Calabria – Giraldi & Giraldi: gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa

Per gli appassionati di calcio, Vialli e Mancini erano i gemelli del gol ai tempi della Sampdoria dello scudetto e di una Nazionale italiana (forse) mai così bella e affiatata. Al cinema, invece, De Vito e Schwarzenegger sembravano teneri e, altresì, improbabili nel ruolo di fratelli separati alla nascita. Anche il mondo del vino non poteva restare lontano da simili storie, fatte di quel legame affettivo e in parte chimico che lega due omozigoti fin dai loro primi passi.

È il caso di Pierfrancesco e Alessandro GiraldiGiraldi & Giraldi giovani e appassionati vitivinicoltori di Rende (CS), in quella terra meravigliosa che è la Calabria. Entrambi iscritti alla Facoltà di Ingegneria, protetti nelle scelte dalla saggezza dei genitori Giuliana e Francesco. Poi, complice i ricordi degli studi superiori e di un professore di agraria particolarmente illuminato, la vita cambia con un click e si trasforma nelle vesti di Madre Natura, pronta a chiamare i ragazzi all’impegno e sacrificio nella terra nuda. I poderi, per fortuna, erano già lì, grazie alla mentalità di queste parti, dove ciascuna famiglia mantiene il piccolo terreno adibito o orto e coltivazioni casalinghe, vite inclusa.

Nel 2003 avviene l’impianto del primo mezzo ettaro di Magliocco ed ora, a distanza di quattro lustri, siamo arrivati ad una consistenza complessiva di ben 18 ettari per circa 100 mila bottiglie suddivise in 4 referenze. Una proporzione assolutamente perfetta, tenendo conto di quanto possa raccontare l’areale in termini di diversificazione e qualità, senza confondere troppo le idee. Lavorazioni semplici, minimaliste per il bianco e il rosato, con lunghe macerazioni per i rossi, vinificati ad acino intero e con utilizzo di lieviti selezionati. Solo 5 varietà coltivate nell’ambito aziendale: Chardonnay e Greco Bianco per la bacca bianca; Magliocco, Greco Nero (un autoctono locale differente dal Magliocco Gentile) e Cabernet Sauvignon per il rosso.

La degustazione

Partiamo da Arintha 2022, Greco Bianco con un piccolo saldo di Chardonnay. Indomito, dalla buona salinità e freschezza di lime condito da erbe mediterranee. Versatile e meno impegnativo negli abbinamenti rispetto ad altre tipologie.

Donna Giuliana 2022, dedicato alla madre di Alessandro e Pierfrancesco. Donna straordinaria, che cura amorevolmente l’accoglienza nella casa di famiglia, adibita anche a cantina e sala degustazione. Riveste, nel dietro le quinte, il classico ruolo della madre saggia che guida i propri cuccioli senza interferire nelle loro esperienze. Il rosato proposto ha carattere e gradevolezza, blend di Magliocco e Greco Nero quasi in parti uguali. Fragoline selvatiche, agrumi rossi, fiori di pesco e chiosa salmastra lo rendono un vino equilibrato fuori dai canoni classici dei rosè.

Monaci 2022 da Magliocco in purezza. Nato su terreni argillosi dai richiami marini, vinifica e matura solamente in acciaio e bottiglia, svolgendo anche la fermentazione malolattica per addomesticare i tannini robusti del varietale. L’annata è risultata particolarmente generosa, dimostrando potenza e irruenza tali da rendere il vino interessante sui piatti a lunga cottura della tradizione italiana. Meglio la 2021, declinata interamente tra frutto e goduria di bocca, apprezzabile anche come sorso di meditazione e compagnia.

Gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa! Al prossimo racconto.

Taranto: guida essenziale alla scoperta della città dei due mari

L’incanto delle mitologiche sirene, l’influenza culturale di Sparta e della Magna Grecia, fanno di Taranto una delle mete italiane più interessanti da visitare.

Unica nel suo genere è chiamata la “città dei due mari” poiché unisce Mar Grande e Mar Piccolo. Taranto è pronta a far parlare di sé, non solo per le note vicende legate all’acciaieria, ma per un fermento culturale che rimette al centro storia e tradizione da tramandare nei secoli.

Taranto, per noi gastronomi itineranti, significa anche cozze nere e Primitivo di Manduria, da gustare secondo il giusto pairing per non sacrificare mai il gusto. Andare alla scoperta di questa città equivale al mettersi alla prova per una giornata diversa dal solito, o per un weekend all’insegna di scoperte a tema cultura, buon vivere, buon mangiare e ovviamente, buon bere.

Attraverso le epoche per fare storia

Le origini si perdono nei tempi e ogni traccia è certificabile anche solo percorrendo le sue strade. Le prime, datate VII secolo A.C., sono riconducibili alla spartana Taras. Nell’epoca della massima espansione della Magna Grecia, Taranto è diventata un punto di riferimento per il commercio, data la posizione strategica sul mare. Crocevia di differenti culture, testimoniate dal MArTA, Museo Archeologico Nazionale di Taranto, che possiede oltre 200.000 reperti archeologici dalla preistoria fino ai giorni nostri. La testa di donna è una delle opere più incisive per bellezza e conservazione, senza dimenticare le teste del giovane Cesare Augusto ed Eracle.

