“Al Convento” a Cetara (SA) l’enogastronomia campana e pugliese si mescolano brindando al presente

Costiera Amalfitana e Murge, Cetara e Manduria.

Poco in comune verrebbe da pensare. L’una, patria di pescatori – incastonata tra le rocce che degradano verso il mare del monte Falerio – e l’altra, invece,  contrasto tra la quintessenza del Mediterraneo, ma foriera di terra brulicante e sabbiosa, patria di uve a bacca rossa, dove è il Primitivo a sventolare.

Difficile che le due realtà possano, allora, incontrarsi anche a tavola. Perché pensi Manduria e dici Primitivo. Pensi Cetara e dici alici e le sue variazioni. Eppure (per fortuna) gli stereotipi sono stati costruiti solo per essere abbattuti da chi è curioso.

E così ne viene fuori che in una piovosa serata settembrina, al ristorante Al Convento di Cetara, l’istrionico patron Pasquale Torrente – simbolo di una ristorazione cetarese resistente alle mode e fortino di cultura gastronomica stretta tanto quanto le maglie delle reti da pesca delle sue amate alici – trova il modo per abbatterli.

Lo fa attraverso quelle splendide ceramiche vietresi, trasformati in piatti colorati e finemente decorati, che suggellano l’appartenenza locale di ogni portata. Nulla che non sia di quella terra, nulla che non sia pescato in quel mare. Nulla che non possa non avvicinarsi a 300 km di distanza passando per le Murge e arrivando a stazionarsi nei dintorni di Manduria.

Cantine San Marzano, azienda vitivinicola nata nel 1962 dall’unione di 19 vignaioli in un piccolo comune della provincia tarantina come San Marzano di San Giuseppe. Oggi, a distanza di oltre 60 anni, la Cooperativa è diventata una delle grandi espressioni enologiche pugliesi.

Al suo presidente, Francesco Cavallo, e soprattutto agli attuali 1.200  viticoltori associati, il merito di aver saputo unire tradizione e innovazione in quei 1500 ettari di vigneti pugliesi costituiti principalmente da negroamaro, primitivo, susumaniello, malvasia e verdeca.  

Ed è stato allora in quell’antico chiostro del ’600 – immagine da cartolina per i numerosi turisti in visita a Cetara e oggi sede del ristorante Al Convento – che i piatti creati da Gaetano, figlio di Pasquale Torrente, sono stati capaci di stregare tutti e di dimostrare che, tra le tante qualità dei vini pugliesi, c’è senza dubbio anche quello di sposarsi con la buona tavola.

Il Calce Rosè – metodo classico a base di chardonnay e negroamaro, con sosta sui lieviti per oltre 36 mesi, sembra giocare divinamente con l’iconica bruschetta burro e alici, grazie alla sferzata di freschezza regalata dal sorso.

La pacatezza di “Tramari” Salento Igp Rosè a base di primitivo, sa ben gestire la cheviche di ricciola che, a tratti, sprigiona l’irriverenza di piccantezze sapientemente dosate.

Una frittura sotto forma di frittatina di pasta e di crocchette di patata e bottarga – la cui alta menzione va all’olio utilizzato, studiato appositamente da Gaetano e Pasquale, per garantire il massimo della leggerezza – si lascia accompagnare dal Salento Igp “Edda” (“lei” in dialetto salentino). Chardonnay (con una minoritaria percentuale di bacche bianche autoctone), carico di materia e ricco di influenze marine, con acidità e struttura in grado di non aggiungere nulla di più e di non sottrarre nulla di meno alla complessità del cibo.

Mentre un saporitissimo tubetto con zuppa di pesce trova nel Primitivo Salento Igp “Sessantanni”, il cui numero ricorda il sessantesimo compleanno di Cantine San Marzano, il perfetto complementare in un sorso di assoluto equilibrio gusto-olfattivo e di lunga persistenza. E se di tradizione si parla non poteva mancare un omaggio alla “pippiata” napoletana con il ragù che diventa quasi un’istigazione a finire il piatto in scarpetta, senza nessun senso di colpa.

L’abbinamento è con il re dei vitigni pugliesi, e trova il suo culmine nel Primitivo di Manduria Dop “Sessantanni”. Intenso, dalla leggera tostatura e dalla bocca di grande lunghezza gustativa.

Isola d’Elba: il visionario progetto Nesos di Arrighi

L’Azienda Agricola Arrighi si trova a pochi passi dal centro abitato di Porto Azzurro sulla meravigliosa Isola d’Elba. Nove gli ettari vitati di proprietà, estesi sui complessivi 22 totali e localizzati interamente nel parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Da oltre un secolo è di proprietà della famiglia elbana di albergatori, che coltivano vitigni quali i classici ansonica, trebbiano toscano (o procanico), vermentino, viogner e gli insoliti (da queste parti) chardonnay, sangiovese, sagrantino e syrah. Discorso a parte per l’aleatico, che Antonio Arrighi sa trasformare in una versione passito di rara bellezza.

Le vigne sono disposte ad anfiteatro, alcune delle quali giacciono su terrazzamenti naturali, altre sorrette da muretti a secco posti su suoli argillosi e ben protette dai venti. Finalmente è arrivato il giorno in cui conoscere questa splendida realtà. Dopo aver degustato i vini abbiamo fatto un tour con il quad tra i vigneti e malgrado il periodo di vendemmia Antonio si è reso molto disponibile, gentile e garbato come sempre a fornirmi dettagli sui vini. Un vero sperimentatore.

Progetto Nesos

In collaborazione con il Professor Attilio Scienza dell’Università di Milano è stata ricondotta sull’Elba una vecchia pratica utilizzata 2500 anni fa nell’isola greca di Chio. L’uva che si presta meglio è l’Ansonica  che ha delle similitudini con le uve greche. Gli acini integri vengono messi in alcune nasse di vimini e posti in mare ad una profondità di 7 metri, per una durata di circa 5 giorni. Il sale marino toglie la pruina e l’uva, una volta ripescata, viene esposta al sole appassendo più rapidamente. L’effetto antiossidante fa penetrare per osmosi il sale nell’acino, senza danneggiarlo, preservando l’integrità degli aromi primari del vitigno. La fermentazione avviene in anfore con le bucce e senza i raspi, senza aggiunta di solfiti, per un numero molto limitato di bottiglie.

