenti batonage. Dopo 1 anno il vino ottenuto viene assemblato con il 30% fermentato in acciaio.
  • Finiamo in bellezza con Cave Mont Blanc “Chaudelune” Vin de Glace, un vino ottenuto dalla vendemmia notturna dopo le prime gelate, così da conferire una particolare concentrazione degli zuccheri. Fermentazione e affinamento in piccole botti di rovere. Un vino che sprigiona sentori di erbe aromatiche, miele e albicocca.

Tra un assaggio e un altro gli intrattenimenti sono stati numerosi

  • ospite speciale, in questa edizione, Silvana Bruno che con il suo ukulele ci intrattiene e coinvolge nel canto.
  • le guide locali ci guidano in un itinerario tra i luoghi più caratteristici del centro del paese, raccontandoci tradizioni, aneddoti e curiosità.

Spero di avervi incuriositi un po’, la mia esperienza è stata veramente unica, sembrava di esser catapultati indietro nel tempo, quando alla fine mi sono ritrovata seduta sotto un filare con il calice in mano ho pensato a quello che dovevano essere le libagioni nel mondo classico, i riti dionisiaci degli antichi Greci.

Santé!

Osteria La Briciola: mangiar bene a Tivoli (RM) tra arte e storia

Per gli amanti della buona cucina, a circa 30 chilometri da Roma si trova un posto che vale la pena raggiungere per soddisfare i piaceri del palato e fare (perché no) una bella gita fuori porta.

Da oltre un decennio a Tivoli, Osteria La Briciola è un faro di raffinatezza culinaria nella vibrante scena gastronomica della Città Tiburtina.

Nata dodici anni fa, ha costantemente abbracciato il cambiamento e l’innovazione, trasformando ogni visita in un’esperienza memorabile. Tutto è stato pensato per regalare all’ospite un’esperienza unica dall’inizio alla fine. Ampio parcheggio, raffinatezza degli arredi in stile coloniale, è un posto dove l’ospite può sentirsi a proprio agio.

Alla base della cucina dell’Osteria La Briciola c’è il rispetto per la tradizione enogastronomica italiana, arricchita da raffinata audacia. Piatti tradizionali rivisitati con maestria, abbracciando tecniche moderne di cottura e presentazione. Il risultato è un equilibrio gustativo che stupisce e delizia i palati più esigenti.

La selezione delle materie prime è un elemento fondamentale e l’Osteria La Briciola cura con attenzione la scelta dei fornitori, selezionando i migliori produttori locali del Lazio e le eccellenze nazionali certificate Slow Food.

Enrico Magnanti – Osteria La Briciola

Dietro ogni piatto c’è la passione di Enrico Magnanti, chef, sommelier, assaggiatore esperto ONAV e appassionato assaggiatore di olio extravergine di oliva. Di giorno crea con sapienza i suoi piatti; di sera, indossa l’abito dell’ospitalità per accogliere i clienti con calore e discrezione. L’atmosfera intima dell’Osteria, che può ospitare fino a 40 ospiti, è arricchita dalla dedizione di un team di dieci persone, che lavora instancabilmente in cucina e in sala per garantire un’esperienza straordinaria.

Nel corso degli anni, l’impegno dell’Osteria La Briciola è stato riconosciuto da rinomate guide enogastronomiche come Gambero Rosso, Repubblica, Espresso, Bibenda e Gatti Massobrio. I punteggi che riflettono la crescita costante sono diventati sempre più elevati, dimostrando l’evoluzione continua di questo ristorante d’eccellenza.

L’attenzione all’eccellenza si estende anche alla cantina vini, con oltre 350 referenze, tra le migliori produzioni nazionali e internazionali tra le quali: Champagne, Borgogna, Nuova Zelanda e Germania. Inoltre gli amanti della birra e degli spirits troveranno soddisfazione grazie a una variegata selezione di birre artigianali e circa 150 distillati.

Le intolleranze alimentari vengono gestite al meglio, con paste fresche senza glutine per coloro che seguono una dieta celiaca. In un mondo in cui l’eccellenza culinaria è un traguardo ambizioso, l’Osteria La Briciola brilla come un faro di creatività, passione e impegno. Ogni visita a questo ristorante è un viaggio attraverso i sapori, le tradizioni e l’innovazione, un’autentica celebrazione della cucina italiana.

“Il Colle del Corsicano” a San Marco di Castellabate (SA): il sogno di una vita di Alferio Romito

Il vino si fa con passione, partendo da un sogno, da un progetto, da un impianto…

“La nostra fanciullezza, la molla di ogni nostro stupore, è non ciò che fummo, ma ciò che siamo da sempre”. Questa frase di Cesare Pavese delinea perfettamente il ritratto del protagonista del racconto di oggi: un giovane viticoltore, Alferio Romito, che da sempre aveva il sogno di potere dirigere la sua azienda vitivinicola, curandone ogni aspetto. Fin da bambino, sui trattori in vigna, aiutava a mandare avanti l’attività di famiglia che da ben quattro generazioni produceva vino sfuso destinato al consumo casalingo o alla vendita.

Alferio Romito

Stiamo parlando della cantina Il Colle del Corsicano e ci troviamo nel cilento e precisamente a San Marco di Castellabate (SA). Qui le verdi colline si tuffano nel blu del mare, baciate dal sole e protette da un microclima favorevole alla viticoltura. Le vigne crescono sul flysch, materiale argillitico friabile con suoli più sabbiosi in prossimità del mare.

