Opificio Botanico: liquori “Botanici” made in Caserta

di Luigi Salvatore Scala

Percezioni di gusto, Suggestioni di sogni, Esperimenti di piacere ed Esperienze di sensi: Opificio Botanico

Un’azienda di liquori artigianali botanici tutta made in Caserta nata nel 2022 dall’idea matta dei Fratelli Giannini, con Mauro ed Oreste appassionati di piante e dei buongustai di enoteca Il Torchio di Caserta e dal bagatto Alessandro Matarazzi esperto alchimista di Alambicco Rosso.

Tutto ha inizio con i nonni paterni dei tre protagonisti.

Il nonno di Alessandro, esperto alchimista che realizzava liquori in casa partendo dalle botaniche più disparate, trasmette la sua passione al papà di Alessandro che nel 1969 apre il suo primo opificio “La Fonte di Matarazzi Serafino”. Alessandro che lo affianca già da giovanissimo, dedicandosi soprattutto allo sviluppo di nuovi prodotti legati al territorio, nel 2011 con la scomparsa del padre decide di continuare da solo fondando Alambicco Rosso.

Il nonno di Oreste e Mauro, invece, produceva vino e Tommaso Giannini seguendo le orme del padre apre nel 1969 la sua attività di commercializzazione di vini a cui nel tempo si aggiungono le birre; anche Mauro e Oreste affiancano il padre sin da giovanissimi occupandosi della ricerca di nuove eccellenze da inserire inizialmente nell’attività di commercializzazione e poi nell’enoteca Il Torchio di Caserta, di cui sono titolari, che nasce all’inizio degli anni novanta.

L’amicizia ventennale e l’altrettanto lungo rapporto lavorativo tra Alessandro e i fratelli Giannini li spinge a sognare di realizzare un progetto insieme. Nonostante le numerose degustazioni condivise in campo liquoristico i tanti impegni dei tre amici non portano a nulla fino al 2020, quando lo stop imposto dalla pandemia concede del tempo libero per ragionare su nuovi progetti. Nel 2021 i lori incontri si fanno più frequenti e i tre riscoprono vecchie ricette familiari e scambiano aneddoti dei loro padri; le storie sono talmente simili che sembrano siano state scritte dalla stessa mano. Alessandro confida di aver ricevuto dal padre un lascito prezioso, un Brandy del 1969; Mauro, invece, manifesta il forte desiderio di realizzare prodotti con i frutti del giardino realizzato dal padre in Traversa della Fonte. Iniziano a sperimentare infusioni di botaniche campane e le alchimie sono così entusiasmanti che Oreste esclama: “Caserta avrà un Opificio per la produzione di liquori artigianali Botanici”.

Il primo liquore realizzato è l’Amaro a cui si aggiungono altri tre prodotti: il Bitter, il Vermouth e il Gin. Quattro liquori da gustare assoluti o da impiegare nella preparazione di cocktail tradizionali e storici come l’Americano o il Negroni.

Il progetto nasce con l’obiettivo di produrre dei liquori unici, legati tra loro dall’utilizzo di foglie di mirto e alloro (botaniche presenti in tutti e quattro i liquori), e di piantare nei giardini di Traversa della Fonte in Pozzovetere di Caserta tutte le botaniche che reperiscono sul territorio.

A questa storia reale si affianca una versione fiabesca. Da questi personaggi di fantasia nascono i nomi dei liquori di Opificio Campano.

La storia inizia dal Matto

Questo personaggio è chiaramente in viaggio. Si dirige da qualche parte, non si sa dove. Non prende nulla sul serio e pare non faccia nemmeno caso alle erbe ai suoi piedi, piene di possibilità. Continua il suo perenne cammino, fatto di colori e splendidi profumi; lungo il suo percorso negli agrumeti dei Monti Tifatini, scopre una fonte d’acqua, purissima, dove decide di fermarsi.