Il Castello Aragonese, in tutta la sua magnificenza, fa da vedetta sul mar Piccolo dal suo isolotto. È una struttura visitabile che dimostra quanto le diverse epoche ne abbiano segnato l’evoluzione, maestoso simbolo della città. Il Ponte Girevole, o Ponte Porta Nuova, è invece una sorta di lasciapassare per le navi più grandi che devono solcare il Mar Piccolo. Un gioiello di ingegneria.

Importante il centro storico che con la sua architettura senza età. Suggestive le stratificazioni degli edifici in superficie e nei sotterranei. Si, certamente, perché Taranto annovera cripte e ipogei visitabili, come l’Ipogeo di Palazzo de Beaumont Bellacicco situato ben 5 metri sotto il livello del mare.

La Taranto amante della Natura

Se la storia di Taranto sembra essere volta a uno sviluppo industriale, certamente non mancano le eccezioni che stupiscono a pochi passi dalla costa. La svolta naturalistica l’assicura l’associazione Jonian Dolphin Conservation (in sigla J.D.C.) che ci porta a scoprire i cetacei più intelligenti del mare: i delfini. L’attività, iniziata nel 2009, è orientata allo studio di questa specie che ha trovato un habitat perfetto per prosperare, divenendo una icona. La J.D.C. coniuga il sano divertimento di una gita in barca, all’osservazione dei delfini che saltano tra le onde, alla scoperta della biodiversità marina ionica. La mission, riuscita, è quella di vivere un’esperienza giornaliera irripetibile con approdi verso paradisi incontaminati.

A tavola la regina

La cozza tarantina, carnosa e saporita, è la regina della tipicità territoriale. Presidio Slow Food al quale hanno già aderito oltre venti mitilicoltori, richiedo impegno nel rispettare canoni precisi per poter essere identificata come tarantina al 100%, riguardanti le tempistiche di allevamento, il rispetto dell’ecosistema circostante, l’impatto ambientale ridotto. La migliori cozze sono quelle del Mar Piccolo, poiché beneficiano delle correnti di acqua dolce, i cosiddetti “citri”. L’afflusso di acqua salmastra crea le condizioni ideali per la coltivazione di questi mitili, che risultano così meno sapidi. Si presta perfettamente per i tubettini con le cozze, un classico di Puglia, al naturale nella classica impepata rigorosamente al verde, oppure con olio, aglio e peperoncino, e gratinate per chi non vuole rinunciare a sapori più forti. La cozza “integralista” è quella che si gusta cruda, al massimo intinta in un mix di olio, limone, pepe e prezzemolo.

Terra di Primitivo

E se l’idea delle cozze cucinate in modi più disparati possibili, ci fa venir sete, allora è il momento di andare alla scoperta delle realtà vitivinicole territoriali. Prima di tutto è bene dire che Taranto è terra di Primitivo di Manduria. Proprio verso il Golfo di Taranto si concentrano i vigneti più rappresentativi. Il territorio comprende soprattutto la città di Manduria, ma non manca Francavilla Fontana, limite settentrionale dell’areale. Rientrano nella provincia anche Carosino, Monteparano, Leporano, Pulsano, Faggiano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, San Marzano di San Giuseppe, Fragagnano, Lizzano, Sava, Torricella, Maruggio e Avetrana, oltre ad Erchie, Oria, Torre Santa Susanna in provincia di Brindisi. Ne vengono fuori vini unici, freschi e dalla muscolatura mai eccessiva, ottimi per accompagnare carni cotte al fornello, (su tutte le bombette), una prerogativa della zona che riflette le abitudini della vicina Valle d’Itria. Rossi che, nella versione Riserva, si impreziosiscono di sentori terziari senza mai snaturarsi. Per una cena pop il Primitivo di Manduria si esprime perfettamente come rosato, perfetto per le chiancaredde al sugo di pomodoro e basilico, o con la semplice frisella artigianale.

Anche il Primitivo di Manduria Dolce DOCG ha il suo riconoscimento, accompagnando tutto l’anno il fine pasto, dolcetti di Natale inclusi. Su tutti vincono sempre le carteddate, strisce di pasta da friggere e inzuppare nel vin cotto d’uva o fichi. Primitivo di Manduria è sinonimo anche di enoturismo, quindi per tutti i wine lovers non mancano cantine immerse nelle campagne pugliesi più autentiche e suggestive d’Italia.

Resort Agriturismo Maliandi: chef Tony Granieri spiazza tutti nel reinterpretare la tradizione in chiave fusion

Chi se lo aspettava! In un posto immerso nella natura incontaminata del Vallo di Diano, territorio meraviglioso ancora in parte inesplorato, chef Tony Granieri crea, anzi contamina all’interno delle mura del Resort Agriturismo Maliandi a San Pietro al Tanagro (SA).

Non si tratta di contaminazioni pericolose, anzi. Il giovane Granieri, poco più che trentenne, sa smarcarsi dalla inerzia della vita quotidiana, sempre in cerca di nuovi stimoli, complice l’esperienza con il padre Giovanni in cucina, alla quale succedono diverse iniziative personali di Tony, anche nell’ambito del food truck.