Il progetto di Alferio prevedeva la riorganizzazione della vigna di famiglia, impiantando unicamente Aglianico e Fiano; ed è quanto ha realizzato dopo gli studi di viticoltura ed enologia. L’unica eccezione, sono state alcune piante di Primitivo, fortemente volute dal padre, le cui uve vengono adoperate per rendere più smussato e avvolgente l’Aglianico.

Studente del professor Luigi Moio (oggi presidente OIV – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), Romito ricorda con emozione il periodo della discussione della tesi, uno dei momenti significativi della sua vita, mentre si chiudeva il ciclo universitario e si impiantava contemporaneamente il Fiano nella nuova vigna a Punta Licosa (tre ettari).

Le sue viti, coltivate in biologico, si sviluppano a pochi metri dal mare, e continuano nella collina denominata, appunto, Colle del Corsicano. Lo sguardo si incanta a seguire le colline vitate con i suoi curatissimi e ordinati filari di Fiano, che sfumano tra blu del cielo e il turchese del mare. La macchia mediterranea con i suoi colori e profumi fa da cornice al quadro magnifico dipinto apposta per incantare gli occhi del visitatore.

I segreti del successo di questa realtà e del suo giovane viticoltore “sono da ricercare unicamente nella cura della vigna”, come egli stesso afferma. Egli cura ogni fase del progetto con fierezza, apertura e professionalità, diventando uno dei punti di riferimento tra i viticoltori cilentani. Nulla è lasciato al caso: l’esposizione dei filari, l’uso della spalliera a Guyot, la potatura verde e la cimatura dei germogli in modo tale da convogliare le sostanze nutritive nel frutto. E ancora: la conservazione della foglia sulla vite per proteggere il grappolo dall’eccessiva esposizione al sole ed evitare l’aumento della produzione dei pigmenti e dei conseguenti fenomeni ossidativi preservando la longevità dei vini, la protezione delle piante dallo oidio e dalla peronospera con trattamenti costanti ed in linea con la coltivazione biologica.

La vendemmia è a mano in piccole cassette, trasportate e lavorate poi con cura in cantina. La sostenibilità è una priorità e si concretizza in vari processi, dalla scelta dei materiali alla produzione tout court.

Nel Licosa, nel Furano e nel Patrinus, le tre referenze aziendali, è chiara l’identità e lo stile che il giovane Alferio sta imprimendo ai suoi vini e la meticolosità nella cura della vigna diventa una garanzia.

Licosa – Cilento Fiano DOC -2022

In purezza. Le uve dopo la raccolta sono immediatamente sottoposte a deraspatura e pressatura soffice; il succo viene poi illimpidito staticamente a temperature di 14-15°C. Si aggiungono lieviti selezionati. La stessa etichetta è una stilizzazione di una foto catturata direttamente da Alfiero. Il vino degustato, di 13,5 % di alcool, ha stazionato 3 mesi in bottiglia.

Il colore è paglierino dai tenui riflessi verdi. Al naso predominano sentori di fiori bianchi, magnolia, acacia ed erbe aromatiche come il timo. Prevale una leggera morbidezza, che lascia spazio a freschezze importanti, presupposto di longevità. Chiude poi una bella sapidità. Riportando il vino al naso, si avvertono, un po’ in ritardo, i sentori di frutta bianca, fresca, a testimonianza della complessità del bouquet.

Licosa- Cilento Fiano DOC – 2018

Seconda vendemmia. Il colore tende al dorato e riempie il bicchiere. Un’intrigante complessità si manifesta subito, con sentori di idrocarburi cui seguono note di frutta a polpa gialla ed erbe aromatiche; una bella mineralità salmastra e persistente, che rende omaggio al territorio. In bocca, il vino, pur mostrando ancora tensione, risulta molto equilibrato e lungo. Presume un buon abbinamento con coniglio imbottito accompagnato da carciofi.

Furano – Cilento – IGP Paestum Aglianico Rosato – 2022

Le uve sono tutte coltivate a Punta Licosa e durante la maturazione giovano della brezza marina proveniente dal mare, denominata “furano” nel linguaggio cilentano. Tali uve vengono vinificate in bianco ottenendo un vino che ricorda la freschezza di un bianco ma con la struttura di un Aglianico. Il colore è un bellissimo e lucente rosa chiaretto. Si percepiscono immediatamente al naso i petali di rosa e la ciliegia. Al gusto, fresco ed avvolgente, risulta al palato morbido e persistente nelle sue note agrumate. Il vino oggi riesce a esprimere una longevità anche di 4-5 anni.

Patrinus – Cilento – IGP Paestum Aglianico – 2021

Composto da 95% di Aglianico ed un saldo di Primitivo. Il vino subisce una vinificazione classica con le bucce che rimangono a contatto con la polpa per 15-18 giorni ad una temperatura di 25 °C. La pressatura è molto soffice per evitare l’estrazione di tannini amari e sgradevoli. Le attenzioni, dalla coltivazione in vigna alla pressatura, consentono di ottenere un Aglianico cilentano con una buona dose di morbidezza. Dall’annata 2023 uscirà con la denominazione DOC Cilento.  

Il nome latino Patrinus richiama il padrino di Alferio, uomo motivatore che lo ha spronato molto nella realizzazione dei suoi progetti. Il colore è un intenso rosso rubino, limpido. Al palato entra molto morbido, con bella ampiezza per poi chiudere ampio. Riempie il naso di piccoli frutti rossi, mora, lampone e ciliegia e sentori di liquirizia. Chiude la confettura di ciliegia. Abbinabile perfettamente con carne tenera di bufalo arrostito oppure con un tonno rosso appena scottato.