Il Matto, dunque, inizia a raccogliere botaniche particolari, fino a incontrare un altro personaggio fondamentale, il Bagatto, il cui mestiere non è chiaro. Forse è un mago, forse un alchimista, di sicuro è un artigiano. Grazie alle sue mani esperte e al suo istinto, il Bagatto riesce a mettere ordine al caos in cui regnava, fino a poco prima, il Matto, sperimentando infusioni e realizzando miscele.

I loro incontri si fanno sempre più frequenti, il Matto si presenta sempre con nuove botaniche che il Bagatto utilizza per sperimentare nuove pozioni; dal caos, lentamente, con meticolosità ed enorme cura dei particolari, crea un’alchimia perfetta, un amaro, autentico come quelli di un tempo, che dedica all’amico MATTO.

Il Matto è Mauro Giannini, sempre alla ricerca di prodotti particolari, Alessandro è il Bagatto, l’alchimista. Oreste è quello che progetta il futuro con saggezza (e non ha ancora una carta associata alla sua figura)

I liquori

Matto – Amaro autentico

Un amaro autentico, geniale, imprevedibile e deciso, Mauro Giannini è sempre alla ricerca di botaniche nascoste e dei migliori agrumi del territorio campano. Raccogliamo alloro, mirto, rosmarino e noci nel giardino nascosto in Traversa della Fonte alle pendici di Caserta Vecchia, selezioniamo arance del Vesuvio, limone di Sorrento che, unite ad altre erbe amaricanti infuse in pregiato Brandy invecchiato in botti di rovere di Slavonia dal 1969, rendono Matto Amaro Autentico un grande amaro.

Gradazione: 32,7%       

Botaniche: Foglie di Mirto, Alloro, Rosmarino, Noci,  Arance del Vesuvio, Limone di Sorrento Igp, Genziana, Rabarbaro Cinese

Macerazione lenta, 4 mesi in pregiato Brandy del 1969 a 50% vol    Zucchero 18%   servire fresco o con ghiaccio.

Bagatto – Bitter Essenziale

Non un bitter qualunque, ma Bitter Essenziale. Nasce dall’esperienza del suo creatore, Alessandro Matarazzi, esperto alchimista, un mago nel selezionare le migliori piante officinali dallo spiccato gusto amaricante e abile nell’esaltare la grande personalità delle migliori arance campane. La macerazione lenta, in pregiato Brandy del 1969 ricevuto in lascito dal padre, ne esalta i profumi.   

Magico potente diplomatico Bagatto Bitter Essenziale, liscio o in miscelazione, l’unico capace di appagare i sensi.

Gradazione: 26,7%

Botaniche: Foglie di Mirto, Alloro, Arance del Vesuvio, Arancia Amara, Limone di Sorrento Igp, Genziana, China.

Macerazione lenta, 3 mesi in pregiato Brandy del 1969 a 50% vol    Zucchero 15%   Servire freddo o in miscelazione.

Il Sancio – Vermouth Rosso

La natura l’indole e la posizione declive del terreno rendono questo sito opportunissimo per una vigna. Il Cavalier Antonio Sancio scriveva nel 1826 a proposito della magnifica Vigna del Ventaglio pensata da Ferdinando IV di Borbone. I due raggi della vigna erano dedicati alla coltivazione del Pallagrello Bianco e Rosso. Abbiamo voluto riproporre un Vermouth Rosso dal carattere deciso e delicato che deve il suo carattere inconfondibile all’alchimia del Pallagrello unito all’infusione di assenzio, coriandolo e chiodi di garofano in pregiato Brandy.

Gradazione: 17,7%      

Vino Pallagrello Bianco e Pallagrello Rosso

Botaniche: Foglie di Mirto, Alloro, Assenzio, Coriandolo, Cardamomo, Chiodi di Garofano, Genziana. Macerazione lenta, 3 mesi in pregiato Brandy a 50% vol    Zucchero 14%.