A destra chef Tony Granieri

Arrivare sulle colline che guardano la pianura circostante, ricche di oliveti e di tranquillità bucolica, rappresenta già un ottimo viatico per sostare alla ricerca dei sapori della tradizione. Bisogna reggersi alla sedia, perché il viaggio condurrà invece in diversi angoli del mondo. “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione”, come indicava lo scrittore L.F. Céline nel capolavoro Viaggio al termine della notte.

La tartare

Poco importa se carne o pesce; qui assume valore, come non mai, la gestione della materia prima. Non invadere il campo alla proposizione di colori, aromi e consistenze significa mantenere integra la tela del piatto, prima dell’avvento delle posate. Capita così, di osservare una tartare di scottona proposta alla moda francese, condita al punto giusto ed esaltata da porcini freschissimi, tuorlo affumicato e mayo di aglio e mandorle.

Il baccalà

O come il baccalà al panko con cavolfiore arrosto e salsa xo, leggermente agrodolce, dove forse una piccantezza ulteriore non avrebbe guastato.

Tra i primi spicanno le lumachine del Pastificio Felicetti con porro, miso, olio di alloro e croccante di pescato frollato e il miglior assaggio di giornata, tra i migliori di sempre per il sottoscritto: plin di genovese, jus di manzo e amaro lucano con provolone del Monaco e caffè.

Una breve sosta nella scelta del secondo, capitata questa volta sul petto d’anatra, funghi alla senape e bietoline scottate, di una delicatezza senza tempo.

Si chiudono i sipari, infine, con l’assoluto di nocciola in stile parfait, realizzato con sapienza come per gli altri dessert, dalla brigata di Tony Granieri.

Interessante e in via di ulteriore ampliamento la carta dei vini, con alcune chicche selezionate tra piccoli produttori italiani.

Una visita nel Vallo di Diano merita di sicuro la sosta gastronomica da Agriturismo Resort Maliandi.

Resort Agriturismo Maliandi

Via Tempa Dietro Difesa

84030 San Pietro al Tanagro (SA)

Tel: +393478032569

E-mail: info@maliandi.it

www.maliandi.it

Montalcino: i vini di Casanova di Neri

Poi un giorno di settembre me ne andai…

Citazione musicale importante per la visita ad una delle cantine più iconiche di Montalcino:  Casanova di Neri. Appena parcheggiato, trovi subito di fronte il meraviglioso skyline del borgo famoso in tutto il mondo per la qualità del suo vino Brunello.

Ci ha ricevuto la solare, gentile e professionale Tiziana Palmieri, la quale oltre ad averci raccontato la storia dell’azienda ci ha fatto fare passeggiare nella vigna adiacente, anticipando così l’ingresso in cantina.  Tre i livelli, prima di entrare in sala degustazione ad assaggiare i capolavori ivi prodotti.
Mentre degustavamo, abbiamo avuto il piacere e l’onore di parlare anche con il titolare Giacomo Neri.

L’azienda vitivinicola è una splendida realtà posta a poca distanza dal centro abitato di Montalcino. Fondata da Giovanni Neri nel 1971, colui che aveva già intuito le grandi potenzialità pedoclimatiche di questo territorio con il preciso obiettivo di produrre un grande vino rosso. Dal 1991 le redini dell’azienda sono passate in mano al figlio Giacomo, affiancato dai figli Giovanni e Gianlorenzo. Un’azienda a conduzione familiare che si estende su 500 ettari, di cui 79 sono vitati. I vigneti sono dislocati in vari versanti e corrispondono agli appezzamenti di: Fiesole, Cerretalto, Collalli, Podernuovo, Pietradonice, Giovanni Neri e Cetine. Variano le altimetrie dai 250 ai 450 metri s.l.m., ed il suolo che è costituito prevalentemente da galestro. Le viti affondano le radici sui terreni da molti anni, alcuni delle quali superano il mezzo secolo.

Le etichette di Casanova di Neri sono molto richieste da collezionisti ed appassionati in ogni parte del globo. Nel 2006, il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 è stato premiato e giudicato come miglior vino al mondo da Wine Spectator,  da molti ritenuta una sorta di vademecum per professionisti del settore e semplici appassionati.
Il fil rouge di ogni vino dell’azienda è la qualità. Rispettosi della tradizione e al contempo pionieri dell’innovazione.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2022 – Rubino intenso, sprigiona note di violacciocca, rosa, marasca e ribes, dal gusto fresco e avvolgente, fine e lungo.

Brunello di Montalcino 2018 – Rosso rubino trasparente, naso di ciliegia, charcouterie, prugna, bacche di ginepro e pepe nero, dotato di trama tannica setosa e grande piacevolezza di beva.

Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2018 – Leggeri i riflessi granati, emana note di prugna, melagrana, cacao, menta e violetta,. Sorso suadente, tannino setoso, preciso e persistente.

Brunello di Montalcino Giovanni Neri 2018 – Rubino vivace, complesso e fine, dalle note olfattive di mirtilli,  prugna, amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Appagante e armonioso.

Pietra d’Onice Toscana Igt 2020 – Cabernet Sauvignon in purezza – Nuance scure e profonde, rivela sentori di mora, mirtillo, cassis e note balsamiche. Chiosa fresco e sapido.

Emilia Romagna: ristorante “Al Vèdel” una storia di famiglia

Una storia di famiglia: così si presenta il ristorante Al Vèdel agli ospiti che varcano la sua soglia.