Elba vitinicola

La storia vitivinicola dell’Elba risale all’epoca degli Etruschi: alcuni reperti ritrovati ne sono una pronta testimonianza. Napoleone Bonaparte, nel suo periodo di esilio, è stato un grande estimatore di un vino questa terra, l’Aleatico. Agli inizi del 900 l’Isola era una delle tre zone vitivinicole più estese della regione e la prima per quanto riguarda le uve a bacca bianca. La vite era coltivata per buona parte su terrazzamenti sorretti da muretti a secco che sfioravano altitudini fino ai 400 metri s.l.m. Con la propagazione della filossera ci fu una radicale riduzione del patrimonio viticolo e la coltivazione trovò spazio in zone più pianeggianti. Poi, con l’avvento massiccio del turismo, i produttori si sono cimentati a realizzare campioni di assoluta qualità.

La Doc Elba nelle tipologie Bianco e Rosso è arrivata nel 1967 ed in seguito anche Elba Aleatico, Elba Ansonica, Elba Ansonica Passito e Elba Rosato. Negli anni ’90 è stato costituito il Consorzio di Tutela del vino dell’Elba. Nel 1999 si aggiunge anche la denominazione Elba Moscato e nel 2011 anche le tipologie Elba Vermentino, Elba Trebbiano e Elba Sangiovese. Il 2011 è anche l’anno in cui l’Elba Aleatico Passito raggiunge l’apice ottenendo il sigillo Docg. Il suolo è ricco di minerali con terreni sia argillosi sia sabbiosi. Sino agli anni ’50 nelle miniere venivano estratte soprattutto ematite e limonite. Il clima è mite e di tipo mediterraneo.

I vini degustati

Valerius Toscana Igt 2022 – ansonica vinificato in anfora – Veste giallo paglierino luminoso, rivela note di fiori di ginestra, pesca  susina e agrumi, fresco e sapido, leggiadro e persistente.

Hermia Toscana Igt 2022 – viogner vinificato in anfora – Nuance paglierine, emana sentori di albicocca, uva spina, mandarino, mughetto, zagara, mango ed ananas, sapido, avvolgente, coerente e persistente.

V.I.P. Toscana Igt 2022 – viogner vinificato in barriques – rimanda ai sentori di ananas, frutta esotica, scorza di limone e vaniglia, fresco, morbido, armonioso e duraturo.

Tresse Toscana Igt 2020 – sangiovese 50%, syrah 30% e sagrantino 20% vinificati in anfore – Rosso rubino intenso, libera sentori di violetta, frutti di bosco, visciola e spezie dolci, palato delicato e sapido, tannini setosi.

Sergio Arrighi Elba Rosso Doc Riserva  2020 – sangiovese 100%. Rosso rubino trasparente, vira sul granato, sprigiona note di ciliegia, prugna, ribes, mora e pepe nero. Pieno, avvolgente ed equilibrato.

Francia: nelle cantine della Regina ad Arbois con i vini di Jérome Arnoux

N.d.r. 20Italie ogni tanto spazierà anche oltre i confini nazionali; questo per evidenziare la bellezza dei territori e dell’enogastronomia anche estera e verificare la nostra assoluta bravura nel paragone, ad esempio, con i cugini d’Oltralpe. Buona lettura.

Jura. Una regione di Borgogna – Franca Contea al confine con la Svizzera, famosa per le bellezze naturalistiche, per aver dato i natali a Louis Pasteur e per gli ottimi vini che si producono.

Ad Arbois, in rue de Bourgogne 5, è possibile visitare un’autentica meraviglia: la cantina della regina Giovanna. La costruzione in stile gotico datata 1322 fu voluta da una delle figlie dei Duchi di Borgogna, Giovanna appunto, che fu regina di Francia dal 1316 al 1322 e oggigiorno ospita le botti dei vini di Jérome Arnoux.

Jérome è originario di Montigny –les-Arsures, villaggio rinomato per il vitigno autoctono Trosseau. Dopo aver lavorato come chef de Cave da Stéphane Tissot,  ha dato vita al progetto Cellier de Tiercelines, scegliendo così di coltivare le uve pregiate dello Jura senza pesticidi o insetticidi: attualmente è in conversione biodinamica. I vini non vengono filtrati e si utilizzano solo i lieviti indigeni per le fermentazioni.

Jérome Arnoux

La degustazione, dopo aver ammirato la cantina sottostante, inizia con le bollicine: Elegance, un Cremant  in versione extrabrut , 50% pinot nero e 50% chardonnay  che colpisce per la fragranza dei profumi e il perlage fine. Segue ZD, un Cremant ottenuto da chardonnay, dosaggio zero che incanta per la cremosità e per la complessità del profilo olfattivo. Si intravvede come l’eleganza possa essere una caratteristica distintiva di questa cantina. La conferma arriva con gli assaggi successivi.

Rescape 2021 è un vino ottenuto dalle uve vendemmiate nonostante la terribile gelata, per cui andò perso l’80% del raccolto. Piacevoli e fresche note agrumate, cenni di vaniglia, una grande finezza.

Poulsard  Subtil 2022: varietà che regala vini con una trama tannica molto delicata e che viene interpretata magistralmente da Jérome. Le vigne sono allocate su argille del triassico, esposte a sud; la fermentazione avviene in tini con le bucce, a cui segue un affinamento  per 6 mesi. Al naso piccoli frutti rossi maturi e una note affumicata molto gradevole.

Trosseau Exception 2022: vitigno nativo del Jura. Le viti crescono su suoli calcarei del bajociano. La fermentazione avviene nei tini con le bucce a cui segue un affinamento in rovere per circa 6 mesi. Bella complessità al naso, con nuances di sottobosco e frutta matura; il tannino è presente e apprezzabile sebbene meravigliosamente integrato. Chiusura sapida, anche questo rosso è decisamente elegante!

Pinot Noir Revelation 2019: il vino affina un anno in botti di rovere di cui il 15% sono nuove; le viti crescono su terreni con una componente sia argillosa che calcarea. Il profilo  olfattivo è molto particolare, richiama la crème de cassis, il coriandolo, il corbezzolo. Trama tannica fine e lunga persistenza.

Savagnin Preambule 2021: se ne apprezza il varietale in purezza, non sottoposto all’effetto protettivo dei lieviti esprime le caratteristiche note di lici, agrumi, e una sfumatura erbacea. Chiusura iodata. Prezioso.