Gardener’s House – London Dry Gin

Il giardiniere in questione è John Andrew Graefer che giunse a Napoli per dirigere i lavori per la realizzazione del Giardino Inglese nella Reggia di Caserta. È a lui che si è scelto di dedicare il Gardener’s House. Non solo un gin, ma un’esperienza sensoriale che coinvolge tutti i sensi. Ottenuto dalla doppia distillazione a bagnomaria – metodo discontinuo – di macerato di ginepro, mirto, alloro e cardamomo in pregiato alcool da cereali. Si selezionano foglie spontanee di mirto e di alloro, per ricreare in ogni bottiglia l’unicità del territorio campano.

Gradazione: 42,7%      

Botaniche: Ginepro, Foglie di Mirto, Alloro, Cardamomo. Macerazione in pregiato alcool da cereali, distillazione a bagnomaria discontinuo.

Opificio Botanico

Via Traversa della Fonte

Pozzovetere – Caserta

Tel. 0823 1310349 www.opificiobotanico.com

Terra di Lavoro Wines: Masterclass alla cieca dei vini DOP e IGP della provincia di Caserta

di Silvia De Vita

<<N.d.r.: il titolo ricalca fedelmente quanto vissuto dall’autore di 20Italie nella serata di presentazione a Salerno di Terra di Lavoro Wines. A conclusione della Masterclass (condotta in maniera magistrale), non è stato possibile conoscere l’elenco delle etichette proposte in assaggio. Un vero peccato, seppur motivato nella scelta inusuale dai protagonisti. Un imprevisto che ci limita, come stampa, nel racconto complessivo che vogliamo offrire sempre ai lettori. Nell’attesa di un’ulteriore degustazione guidata ove sarà possibile sapere anche le referenze scelte, ecco comunque, per dovere di cronaca, una breve sintesi dell’evento>>.

Ogni territorio presenta un prezioso patrimonio di vitigni autoctoni, il cui pregio è espresso dalla ricchezza e la diversità ampelografica. Caserta produce circa 1.800.000 bottiglie che qualitativamente ricadono all’interno delle DOC e IGT. Il Consorzio Tutela Vini Caserta VITICA, uno dei magnifici 5 della Campania, è stato il primo ad essere riconosciuto in Campania dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali con DM del 18/01/05, e si propone come traguardo la tutela, la valorizzazione e la cura degli interessi di tutta la filiera vitivinicola casertana, contribuendo a preservare la ricchezza varietale della viticoltura locale e la sua storia millenaria. Sono vini che raccontano di un passato importante, ma sempre aperti al futuro.

Il Consorzio Vitica raccoglie ben 5 Denominazioni di Caserta: Aversa Asprinio DOC, Falerno del Massico DOC, Galluccio DOC, Roccamonfina IGT e Terre del Volturno IGT.

Lo scorso giovedì 22 giugno 2023, presso il Saint Joseph Resort a Salerno, si è svolta una Masterclass sui vini di Caserta, organizzata e condotta da Nevio Toti (AIS Salerno) in collaborazione con Pietro Iadiccio  (AIS Caserta) e Cesare Avenia (presidente del Consorzio) per raccontare l’ampia ricchezza ampelografica del territorio casertano e le sue varie espressioni ed evoluzioni. 

Con l’aperitivo di benvenuto abbiamo avuto modo di conoscere la denominazione Aversa DOC, condivisa con la provincia di Napoli, dedicata al vino bianco, soprattutto in versione spumantizzata prodotta con le uve della varietà Asprinio.