Ma anche di territorio e tipicità, aggiungiamo noi, raccontate con passione da ben sei generazioni. Era infatti il 1780 quando a Vedole, piccola frazione alle porte di Colorno immersa nella tranquillità della campagna parmense, aprì le porte una bottega con punto di ristoro. Ed è sempre qui, che a distanza di oltre duecento anni, ritroviamo quel casolare, ora trasformato in un elegante e raffinato locale, guidato dallo chef patron Enrico Bergonzi e dalla moglie Edgarda Meldi, assieme alla sorella Monica ed al marito e sommelier Marco Pizzigoni. E poi i rispettivi figli, che potremmo dire nati e cresciuti fra queste mura: Giulia e Carlo e la giovanissima Elisa che già nel weekend fa capolino fra i tavoli.

La famiglia del ristorante “Al Vèdel”

Al Vèdel non ci passi soltanto, ma ci vieni per trovare quel clima accogliente che sa di famiglia, tipico della gente emiliana. Ci vieni per assaporare il gusto della tradizione autentica, tra paste fresche fatte in casa, come gli immancabili tortelli d’erbetta e anolini in brodo, o ancora i prelibati “tortel dols” (antica pasta ripiena tipica di questo lembo di terra, la cui farcia si caratterizza per il gusto agrodolce conferito dalla mostarda di frutti antichi unita al mosto cotto), per arrivare ai secondi di carne, come la punta di vitello ripiena oppure nel periodo invernale i bolliti, senza dimenticare le lumache (da una piccola azienda locale).

Le lumache

Ma al Vèdel ci vieni anche se sei un appassionato di vino, con oltre 1800 etichette inserite in carta, una vera “Bengodi” anche per il collezionista più esperto. E poi i culatelli. Proprio così, al Vèdel ci vieni per farti guidare alla scoperta del Caveau dei Culatelli, la cantina naturale del Podere Cadassa (il salumificio storico di famiglia, annesso al ristorante), dove nel periodo di massimo splendore, stagionano appesi fino a 7.000 culatelli, oltre a fiocchi, salami, pancette, coppe e la rara spalla cruda di Palasone. Un tempio della norcineria, dove regna ancora la regola del fatto a mano, con abili norcini che trasformano un pezzo di carne in una vera eccellenza della salumeria italiana.

Qui vige l’imperativo della qualità senza compromessi e della naturalezza dei salumi. Solo carne, sale, pepe e poi il tempo, per regalare quell’aroma unico di lenta stagionatura, che solo le mura di una cantina naturale sanno regalare. No areazione artificiale, ma apertura e chiusura delle finestre in base alla temperatura e all’umidità del periodo, proprio come si faceva una volta. Nessuno segreto, solo tanta passione e professionalità.

I salumi

Ed è proprio dai salumi che occorre iniziare quando ci si siede alle tavole del Vèdel. In menù troviamo la degustazione classica dei salumi di loro produzione a marchio Podere Cadassa, compresa la Spalla Cotta di San Secondo servita tiepida, un’altra tipicità che contraddistingue la Bassa parmense. Oppure la degustazione delle tre stagionature di Culatello, valutando così le diversità gustative conferite dalla permanenza in cantina. Per arrivare al Gran Nero, ovvero la speciale produzione di salumi di maiale nero, provenienti da allevamenti locali, dove ritrovare il gusto deciso degli insaccati artigianali, caratterizzati da una percentuale maggiore di grasso che conferiscono alle fette un’estrema dolcezza e scioglievolezza all’assaggio.

I “tortel dols”

Parlando di Culatello, occorre precisare che quello presente nella degustazione del ristorante è quello marchiato Terre di Nebbie, che individua una produzione ancora più rigida per questo insaccato, prestando particolarmente attenzione alla filiera della carne, con la scelta di allevamenti sostenibili che tutelano il benessere animale, innalzando così, ancora di più l’asticella della qualità. Ma il Vèdel non vuole dire solo tradizione, la cucina propone infatti anche piatti creativi, dove ritroviamo il pesce, compreso un sontuoso crudo di mare e carni pregiate, come il cervo o la pernice. E quando è periodo immancabile è l’assaggio di tartufo bianco, da gustare al meglio nel risotto alla parmigiana.

Venite… e assaporate.

Al Vèdel

Via Vedole 68

43052 Colorno (PR)

email: info@alvedel.it

Team Costa del Cilento: da Franca Feola dove il pescato del giorno è sempre il protagonista

Franca Feola decide di immergersi tra i fornelli non da subito. Ci vuole prima qualche anno di esperienza e maturazione per concepire finalmente la sua Locanda Le Tre Sorelle a Casal Velino. Tradizione di famiglia nell’amore per il pescato del giorno sempre fresco, sempre di altissima qualità da coniugare ai sapori genuini di un tempo.

Quelli delle primizie dell’orto, magari amplificati da tecniche di cottura solo all’apparenza semplici, eppure tremendamente gustose. Il concetto di cucina boutique, buona solo per gli occhi, per fortuna non appartiene a Franca, che realizza piatti concreti, identitari. Procedere all’interno di un territorio come il Cilento richiede visione creativa, senza smarrire per un secondo l’aderenza a quanto di meglio proposto dall’ambiente circostante.