Blanc Tradition nasce dall’assemblaggio di 80% di chardonnay vinificato in botti di rovere e da un 20% di savagnin,  che rimane sotto il velo flor che si è creato lasciando le botti scolme, per ben 4 anni. Un vino gastronomico, ricco di profumi che vanno dalla frutta a pasta gialla, noce, vaniglia a cui si aggiungono note burrose; elegante equilibrio e finale lungo su note fruttate.

Savagnin 2018 permette di scoprire l’azione della permanenza, peraltro lunga almeno 30 mesi, sotto il voile. Frutta esotica, noce, mandorla, grande sapidità e persistenza .Un capolavoro. Grande potenziale di invecchiamento.

Vin Jaune 2016: questa tipologia di vini deve il suo nome al colore intenso ed è una tipica espressione di questa regione. Si produce esclusivamente con il savagnin, che rivela la propria anima dopo una lunga e particolare metamorfosi. Nativo della vicina Chateau Chalon, è prodotto nelle tre AOC Arbois, L’Etoile e Cotes du Jura. Dopo la fermentazione resta almeno 6 anni e 3 mesi nelle botti di legno senza alcun intervento da parte dell’enologo. Il processo, durante il quale si verifica una naturale evaporazione del vino, prevede la formazione di un sottile film sulla superficie grazie all’azione dei lieviti. Il bouquet di questi vini è assolutamente complesso, con sentori di noce, nocciola, mandorla e spezie. Dopo l’invecchiamento nelle botti viene imbottigliato nelle clavelin, speciali contenitori della capienza di 62 cl. Viene consigliata una temperatura di servizio tra i 14° e 18 °.

Vin de Paille: vino dolce prodotti con i migliori grappoli di tutte le qualità ( a esclusione del pinot nero) che vengono appassite sui graticci per 2 -3 mesi . Note di albicocca, cera d’api, miele, caramello e frutta candita. Una buona acidità compensa la dolcezza, regalando una ottima bevibilità. Viene abbinato con il foie gras e con i formaggi. Alla fine di Gennaio, nella regione si celebra la “Pressée du Vin de Paille” ed è una grande festa, che richiama molte persone, giornalisti e winelovers.

L’azienda di Jérome Arnaux dispone anche di appartamenti da affittare molto curati ed  eleganti , per un soggiorno ad Arbois davvero indimenticabile.

Modigliana. Storie di gente, appennino, vini

È il turno anche di Modigliana di aprire e mostrare il suo piumaggio al resto della Romagna, come un pavone dai colori sgargianti. Lo fa come di consuetudine, con l’immancabile appuntamento dell’ormai rinomata associazione “Stella dell’Appennino”, arrivato al suo 7° anno consecutivo.

Un “weekend lungo”, svoltosi al mercato coperto di Modigliana e iniziato sabato 9 settembre con la presentazione del libro illustrato “Modigliana. Storie di gente, appennino, vini” a cura di Giorgio Melandri e firmato dai migliori giornalisti italiani del vino e dal fotografo Maurizio Gjivovich. E poi banchi d’assaggio: nella giornata di domenica 10 settembre, aperto al pubblico con le deliziose piadine di Fabrizio e Andrea Donatini ad accompagnare le degustazioni; e lunedì 11 settembre, aperto agli “addetti al settore”, con un servizio ristoro curato da l’Osteria La Campanara di Pianetto e l’Osteria La Zabariona di Ravenna.

L’appuntamento con i produttori appenninici è sempre molto atteso, ma quest’anno addirittura emozionante dopo che l’intera regione è stata martoriata da alluvione e frane. Ancora una volta, vediamo come un evento possa trasmettere l’eloquente messaggio di resilienza, dimostrando che i romagnoli non solo non si fermano davanti a nulla, ma addirittura continuano a progredire.

L’evento infatti, rappresenta anche l’occasione per presentare la grande novità della vendemmia 2022. I vini di Modigliana, che fino ad ora era conosciuta principalmente per il suo Sangiovese, potranno ora fregiarsi della menzione Bianco Modigliana, un’innovazione frutto del risultato di un lungo processo di modifica delle regole della denominazione Romagna DOC. Menzione che prevede un minimo di 60% di trebbiano in abbinamento ad altri vitigni tipici a bacca bianca (fra cui il Sauvignon Blanc, vitigno internazionale che ha radici profonde in questa zona).

20Italie era presente, e per voi lettori ha selezionato alcune delle bevute più interessanti.

Fondo San Giuseppe “Modigliana” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

Stefano Bariani non è solo Brisighella e ce lo dimostra con un vino che porta proprio il nome di Modigliana. Un sangiovese color rosso carminio intenso che cattura immediatamente l’attenzione. Al primo sorso, si apre con un carattere profondo e austero, rivelando note di frutti maturi e uno strato di spezie. La sua struttura è succosa e avvolgente, mentre la freschezza rimane costantemente presente, conferendo al vino un tocco vibrante che lo rende irresistibilmente equilibrato.

Il Pratello “Fornaci del Re” – 2022

Ci spostiamo a casa di Emilio Placci, precisamente in località Fornaci (che da anche il nome al vino). La nostra attenzione si posa su questo blend di albana e trebbiano, in parti rispettivamente al 75% e 25%. Oltre al paglierino luminescente, il calice attira per questi intensi aromi di mela cotogna e da un sottofondo di albicocca matura. Giunge anche una leggera nota di nocciola tostata che conferisce al bouquet un tocco di complessità e profondità. Il primo sorso rivela un vino sapido e fresco, con una piacevole acidità che rinfresca il palato combinata a un’invitante e dolce croccantezza.

Il Teatro “Atto II” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

Luca e Stefania de Il Teatro sono allievi dello stesso Placci e difatti la firma stilistica di questo Sangiovese ne è la prova. Rosso rubino intenso con delicati riflessi ancora purpurei. Predominanza al sorso di sentori di ciliegia matura e a tratti arancia sanguinella, per vertere poi su una spiccata balsamicità boschiva., rinfrescante e tagliente.

La Casetta dei Frati “Fragèlso” – Romagna DOC Bianco Modigliana 2021

Entriamo nel mondo dei trebbiani in purezza degustando quello di Renzo Morresi, che stupisce per il contrasto dinamico che offre. Inizialmente percepiamo un’audace nota agrumata, che rende il vino spigoloso e “maschio”, vivace, vitale e vigoroso, proprio come il territorio d’altura da cui proviene, con la sua aria fresca e pungente. Ma qui sta la magia: mentre il vino si evolve sul palato, si apre a una seconda dimensione di ricchezza, struttura e corpo.