Non deve mancare l’assaggio dell’Olio Extravergine di Oliva Corsicano che l’azienda produce, in coltivazione biologica. Proviene dalle cultivar Ogliarola, Rotondella, Frantoio e Leccino raccolte a mano ancora verdi. La lavorazione delle olive in oleificio avviene subito dopo la raccolta, direttamente in giornata, mediante sistema integrale con estrazione a freddo. Presenta un fruttato che ricorda la mandorla, la foglia di carciofo e l’erba appena sfalciata. L’amaro e il piccante sono equilibrati, rendendo il prodotto versatile negli abbinamenti.

I sogni inseguiti con purezza d’animo, competenza e sacrificio portano i risultati e noi auguriamo ad “Il Colle del Corsicano” e ad Alferio Romito di raggiungere vette straordinarie con i suoi prodotti d’esempio per tutti i giovani viticoltori cilentani.

Fontodi: la magia del Sangiovese in purezza nel cuore del Chianti Classico

Non capita tutti i giorni di varcare il cancello di cantine affascinanti come quella di Fontodi.

Ad accoglierci c’era il dinamico e autoctono Silvano Marcucci, panzanese doc, cuore pulsante dell’azienda, orgoglioso e consapevole di trovarsi in un territorio di rara bellezza. Dopo esserci sgranchiti le gambe passeggiando in vigna, Silvano ci ha illustrato la storia dell’azienda, per poi entrare in cantina e degustare con enorme piacere i vini. Dalla terrazza di Fontodi si gode di un panorama senza pari digradante verso le Alpi Apuane, l’Appennino Tosco-emiliano e lo splendore dei vigneti e oliveti sotto e circostanti.

Un’esperienza memorabile ed emozionante.

Fontodi si trova nel cuore del Chianti Classico, più precisamente nella vallata che si apre a sud del borgo di Panzano a forma di anfiteatro, denominata “Conca d’oro“.  Il biodistretto nel comune fiorentino di Greve in Chianti.

Un terroir rinomato da secoli per la sua alta vocazione alla viticoltura di qualità dovuta alla combinazione unica di elevata altitudine, terreni galestrosi, esposizioni ottimali e un microclima favorevole per l’allevamento della vite. Caldo e asciutto, caratterizzato da notevoli escursioni termiche tra le ore diurne e notturne.

L’azienda è, dal 1968, di proprietà della famiglia Manetti, con Giovanni Manetti attuale Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico. Vanta circa  110 ettari di vigneti, condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica. La cantina è disposta su tre livelli e si avvale della forza di gravità, evitando l’uso di pompe elettriche. Negli anni ottanta qui è nato Flaccianello della Pieve e da allora il  successo è stato enorme, fra i grandissimi nomi della vitivinicoltura toscana. 

Panzano con il recente arrivo delle UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) per la Gran Selezione, ha visto ancor di più certificare la propria qualità.

I vini degustati

Flaccianello della Pieve IGT 2019 – Sangiovese in purezza, matura in barriques e botti di rovere francese per 24 mesi. Tonalità rosso rubino intenso e luminoso, ricco e complesso, sprigiona sentori floreali di viola mammola, ribes, marasca, mora e di visciole sotto spirito, poi tabacco e china. Avvolgente e dotato di una nobile trama tannica, con un finale lunghissimo su cenni balsamici ed un sorso duraturo.

Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Sorbo 2020 – Sangiovese in purezza, matura per 24 mesi in barriques e botti di rovere francese. Rosso rubino intenso, al naso è un’ esplosione di profumi, viola, lampone, fragola  ciliegia, prugna, rabarbaro e bacche di ginepro, al gusto è pieno ed appagante,  morbido, generoso ed armonioso.

Chianti Classico 2020 – Sangiovese in purezza – Matura in legno piccolo e botti grandi di rovere per 18 mesi – Rosso rubino luminoso, al naso rimanda sentori inizialmente di viola mammola e frutti a bacca rossa, come ribes e ciliegie, per poi proseguire su gradevoli note di spezie dolci. Al gusto è fine, sapido e suadente.

Chianti Classico Filetta di Lamole 2020 – Sangiovese 100% –  Rubino trasparente, rivela note ciclamino, erbe aromatiche, la tipica arancia sanguinella e spezie dolci.  Tannini setosi e vivace freschezza a conclusione di un elegante sorso.

Fontodi

Via San Leonino 89 – Loc. Panzano

50022 Greve in Chianti (Fi)

http://www.fontodi.com

Pancrazio Locanda Cilentana: Pietro Parisi il Cuoco Contadino lavora con cura e passione le materie prime del Cilento

“Chi ha coraggio fa anche a meno della reputazione”.

Questa frase rappresenta un piccolo mantra per il sottoscritto, da tenere a mente in ogni singolo istante della giornata. Pietro Parisi, Cuoco Contadino come ama giustamente definirsi, potrebbe vantare un curriculum di massimo rispetto da Chef alla corte delle migliori cucine internazionali.

Per fortuna a lui non è mancato certo il coraggio nel decidere di evitare le luci della ribalta, quelle dei salotti frivoli e inconcludenti o delle tavole faraoniche piene di fumo (e poco arrosto). Pietro ha deciso di scegliere un progetto coraggioso, realizzato da una donna visionaria come Chiara Fontana, che nel mondo della ristorazione e del turismo si è avventurata dopo i brillanti risultati raggiunti in campo universitario.

