Si parla di rari vini dolci all’evento “Dolce Toscana nel Vino”

Alla Fattoria del Colle di Trequanda, Donatella Cinelli Colombini, in collaborazione con Le Donne del Vino delegazione della Toscana ed il supporto delle giornaliste Maddalena Mazzeschi e Marzia Morganti, in occasione della presentazione alla Stampa del suo nuovo Passito, ha organizzato una degustazione 12 di vini dolci, di cui, 8 Vin Santo, 1 Moscadello di Montalcino, 2 Passito ed 1 Aleatico dal titolo “Dolce Toscana nel Vino”.

Donatella ha fatto gli onori di casa, dando il benvenuto ai partecipanti, la degustazione è stata condotta dall’esperto giornalista Gianni Fabrizio, durante la quale sono intervenute le produttrici, ed infine il Direttore di Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana, Roberto Scalacci ha concluso con aneddoti e considerazioni finali.

Alcune note a margine: queste tipologie di vino vengono prodotte in quantità limitate e sono molto onerose; attualmente trovano poco spazio sia nel settore H0.RE.CA sia nella G.D.O. Accompagnano spesso dessert da servire a fine pasto; una soluzione ideale per aumentarne le vendite potrebbe essere rappresentata dalla vendita al calice, per coloro che si presentano al ristorante in coppia, mentre per tavoli con un maggior numero di commensali è la bottiglia da 0,375 cl il formato preferibile. Donatella ribadisce che tali vini, però, possono essere uniti non solo a dolci, ma anche patè de foie gras e a formaggi sia erborinati sia stagionati o semplicemente in meditazione.

Nel caso della Grande Distribuzione si trovano prodotti a basso prezzo, come Vin Santi fortificati con la fascetta da vino liquoroso che non hanno nulla a che vedere con i Vin Santi naturali che sono contraddistinti da denominazioni di origini controllata o altri passiti di elevata qualità, generando confusione nel consumatore finale. Non tradizionale e obsoleta la pratica di affondare il cantuccino nel calice. Le nuove generazioni, nostro malgrado, fanno poco consumo di vini dolci: sono invece perle enologiche che meritano ampio spazio nelle nostre tavole.

Vin Santo

Il nome Vin Santo si ipotizza che derivi dal Concilio di Firenze del 1439, quando il cardinale greco Bessarione, mentre stava bevendo il vin pretto, esclamò “sembra vino di Xantos”, un vino passito greco di Santorini. Da quel momento fu chiamato Vin Santo. Esistono tuttavia, altre ipotesi da cui far derivare il nome di questo nettare. A Siena si parla di un frate francescano che nel 1348 curava i malati di peste con un vino che era solitamente usato dai confratelli per celebrare messa. Si diffuse, così, la persuasione che avesse proprietà miracolose, valendogli l’appellativo santo. Il Vin Santo toscano è un vino prodotto da uve lasciate appassire dopo la raccolta. Ottenuto con uve di Trebbiano e Malvasia, talvolta con San Colombano e Grechetto. Può essere anche prodotto con uve rosse, maggiormente con Sangiovese e in questo caso si parla di Vin Santo Occhio di Pernice.

Moscadello di Montalcino

Il Moscadello di Montalcino viene prodotto nell’ omonimo Comune. Già apprezzato da Francesco Redi, Ugo Foscolo e il Pontefice Urbano VIII erano dei veri amanti. Montalcino è oggi nota per uno dei più grandi vini rossi italiani : il Brunello. Le origini del Moscadello affondano agli inizi del 1500, attualmente è una Doc ed il vitigno utilizzato per la produzione è il Moscato Bianco, un’uva bianca aromatica, coltivata in tutta la penisola. Può essere prodotto in tre tipologie, Tranquillo, Frizzante e Vendemmia Tardiva.

Aleatico 

L’Aleatico è un vitigno aromatico che dà origine a vini molto piacevoli ed eleganti, diffuso sull’ Isola d’Elba, e conosciuto anche a Gradoli in Alta Tuscia. Vinificato in versione secca, dà origine a vini di buona struttura, ma la tipologia più nota è quella dolce, ottenuta con uve appassite, una vera gemma enologica italiana.

Vini Passiti

Come suggerisce il nome, vengono ottenuti con la pratica dell’appassimento delle uve, talvolta attaccati da botrytis cinerea. Diffusi in ogni regione italiana, pertanto le uve utilizzate sono variabili secondo la provenienza geografica. Vini dolci con un importante residuo zuccherino, ma anche secchi, come l’Amarone della Valpolicella o lo Sforzato o Sfursat della Valtellina.

La Fattoria del Colle si trova nel comune di Trequanda, a poca distanza dal centro abitato  del suggestivo Borgo. L’azienda si trova all’interno sia della Doc Orcia sia della Docg Chianti. Gli ettari vitati di proprietà sono 17, estesi su una superficie totale di 336. Nei vigneti si trovano le varietà di SangioveseFoglia TondaMerlotTraminer e Sagrantino. Posti ad un’altitudine di oltre 400 metri s.l.m., godono di un microclima particolare con forti escursioni termiche tra le ore diurne e notturne, capaci di dare origine a vini di eccellente qualità. La produzione segue metodi di coltivazione biologica, nel pieno rispetto dell’ambiente. La Tenuta è di proprietà di Donatella Cinelli Colombini, già appartenuta ai suoi antenati alla fine del Cinquecento. Un’ azienda, ed è stata la prima in Italia ad esser gestita solamente da donne. Alla Fattoria del Colle oltre alla cantina, si trova un agriturismo con ristorante, piscina e centro benessere con spa. Una nota di merito va all’Orcia Doc Cenerentola, ottenuto con Sangiovese e Foglia Tonda e al il Drago e le Otto Colombe Igt, ottenuto con Sangiovese, Merlot ed altri vitigni autorizzati. 