Contaminazioni sì, ma al giusto prezzo: quello di rimarcare (urge quanto mai) cosa sia la Dieta Mediterranea, tra pomodori colorati e ricchi di sostanze benefiche, pesce azzurro, pasta fatta a mano sfidando il concetto di omologazione. Per il Team Costa del Cilento, l’associazione presieduta da Matteo Sangiovanni, abbiamo qui il racconto di due creazioni di Chef Feola.

La prima riguarda un tagliolino con riccio di mare ed estratto di gambero rosso in olio extravergine di oliva aromatizzato alla rucola. Eleganza e sapore, ben amalgamati dalla sapidità del riccio e dalla delicatezza morbida del gambero.

Il mezzo pacchero con ricciola, pomodorini dell’orto ed erbette aromatiche viene descritto in video da Franca in persona. Compostezza ed equilibrio fanno il resto. La location è suggestiva ed ha possibilità di ospitare gli avventori in comode camere, nel silenzio della collina cilentana, dove la natura regna ancora selvaggia e incontrastata.

Locanda Le Tre Sorelle

Via Roma

84040 Casal Velino (SA)

Tel: 0974 1848143

Email: info@locandaletresorelle.it

www.locandaletresorelle.it

Molise Tenute Martarosa: il primo moscato al mondo affinato in mare

Comunicato Stampa

Il piccolo Molise vanta un primato ancora poco conosciuto, quasi come fosse nascosto sul fondo del mare. Si produce a Campomarino, precisamente alle Tenute Martarosa di Nuova Cliternia, il primo moscato al mondo affinato in mare. È il Moscato under water che deriva dal vitigno coltivato a circa 2 chilometri dalla riva di Campomarino e che, dopo la lavorazione, viene tenuto per sei mesi nelle acque di Portofino. Una eccellenza nonchè un primato, visto che non parliamo di vini extra regionali affinati in Molise bensì di un prodotto locale che sta per essere lanciato in un mercato sempre più esigente e contraddistinto da qualità in ascesa.

Merito di un’azienda a tradizione familiare che prende origine nel 1938, quando il nonno dei fratelli Pierluigi e Michele, attualmente al comando delle Tenute Martarosa, scelse la terra fertile di Campomarino trasferendosi lì dall’Abruzzo. Da coltivatori di uve, i Travaglini sono diventati produttori di vino nel 2016, con l’obiettivo di crescere e sperimentare, tentato di dare lustro al territorio.

Il vigneto in questione è figlio di un progetto nuovo, che intende contrastare anche il luogo comune secondo cui il moscato sarebbe un vino dolce perfetto esclusivamente per il dessert. Non è così. “È nella sua versione secca che questo vino davvero sorprende, perché mantiene gli stessi profumi ma al palato rivela carattere e freschezza, diventando ideale come aperitivo e come accompagnamento a crudi di mare” svela un sommelier del territorio. L’affinamento in mare promette di aggiungere la carta vincente a queste caratteristiche: il Moscato Under Water annata 2021 è un vino sapido che, data la sua stretta correlazione con l’acqua salata, nasce proprio come vino da abbinare a tartare, ostriche, plateau di cruditè.

Particolari sono anche le bottiglie, che oltre alla raffinatezza delle normali bottiglie di Tenute Martarosa hanno la caratteristica di raccogliere e sedimentare tracce di permanenza in mare che rendono unica e inimitabile ognuna delle circa mille bottiglie affinate a 50 metri di profondità, grazie alla collaborazione con una ditta specializzata. Osservandola da vicino, ogni bottiglia appare come una sorta di quadro astratto, una opera d’arte che contiene a sua volta un’altra opera di grande maestria.

Non è il primo vino a essere affinato in mare ma è il primo moscato e certamente è il primo vino molisano, una assoluta novità e un esperimento del quale il Molise dovrebbe andare orgoglioso, un prodotto destinato a una fascia di pubblico medio-alta che si inserisce in un segmento di mercato ben preciso. Le bottiglie – circa mille – saranno commercializzate solo da un ristretto numero di aziende a un prezzo adeguato rispetto al valore.

Calabria: Terre del Gufo il coraggio di Eugenio Muzzillo di cambiare rotta

Arrivo nel comprensorio di Donnici sotto una pioggia fastidiosa, di quelle sottili che lascia un senso di umido e appiccicaticcio addosso. Per fortuna sono puntuale, anche perché Eugenio Muzzillo mi attende curioso di capire chi fossi da cercare un’intervista nella sua azienda.

Eugenio Muzzillo

Ne nasce uno di quei momenti ideali per cui senti di aver scelto la strada giusta: quella di raccontare volti, filosofie produttive e, naturalmente, varietà d’uva disseminate lungo lo Stivale. Per giungere a Terre del Gufo bisogna percorrere un sentiero immerso nei boschi e lo spettacolo che si offre agli occhi del visitatore è davvero incantevole.

Non pensavo di raccontare una Calabria inesplorata così bella, a tratti selvaggia e suggestiva. Non lo pensavo, ma mi son dovuto ricredere in maniera repentina. I terreni sono quelli di famiglia, del padre, circa 4 ettari coltivati principalmente a magliocco dolce, qui sovrano tra gli autoctoni. La compagnia giusta per lui è il brettio nero, localmente chiamato mantonico nero, utile a domare la vena tannica del varietale d’elezione.

Vini di progetto o vini di esperienza?