Da sinistra: Chiara Fontana, Pietro Parisi e Giovanni Riccardi

La famiglia ha avuto un ruolo fondamentale e Chiara, oltre a coinvolgere il vulcanico Parisi quasi come un suo membro aggiunto, ha coinvolto in prima battuta l’amore di una vita, condiviso in maniera equa per Giovanni Riccardi, avvocato, e per i figli. Una compagine allargata e affiatata, con a ciascuno un ruolo preciso da seguire per raggiungere il risultato finale: raccontare il Cilento sotto una nuova veste, fatta di unione tra le eccellenze enogastronomiche che ci invidiano in tutto il mondo. Ecco, dunque, il Boutique Hotel Palazzo Gentilcore e Pancrazio Locanda Cilentana a Castellabate (SA).

Nel mezzo servono inventiva, tanti fatti, poche chiacchiere e le abili mani di Pietro Parisi, per creare opere di sapore e profondità da ciò che la Natura (tramite l’immenso conoscitore del territorio Giovanni) sa procurargli. Semplicità anzitutto, nata dalla voglia di esprimere una realtà concreta, senza fronzoli od orpelli che possano contaminarla. Il menu è già di per sé bello, pratico, facile da interpretare e adatto alle tasche di chiunque.

Le 3 consistenze del caciocavallo con uovo, asparagi selvatici e tartufo estivo sono uno dei piatti firma di Pancrazio Locanda Cilentana, che può leggermente differire nella composizione degli ingredienti a seconda della stagionalità.

O lo spaghettone con ragù San Marzano e foglie di fico, autentica novità nel panorama locale, utilizzando un elemento celebrato di quest’angolo di Paradiso. La foglia di fico ha proprietà organolettiche straordinarie per un corretto mantenimento dell’omeostasi e dei normali livelli pressori. Senza peraltro ricorrere alla carne, gradita attenzione per le scelte vegetariane sempre più richieste dai clienti.

Per chi invece non volesse rinunciare alla tradizione resta la versione classica con ragù pippiato di bufala cilentana. Un piacere per gli occhi e la bocca è il rigatone con infuso di manteca, foglie di pomodoro e scaglie di tartufo nero. Il modo di recuperare a 360 gradi quanto di meglio e salutare esista.

In perfetta linea coerente la proposta dei secondi piatti, resa possibile tra variazioni di carne e pesce e perché no, la parmigiana di melanzane cotta in vasetto con sugo di pomodoro, delicata e gustosa. Siamo praticamente a “metro zero”, per ingredienti elencati nella Dieta Mediterranea di Ancel Keys, rievocata anche nell’iniziativa culturale del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea nell’ambito del progetto Opere e vite.

Un piccolo tocco di dolcezza, tra cannoli alla cilentana e babà rivisitato, per concludere la serata in spensieratezza concentrati unicamente sul territorio e le sue primizie. Magari abbinando le pietanze in uscita ad una completa carta dei vini che parla anch’essa la lingua del luogo.

Come vogliamo esaltare le nostre splendide potenzialità se tutti gli attori chiamati in causa, stampa compresa, non danno il massimo? Ecco perché le numerose iniziative di Boutique Hotel Palazzo Gentilcore e di Pancrazio Locanda Cilentana a tutela delle materie prime e dei prodotti di nicchia, alcuni rarissimi, che offre questo luogo magico. Ecco perché non mancheranno certo le sorprese a breve…

Per una volta anche noi possiamo figurativamente dire di aver “rimesso la Chiesa al centro del villaggio”, facendo la nostra parte.

Un villaggio chiamato Cilento.

Letture per l’estate: Tra Ghiaccio e Bicchieri di Gabriele Palumbo

Durante la manifestazione Aperitivo Festival svoltosi a Milano dal 26 al 28 maggio al NhOW in via Tortona ho avuto il piacere di conoscere un bar tender d’eccezione, Gabriele Palumbo. Sono rimasta affascinata dai suoi gesti, dalla sua affabilità e della passione, mentre con il bicchiere miscelava per me qualcosa di veramente nuovo e interessante!

Ho avuto la possibilità di scambiare due parole con lui e di venire a conoscenza del libro che ha pubblicato, intitolato “Tra Ghiaccio e Bicchieri”: una lettura che ho gradito particolarmente, sia per il tema trattato, sia per lo stile con cui è stato scritto.

Gabriele è ligure, di Albenga, e ha circa trent’anni: sin da ragazzo ha lavorato nei bar e ha iniziato il suo percorso con gli studi presso l’istituto alberghiero, aprendo la possibilità di numerose esperienze in giro per l’Italia. Le sue capacità e la sua sensibilità lo hanno portato a svolgere il ruolo di bartender in prestigiosi locali, nonché formatore ai corsi specializzati e Brand Ambassador, sempre nel mondo della miscelazione.

Il libro apre con una affermazione: il gusto è memoria dell’uomo, una memoria storica e di costume.

Un concetto che viene motivato dall’evidenza che il gusto ci riporta a un preciso momento storico ma anche alle abitudini di un’epoca, come per esempio le pennette panna e salmone ci fa immediatamente scivolare con la macchina del tempo negli anni Ottanta.

Nelle duecento pagine che seguono i ringraziamenti e la prefazione vengono raccontati 21 cocktails internazionali: si parte dalla Caipirinha e si arriva al mitico Gin Tonic.

La narrazione in forma di romanzata riporta inoltre  la data di nascita e le dosi necessarie per la realizzazione del drink: un viaggio affascinante in cui incontriamo Henrique, Juliana , Rubens e don Rafael Gomes in Brasile, Jerry Thomas e il suo Whiskey Sour a New York,  i fratelli Barbieri, Leonardo e lo spritz a Venezia…

Un libro che si divora perché riesce ad avvolgere il lettore nell’atmosfere e nell’epoche in cui  ogni cocktail viene ambientato: un regalo sicuramente azzeccato per un amico curioso e un compagno per l’estate davvero perfetto.