I vini degustati

Aleatico Sovana DOC Superiore 2022 – Fattoria Aldobrandesca

Solalto IGT Toscana 2019 – Fattoria Le Pupille

Florus Moscadello di Montalcino Doc 2019 – Banfi

Passito IGT Toscana 2018 – Donatella Cinelli Colombini

Vin Santo di Montepulciano DOC 2016 – Dei

Vin Santo del Chianti Classico DOC 2018 – Castello di Querceto

Vin Santo DOC 2013 – Badia a Coltibuono

Vin Santo del Chianti Doc 2004 – Tenuta il Corno

Red Label Vin Santo del Chianti DOC 2015 – Castello Sonnino

Vin Santo di Carmignano DOC Riserva 2016 – Capezzana

Vin Santo di Carmignano DOC Occhio di Pernice 2012 – Tenuta Artimino

Vin Santo del Chianti Rufina DOC 2006 – Villa di Vetrice

Dopo la degustazione dei vini, una degustazione di formaggi selezionati da Andrea Magi e abbinati al passito di Donatella Cinelli Colombini hanno preceduto il pranzo, per noi preparato dalla Chef Doriana Marchi con piatti tipici della tradizione toscana. Il dessert accompagnato al Passito è stato realizzato dal pasticcere campione del mondo Rossano Vinciarelli.

Calabria – Giraldi & Giraldi: gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa

Per gli appassionati di calcio, Vialli e Mancini erano i gemelli del gol ai tempi della Sampdoria dello scudetto e di una Nazionale italiana (forse) mai così bella e affiatata. Al cinema, invece, De Vito e Schwarzenegger sembravano teneri e, altresì, improbabili nel ruolo di fratelli separati alla nascita. Anche il mondo del vino non poteva restare lontano da simili storie, fatte di quel legame affettivo e in parte chimico che lega due omozigoti fin dai loro primi passi.

È il caso di Pierfrancesco e Alessandro GiraldiGiraldi & Giraldi giovani e appassionati vitivinicoltori di Rende (CS), in quella terra meravigliosa che è la Calabria. Entrambi iscritti alla Facoltà di Ingegneria, protetti nelle scelte dalla saggezza dei genitori Giuliana e Francesco. Poi, complice i ricordi degli studi superiori e di un professore di agraria particolarmente illuminato, la vita cambia con un click e si trasforma nelle vesti di Madre Natura, pronta a chiamare i ragazzi all’impegno e sacrificio nella terra nuda. I poderi, per fortuna, erano già lì, grazie alla mentalità di queste parti, dove ciascuna famiglia mantiene il piccolo terreno adibito o orto e coltivazioni casalinghe, vite inclusa.

Nel 2003 avviene l’impianto del primo mezzo ettaro di Magliocco ed ora, a distanza di quattro lustri, siamo arrivati ad una consistenza complessiva di ben 18 ettari per circa 100 mila bottiglie suddivise in 4 referenze. Una proporzione assolutamente perfetta, tenendo conto di quanto possa raccontare l’areale in termini di diversificazione e qualità, senza confondere troppo le idee. Lavorazioni semplici, minimaliste per il bianco e il rosato, con lunghe macerazioni per i rossi, vinificati ad acino intero e con utilizzo di lieviti selezionati. Solo 5 varietà coltivate nell’ambito aziendale: Chardonnay e Greco Bianco per la bacca bianca; Magliocco, Greco Nero (un autoctono locale differente dal Magliocco Gentile) e Cabernet Sauvignon per il rosso.

La degustazione

Partiamo da Arintha 2022, Greco Bianco con un piccolo saldo di Chardonnay. Indomito, dalla buona salinità e freschezza di lime condito da erbe mediterranee. Versatile e meno impegnativo negli abbinamenti rispetto ad altre tipologie.

Donna Giuliana 2022, dedicato alla madre di Alessandro e Pierfrancesco. Donna straordinaria, che cura amorevolmente l’accoglienza nella casa di famiglia, adibita anche a cantina e sala degustazione. Riveste, nel dietro le quinte, il classico ruolo della madre saggia che guida i propri cuccioli senza interferire nelle loro esperienze. Il rosato proposto ha carattere e gradevolezza, blend di Magliocco e Greco Nero quasi in parti uguali. Fragoline selvatiche, agrumi rossi, fiori di pesco e chiosa salmastra lo rendono un vino equilibrato fuori dai canoni classici dei rosè.

Monaci 2022 da Magliocco in purezza. Nato su terreni argillosi dai richiami marini, vinifica e matura solamente in acciaio e bottiglia, svolgendo anche la fermentazione malolattica per addomesticare i tannini robusti del varietale. L’annata è risultata particolarmente generosa, dimostrando potenza e irruenza tali da rendere il vino interessante sui piatti a lunga cottura della tradizione italiana. Meglio la 2021, declinata interamente tra frutto e goduria di bocca, apprezzabile anche come sorso di meditazione e compagnia.

Gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa! Al prossimo racconto.