La zona di produzione dell’Asprinio comprende 19 comuni della provincia di Caserta e 3 della città metropolitana di Napoli, collocati nella fertile piana aversana. In questa zona, tra coltivazione di ortaggi e frutta, domina, seppur con fatica, la tradizione delle cosiddette alberate etrusche, particolare sistema di allevamento verticale utilizzato nei vecchi impianti di asprinio. La DOP prevede sia la tipologia ferma-secca (minimo 85% di asprinio), sia la versione Spumante (asprinio 100%), ottenuto con metodo Charmat o con Metodo Classico. Appena 73,49 ettari è la superficie vitata idonea a produrre vini rivendicabili attraverso la DOP Aversa (o Asprinio d’Aversa). Sono viti patrimonio di bellezza, franche di piede e che si arrampicano “maritate” al pioppo, verso il cielo fino a raggiungere i 15 metri di altezza, fornendo delle imponenti barriere verdi cariche di grappoli. Uve che per essere raccolte impongono ai viticoltori equilibrio atletico su scale altissime.

Lo spumante proposto in degustazione con l’aperitivo di benvenuto, è un metodo classico da 48 mesi sui lieviti, con affinamento nei fondali marini. La freschezza spinta è la sua più importante caratteristica. Solare e gioioso già nel colore che tende all’oro, è avvolgente e intenso nei profumi agrumati e di pesca bianca: si percepisce qualche nota di  nocciola tostata, e sottile è la nota di anice stellato. Il perlage è fine e ne fa apprezzare ancor di più la cremosità la sapidità e la freschezza. Viene subito voglia di berne un altro bicchiere, e poi un altro ancora.

Al banco d’assaggio è possibile assaggiare anche un Asprinio versione ferma, fresco e con ottime punte di sapidità. Gli agrumi sono predominanti al naso come anche le erbe aromatiche. Risulta caratteristico e schietto, asciutto e vivace al palato, grazie anche alla gradazione alcolica contenuta.

I vini degustati durante la Masterclass sono stati 8: per ogni denominazione sono stati degustati 2 tipologie (un bianco e un rosso). Il delegato di AIS Caserta ha superbamente raccontato le varie DOC e IGT, sia da un punto di vista storico che di terroir. La degustazione è stata guidata in tandem da Nevio Toti.

Cominciamo dalla DOC Galluccio.

L’area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Galluccio si estende nella zona centrale della Campania. Il territorio è molto ampio e ricade proprio sull’antico vulcano spento di Roccamonfina. La denominazione prevede un Bianco, un Rosato ed un Galluccio Rosso. Il vitigno previsto per il vino bianco è la Falanghina che presenta delle note di spiccata mineralità dovuta proprio ai suoli vulcanici.

L’espressione rossa della Galluccio DOC arriva dalla zona est di Roccamonfina. Qui si esprime un Aglianico da clone diverso rispetto ai fratelli più noti. Si pone a metà tra il Taurasi e l’Aglianico del Taburno. Al naso sprigiona gli sbuffi del vulcanico, accompagnati da note balsamiche e speziate. La complessità del vino è arricchita da sentori di tabacco, cuoio e mandorla amara.

Falerno del Massico DOC è riservata ai vini ottenuti dai vitigni di Falanghina per i bianchi e Aglianico, Piedirosso e Primitivo nelle tipologie Rosso, Rosso Riserva, Primitivo e Primitivo Riserva. Nel versante Sud del Massico, il terreno è ricco di tufo grigio; verso Mondragone viene sostituito prima con le pozzolane e poi con le sabbie. Sul versante Nord, il terreno è ricco di argilla e di sostanza organica, ma la presenza vulcanica diminuisce drasticamente. Verso il mare i vini sono più caldi, più corposi. Il vino proposto in assaggio è una Falanghina che immediatamente presenta erbe aromatiche, frutta esotica, biancospino, fiore della magnolia con toni agrumati e sottofondo minerali. In bocca il vino disseta e lascia una buona sapidità.