Tra Ghiaccio e Bicchieri – Storie parzialmente scremate di varia umanità, di “spiriti” che miscelarono e di spiriti miscelati.

Autore: Gabriele Palumbo Book Sprint Edizioni

“Vino X Roma” e Roma per il Vino: binomio inscindibile a 360 gradi

L’inizio dell’estate romana è stato un tripudio di eventi bellissimi e, tra questi, Vino X Roma targato Excellence, dove sono andate in scena le realtà enogastronomiche della Capitale e dintorni.

In collaborazione con Camera di Commercio Roma e Regione Lazio, Pietro Ciccotti e il suo fantastico staff hanno coinvolto nelle serate importanti Chef con piatti unici, preparati da materie prime selezionate, abbinati ai vini dei produttori partecipanti.

Che cos’è Excellence? Una Food Connection Company che attraverso la propria piattaforma multicanale promuove il patrimonio enogastronomico italiano delle eccellenze, mediante un’efficace, quanto innovativa, vetrina e rete di contatti al servizio delle aziende.

Excellence consente di diversificare la propria attività attraverso la comunicazione specializzata, l’editoria web e cartacea, i grandi eventi enogastronomici, le iniziative B2B e B2C e la formazione professionale.

La valorizzazione di un vecchio capannone ha portato alla realizzazione di una struttura contemporanea dal gusto moderno, che ospita una scuola di cucina con ambienti spaziosi, luminosi e razionali. Prende il nome di THE BOX la creazione di Pietro Ciccotti, inserita in un contesto urbano semi industriale, nel quartiere di Casal Bertone a Roma, in Via Ignazio Pettinengo, 72.

Con la Wine Designer e Vice Delegata della Delegazione Toscana della Associazione Nazionale delle Donne del Vino, Federica Cecchi, abbiamo condiviso le impressioni sulle degustazioni e abbiamo apprezzato il format di Excellence Eventi, incontrando i produttori che ci hanno raccontato le difficoltà di quest’annata resa difficile dalle numerose piogge di maggio e giugno con il propagarsi della peronospora. Una annata veramente difficile che porterà a rese estremamente basse e pesanti ripercussioni economiche sull’indotto del settore vitivinicolo.

Al contrario, il mondo della cucina non incontra ostacoli registrando una crescita esponenziale, sia come interesse che in termini di nuove assunzioni. La Excellence Accademy forma le giovani promesse in grado poi di operare nel mondo della ristorazione e della hotellerie. Con i suoi 1100 mq offre aule di Cucina e Laboratorio di Pasticceria, aule Didattiche Multimediali, aule dedicate alle Arti Bianche, Gelateria, Sala Accoglienza e 400 mq. di Spazio Eventi.

Uno Chef in auge è Fundim Gjepali del Ristorante Antico Arco, con una storia personale appassionante che lo vide emigrare dall’Albania da ragazzo, per affermarsi in Italia rivisitando e interpretando piatti della cucina nostrana e romana.

Ovviamente la degustazione dei vini ha avuto il focus di rilievo, una piacevole passeggiata tra i vigneti e la cantina, fatta attraverso il racconto del produttore stesso.

Presenti all’evento, il Consorzio Roma DOC con i vini delle Aziende che ne fanno parte, la Cantina Ciucci di Federica Ciucci, Vini Vallemarina con Marina Boccia, la Cantina Villa Simone con Sara Costantini, la Cantina L’Avventura con Gabriella Grassi, Cantina Jacobini con Alessandro Jacobini e Nina Farrel, Cantine Capitani, l’Azienda Vannelli e Brugnoli, la Cantina Borgo del Baccano, la Cantina Capizzucchi e Tenuta Lungarella.

Emozioni palpitanti nel vedere un giovane produttore che porta alla rinascita una storica Cantina di Genzano, la Cantina Jacobini, rasa al suolo durante la Seconda Guerra Mondiale. Alessandro Jacobini, discendente della storica Famiglia Jacobini di Genzano, sta iniziando a ricostruire la Cantina di famiglia e, insieme alla moglie Nina Farrel, ha iniziato la produzione di un vino bianco ottenuto con uve Trebbiano.

l Frascati di Villa Simone, azienda dell’enologo Lorenzo Costantini che sta divenendo uno dei punti di riferimento del vino dei Castelli Romani, è sempre una conferma. La figlia di Lorenzo, Sara Costantini , è fondamentale per lo sviluppo e la comunicazione della cantina.

Marina Boccia è straordinaria, con un sorriso quasi… spumeggiante! I suoi vini sono specchio del suo carattere: decisi ed esuberanti. Il Moscato di Terracina è il punto forte con due referenze.

Federica Ciucci produce vino e olio di grande qualità. La sua famiglia è proprietaria di un vasto territorio del Lazio settentrionale al confine con la regione Umbria. Il continuo studio sulle tecniche di vinificazione, le ha permesso di inserirsi già tra le migliori cantine del Lazio.

Al banco del Consorzio Roma Doc ho incontrato Silvana LulliParvus Ager – con il nuovo nato, la Malvasia Puntinata. Un vino di bella struttura e complessità che riempie il palato con sensazioni avvolgenti di frutta e fiori oltre che di frutta secca e mentolate sul finale.