“Consumando S’Impara 2023”: spunti di riflessione per avvicinarsi al mondo del vino naturale lontano da preconcetti e falsi miti

Consumando s’impara – la festa del consumo critico – si è svolta con grande successo di pubblico e partecipanti, lo scorso 15 ottobre a Padova, nella splendida Piazza della Frutta.

Un’appassionata decima edizione che ha visto presenti ben 120 cantine provenienti da Italia, Slovenia, Austria legate al mondo del vino naturale, dove è stato possibile interagire con i vignaioli e degustare la loro produzione.

Ecco alcune delle aziende che ho avuto il piacere di scoprire o di ri-scoprire

  • Klinec: siamo nella Brda, al di là di quella linea invisibili che separa Italia da Slovenia. Un artista sia in vigna che in cantina. Pregevole il Gardelin, un pinot grigio macerato sulle bucce e affinato 36 mesi in botti di legno di acacia. Un esempio per tutti coloro che vogliono produrre orange wine.
  • Enoteca La Caneva di Mogliano Veneto ha portato in degustazione vini davvero speciali tra cui la malvasia di Pietra.
  • Tropfltalhof, azienda biodinamica dell’Alto Adige, ha presentato tra le altre referenze il RosèMarie, dedicato alla moglie, che vede un 15% di cabernet sauvignon e da un 85% di merlot a comporre il blend, vinificato in anfora. Un vino vivo, vibrante, succoso e piacevole alla beva.
  • Dalla Liguria il filosofo del vino Andrea Kihlgren dell’azienda Santa Caterina pratica la biodinamica da sempre; i bianchi d aa vermentino e albarola, vinificate in purezza esprimono l’essenza del territorio. Giuncaro, un Igt Liguria di Levante, si compone di un 70% di friulano e un 30% di sauvignon: un assaggio molto particolare e degno di nota, preciso e pulito.

  • Azienda Demarie ha presentato Sabbia, un vino da un blend di uve autoctone del Piemonte che crescono su terreni sabbiosi; macerazione sulle bucce durante la fermentazione e affinamento in legni francesi e un rifermentato davvero interessante, un inno alla gioia di nome Luigi.
  • Insolente Vini produce vini in provincia di Verona con le uve provenienti da una sola vigna: lieviti indigeni, senza controllo della temperatura né filtrazioni: una nutrita selezione di pet nat, tra cui M E 3 annata 2019 da durella impiantata circa 45 anni fa e G E 3 sempre 2019, ottenuto da pinot grigio e durella.
  • Asja Rigato, conosciuta alla manifestazione Sbarbatelle 2023, conferma la sua capacità di emozionare e lo fa con un rifermentato da moscato giallo, Flower Power, dall’etichetta sgargiante e dai profumi floreali e fruttati.

  • Raina di Francesco Mariani ha portato l’Umbria all’ attenzione del pubblico; dal 2012 gestisce le vigne secondo i principi della biodinamica nel territorio di Montefalco. Campo di Raina è un sagrantino 100% che macera per circa 15 giorni e affina 12 mesi in acciaio e 24 mesi in botti di rovere, non è chiarificato né filtrato. Confettura di prugne e visciole, richiami terrosi e balsamici, fiori secchi , tannino scolpito e buon potenziale di invecchiamento.
  • Podere Cipolla di Denny Bini si trova a Reggio Emilia e si è votato alla vinificazione da Lambrusco; il suo è un approccio artigianale, legato alle proprie tradizioni contadine. Levante Bianco 90 è un vino frizzante pet nat da spergola, malvasia e moscato. Brioso, fresco e profumato.

Insieme al buon vino erano in piazza 5 stand gastronomici a cure di altrettante enoteche di Padova; l’evento è stato magistralmente organizzato da “All’Ombra della Piazza” e Brutal e aspetteremo con curiosità il prossimo appuntamento.

Lazio: D.S. Bio di Danilo Scenna “autoctono” purosangue

“Traccia la tua rotta verso una stella e supererai qualsiasi tempesta”, scriveva Leonardo Da Vinci. E così usciamo dall’areale del Cesanese viaggiando più a sud ai confini tra Lazio, Abruzzo e Campania, in località Pescosolido nei pressi di Sora (FR), dove si trova una stella nascente, la Cantina D.S. Bio di Danilo Scenna.

Quando faceva parte al Regno delle Due Sicilie, questo territorio apparteneva alla Campania, e fu Federico II a chiamare tutti i paesi della zona con il nome dei quartieri di Napoli. Ancora oggi il dialetto locale è un misto tra campano e abruzzese.

Danilo ha ereditato vigneti a piede franco di ottanta anni che crescono su pendii proibitivi per la meccanizzazione costringendo alla cura manuale, con un approccio olistico, ecologico ed etico, secondo la filosofia di Demeter. Oltre ad essersi appassionato all’allevamento di cavalli, Danilo si è dedicato alla coltivazione della vite con tanta passione ma soprattutto seguendo i principi di sostenibilità con il metodo della agricoltura biodinamica.

Tradizione e innovazione si incontrano perfettamente portando di pari passo la produzione di viti che contano svariati lustri, e una cantina moderna, diffusa in un piccolo borgo che Danilo sta ristrutturando dandogli nuova vita. Vitigni come Maturano, Pampanaro, Trebbiano, Lecinaro, Uva Giulia.