Lu.Va. ”Angiuli” – Romagna DOC Bianco Modigliana 2022

Lu.Va. Come le iniziali di Luciano e Valerio. Oggi è Luciano ad accoglierci con un sorriso al suo banco, dove fra le varie proposte ci colpisce proprio il suo bianco modigliana, un blend di trebbiano (65%), chardonnay (35%) e sauvignon blanc (5%). Proprio quest’ultimo dona l’iniziale nota erbacea che poi cede il passo agli aromi agrumati e floreali tipici del trebbiano d’altura. Il palato fresco e minerale si equilibra alla perfezione con la dolcezza non stucchevole dello chardonnay. Finale lungo con sentori rocciosi, che ci parla del terroir.

Menta e Rosmarino “Area 18 Bianco” – 2021

Solitamente i rifermentati in bottiglia sono vini gioiosi e divertenti, ma è raro che offrano quel “qualcosa in più”. Questo invece ci ha letteralmente sbalorditi. Principalmente composto da trebbiano, è in realtà quel 10% di albana da vecchie vigne a catturare l’attenzione. Francesco e Luciano hanno indubbiamente compiuto un lavoro minuzioso, permettendo all’albana (che solitamente in blend tende a nascondersi) di emergere con i suoi aromi distintivi di albicocca e salvia. Ricchezza, carattere e una bevuta fresca e vivace, accompagnata da un velo di astringenza (tipico dell’albana), creano un vino complesso e identitario.

Mutiliana “Ibbola” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2021

“Il Melandri”. Con il suo “Ibbola” vince quest’anno il premio “Stella d’oro”, dedicato appunto al vino che ha saputo più distinguersi nell’appennino. Come dice appunto il nome, le vigne sorgono nella valle Ibola, arenarie pure e quote elevate, laddove l’uva matura lentamente fino a fine ottobre, emerge un vino rosso dal registro austero e straordinariamente elegante. In bocca, una sorprendente e tagliente salinità si intreccia con tannini sottili, creando un’esperienza raffinata e distinta.

Pian di Stantino “Pian” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

L’artigiano del vino. Il collezionatore di vecchie vigne. Ci piace definire così Andrea Peradotto, soprattutto dopo l’assaggio della nuova annata di “Pian”. Aspetto lucente che rivela giovinezza e vitalità. Approccio olfattivo che svela un bouquet di fiori di montagna, a ricordare una passeggiata primaverile fra i pendii delle colline Romagnole. L’invitante delicatezza si sposa con l’eleganza dei tannini che troviamo al sorso. Emerge anche un che di roccia, che porta con sé mineralità. Sul finale addirittura note di caffè tostato.

Torre San Martino “Vigna 1922” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2018

1922, come l’anno di nascita dei vigneti, rigorosamente allevati ad alberello e dal particolarissimo grappolo di piccole dimensioni. 18 mesi di barrique e 6 di bottiglia regalano tonalità profonde e aromi che richiamano le ciliegie scure, sfumature legnose e un tocco sottile di tabacco. Il tutto sottolineato da una parte mentolata. L’evoluzione graduale e stratificata e la persistenza lunghissima affascinano il palato.

Villa Papiano “Strada Corniolo” – Romagna DOC Trebbiano 2021

Ultimo solo per ordine alfabetico, sicuramente non per importanza. Dobbiamo in realtà alla famiglia Bordini di essere stata una pietra miliare del mondo del vino, Modigliana in primis ma non solo. Strada Corniolo ci stupisce sempre, in particolare in questa annata. La limpidezza del calice anticipa l’esperienza di degustazione.

Fiori di campo e petali di rosa evocano sensazioni di leggerezza e la mineralità ci ricorda la roccia bagnata dai ruscelli. Il frutto lo definiamo una “dolce asprezza”, come un’insalata di agrumi appena preparata. Combinazione di sapori che crea un’armonia unica.

Montalcino: la degustazione dei vini della cantina Sesta di Sopra

Quando percorrevo la strada bianca che da Sant’Angelo in Colle conduce verso Castelnuovo dell’Abate, passando in prossimità di Sesta di Sopra, ogni volta mi spingeva la curiosità dal fermarmi per una visita.

Oggi è arrivato il momento tanto atteso, accolto Matteo Marenda, nipote del titolare, dietro supporto del valido collaboratore Walter Tiberti. L’azienda Sesta di Sopra si trova nella patria del Brunello di Montalcino, nel versante a sud-est del Comprensorio.

Un antico casale si erge con torre d’avvistamento, acquistato e restaurato dai coniugi torinesi Enrica Bandirola e Ettore Spina nel 1980. La prima vendemmia del 1999 con immissione nel mercato nel 2004 fu subito un successo, con il punteggio di 95 centesimi attribuitogli dalla rivista americana Wine Spectator. Gli ettari vitati sono 4, estesi su una superficie complessiva di 60, ove trovano dimora anche alcune d’olivo e bosco. 

L’altimetria dei vigneti, che vantano la certificazione biologica, supera i 400 metri s.l.m. e le radici affondano su terreni ricchi di calcare ed in profondità argillosi. La cantina si trova accanto al casale ed è funzionale, perfettamente mantenuta con botti di rovere e barriques per l’élevage, e tini d’acciaio per la vinificazione.

Le rese per ettaro sono molto basse, il logo dell’azienda è il sole, un antico simbolo etrusco ritrovato nei pressi.

Brunello di Montalcino

Montalcino è un comune italiano della provincia di Siena in Toscana. È una località nota per la produzione del vino Brunello di Montalcino. Si colloca nel territorio a nord-ovest del Monte Amiata, alla fine della Val d’Orcia, al confine con la provincia di Grosseto.

Vino rosso, perla  che l’enologia italiana ha saputo esprimere con risultati strepitosi. La sua affermazione è notevole sia in Italia sia nel resto del Mondo. Nel 1966 il suo rilancio con l’ottenimento della Doc e la nascita del Consorzio di Tutela, che hanno consentito di fare notevoli passi in avanti con ammodernamenti in cantina e rinnovamenti di nuovi vigneti quasi esclusivamente con Sangiovese.

Seguirà nel 1980 l’arrivo della Docg, uno tra i primi vini in Italia ad ottenere questo prestigioso riconoscimento. Da qui, con modifiche al precedente disciplinare già severo, è stato raggiunto un ulteriore innalzamento in termini di qualità. Il territorio presenta aspetti pedoclimatici diversi in ogni zona. A nord si ottengono vini di buona struttura, profumati ed eleganti, ad est vini più tannici adatti all’invecchiamento, a sud vini di grande struttura, molto profumati, ad ovest, vini eleganti, armonici, da lungo invecchiamento.