Il progetto Vinea Lucens, esperienza meravigliosa con un percorso notturno tra i vigneti tra proiezioni di luci e immagini, è già stato raccontato dalla collega Ombretta Ferretto al seguente link https://www.20italie.com/vinea-lucens-metti-un-sera-sullappia-antica-con-la-cantina-parvus-ager/

Una bella espressione di Cesanese del Piglio è quella portata a Vino X Roma da Gabriella Grassi della Cantina l’Avventura, con i famosi vini da uve Cesanese Amor, Picchiatello, Campanino oltre che il rosato di Cesanese Rosè e la Passerina del Frusinate Saxa.

Altro nome assolutamente di spessore tra i vini di Roma è Cantina Capizucchi che si trova vicino al Santuario del Divino Amore, sulla via Ardeatina e produce diverse referenze interessanti. Matilda Pedrini della Cantina Borgo del Baccano sta facendo passi da gigante con i suoi vini che ricadono anche nel disciplinare della Roma DOC. Una nuova realtà che si trova a Borgo del Baccano, sulle pendici del Lago di Martignano, un piccolo lago vicino al Lago di Bracciano.

Una bella sorpresa la degustazione di Olio Extravergine di Oliva, con l’azienda Diamante Verde. Catiuscia Scire racconta come sono stati recuperati 20 ha con circa 5000 piante, con cultivar prevalentemente Itrana e un 15% di leccino.

Presente anche il banco di assaggio di PeperDop, il peperone di Pontecorvo, tantissimi prodotti lavorati a base di peperone di Pontecorvo DOP. 

Non ci resta che attendere il prossimo evento che si terrà al Roma Convention Center La Nuvola dal 9 al 11 novembre.

Sarà EXCELLENCE FOOD INNOVATION l’evento enogastronomico alla sua decima edizione all’interno della straordinaria struttura progettata dall’Architetto Fuksas.

https://excellencemagazine.it

Romagna: Coriano Wine Festival 2023, “il grande Sangiovese Romagnolo al centro del villaggio”

“Romagna e Sangiovese, sei sempre nel mio cuore”

Così recita il famoso brano di Raoul Casadei, a suggellare l’eterno binomio fra un territorio e un vino. Anzi, fra un popolo e un vino.

I romagnoli: quella gente che nemmeno le alluvioni può scalfire, quelle persone contraddistinte da estrema generosità e genuinità. Li puoi riconoscere nitidamente alle sagre di paese, con gli stand gastronomici dove il profumo di piadina e salsiccia si percepisce da chilometri e il valzer ti trasmette allegria anche se hai appena litigato con la morosa (termine dialettale per fidanzata).

Proprio come la 55ª edizione de La fiera del Sangiovese, svoltasi a Coriano (RN) il 19 e 20 agosto 2023. Da quest’anno diventa anche Coriano Wine Festival, una “mostra mercato” del Sangiovese con i migliori produttori provenienti dalle 16 sottozone ufficialmente riconosciute dal disciplinare del Romagna DOC Sangiovese.

Gli ingredienti sono quelli giusti: 33 produttori, coinvolti nei banchi d’assaggio con le anteprime dei loro Sangiovese, 5 guru del vino a livello nazionale (Maurizio Alongi, Paolo Babini, Enrico Bevitori, Marco Casadei e Marino Colleoni), impegnati in un convegno dal titolo “Sangiovese, indagine su un vitigno al di sopra di ogni sospetto” e infine 4 laboratori di degustazione.

La ricetta è ideata dalle meningi di uno chef per eccellenza, uno che la materia prima la sa trattare sapientemente: Francesco Falcone.

La location? Il pittoresco parterre del Teatro Corte Coriano.

Francesco Falcone

20Italie era presente ed ha selezionato, fra le numerose proposte, 6 anteprime di Sangiovese degne di interesse.

Menta e Rosmarino – Area 66 | 2021 – sottozona Modigliana

Visto il caldo di questi giorni, perché non partire dal territorio più in quota come Modigliana? Area 66 è uno dei Sangiovese in purezza prodotti da Francesco e Luciano, nell’annata 2021 si presenta al calice in un rosso che definirei invitante per la sua capacità di riflettere la luce. Naso che ti porta nel territorio: menta piperita, aghi di pino, piccoli frutti neri e tanta mineralità. In bocca è agilissimo, verticale grazie alle freschezze ma equilibrato grazie al docile tannino. Non si perde facilmente ed è piacevole come un succo di frutta.

Vigne dei Boschi – Poggio Tura | 2019 – sottozona Brisighella

Il “frescolino climatico” ci piace: non scendiamo di quota, ci spostiamo di qualche chilometro ed entriamo a casa di Paolo Babini. Il suo Poggio Tura 2019 è talmente in anteprima che l’annata è scritta a penna su un’etichetta precedente. Veste il calice di un rosso accecante come un’opale di fuoco. Olfattivamente ci regala sentori di piccoli frutti rossi aciduli, vegetazione di bosco e note leggermente terrose. In bocca è esplosivo: l’acidità è spiccata e al tempo stesso piacevole, tannino vispo. Al termine del sorso chiama un altro assaggio, senza stancare. Un vero e proprio Masterpiece di Babini che racchiude un mosto fiore sgrondato e non pressato e 2 anni di riposo in botte grande, usata magistralmente.

Ancarani – Biagio Antico | 2021 – sottozona Oriolo dei Fichi

Restiamo nell’entroterra Ravennate, ma cambiamo completamente terreni, passando dalle marne Brisighellesi alle sabbie gialle di Oriolo dei Fichi. Questo terreno è il responsabile dell’estrema definizione degli aromi che troviamo nel Biagio Antico. L’aspetto del vino è seducente, proprio come una rubellite. Il frutto che si avverte è polposo, di quelli che cogli dall’albero e addenti stando lontano dal corpo per non sporcarti col succo che gronda. La menta piperita e lo zenzero completano il boost di un naso “fresco”. All’assaggio è teso, croccante, con un tannino spigoloso ma piacevole proprio per questo motivo. Il cemento ha riequilibrato il tutto. Servito leggermente sotto temperatura si fa voler molto bene, estivo.