La qualità dei suoi vini in crescita, in alcuni casi hanno qualche angolo da smussare date le varietà autoctone riscoperte e salvaguardate, ma sempre “ben fatti” e la passione, la cura e la determinazione, sono qualità che ritroviamo nel bicchiere. Nessuna chiarifica, filtrazione o alterazione per tutti i vini prodotti.

INDOMATO Macerato 2021 85% Maturano, 10% Pampanaro e 5% Trebbiano. Nel mondo del vino, ci sono creazioni che sfidano le convenzioni e incantano con la loro audacia. Si presenta con un carattere fresco di note agrumate e un finale sorprendentemente sapido.

MATRE Frusinate IGT Bianco 2018. 60% Maturano e 40% Trebbiano a piede franco, è una celebrazione dell’eleganza e della complessità vinicola. Con il suo bouquet floreale che richiama la magnolia, la ricca gamma di sapori e l’evoluzione in bocca, questo vino è un’esperienza che merita di essere esplorata e apprezzata. Incanta con una beva fluida e scie di frutta esotica.

INDOMATO Rosato 2022. Uva Giulia in purezza vendemmiata a novembre con raccolta manuale delle uve e dopo la spremitura, la massa non ha nessun contatto con le bucce. Una bella spalla acida con note agrumate e verdi, finale leggermente amaricante.

VOLUMNIA Rosso del Frusinate IGT 2021. Sangiovese 40%, Lecinaro 40% e Uva Giulia 20%. Rivela solo un assaggio del suo potenziale. Bene attendere uno o due anni prima di aprirlo, per godere pienamente delle sue qualità.

PALMIERI Lecinaro del Frusinate IGT 2021, Lecinaro in purezza, Palmieri è un’autentica espressione di questa varietà di uva. Una scoperta sensoriale che delizia con note solfuree e vegetali arricchite da un intrigo di erbe aromatiche. Affascinante.

ARCARO Maturano del Frusinate IGT 2021, da Maturano in purezza coltivate su un terreno ricco di bauxite. Vinifica in vasche di cemento senza macerazione con le bucce e senza lieviti selezionati ma con i suoi stessi lieviti. Macerazione carbonica iniziale, affina sulle fecce fini per 6/7 mesi durante i quali viene effettuato il bâtonnage.

Esempio di eleganza in bottiglia, è un vino che merita di essere esplorato da chi cerca autenticità e carattere in ogni bicchiere. Di tutti il mio preferito.

www.dsbiodinamica.com

Estro Beef-Bar a San Giorgio a Cremano: nella città che ha dato i natali a Massimo Troisi si punta alla ristorazione di alta qualità

Scusate il ritardo. La frase non è il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, nativo di San Giorgio a Cremano (NA). E non ha neppure valenza di gioco con doppio fine, per evidenziare qualcosa di accattivante nella scelta gastronomica. Il ritardo è, per una volta, quello del sottoscritto nell’aver dimenticato di visitare, da troppo tempo, un luogo del cuore che mi lega ai ricordi dell’essere campano e “uomo del Sud”. Quanto è mancato colmare questo vuoto, maledetta nostalgia degli anni che scorrono inesorabili. Poi arriva finalmente il giorno desiderato, con la visita al ristorante Estro Beef-Bar in uno dei continui viaggi alla ricerca di ciò che conta nel mondo della ristorazione.

Nel traffico dell’ora di pranzo scorgo un grazioso dehor esterno, di pertinenza del locale, grato della fortuna di aver trovato posto con la macchina proprio di fronte ad esso. La giornata sembra iniziare per il verso giusto e prosegue accolto dal direttore di sala Fabio Petricelli, esperienze pluriennali in giro per il mondo, coadiuvato dal maître Alfonso Improta.

La bassa età anagrafica dello staff è il sottile filo rosso, con lo chef Francesco Sorrentino poco più che trentenne dal curriculum già ampio. Suoi i piatti, selezionati tra una lunga lista, che soddisfa appieno le tendenze delle clientela. Si passa dagli assaggi in stile street food, per andare verso antipasti e primi ricchi di tradizione rivisitata in chiave moderna. La ricerca è incessante, a volte anche eccessiva, ma per nulla scontata.

I sapori si riconoscono nella propria essenza, sia per quantità che qualità di ingredienti. E la materia prima fa da sempre la parte del leone. Come a riguardo delle carni, provenienti da allevamenti facenti capo ad Antonino Grillo, il titolare dell’Estro Beef-Bar. La carta dei vini è in profonda trasformazione, giunta alle attuali 300 referenze, un numero comunque ritenuto adeguato per la tipologia. Le frollature vengono effettuate su indicazioni di Antonino, evitando di arrivare alle punte estreme degli oltre 60 giorni, già sufficienti nella filosofia del locale a proporre il miglior taglio possibile alla giusta maturazione. Presente nel menu anche una mini degustazione utile a capire l’importanza del procedimento di preparazione e cottura.

Tanta sostanza, tanta praticità, pochi fuochi d’artificio. Esattamente ciò che a noi di 20Italie piace raccontare. L’antipasto è una tartare di scottona, con arachidi tostate e sotto forma di salsa, burro e perlage di aperol spritz, con granelli di sale. Divino è dir poco.

Segue la rivisitazione del peperone imbottito dalla forma di ciambella, su cremoso di peperone e spuma di parmigiano dove le consistenze perfette si amalgamano senza slegature o distorsioni.

Il risotto cacio e pepe con framboises, lamponi ice e zest di limone è un piatto su cui ci si può lavorare a patto di non avere eccessivi riverberi dolci nel fine bocca.