La domanda alla quale io ed Eugenio, entrati subito in sintonia, abbiamo cercato di dare una sommaria risposta, senza colpevolizzare il lavoro di nessuno. Ma non è l’unico dei quesiti (apparentemente) irrisolti della nostra amabile chiacchierata. L’altro riguarda proprio il magliocco, in queste terre da sempre, relegato nel passato a dare vini scorbutici, tali da essere surclassati di gran lunga dalle versioni in rosa, meglio gestibili nelle astringenze tanniche ed erbacee. Il mantonico nero riesce nel compito di domarlo, con disinvoltura, senza snaturarne l’anima. E dire che molti viticoltori manco sanno della sua presenza nei propri filari. Dunque, ancora una volta, vini di progetto o di esperienza? Sicuramente avere un progetto è la base per qualsiasi sogno lungimirante, ma si rischia di avere prodotti stereotipati, in forma di copie identiche gli uni agli altri.

Per Muzzillo è così bello potersi distinguere, pur nel rischio calcolato di avere sgrammaticature per un’annata non felice o per qualche piccolo errore di cantina. Come dargli torto, nei limiti dell’umana degustazione?

Gli assaggi

Tante parole e alla fine manca il quibus, la gratificazione di bocca. Partiamo con il Portapiana Igp Rosso Magliocco 2020, da agrumi succosi e more selvatiche. La vena balsamica emerge nel finale, quasi essenza chinata. Mediterraneo e sapido, considerando i minimi interventi effettuati in fase di fermentazione e maturità, dimostra quanto sia importante un lavoro perfetto tra le vigne, per avere il miglior raccolto possibile. La 2021 da vasca è straordinaria per lunghezza e prospettiva. Le differenze sono già lampanti, soprattutto nella struttura, a vantaggio della vintage ancora non in commercio. Ne vedremo delle belle.

Concludiamo con Estremo Dop Terre di Cosenza Donnici Rosso Magliocco 2020 con sosta in anfora di terracotta. Qualche riflessione va fatta, per la maggior evoluzione e compiutezza, al contempo, rispetto al precedente campione. Sempre più vigneron optano per l’utilizzo di contenitori simili e i risultati sembrano (finalmente) soddisfare la linea dell’eleganza.

Romagna: Brisighella – Tre colli, tre territori, un’anima

Tutti insieme appassionatamente. No, non ci stiamo riferendo al famoso film americano anni ’60, bensì alla neonata associazione Brisighellese “Anima dei tre colli”. Che cos’è Brisighella? È proprio attraverso l’unità che questa associazione intende dare una risposta a questa domanda. Difatti, il vero intento dell’associazione, per usare una frase del presidente Cesare Gallegati, è “alzare il potenziale emozionale del territorio”.

Da sinistra: Davide Gilioli, Cesare Gallegati, Paolo Babini

Non possiamo far altro che dargli ragione. Il potenziale è alto, e questa comunità di produttori (che sono passati da 5 a 16 in appena 2 mesi) ha una consapevolezza diversa rispetto al passato, e cioè di poter fare qualcosa di buono senza scendere a compromessi. Ma se volessimo qualche numero su Brisighella? Ce ne parla Paolo Babini, il vice presidente.

Nel 2009 Brisighella ottiene la doppia zonazione (vinicola e olearia), nel 2011 la sottozona per il Sangiovese nel disciplinare ufficiale del Romagna DOC e nel 2022 la sottozona Bianco nell’appena citato disciplinare. Tre territori principali ma ben 21 tipologie di suoli differenti. Iniziando dai territori pianeggianti dove troviamo terre fini, sabbie gialle, argille rosse e grigio-azzurre. Salendo di quota si trovano i calanchi calcarei e ancor più su la vena dei gessi. Sul pedemontano troviamo infine marne e arenarie, affogate nei boschi sino a 600 m.s.l.m.

L’associazione è nata ad aprile, ha fatto i primi passi nel web verso i primi di luglio, ma il 4 Settembre ha prepotentemente sgomitato nel mondo Ho.Re.Ca. con una presentazione ufficiale tenutasi al Convento dell’Osservanza di Brisighella. Brisighella in Bianco. Questo il nome scelto, e azzeccato, per l’evento. Basti pensare che di Albana, a Brisighella, ce n’è il 22% di tutta la Romagna (198 ettari sugli 880 totali). La Regina Romagnola incastonata assieme agli altri bianchi, autoctoni e non, fanno di questo territorio l’habitat naturale per potersi esprimere al meglio.

Tu chiamale se vuoi emozioni. Prendiamo in prestito un riferimento al mondo della canzone Italiana per riprendere il concetto di “potenziale emozionale”. Per questo merito è stato scelto Davide Gilioli, noto Sommelier AIS di origini Ferraresi ma trapiantato in Lombardia, che per l’occasione ha guidato i 120 presenti in un seminario composto da una degustazione di alcune fra le migliori espressioni dei bianchi di Brisighella, accuratamente suddivisi in batterie per vitigno.

20Italie era lì per voi, per cui bando alle ciance e via alle danze.

Sauvignon Blanc

La prima batteria è composta da 2 vini.