Il terzo vino bianco degustato appartiene a Roccamonfina IGT. E’ una falanghina macerata in anfora. Il naso è proteso verso la frutta candita, verso note che ricordano la macerazione e la buccia dell’uva. Si riconosce nel bouquet l’affumicatura del Whisky torbato, l’uva sultanina e una scia dolce terminale di pasticceria. La bocca ha una parte morbida, e un attacco tannico importante.

Il rosso della denominazione Roccamorfina IGT è un Primitivo, con richiami olfattivi ai sentori primari e secondari dalla rosa canina, alla fragola e alla ciliegia. Una nota terragna accompagna il naso. Al gusto il tannino è presente ma piacevole. Il sorso riporta alla verticalità della freschezza e dell’alcool. Straordinario.

Segue il Pallagrello Bianco che appartiene alla IGT Terre di Volturno. L’area geografica vocata alla produzione del Vino di questa IGT si estende sull’omonima valle del Volturno, le cui caratteristiche ambientali ne fanno un contesto particolarmente ideale per la coltivazione della vite. Il naso è orientato verso frutti nostrani di pesca e albicocca, con note affumicate e presenza di note vegetali e resina. Più espansivo al gusto, il vino esprime maggiormente la sua anima dolce e acida grazie ai sentori fruttati, con scie agrumate.

Sempre della IGT Terre di Volturno è il Pallagrello Nero. Al naso è immediatamente percepibile il passaggio in legno, elegante, che però non copre i sentori del varietale consentendo di riconoscere l’amarena, i frutti di bosco e le spezie. Una nota balsamica e la Rosa lo accompagnano. In bocca si percepisce il tannino, ma non è aggressivo.

Locanda San Cipriano ad Atena Lucana (SA): sapori e passione sono da sempre ingredienti giusti

di Luca Matarazzo

Mi son chiesto spesso, nei lunghi viaggi in giro per l’Italia a scoprire realtà enogastronomiche degne di nota, quale fosse il segreto della cucina tale da toccare le corde del cuore e lasciare un ricordo indelebile.

Si sente parlare ovunque del concetto di gourmet: se chiedessimo – in un sondaggio pubblico – cosa significhi esattamente, otterremmo migliaia di punti di vista differenti. E lo stesso accadrebbe, ne sono certo per esperienza vissuta, ad un consesso di esperti di settore individuati tra chef e giornalisti.

Ciò succede perché il termine gourmet nella ristorazione ricalca le medesime, ampie considerazioni di terroir per un vitivinicoltore. Materie prime, cura e attenzioni per i dettagli e, naturalmente, la mano dell’uomo nel compiere quel gesto di amore e coesione tra le varie componenti.

Proprio quanto avviene alla Locanda San Cipriano ad Atena Lucana (SA), da Antonio e Sandra, uniti nel lavoro e nella vita. Il modo giusto per segnare il passo nel vasto mondo della cucina a chilometro zero, ove abbonda, dobbiamo dirlo a malincuore, anche tanta improvvisazione.

Appena varcato la porta d’ingresso del loro locale, accogliente e familiare, la sensazione immediata è stata un’intimità rassicurante per gli aromi che provenivano dalle pietanze in preparazione. Un momento nel quale poter aprire la mente, veicolando all’interno le parti più belle dell’arte del cibo.

Il menu era, punto per punto, come nelle migliori attese. Una vasta scelta di baccalà in diverse cotture, quasi il ricordo dei pranzi delle feste a casa con i parenti, a cui non abbiamo potuto esimerci dall’assaggio. E ancora: la pasta fresca fatta a mano e la guancia di vitello brasata cotta a bassa temperatura che non conosce stagioni.

L’antipasto prevedeva del baccalà fritto delicatissimo, accompagnato da peperone crusco sbriciolato, tipico delle ricette lucane. Seguono fiori di zucca che in queste zone si mangiano al naturale, fritti senza ripieno di mozzarella o ricotta. Terminiamo gli antipasti caldi con un filetto di baccalà con uvetta sultanina e alloro, simbolo della tradizione di Antonio e Sandra.