E poi lei, la regina, la carne presentata cruda in un cofanetto a mo’ di scrigno delle delizie e cotta alla brace, tenera e saporita. Perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Ci scuserete per il ritardo, ma le cose buone valgono la pena d’essere attese.

Estro Beef-Bar

Via Alessandro Manzoni, 102

80046 San Giorgio a Cremano (NA)

Tel 081 18367365

Taranto: guida essenziale alla scoperta della città dei due mari

L’incanto delle mitologiche sirene, l’influenza culturale di Sparta e della Magna Grecia, fanno di Taranto una delle mete italiane più interessanti da visitare.

Unica nel suo genere è chiamata la “città dei due mari” poiché unisce Mar Grande e Mar Piccolo. Taranto è pronta a far parlare di sé, non solo per le note vicende legate all’acciaieria, ma per un fermento culturale che rimette al centro storia e tradizione da tramandare nei secoli.

Taranto, per noi gastronomi itineranti, significa anche cozze nere e Primitivo di Manduria, da gustare secondo il giusto pairing per non sacrificare mai il gusto. Andare alla scoperta di questa città equivale al mettersi alla prova per una giornata diversa dal solito, o per un weekend all’insegna di scoperte a tema cultura, buon vivere, buon mangiare e ovviamente, buon bere.

Attraverso le epoche per fare storia

Le origini si perdono nei tempi e ogni traccia è certificabile anche solo percorrendo le sue strade. Le prime, datate VII secolo A.C., sono riconducibili alla spartana Taras. Nell’epoca della massima espansione della Magna Grecia, Taranto è diventata un punto di riferimento per il commercio, data la posizione strategica sul mare. Crocevia di differenti culture, testimoniate dal MArTA, Museo Archeologico Nazionale di Taranto, che possiede oltre 200.000 reperti archeologici dalla preistoria fino ai giorni nostri. La testa di donna è una delle opere più incisive per bellezza e conservazione, senza dimenticare le teste del giovane Cesare Augusto ed Eracle.

Il Castello Aragonese, in tutta la sua magnificenza, fa da vedetta sul mar Piccolo dal suo isolotto. È una struttura visitabile che dimostra quanto le diverse epoche ne abbiano segnato l’evoluzione, maestoso simbolo della città. Il Ponte Girevole, o Ponte Porta Nuova, è invece una sorta di lasciapassare per le navi più grandi che devono solcare il Mar Piccolo. Un gioiello di ingegneria.

Importante il centro storico che con la sua architettura senza età. Suggestive le stratificazioni degli edifici in superficie e nei sotterranei. Si, certamente, perché Taranto annovera cripte e ipogei visitabili, come l’Ipogeo di Palazzo de Beaumont Bellacicco situato ben 5 metri sotto il livello del mare.

La Taranto amante della Natura

Se la storia di Taranto sembra essere volta a uno sviluppo industriale, certamente non mancano le eccezioni che stupiscono a pochi passi dalla costa. La svolta naturalistica l’assicura l’associazione Jonian Dolphin Conservation (in sigla J.D.C.) che ci porta a scoprire i cetacei più intelligenti del mare: i delfini. L’attività, iniziata nel 2009, è orientata allo studio di questa specie che ha trovato un habitat perfetto per prosperare, divenendo una icona. La J.D.C. coniuga il sano divertimento di una gita in barca, all’osservazione dei delfini che saltano tra le onde, alla scoperta della biodiversità marina ionica. La mission, riuscita, è quella di vivere un’esperienza giornaliera irripetibile con approdi verso paradisi incontaminati.

A tavola la regina

La cozza tarantina, carnosa e saporita, è la regina della tipicità territoriale. Presidio Slow Food al quale hanno già aderito oltre venti mitilicoltori, richiedo impegno nel rispettare canoni precisi per poter essere identificata come tarantina al 100%, riguardanti le tempistiche di allevamento, il rispetto dell’ecosistema circostante, l’impatto ambientale ridotto. La migliori cozze sono quelle del Mar Piccolo, poiché beneficiano delle correnti di acqua dolce, i cosiddetti “citri”. L’afflusso di acqua salmastra crea le condizioni ideali per la coltivazione di questi mitili, che risultano così meno sapidi. Si presta perfettamente per i tubettini con le cozze, un classico di Puglia, al naturale nella classica impepata rigorosamente al verde, oppure con olio, aglio e peperoncino, e gratinate per chi non vuole rinunciare a sapori più forti. La cozza “integralista” è quella che si gusta cruda, al massimo intinta in un mix di olio, limone, pepe e prezzemolo.

Terra di Primitivo

E se l’idea delle cozze cucinate in modi più disparati possibili, ci fa venir sete, allora è il momento di andare alla scoperta delle realtà vitivinicole territoriali. Prima di tutto è bene dire che Taranto è terra di Primitivo di Manduria. Proprio verso il Golfo di Taranto si concentrano i vigneti più rappresentativi. Il territorio comprende soprattutto la città di Manduria, ma non manca Francavilla Fontana, limite settentrionale dell’areale. Rientrano nella provincia anche Carosino, Monteparano, Leporano, Pulsano, Faggiano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, San Marzano di San Giuseppe, Fragagnano, Lizzano, Sava, Torricella, Maruggio e Avetrana, oltre ad Erchie, Oria, Torre Santa Susanna in provincia di Brindisi. Ne vengono fuori vini unici, freschi e dalla muscolatura mai eccessiva, ottimi per accompagnare carni cotte al fornello, (su tutte le bombette), una prerogativa della zona che riflette le abitudini della vicina Valle d’Itria. Rossi che, nella versione Riserva, si impreziosiscono di sentori terziari senza mai snaturarsi. Per una cena pop il Primitivo di Manduria si esprime perfettamente come rosato, perfetto per le chiancaredde al sugo di pomodoro e basilico, o con la semplice frisella artigianale.