La vicinanza al Monte Amiata crea un microclima ideale per la coltivazione della vite con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Si ottengono vini di eccellente qualità. Il Brunello di Montalcino viene prodotto con le tipologie: Vendemmia/Annata, Selezione e Riserva.

Il Sangiovese ha trovato a Montalcino un habitat ideale ed il baricentro nella sua massima espressione, più di ogni altra zona. A Montalcino si producono inoltre anche altri importanti  vini, come il Rosso di Montalcino e il Moscadello.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2021 – Rosso rubino trasparente, rivela sentori di viola mammola,  frutti di bosco,  prugna e ciliegia,  sorso lungo e soddisfacente. Fine ed equilibrato.

Brunello di Montalcino 2018 – Rubino con sfumature granato intenso, emana sentori di amarena, violetta,  rabarbaro, arancia sanguinella, liquirizia e spezie dolci. Sorso avvolgente, pieno e persistente.

Brunello di Montalcino Magistra 2018 – Tende al granato vivace, con nuances di rosa appassita,  tabacco, polvere di cacao,  ginepro e pepe nero. Materico, ricco e decisamente duraturo.

Sesta di Sopra

53024 Montalcino (SI)

www.sestadisopra.it

Liguria: Golfo del Tigullio mangiare e bere bene tra sapori, tradizioni e creatività in cucina

La Liguria è stata una meta gettonatissima dell’estate 2023 e il clima mite consente di poter godere di splendide giornate anche in autunno e di visitare il borgo di Portofino, Rapallo e il suo Castello, la basilica dei Fieschi nell’entroterra di Lavagna e di passeggiare sotto i portici medievali di Chiavari, non ultima la splendida Sestri Levante e la Baia del Silenzio.

Ecco i locali da non perdere assolutamente

Se amate la cucina gourmet troverete in trenta chilometri ben 2 ristoranti da Stella Michelin: il primo è Orto by Jorg Giubbani presso l’Hotel Villa Edera e la Torretta a Moneglia. Servizio impeccabile, cucina che utilizza materie prime a km zero prodotte nell’orto oltre a selezionati presidi slow food. Stupenda la carta dei vini. A Cavi di Lavagna lo chef Ivan Maniago accoglie gli ospiti per uniche esperienze culinarie a Impronta d’Acqua. Vale un viaggio sia per la cucina.

A Sestri Levante rimarrete affascinati dall’ambiente raffinato e dalla cortesia di Nadia ed Enrico di Cantine Cattaneo, dove il sommelier Vito Santolla vi consiglierà abbinamenti perfetti; inoltre la cucina di Rezzano, in via Asilo Maria Teresa è sicuramente un altro luogo dove i palati sopraffini rimarranno più che soddisfatti. La Trattoria Angiolina sul lungomare è una vera istituzione; frittura di pesce fatta ad arte e non solo, grande e bella selezione di  vini in mescita al bicchiere.

A Santa Margherita Ligure il pesce fresco e la competenza in sala nella mescita dei vini sicuramente da Beppe Achilli, una trattoria vicino al mercato del pesce, di fronte al porticciolo. Cucina francese e italiana, crostacei, frutti di mare  e ostriche che provengono dai migliori allevamenti mondiali da DuCoq in via Cairoli.

Boccon Divino a Chiavari è il luogo giusto per sperimentare la creatività di  Israel Feller, resident chef  che confeziona  autentiche meraviglie. Sotto i portici, in via Bighetti, Antonio Olivari vi accoglierà da Vino e Cucina: splendida selezione di vini naturali. Per un aperitivo indimenticabile, i cocktails, i piatti la cortesia di Casa Gotuzzo: affacciata su piazza dei Pescatori è un punto privilegiato per assistere a tramonti mozzafiato.

La cucina tradizionale ligure potrete scoprirla alla trattoria La Brinca di Né, nell’entroterra di Lavagna, dove il miglior sommelier d’Italia Matteo Circella saprà davvero stupirvi con i suoi suggerimenti. A Rapallo, in via San Massimo U Giancu è sicuramente una istituzione, famosa anche per la passione del titolare per i fumetti: cucina ligure e ottimi vini da scegliere insieme al sommelier Martino Oneto.

Alla ricerca di un agriturismo? Le donne del Castagneto a Castiglione Chiavarese, in via Provinciale 523, sapranno coccolarvi con i piatti preparati con molto amore e passione; altro locale da non perdere, ricavato da un antico frantoio è La Cuccagna a Rapallo, dove la famiglia Armanino propone un menù tipicamente genovese, con pasta ripiena fatta in casa e altre leccornie. A Villa Oneto, vicino a Leivi L’agriturismo U Cantin offre piatti della tradizione in abbinamento ai vini della annessa cantina, curati da Domenico Cuneo , che ha recuperato un antico vitigno ligure, lo cimixa.

La Riviera di Levante è rappresentata dalla Doc Golfo del Tigullio- Portofino con la sottozona Riviera dei Fieschi, istituita nel 1997. I vitigni a bacca bianca maggiormente coltivati sono il vermentino, la bianchetta genovese, lo cimixà, il moscato mentre tra quelli a bacca rossa sicuramente  il ciliegiolo e dolcetto,  a seguire sangiovese e granaccia.

Alcune delle cantine presenti sul territorio offrono delle wine experieces per gli enoturisti e i winelovers: Bisson , in contrada Pestella a Sestri Levante, La Ricolla e U Cantin. Non bisogna mancare di assaggiare i vini prodotti da Cantina Levante, Cantina Mortola, Pino Gino, Casa del Diavolo, Cantine Bregante, Cantina San Nicola per apprezzare al meglio la cucina del territorio.

Buon viaggio e… buone degustazioni in Liguria!

“Sorsi di solidarietà”: Radda in Chianti per la Romagna

Sangiovese di Toscana vs Sangiovese di Romagna.

Probabilmente uno degli “scontri più sentiti” nel mondo degli appassionati dI vino. Ognuno dice la sua: qualcuno si schiera per patriottismo, qualcun altro porta a sostegno esperienze della tal degustazione. Qualcun altro ancora parlando di storia, terroir o addirittura DI analisi organolettiche. Per tutta onestà, il Sangiovese Toscano si è sempre piazzato su un gradino del podio più alto rispetto a quello Romagnolo.