  • Borgo Casale 2020 – Vigna dei Boschi

Fermentazione e affinamento per 2 anni in legno donano a questo vino un’elegante piacevolezza. Il varietale esprime la sua nota erbacea ma il contrasto dolce gli è donato dalla pesca a polpa bianca e dal fiore d’acacia.

  • Ficcanaso 2021 – Villa Liverzano

Siamo nella zona dei gessi, e la mineralità difatti si fa sentire donando una piacevole freschezza a questo Sauvignon. L’affinamento in 6 mesi in barrique dona al vino anche larghezza ed espressioni di pesca gialla matura e frutta tropicale/esotica. Equilibrio stravolgente.

Trebbiano

È ora della batteria che ha come protagonista il bianco più bistrattato della Romagna. In questo caso sono 3 i vini che vengono messi a confronto.

  • Floresco 2022 – Podere la Berta

Criomacerazione e tutto acciaio per un vino che sorge principalmente su argilla e sabbia. È proprio questo mix di terreni che donano al vino un carattere tutt’altro che neutro. Il nome del vino è forse un richiamo a ciò che avvertiamo nel calice: fiore di sambuco e biancospino. La bocca è intensa con note di mela golden e melone bianco. Finale sapido.

  • Tera 2022 – Fondo San Giuseppe

Una vigna letteralmente in mezzo ai boschi, a 450 m.s.l.m. Sono 2 i cloni a partecipare a questo capolavoro: il trebbiano della fiamma e il trebbiano cosiddetto “montanaro”, ognuno che fa la sua parte donando acidità e struttura. Siamo in una zona prettamente calcarea e il vino, dopo una fermentazione in acciaio, fa un passaggio per il 75% della massa in cemento e per la restante parte in barrique. Sottile, teso. Ci parla di erbe di montagna, di roccia. Ma appena si scalda prende volume e invade il palato.

  • Trés Bien 2022 – Baccagnano

Molto bene questo trebbiano, non solo nel nome polisemico. In realtà un 40% è composto da Chenin Blanc che dona quella parte di speziatura dolce/orientale. Il frutto è inconfondibilmente riconoscibile in una mela tagliata e lasciata ossidare. Il trebbiano torna prepotentemente donando acidità e sapidità. Chiusura piacevolmente amaricante.

Sangiovese

Ma cosa c’entra il Sangiovese? Avevamo detto “Brisighella in Bianco”!

  • Via Zia 2021 – La Collina

I Romagnoli, compreso il sottoscritto, non sono dei grandi amanti del Sangiovese fermo vinificato in bianco. Forse un po’ per pregiudizio, o forse un po’ per gli scarsi risultati ottenuti da altri produttori. C’è da dire che il lavoro di Mirja ha stupito. Merito dei numerosi tentativi che hanno portato a questo vino tutt’altro che scontato e inquadrato nella qualità. Le note varietali richiamano inevitabilmente la fragolina di bosco, il lampone e il ribes, nonostante sia bianco dorato il suo colore. La parte mentolata amalgama il tutto con freschezza. Croccante.

Albana

La batteria più ricca, composta da 6 vini, è dedicata all’unica DOCG Romagnola.

  • Corallo Giallo 2022 – Gallegati

Come dice il nome, siamo sul monte Corallo, dove terreni fini calcarei donano un’esplosività aromatica al vino. La parte agrumata di mandarino e scorza d’arancia ci fa restare ancora in estate, come avessimo una spremuta in mano. Poi arriva lei, la scorbutica Albana, col suo carattere di potenza e spessore, a rendere il vino tutt’altro che semplice. DNA Albana.

  • Belladama 2021 – Poggio della Dogana

Fermenta in acciaio e poi sosta 10 mesi in cemento. Siamo su sabbie gialle, e lo si capisce anche dall’estrema finezza e complessità dei profumi. Agrume giallo, scorza di pompelmo, ginestra, miele millefiori e pesca nettarina. Entra in bocca agile e teso e poi la sferzata tannica completa le durezze ad equilibrare la struttura identitaria del vitigno.

  • Toni Bianco 2021 – Zinzani

Siamo probabilmente alle quote più basse, al confine col comune di Faenza, per un vino che tocca solo acciaio. Qual errore faremmo a farci condizionare dalle premesse! Un vino ricco, caldo, dal buon tenore alcolico che tuttavia mantiene alte le freschezze e ci stupisce con una particolare nota balsamica.

  • Albagnese 2021 – Casadio

Non solo pianura per il produttore Cotignolese che detiene vigneti anche nel bel mezzo della vena dei gessi e che dedica alla bionda nipote Agnese, il vitigno romagnolo biondo per eccellenza. Criomacerazione e poi fermentazione e affinamento in solo acciaio. La mineralità è ben presente ma non invadente. L’olfatto si arricchisce di delicatezza agrumata per anticiparci una bevuta equilibrata che non si perde dopo la deglutizione.

  • Bicocca 2021 – Vespignano

Prima annata e primo esperimento di Albana per la nuovissima azienda agricola Vespignano. Siamo sugli ultimi calanchi prima del gesso e le uve provengono da una vigna del 1941 allevata a pergoletta Romagnola. 1 giorno di macerazione sulle bucce con un risultato tutto sommato buono ma sicuramente da perfezionare.