Marta Valpiani – Fiore dei Calanchi | 2021 – sottozona Castrocaro

Mentre continuiamo la traversata perché non fermarsi alle Terme di Castrocaro? Con le sue acque salsobromoiodiche che fanno bene alla salute… e anche al vino, donando incredibile sapidità. Ma Elisa Mazzavillani, che il territorio lo conosce bene, non finisce mai di stupirci. Da un piccolo vigneto nasce il suo nuovissimo Fiore dei Calanchi, un single vineyard – single tonneau, ricavato appunto da un unico cru e lasciato riposare per un anno in un unico tonneau, (a doghe larghe, originariamente pensato per un bianco) per dar vita a 666 bottiglie uniche nel loro genere. Portare il calice davanti agli occhi è come un incontro con una donna elegante e suadente: la sua trasparenza provocante, mai volgare, riflessi splendenti come pietre preziose. Naso che denota un profilo aromatico ricco, di grande profondità. Immediatezza delle note fruttate, sfumature leggermente polverose e note iodate. In bocca si conferma la grande eleganza che trovavamo nei precedenti passaggi, ci pervade il palato. Il tannino è delicato, setoso ma presente. Teso, ma non affatto esile. Superlativo.

Giovanna Madonia – Fermavento | 2021 – sottozona Bertinoro

È arrivato il momento di spostarci nel ventre della collina romagnola, laddove il vino è così radicato nella cultura degli abitanti che viene chiamato “e ”, ovvero “il bere”. Sulla parte più alta del colle di Montemaggio troviamo Giovanna Madonia, già da diversi anni affiancata dalla figlia Miranda e da Gennaro. È il 26º anno del Fermavento, Sangiovese da vigne allevate ad alberello che non finisce mai di stupire. Più di ogni altro è un fedele lettore dell’annata, del terroir e della mano del produttore. E così anche in questa versione, in bottiglia nemmeno da 2 mesi, si conferma sempre lui, il Sangiovese che mette d’accordo tutti. Si veste in un rosso rodolite veramente intenso, e nella sua austerità regala aromi di frutta matura, sottobosco e spezie. In bocca il tannino è superbo, probabilmente merito di quel terzo di uve che non vengono diraspate portando così quella parte di legno maturo, un po’ come si fa in Borgogna. Profondo. Ma diamogli qualche altro mese.

Chiara Condello – Predappio | 2021 – sottozona Predappio

Forse la zona più rinomata a livello regionale (e non solo) per il Sangiovese, capace di sfornare vini dalla grande espressività grazie ai suoli principalmente argillosi. Noi non saliremo fino in alto, ci fermeremo a Fiumana, da Chiara Condello. Macerazione a chicco intero, sgranellato, ma non pressato, per estrarre una massa color rubino Tanzania intenso dai riflessi scuri. Eh sì, siamo un po’ frivoli anche nei descrittori per una volta! Un anno di botte grande e i 4 mesi di cemento regalano grande profondità al naso. Nonostante la giovane età, l’argilla e l’affinamento lo rendono già abbastanza rotondo e compatto. Muscoloso.

Format centrato, ricchezza di contenuti, il calore dei romagnoli e la poliedricità di un vitigno: sono queste le chiavi di lettura di un evento, che seppur alla sua genesi, ha saputo raggiungere il suo obiettivo. Valorizzazione di un vitigno attraverso un territorio.

Fast forward alla prossima edizione, prevista per il 17 e 18 agosto 2024.

A che punto siamo con il Fiano di Avellino Docg?

Lapio (AV), 4 agosto 2023Il “Tasting Impossible: la mia prima volta”

Lo scopo dell’evento è stato la degustazione delle prime annate disponibili di Fiano di Avellino Docg dei produttori di Lapio. Le testimonianze dirette dei vitivinicoltori presenti, dai tempi iniziali dell’incredulità circa il potenziale d’invecchiamento, fino alle moderne tecniche di vinificazione per riuscire ad interpretare al meglio questo vitigno, sono stati i momenti più salienti della serata.

Il Fiano di Avellino infatti, con lo specifico areale di Lapio e delle sue contrade, è uno dei vini che meglio si adatta al concetto di zonazione e di territorio. Non vogliamo perdere tempo in chiacchiere sulle eterne (ahinoi) diatribe sul perché tale riconoscimento internazionale tardi ancora ad arrivare. Una vivace polemica tutta interna, che preferiamo non evidenziare per non contribuire a creare pessimismo.

Restiamo, invece, volutamente ottimisti e raccontiamo, in ordine discendente dalla più recente alla più datata, le etichette degustate direttamente dalla narrazione dei produttori.

Laura De Vito presenta Elle Fiano di Avellino DOCG 2018, la prima annata vinificata a venticinque anni dall’impianto delle vigne. Una cantina di recente fondazione che pone il territorio al centro del proprio progetto produttivo. Dichiara la De Vito: “la vinificazione è basata sul principio di zonazione, con tre etichette su quattro che portano il nome delle contrade di provenienza delle uve, oltre una quarta che raccoglie le varie parcelle vinificate in unico blend variabile di anno per percentuali ogni anno. La fermentazione avviene esclusivamente in acciaio, con permanenza di nove mesi sulle fecce fini, affinamento in bottiglia ed uscita in commercio non prima di 24 mesi dalla vendemmia”.