Tuttavia il giorno 2 settembre 2023 la suddetta partita ha avuto un terzo, inaspettato, vincitore: la solidarietà. A Radda in Chianti, ha avuto infatti luogo “Sorsi di solidarietà”, un evento ideato dall’associazione Vignaioli di Radda in unione alla Pro Loco di Radda.

Idea che, per riprendere le parole di Riccardo Porciatti, vice presidente della Pro Loco di Radda, è nata per non perdere il focus sull’alluvione che a maggio di quest’anno ha colpito la Romagna. 4 vignaioli Raddesi (Istine, Fattoria Poggerino, Tenuta di Carleone e Caparsa) a confronto con 4 vignaioli Romagnoli (Vigne dei Boschi, Marta Valpiani, Costa Archi e Villa Papiano) in una degustazione organizzata in 4 staffette.

Da sinistra: Paolo Cianferoni (Caparsa), Sean O’Callaghan (Tenuta di Carleone), Piero Lanza (Fattoria Poggerino), Angela Fronti (Istine)

Da sinistra: Paolo Babini (Vigne dei Boschi), Gabriele Succi (Costa Archi), Francesco Bordini (Villa Papiano), Elisa Mazzavillani (Marta Valpiani)

Luogo della manifestazione la suggestiva piazza Francesco Ferrucci di Radda in Chianti, adibita con tavoli da degustazione per l’occasione. Il ricavato risultante dalla presenza di ben 80 spettatori (fra cui oltre al sottoscritto, anche la collega Sara Cintelli) è stato devoluto in beneficenza alle associazioni dei vignaioli coinvolti nell’alluvione dello scorso maggio.

Non solo viticoltori, ma anche olivicoltori. È l’olio, infatti, un altro elemento che condivide con il vino i confronti su quale sia il migliore, se questo o quello. Ma ciò che ci preme sottolineare è che in Romagna l’olio ha condiviso purtroppo anche la stessa sorte del vino, ovvero quella di aver subito gli ingenti danni delle frane causate dall’alluvione. Brisighella, uno dei territori maggiormente colpiti, è la terra dove viene prodotto il “Brisighello”, il primo olio extravergine d’oliva d’Italia ad aver ricevuto la certificazione DOP nel 1996. L’intervento di Nicola Pederzoli, vice presidente del Consorzio Olio DOP di Brisighella, ci ha fatto capire che il consorzio è composto da piccoli produttori, e che quindi se uno di loro dovesse abbandonare scoraggiato dagli ingenti danni subiti, potrebbe causare un effetto domino e portarsi dietro anche gli altri. Risulta quindi fondamentale che rimangano tutti uniti.

Da destra: Nicola Pederzoli, Federica Assirelli (Consorzio Olio DOP Brisighella)

A fare da portavoce dei vignaioli colpiti, invece, c’è Francesco Bordini, colonna dell’agronomia vitivinicola Romagnola e titolare di Villa Papiano, l’azienda di famiglia. Oltre a fornire qualche numero per aiutare la platea a visualizzare meglio quale sia stata la portata dei fenomeni meteorologici che hanno colpito la Romagna, ha calcato la mano sul rapporto che l’uomo ha con la natura. Essa, infatti, ha una potenza inarrestabile, ma quali responsabilità ha l’uomo? È ligio al dovere eseguendo tutti gli interventi di manutenzione con costanza? Anche Radda sorge su un territorio collinare con parecchie analogie con quello Romagnolo, il che suona quasi come una sorta di monito, o appello, affinché la stessa sorte non capiti ad altri.

Da sinistra: Carlo Macchi (Wine Surf), Francesco Bordini (Villa Papiano)

Si è passati quindi alle degustazioni, ma questa volta non vogliamo perderci in analisi, punteggi e classifiche. Vogliamo tuttavia raccogliere il suggerimento di Carlo Macchi, giornalista enogastronomico e direttore di Wine Surf (nonché conduttore della serata) nel capire somiglianze e differenze fra queste due tipologie di Sangiovese e di territorio, confrontando vini della stessa annata – la 2019 – (o quasi… qualcuno ha portato la 2020). Le somiglianze? Il Sangiovese si conferma probabilmente uno dei vitigni maggiormente capaci di leggere il terroir, per cui ogni vino ci ha parlato esattamente del luogo in cui viene prodotto. Le diversità? Radda in Chianti gioca sul corpo e sulle morbidezze. Vini pieni, ricchi e con tannini complessi. La Romagna invece fa rimanere in estate, con prodotti freschi, tesi, caratterizzati da finezza di aromi e succose acidità che invogliano il sorso successivo. De gustibus non disputandum est.

Conclude la serata un ricco buffet organizzato con prodotti tipici provenienti da entrambe le zone, con l’intervento di Pierpaolo Mugnaini sindaco di Radda in Chianti. Oltre a ringraziare i produttori per l’innegabile lavoro di qualità ravvisato nella degustazione, egli auspica che questa neonata partnership possa continuare anche in futuro contribuendo a scambi utili per conoscersi, condividere storie e culture, divenendo una crescita positiva per gli attori in gioco. Anche fra vignaioli le “rivalità positive” si trasformano in amicizia e unione quando il minimo comune denominatore è la solidarietà.

Perché, alla fine, cosa c’è di meglio di un’atmosfera intima, del buon cibo e un calice di vino, magari Sangiovese?

Romagna: “Brisighella Anima dei Tre Colli” l’Associazione Viticoltori di Brisighella ai blocchi di partenza

Comunicato Stampa

Lunedi 4 settembre al Convento dell’Osservanza a Brisighella si è svolta la presentazione della nuova associazione di viticoltori Brisighella Anima dei Tre Colli.

Alla presenza di oltre 120 tra operatori della ristorazione, enotecari, osti e sommelier, la giornata è iniziata con il seminario Brisighella in Bianco dedicato ai vitigni a bacca bianca della valle del Lamone.

Dopo un breve saluto dell’assessore regionale Manuela Rontini e dall’assessore del comune di Brisighella Gian Marco Monti entrambi diplomati sommelier AIS, il presidente della associazione Cesare Gallegati dell’omonima cantina, ha illustrato le finalità e gli scopi di Brisighella Anima dei Tre Colli.