Anche il Primitivo di Manduria Dolce DOCG ha il suo riconoscimento, accompagnando tutto l’anno il fine pasto, dolcetti di Natale inclusi. Su tutti vincono sempre le carteddate, strisce di pasta da friggere e inzuppare nel vin cotto d’uva o fichi. Primitivo di Manduria è sinonimo anche di enoturismo, quindi per tutti i wine lovers non mancano cantine immerse nelle campagne pugliesi più autentiche e suggestive d’Italia.

Resort Agriturismo Maliandi: chef Tony Granieri spiazza tutti nel reinterpretare la tradizione in chiave fusion

Chi se lo aspettava! In un posto immerso nella natura incontaminata del Vallo di Diano, territorio meraviglioso ancora in parte inesplorato, chef Tony Granieri crea, anzi contamina all’interno delle mura del Resort Agriturismo Maliandi a San Pietro al Tanagro (SA).

Non si tratta di contaminazioni pericolose, anzi. Il giovane Granieri, poco più che trentenne, sa smarcarsi dalla inerzia della vita quotidiana, sempre in cerca di nuovi stimoli, complice l’esperienza con il padre Giovanni in cucina, alla quale succedono diverse iniziative personali di Tony, anche nell’ambito del food truck.

A destra chef Tony Granieri

Arrivare sulle colline che guardano la pianura circostante, ricche di oliveti e di tranquillità bucolica, rappresenta già un ottimo viatico per sostare alla ricerca dei sapori della tradizione. Bisogna reggersi alla sedia, perché il viaggio condurrà invece in diversi angoli del mondo. “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione”, come indicava lo scrittore L.F. Céline nel capolavoro Viaggio al termine della notte.

La tartare

Poco importa se carne o pesce; qui assume valore, come non mai, la gestione della materia prima. Non invadere il campo alla proposizione di colori, aromi e consistenze significa mantenere integra la tela del piatto, prima dell’avvento delle posate. Capita così, di osservare una tartare di scottona proposta alla moda francese, condita al punto giusto ed esaltata da porcini freschissimi, tuorlo affumicato e mayo di aglio e mandorle.

Il baccalà

O come il baccalà al panko con cavolfiore arrosto e salsa xo, leggermente agrodolce, dove forse una piccantezza ulteriore non avrebbe guastato.

Tra i primi spicanno le lumachine del Pastificio Felicetti con porro, miso, olio di alloro e croccante di pescato frollato e il miglior assaggio di giornata, tra i migliori di sempre per il sottoscritto: plin di genovese, jus di manzo e amaro lucano con provolone del Monaco e caffè.

Una breve sosta nella scelta del secondo, capitata questa volta sul petto d’anatra, funghi alla senape e bietoline scottate, di una delicatezza senza tempo.

Si chiudono i sipari, infine, con l’assoluto di nocciola in stile parfait, realizzato con sapienza come per gli altri dessert, dalla brigata di Tony Granieri.

Interessante e in via di ulteriore ampliamento la carta dei vini, con alcune chicche selezionate tra piccoli produttori italiani.

Una visita nel Vallo di Diano merita di sicuro la sosta gastronomica da Agriturismo Resort Maliandi.

Resort Agriturismo Maliandi

Via Tempa Dietro Difesa

84030 San Pietro al Tanagro (SA)

Tel: +393478032569

E-mail: info@maliandi.it

www.maliandi.it

Il Presidente di AIS Italia Sandro Camilli parla di enoturismo all’Università di Salerno

Lo scorso 13 Ottobre, il Presidente di AIS Italia Sandro Camilli ha tenuto, presso il DISA-MIS (Dipartimento di Scienze Aziendali-Management e Innovation Systems) dell’Università di Fisciano Salerno, un seminario dal titolo “Enoturismo: la Campania”.

Il Presidente ha parlato per circa un’ora di enoturismo e cultura del vino a una platea di giovani studenti del terzo anno. L’intervento si pone quale spunto di lavoro introduttivo a un’idea progettuale più ampia, elaborata dal Professore Ordinario di Analisi Matematica Ciro D’Apice, che ha lo scopo di potenziare l’esperienza turistica in territori della regione Campania ancora poco valorizzati, creando sinergie tra cultura, gastronomia e vino, e, allo stesso tempo, agendo come leva di de-marketing selettivo nei confronti di aree ormai sature, in primis Costiera Amalfitana e Sorrentina. 

Camilli, citando l’articolo 1 della legge 12 dicembre 2016, n. 238 (testo unico sul vino), che riconosce nel vino un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare, ha sottolineato come l’enoturismo oggi muova un flusso di 13 milioni di persone, pari a 3 miliardi di euro.

Un asset da intercettare assolutamente, anche se l’Italia, rispetto ad altri paesi, presenta ancora forti carenze strutturali.