Angelo Silano presenta la sua Vigna Arianiello Fiano di Avellino DOCG 2016.

Angelo racconta che la sua “prima volta” per questa etichetta è stata l’annata 2013. Dato l’intento di voler esaltare al massimo le caratteristiche del territorio, anche Angelo ha lavorato sul concetto di zonazione specificando che “rispetto ad altri vigneti, in quello di Arianiello c’è tanta materia vulcanica.”

La 2014 e la 2015 non sono state prodotte perché le annate eccessivamente calde avrebbero inficiato proprio questa caratteristica. “La 2016 invece, figlia di una stagione equilibrata, ha permesso di mettere in risalto le caratteristiche sia del vitigno che della zona.”

Il campione successivo in degustazione è il Vino della Stella Fiano di Avellino DOCG 2012. A raccontare il progetto enologico è Raffaele Pagano, patron dell’azienda Joaquin, da sempre presente a Lapio e impegnata in progetti di micro-zonazione: “la 2012 non è la prima volta” di questa etichetta, preceduta da una 2009, mentre la 2010 e la 2011 non sono state prodotte”. La 2012 è stata una vendemmia atipica, particolarmente calda, che si è ripresa sul finale permettendo di spingere la raccolta a metà ottobre. Siamo puristi, non usiamo molta tecnologia, non facciamo controllo delle temperature, ci piace lavorare col batonage spinto. In questo caso, inoltre, il vino non fa legno”.

Adolfo Scuotto di Tenuta Scuotto ci ha parlato del Fiano di Avellino 2011, non la prima annata dell’etichetta, che ha un precedente già nel 2010.

“La 2011 è stata un’annata di difficile interpretazione, inizialmente fresca, seguita da un periodo caldo con escursioni termiche importanti, che hanno sviluppato un corredo aromatico molto interessante. La maturazione lenta, la fase vegetativa prolungata e la raccolta delle uve a partire dalla seconda/terza decade di ottobre, hanno fatto il resto nella definizione di questa annata. Il vino fermenta in acciaio ed affina esclusivamente in acciaio e bottiglia”.

Ercole Zarrella imbottiglia per la prima volta la sua personale etichetta di Fiano di Avellino nel lontano 2004. La cantina è Rocca del Principe e l’etichetta degustata è Fiano di Avellino 2010.

“Non ci sono bottiglie precedenti conservate perché non si pensava che il Fiano avesse questa longevità!” La novità dell’annata 2010 sta proprio nel fatto che ne è stata ritardata l’uscita in commercio di circa sei mesi per permettere un miglior affinamento del vino. Un sacrificio non indifferente dato che Ercole, nel perseguimento di un progetto che permettesse la massima espressione del vitigno, ha rimandato di diversi mesi la vendita delle bottiglie, rimanendo di fatto “senza vino”. Anche nel caso di Rocca del Principe è ben chiaro il principio di zonazione e mentre il Fiano degustato è un blend (70% Vigna Tognano 30% Vigna Arianiello), etichette specifiche sono invece dedicate ai cru Tognano e Neviere di Sopra.

Quando arriviamo alla cantina Colli di Lapio, entriamo a pieno titolo nella storia del Fiano a Lapio, contrada Arianiello. Carmela Romano, figlia di Clelia, la Signora del Fiano, ci racconta ancora una volta la storia di un vino, imbottigliato per la prima volta nel 1994,  di cui non si immaginavano i potenziali d’invecchiamento. Per questo motivo non esistono bottiglie che vadano così indietro nel tempo e dunque degustiamo il Fiano di Avellino 2007. Carmela ha scelto questa annata perché è stata una delle più calde e siccitose, più regolare nelle precipitazioni rispetto alla 2003, con ottime escursioni termiche e una vendemmia anticipata ai primi di settembre. Fermentazione in acciaio, affinamenti successivi in acciaio e bottiglia.

Se Colli di Lapio è la storia del Fiano a Lapio, Romano Nicola ne è probabilmente la legenda. Azienda presente sul territorio dal 1988, fortuitamente ritrova alcune bottiglie dell’annata 1989, la prima imbottigliata a Lapio, precedenti dunque all’istituzione della DOCG. Amerino Romano confessa di affrontare il tasting senza garanzie, vista l’età avanzata del vino, ma con grande spirito didattico e di studio condivide con l’intera platea una vera e propria emozione.

Infine Daniela Mastroberardino, Presidente nazionale dell’Associazione Donne del Vino, rappresenta la cantina Terredora situata a Montefusco, ma che a Lapio detiene la vigna dedicata al Fiano di Avellino Riserva Campore, assaggiato nell’annata 2008.

La prima annata di questo vino risale invece al 1998.

“In un momento in cui si lavorava prevalentemente con i vini d’annata, nasce Campore con una diversa impostazione. Dal 1998 e fino al 2002 Campore fermentava per il  50% in acciaio e per il 50% in barrique. A partire dall’annata 2003 la fermentazione avviene esclusivamente in barrique, con una sosta sulle fecce fini di sei mesi. Esce a cinque anni dalla vendemmia”.

Daniela si sofferma a lungo sulle virtù di un vitigno autoctono, il fiano, coltivato in molte parti del mondo ma che trova il suo clima d’elezione ideale nella fredda Irpinia, “isola del Nord appuntata al centro del Sud Italia”. Commoventi, infine, le parole dedicate al fratello Lucio, enologo di grande talento, prematuramente mancato nel 2013.