Paolo Babini, della cantina Vigne dei Boschi, ha accompagnato i presenti lungo la sottozona Brisighella, nata nel 2011 per il Sangiovese e che dal 2022 è ora anche definita per i vini bianchi.
Una zona molto vasta che comprende quasi interamente il Comune di Brisighella e di Casola Valsenio, gran parte del territorio collinare del comune di Faenza. Tre macro aree, tre territori, tre anime. Una visione ampelografica, culturale e storica che associa ad ogni colle un territorio definito:

La Torre dell’orologio, che guarda a nord verso la pianura, a rappresentare lo scandire del tempo che occorre ai vini nati sulle terre fini di sabbie gialle e argille rosse e azzurre;

La Rocca Manfrediana simbolo di solidità e unicità che guarda ai terreni della vena del gesso;

Il Monticino memoria di santuari, badie e monasteri a raccontarci dell’origine della coltivazione della vite in Appennino ad opera principalmente di frati e monaci che praticavano un’agricoltura di rango dove la presenza del vino era importante per scopi liturgici e di sostentamento.

al centro Cesare Gallegati e a destra Paolo Babini

Perché associare le varietà bianche a Brisighella? La notevole presenza storica di queste varietà racconta della grande vocazionalità del territorio verso la produzione di vini bianchi che proprio in questa vallata vede coesistere terre fini argillose nella prima collina, calcaree gessose nella area dei gessi e marnoso calcaree nell’alta valle, condizioni favorevoli per ottenere vini bianchi di grande finezza, austerità e longevità.

L’Albana è presente con quasi 200 ettari su un totale per la Romagna di 880 ettari. Oltre il 22% del totale. Notevole la presenza di Trebbiano Romagnolo, Chardonnay per circa 160 ettari e 15 di Sauvignon.
I presenti hanno poi avuto modo di degustare tutta la produzione degli associati presenti con i loro banchi di assaggio lungo il Chiostro del Convento.

“La presenza di un così grande numero di operatori del settore ci conferma nell’importanza che Brisighella rappresenta per il comparto enogastronomico romagnolo” afferma Cesare Gallegati, “l’associazione Brisighella Anima dei Tre Colli ha tra i suoi obbiettivi proprio quello di portare l’attenzione sulla qualità e la diversità insite nel territorio della Valle del Lamone”.

Nel pomeriggio è avvenuta la consueta apertura dei banchi di assaggio dei vini alla presenza dei vignaioli dell’associazione.

I Balzini: la famiglia D’Isanto nel passaggio generazionale in continua crescita

Correva l’anno 1980 quando Vincenzo D’Isanto impiantava il primo ettaro di vigna a Barberino Tavarnelle (FI), frazione Pastine, in una località chiamata al catasto “Balzini” per via dei numerosi avvallamenti del terreno ancora ben visibili.

Inizia così il suo progetto enologico affiancato dalla moglie Antonella. Siamo nel cuore del Chianti Classico, ma qui a I Balzini non si produce Chianti Classico per una scelta precisa di Vincenzo: legato nella sua professione di commercialista a regole rigide, decide di staccarsi da quelle del disciplinare per produrre un vino espressione di una Toscana diversa. Dunque insieme al sangiovese, che non costituisce il nucleo storico della vigna, Vincenzo punta su cabernet sauvignon, merlot e mammolo. Attualmente la cantina vinifica cinque etichette – Balze Rosa, Balze Verdi, Balze Rosse, Balze Nere, I Balzini sotto la denominazione IGP Colli della Toscana Centrale, collocandosi a pieno titolo nel solco della tradizione dei Supertuscans.

Diana D’Isanto

A guidarmi è Diana, figlia di Vincenzo e Antonella, energica, appassionata e innamorata di un’eredità familiare, alla quale sta imprimendo il proprio personale contributo in maniera decisiva dal 2017. Diana, sempre affiancata da Wilma, Tea e Ugo, i tre cani di famiglia, riesce a intrecciare in maniera entusiasmante il racconto delle origini insieme a quello dei traguardi presenti e dei progetti futuri: nelle sue parole si scorge chiaramente l’orgoglio del passaggio generazionale, costituito in egual misura da filiale devozione e sana competizione. È suo il progetto Ritorno al Futuro, con il quale ha riportato in auge nel 2017 la storica etichetta dai tratti minimal e il nome del primo vino prodotto nel 1987, I Balzini, sostituendo l’ormai affermato White Label. Stessa operazione di restyling è stata fatta per il Black Label, che nel 2017 ha trasformato il suo nome in Balze Nere e la sua etichetta in una versione più stilizzata.

Gli ettari di vigna oggi sono diventati sette, tutti parcellizzati data l’acquisizione successiva nel tempo, il regime biologico – sempre praticato –  è stato ufficializzato da pochi anni, la produzione si è attestata tra le 25 e le 30 mila bottiglie annue, di cui una buona parte destinate al mercato estero.

Passeggiando nel prato che digrada verso il fondo della balza su cui sorge l’edificio storico della cantina, iniziamo la visita dalla parte più recente, la barriccaia, e per la precisione dalla sua copertura, perché l’ambiente dove affinano i vini si trova interrato proprio sotto i nostri piedi. Questa scelta permette di mantenere una temperatura adeguata senza l’utilizzo di condizionatori, mentre la luce necessaria per garantire l’illuminazione all’interno del locale è ottenuta dal cattura luce che si erge proprio al centro del prato.

Rispetto per l’ambiente come per l’utilizzo dei pannelli solari, che ricoprono completamente la tinaia di fermentazione, o l’impiego di bottiglie più leggere. Tutti i vini della linea fanno fermentazione in acciaio e, ad eccezione del Balze Rosa e del Balze Verdi, passaggio in legno. Le barriques utilizzate sono di diversa provenienza per poter beneficiare delle variegate caratteristiche del contenitore e le botti vengono sfruttate ben oltre la consuetudine, dal primo al quinto passaggio.

Entriamo successivamente in un locale ricco di emozioni, dove vengono conservati i formati speciali (da 1,5 lt a 12 lt) di White e Black Label (dal 2017 I Balzini e Balze Nere) delle annate passate, spesso già acquistati da chi vuole garantirsi una bottiglia particolare per un evento. In questa saletta climatizzata troviamo le tre Jéroboam che i nonni hanno acquistato per il diciottesimo dei tre nipoti gemelli o la Mathusalem che dovrà essere recapitata a Chicago nel 2036, per il ventunesimo compleanno della figlia dell’acquirente. Un servizio sartoriale che prevede anche l’etichetta con dedica personalizzata su richiesta.