Per enoturismo intendiamo tutte le attività formative e didattiche (incluse le degustazioni) fino alla commercializzazione dei prodotti all’interno delle aziende vitivinicole, che hanno nel reddito agricolo la propria fonte primaria di sussistenza e che dunque possono trovare ulteriore qualificazione. Perché l’enoturismo risponda coerentemente a una domanda sempre più proiettata verso il turismo esperienziale e territoriale, si rende necessaria una legge fortemente identitaria al fine di evitare le medesime problematiche che, nella normativa sulle attività agrituristiche, derivano dal decentramento legislativo. Solo diffondendo ed elevando la cultura del vino, intesa come sistema di valori legati al territorio, si può creare valore aggiunto di ritorno per quello stesso territorio. E in questo il Presidente Camilli ha ribadito la centralità della figura del sommelier.

La Campania, con le quattro denominazioni di origine controllata e garantita localizzate proprio in quei territori turisticamente più disertati, non sfugge alle logiche di altri areali italiani, che, nella mancata ridistribuzione degli investimenti nelle infrastrutture, trovano la causa principale del loro isolamento.

Da sinistra il Presidente Ais Italia Sandro Camilli e Ciro D’Apice professore ordinario Università di Salerno

Al termine dell’intervento, che ha suscitato interesse tra gli studenti, abbiamo raggiunto il Presidente Ais Italia Sandro Camilli per rivolgergli alcune domande sul tema.

Ha parlato di enoturismo a una platea di studenti di economia e management. Quali sono le sinergie che si possono creare tra Università e mondo del vino per rafforzare un settore ancora carente e disomogeneo in Italia?

<<Tutti i giovani imprenditori che registriamo nel mondo del vino hanno una formazione universitaria di tipo economico, spesso fanno master di specializzazione all’estero e una volta rientrati in Italia prendono in mano le aziende, le trasformano facendo impresa. La formazione universitaria è dunque necessaria, permette di garantire reddito, sfuggendo definitivamente a logiche di povertà che nel passato caratterizzavano le imprese agricole>>.

Cosa sta facendo AIS Italia per migliorare il concetto di enoturismo nel nostro paese?

<<Abbiamo un protocollo d’intesa con il Ministero delle Politiche Agricole, con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con il Ministero della Cultura per mettere a sistema attività sui territori, coinvolgendo anche le scuole, e per sviluppare e promuovere sempre di più il prodotto vino attraverso gli imprenditori agricoli. AIS, con la formazione, vuole rappresentare sempre di più l’anello di congiunzione tra la scuola e il mondo produttivo>>.

Come si fa dunque a intercettare la domanda in una fascia, quella giovanile, che sembra non immediatamente interessata al mondo del vino, secondo quelli che sono i valori della cultura AIS?

<<Non è una domanda facile a cui rispondere, perché i giovani fino a 21/22 anni non sono interessati al mondo del vino. Noi dovremmo invece cercare di entrare nelle scuole e insegnare cosa rappresenta il mondo produttivo della viticoltura insieme al suo prodotto finale, cioè il vino. Parliamo di un patrimonio che ci appartiene, che appartiene all’Italia e dunque è giusto che sia insegnato. La chiave di volta è dunque entrare nelle scuole per fare conoscenza e cultura>>.

L’intervento all’Università di Salerno può essere dunque interpretato in funzione di questo intento, che vede nella formazione rivolta ai giovani il suo pilastro fondamentale.

Montalcino: i vini di Casanova di Neri

Poi un giorno di settembre me ne andai…

Citazione musicale importante per la visita ad una delle cantine più iconiche di Montalcino:  Casanova di Neri. Appena parcheggiato, trovi subito di fronte il meraviglioso skyline del borgo famoso in tutto il mondo per la qualità del suo vino Brunello.

Ci ha ricevuto la solare, gentile e professionale Tiziana Palmieri, la quale oltre ad averci raccontato la storia dell’azienda ci ha fatto fare passeggiare nella vigna adiacente, anticipando così l’ingresso in cantina.  Tre i livelli, prima di entrare in sala degustazione ad assaggiare i capolavori ivi prodotti.
Mentre degustavamo, abbiamo avuto il piacere e l’onore di parlare anche con il titolare Giacomo Neri.

L’azienda vitivinicola è una splendida realtà posta a poca distanza dal centro abitato di Montalcino. Fondata da Giovanni Neri nel 1971, colui che aveva già intuito le grandi potenzialità pedoclimatiche di questo territorio con il preciso obiettivo di produrre un grande vino rosso. Dal 1991 le redini dell’azienda sono passate in mano al figlio Giacomo, affiancato dai figli Giovanni e Gianlorenzo. Un’azienda a conduzione familiare che si estende su 500 ettari, di cui 79 sono vitati. I vigneti sono dislocati in vari versanti e corrispondono agli appezzamenti di: Fiesole, Cerretalto, Collalli, Podernuovo, Pietradonice, Giovanni Neri e Cetine. Variano le altimetrie dai 250 ai 450 metri s.l.m., ed il suolo che è costituito prevalentemente da galestro. Le viti affondano le radici sui terreni da molti anni, alcuni delle quali superano il mezzo secolo.

Le etichette di Casanova di Neri sono molto richieste da collezionisti ed appassionati in ogni parte del globo. Nel 2006, il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 è stato premiato e giudicato come miglior vino al mondo da Wine Spectator,  da molti ritenuta una sorta di vademecum per professionisti del settore e semplici appassionati.
Il fil rouge di ogni vino dell’azienda è la qualità. Rispettosi della tradizione e al contempo pionieri dell’innovazione.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2022 – Rubino intenso, sprigiona note di violacciocca, rosa, marasca e ribes, dal gusto fresco e avvolgente, fine e lungo.