  • Anam Orange 2021 – Vigne di San Lorenzo

Scende in campo l’estroso Filippo Manetti e fa subito gol con questa superba espressione di Albana. Ben 1 mese di macerazione in anfora georgiana per poi concludere l’affinamento sulle sue fecce fini in acciaio per un anno senza chiarifiche né filtrazioni. Agrume candito, nespola e albicocca matura per un orange wine che non stanca mai.

  • Marcello 2022 – Terrabusi

Siamo precisamente a Fognano, per conoscere un’altra realtà piuttosto giovane del mondo del vino Brisighellese. La loro Albana viene macerata per 5 giorni e affinata circa 6/7 mesi in legno. Profilo aromatico ricco, di grande profondità. Sorso di grande spessore che richiama il frutto maturo. Vitigno che si nasconde un po’ nella tecnica di vinificazione.

Famoso

Unico della sua batteria e ultimo assaggio dedicato al traminer Romagnolo.

  • Doronico 2022 – Bulzaga

Argille e calanchi sono la culla di un vitigno che solitamente si esprime, per il territorio Ravennate, solo nelle pianure a destra della Via Emilia. Vinificazione totalmente in acciaio per una finezza di profumi molto particolare. Che sia un modo per rispondere al Famoso di Mercato Saraceno?

Calabria: l’importanza di chiamarsi Colacino

Esistono personaggi storici che evocano un’agricoltura di altri tempi, quando tecnologia e controllo non avevano ancora bussato alle porte dell’era moderna.

In quei momenti la scelta coraggiosa di imprenditori più o meno prestati al mondo del vino, ha rimescolato le carte in tavola, creando i presupposti per l’arrivo di un vento propizio alla produzione di qualità. Vittorio Colacino, classe ’23, era tra questi piccoli grandi eroi che hanno trasformato il volto di un territorio di riferimento.

La Valle del Savuto da sempre rappresenta un ostacolo per chiunque voglia avvicinarsi al lavoro dei campi. Suoli compositi e coriacei, ricchi di scisti e calcare, che si inerpicano su declivi dalle pendenze vertiginose. Clima rigido, tipicamente continentale dalle estati afose (seppur mitigate da forti escursioni termiche giorno-notte) e inverni freddi e piovosi. Fare uva qui significa attendere più del previsto prima di procedere alla raccolta, per raggiungere maturazioni ottimali.

Vittorio conosceva tutto ciò, da medico condotto stimato dai suoi concittadini. Ma la passione per la vigna era forte, quasi irresistibile per spegnerne il richiamo. Così i primi innesti datati 1965 e, successivamente, le prime 2000 bottiglie quasi in sordina. Di mezzo tra lui e il nuovo millennio la conoscenza con Mario Soldati, che ammirato lo cita a piene mani nei suo celebre Vino al Vino.

E poi? L’impegno dei figli Mauro e Maria Teresa nel continuare la strada percorsa dal padre, trasformando un amore di famiglia in una cantina precisa e ambiziosa, Colacino Wines, dalle forti potenzialità commerciali. Il sogno del capostipite di fare vino buono senza abusi tecnologici e senza privarlo di anima, resta nelle nuove etichette. Vini che attraggono o meno l’attenzione del consumatore finale, ma che non mancano di sorprendere chi ambisce ad ascoltare un racconto diverso dal solito.

Qui il grado zuccherino diventa un problema inverso, con l’evidenza di campioni dalla facile beva senza pomposità alcoliche. Il rovescio della medaglia resta, a mio avviso, la gestione della trama tannica, a volte verdeggiante, altre eccessivamente da fumo di brace e ricordi amari. La via di mezzo regala spinte propulsive ai nuovi sorsi senza danneggiare la vena agrumata tipica dell’areale. Ma prima dei rossi dobbiamo parlare del Pecorello, varietà che vede origine proprio in questa zona.

La 2021 balsamica al punto da ricordare alcune pregevoli espressioni aromatiche. Le erbe mediterranee si appoggiano su note di lime e mela, con salinità e accenti speziati. C’è da farci un serio pensiero sui bianchi da tale varietà.

Terre di Cosenza Dop Rosato 2022 da Magliocco Dolce in purezza, gioca a nascondino su nuance di affumicature accompagnate da ribes rosso e scie officinali. Di sicuro l’annata torrida ne ha accentuato le parti morbide, a discapito della rapida chiusura di bocca.

Colle Barabba 2021 Doc Savuto Classico: nel rosato parlavamo delle sensazioni gliceriche utilissime in questa tipologia a puntellare struttura e pienezza di corpo. Olfatto da mirtillo scuro, sorso energico e vibrante con tannini nella giusta via di contenimento, per nulla invadenti. Solo acciaio. Straordinario.

Britto 2018 Doc Savuto Superiore contiene le medesime percentuali del Colle Barabba, tra Magliocco Dolce, Magliocco Canino e Greco Nero. Come spesso accade la vintage fa la differenza; nonostante selezioni e raccolte separate, con 36 mesi di maturazione tra legni vari e inox, la vena scura e terziaria domina su tutto, al limite della masticabilità e con una chiosa ancora astringente. Servirà del tempo in bottiglia per capire le effettive evoluzioni. Restiamo, per adesso, sulla linea di partenza.

Concludiamo con le parole del dott. Vittorio Colacino, monito eterno per il futuro: “la mia massima ambizione commerciale consiste nell’andare alla pari con i costi della produzione. Non è stupendo?”