La degustazione si svolge sulla bella terrazza da cui si scorge in lontananza la prima vigna impiantata da Vincenzo e l’uliveta, preesistente alla cantina. Assaggio tutti i vini della linea: le tre etichette per bere bene tutti i giorni (Rosa, Verde, Rossa), i due prodotti di punta (Balze Nere e I Balzini), oltre a una piccola sorpresa che posso, senza tema di smentita, definire intrusa.

Si parte col Balze Rosa, sangiovese in purezza vinificato con una brevissima macerazione sulle bucce: ha normalmente una tonalità fior di pesco affascinante, che, unita al nome dell’etichetta, evoca quasi le balze di una gonna sollevate da un vento dispettoso. Ma io non bevo l’annata corrente, la 2022, già terminata da tempo, bensì un’inaspettata 2020, che nel colore si distingue avvicinandosi più a un orange-wine. Stupisce il naso netto di arancia e spezie dolci, rivelando in bocca ottima struttura, con un tannino piacevolmente presente, salino e persistente su ricordi di melagrana.

Balze Verdi 2021 – blend di sangiovese e mammolo, è un vino croccante e immediato, con sentori fragranti di frutta ed erba sfalciata, che ritroviamo nella bocca fresca e pulita. Effetto volutamente ricercato grazie alla macerazione carbonica e alla vinificazione senza bucce del mammolo. D’altronde anche la scelta dei colori delle varie etichette ha proprio lo scopo di evocare determinati sentori che saranno poi presenti nel bicchiere…

Balze Rosse 2018 il blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, è il primo vino della linea che fa passaggio in legno, generalmente sei-otto mesi in barrique dismesse. Fitto nel rosso granato, al naso si distingue per l’oliva in salamoia, la salsedine, il cappero e il sentore di peperone fresco. Morbido e di ottima freschezza al palato, ritorna con sentori balsamici.

La quarta etichetta in degustazione, Summofonte 2015, prende il nome da un borgo nelle vicinanze, Semifonte, perché ne riproduce la cappella, versione 1:8 della Cupola del Brunelleschi, intorno alla quale si estende il vigneto. Non viene sempre vinificata perché la vigna non è di proprietà. È un blend variabile di sangiovese, cabernet, ciliegiolo e un fattore X ancora non conosciuto.

Chiudiamo la degustazione con le due etichette top di gamma, Balze Nere e I Balzini.

Balze Nere 2017, cabernet e merlot, compatto nel colore e nel naso, si apre lento, svelando una personalità posata, da gentleman di campagna: cuoio, tabacco di sigaro, cenere di camino, cardamomo e chiodi di garofano, il frutto arriva molto dopo con la ciliegia sotto spirito e la mora di rovo. Tannino setoso e freschezza equilibrata invitano continuamente al sorso che si chiude su una liquirizia in caramella.

I Balzini 2017, sangiovese e cabernet, ha un carattere più scattante per la leggera nota di pietra focaia che impreziosisce il naso di prugna e continua su sentori di cumino, noce moscata, fresia, olive in salamoia e rosmarino. La bocca svela ancora una volta un tannino fine e ben integrato con una chiusura che rimanda al cioccolato fondente.

I Balzini

Località Pastine, 19

50021 Barberino Tavarnelle (FI)

Osteria La Briciola: mangiar bene a Tivoli (RM) tra arte e storia

Per gli amanti della buona cucina, a circa 30 chilometri da Roma si trova un posto che vale la pena raggiungere per soddisfare i piaceri del palato e fare (perché no) una bella gita fuori porta.

Da oltre un decennio a Tivoli, Osteria La Briciola è un faro di raffinatezza culinaria nella vibrante scena gastronomica della Città Tiburtina.

Nata dodici anni fa, ha costantemente abbracciato il cambiamento e l’innovazione, trasformando ogni visita in un’esperienza memorabile. Tutto è stato pensato per regalare all’ospite un’esperienza unica dall’inizio alla fine. Ampio parcheggio, raffinatezza degli arredi in stile coloniale, è un posto dove l’ospite può sentirsi a proprio agio.

Alla base della cucina dell’Osteria La Briciola c’è il rispetto per la tradizione enogastronomica italiana, arricchita da raffinata audacia. Piatti tradizionali rivisitati con maestria, abbracciando tecniche moderne di cottura e presentazione. Il risultato è un equilibrio gustativo che stupisce e delizia i palati più esigenti.

La selezione delle materie prime è un elemento fondamentale e l’Osteria La Briciola cura con attenzione la scelta dei fornitori, selezionando i migliori produttori locali del Lazio e le eccellenze nazionali certificate Slow Food.

Enrico Magnanti – Osteria La Briciola

Dietro ogni piatto c’è la passione di Enrico Magnanti, chef, sommelier, assaggiatore esperto ONAV e appassionato assaggiatore di olio extravergine di oliva. Di giorno crea con sapienza i suoi piatti; di sera, indossa l’abito dell’ospitalità per accogliere i clienti con calore e discrezione. L’atmosfera intima dell’Osteria, che può ospitare fino a 40 ospiti, è arricchita dalla dedizione di un team di dieci persone, che lavora instancabilmente in cucina e in sala per garantire un’esperienza straordinaria.

Nel corso degli anni, l’impegno dell’Osteria La Briciola è stato riconosciuto da rinomate guide enogastronomiche come Gambero Rosso, Repubblica, Espresso, Bibenda e Gatti Massobrio. I punteggi che riflettono la crescita costante sono diventati sempre più elevati, dimostrando l’evoluzione continua di questo ristorante d’eccellenza.

L’attenzione all’eccellenza si estende anche alla cantina vini, con oltre 350 referenze, tra le migliori produzioni nazionali e internazionali tra le quali: Champagne, Borgogna, Nuova Zelanda e Germania. Inoltre gli amanti della birra e degli spirits troveranno soddisfazione grazie a una variegata selezione di birre artigianali e circa 150 distillati.

Le intolleranze alimentari vengono gestite al meglio, con paste fresche senza glutine per coloro che seguono una dieta celiaca. In un mondo in cui l’eccellenza culinaria è un traguardo ambizioso, l’Osteria La Briciola brilla come un faro di creatività, passione e impegno. Ogni visita a questo ristorante è un viaggio attraverso i sapori, le tradizioni e l’innovazione, un’autentica celebrazione della cucina italiana.