Brunello di Montalcino 2018 – Rosso rubino trasparente, naso di ciliegia, charcouterie, prugna, bacche di ginepro e pepe nero, dotato di trama tannica setosa e grande piacevolezza di beva.

Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2018 – Leggeri i riflessi granati, emana note di prugna, melagrana, cacao, menta e violetta,. Sorso suadente, tannino setoso, preciso e persistente.

Brunello di Montalcino Giovanni Neri 2018 – Rubino vivace, complesso e fine, dalle note olfattive di mirtilli,  prugna, amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Appagante e armonioso.

Pietra d’Onice Toscana Igt 2020 – Cabernet Sauvignon in purezza – Nuance scure e profonde, rivela sentori di mora, mirtillo, cassis e note balsamiche. Chiosa fresco e sapido.

Emilia Romagna: ristorante “Al Vèdel” una storia di famiglia

Una storia di famiglia: così si presenta il ristorante Al Vèdel agli ospiti che varcano la sua soglia.

Ma anche di territorio e tipicità, aggiungiamo noi, raccontate con passione da ben sei generazioni. Era infatti il 1780 quando a Vedole, piccola frazione alle porte di Colorno immersa nella tranquillità della campagna parmense, aprì le porte una bottega con punto di ristoro. Ed è sempre qui, che a distanza di oltre duecento anni, ritroviamo quel casolare, ora trasformato in un elegante e raffinato locale, guidato dallo chef patron Enrico Bergonzi e dalla moglie Edgarda Meldi, assieme alla sorella Monica ed al marito e sommelier Marco Pizzigoni. E poi i rispettivi figli, che potremmo dire nati e cresciuti fra queste mura: Giulia e Carlo e la giovanissima Elisa che già nel weekend fa capolino fra i tavoli.

La famiglia del ristorante “Al Vèdel”

Al Vèdel non ci passi soltanto, ma ci vieni per trovare quel clima accogliente che sa di famiglia, tipico della gente emiliana. Ci vieni per assaporare il gusto della tradizione autentica, tra paste fresche fatte in casa, come gli immancabili tortelli d’erbetta e anolini in brodo, o ancora i prelibati “tortel dols” (antica pasta ripiena tipica di questo lembo di terra, la cui farcia si caratterizza per il gusto agrodolce conferito dalla mostarda di frutti antichi unita al mosto cotto), per arrivare ai secondi di carne, come la punta di vitello ripiena oppure nel periodo invernale i bolliti, senza dimenticare le lumache (da una piccola azienda locale).

Le lumache

Ma al Vèdel ci vieni anche se sei un appassionato di vino, con oltre 1800 etichette inserite in carta, una vera “Bengodi” anche per il collezionista più esperto. E poi i culatelli. Proprio così, al Vèdel ci vieni per farti guidare alla scoperta del Caveau dei Culatelli, la cantina naturale del Podere Cadassa (il salumificio storico di famiglia, annesso al ristorante), dove nel periodo di massimo splendore, stagionano appesi fino a 7.000 culatelli, oltre a fiocchi, salami, pancette, coppe e la rara spalla cruda di Palasone. Un tempio della norcineria, dove regna ancora la regola del fatto a mano, con abili norcini che trasformano un pezzo di carne in una vera eccellenza della salumeria italiana.

Qui vige l’imperativo della qualità senza compromessi e della naturalezza dei salumi. Solo carne, sale, pepe e poi il tempo, per regalare quell’aroma unico di lenta stagionatura, che solo le mura di una cantina naturale sanno regalare. No areazione artificiale, ma apertura e chiusura delle finestre in base alla temperatura e all’umidità del periodo, proprio come si faceva una volta. Nessuno segreto, solo tanta passione e professionalità.

I salumi

Ed è proprio dai salumi che occorre iniziare quando ci si siede alle tavole del Vèdel. In menù troviamo la degustazione classica dei salumi di loro produzione a marchio Podere Cadassa, compresa la Spalla Cotta di San Secondo servita tiepida, un’altra tipicità che contraddistingue la Bassa parmense. Oppure la degustazione delle tre stagionature di Culatello, valutando così le diversità gustative conferite dalla permanenza in cantina. Per arrivare al Gran Nero, ovvero la speciale produzione di salumi di maiale nero, provenienti da allevamenti locali, dove ritrovare il gusto deciso degli insaccati artigianali, caratterizzati da una percentuale maggiore di grasso che conferiscono alle fette un’estrema dolcezza e scioglievolezza all’assaggio.

I “tortel dols”

Parlando di Culatello, occorre precisare che quello presente nella degustazione del ristorante è quello marchiato Terre di Nebbie, che individua una produzione ancora più rigida per questo insaccato, prestando particolarmente attenzione alla filiera della carne, con la scelta di allevamenti sostenibili che tutelano il benessere animale, innalzando così, ancora di più l’asticella della qualità. Ma il Vèdel non vuole dire solo tradizione, la cucina propone infatti anche piatti creativi, dove ritroviamo il pesce, compreso un sontuoso crudo di mare e carni pregiate, come il cervo o la pernice. E quando è periodo immancabile è l’assaggio di tartufo bianco, da gustare al meglio nel risotto alla parmigiana.

Venite… e assaporate.

Al Vèdel

Via Vedole 68

43052 Colorno (PR)

email: info@alvedel.it