Commoventi e originali anche le proposte dei primi, scelte tra i ravioli ripieni di baccalà o la carbonara di baccalà con i suoi ciccioli.

Su quest’ultima scelta, le lavorazioni sono state molteplici per calibrare la densità dell’uovo e la croccantezza del cicciolo di pesce. Originalità, passione, sapore, ingredienti perfetti in ogni campo.

Chiudiamo in dolcezza con i dessert e precisamente il maritozzo, scelto sia nella versione classica che ai frutti di bosco. Altra abilità dello chef Antonio Giordano nel ricreare le emozioni di un tempo, quando la vita non era solo una corsa infinita.

Buona la carta dei vini con etichette facilmente abbinabili alle scelte gastronomiche. Non solo Locanda, ma anche forno con corsi sui lievitati e una piccola acetaia certificata, vera rarità per il Sud Italia.

Sandra Pellegrino

Siamo ancora sicuri di cosa significhi davvero essere gourmet?

Locanda San Cipriano

Via Serrone – Atena Lucana (SA) 84030

info@locandasancipriano.it

0975 511447

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella dallo chef una Stella Michelin Peppe Guida

di Silvia De Vita

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella

Un incontro interregionale tra due fuoriclasse del mondo enogastronomico: il produttore vitivinicolo Roberto Pighin e lo chef una Stella Michelin, con l’Antica Osteria Nonna Rosa, Peppe Guida.

In una cornice del tutto originale con un panorama mozzafiato, inerpicandosi tra strade sinuose, strettissime e vertiginose della Costiera Sorrentina, ad Alberi (NA), si è svolta la prima tappa del Pighin Tour. Villa Rosa – La Casa di Lella è stata la location prescelta per la cena degustazione durante la quale si è compiuto un connubio insolito tra Friuli Venezia Giulia e Campania.

Da sinistra lo chef Peppe Guida e Roberto Pighin

Due eccellenze, Peppe Guida, la cui semplice e strepitosa cucina è fatta di prodotti stagionali dell’orto e del pescato del giorno, e Roberto Pighin, vice presidente e responsabile dell’Azienda Pighin, i cui vini sono frutto di un progetto e di un’esperienza lunghi ben 4 generazioni.

La réunion è stata possibile grazie all’impegno di Giuseppe Buonocore del Gambero Rosso e da Ab Comunicazione nel creare una serata unica e speciale. La sfida è stata lanciata, quella di ampliare gli orizzonti e sperimentare come vini friulani di qualità possano accompagnare con piacevolezza piatti gourmet di tutt’altra tradizione e radici, garantendo ai 5 sensi percorsi emotivi di grande spessore.

Ma chi sono i due protagonisti della nostra serata?

La cantina Pighin si trova a Risano, in provincia di Udine e con i suoi oltre duecento ettari vitati rientra nelle DOC Friuli Grave e Collio Doc. Dagli anni Sessanta è tra i più conosciuti produttori friulani. Roberto Pighin, attuale responsabile dell’azienda di famiglia, è un uomo ben radicato nel suo territorio, ma con lo sguardo attento ai mercati esigenti e preparati. La passione per la terra, per il vino, per il lavoro traspare dalle sue parole.  L’azienda lavora utilizzando vitigni autoctoni e internazionali, rigorosamente sottoposti a selezione massale. Le viti sono radicate su terreni di pianura, composti da ciottoli di origine alluvionale che conferiscono ai vini importanti doti minerali.  “La scelta – dice Roberto Pighin – è quella di prediligere freschezza e immediatezza di beva, senza essere mai banali…” Poi continua: “Il vino deve essere come un abito e va abbinato a ogni circostanza”

Scendiamo verso Sud, a casa nostra. Villa Rosa – La casa di Lella è il luogo dove Peppe Guida, nell’Antica Osteria Nonna Rosa, esprime la sua arte culinaria. Splendida la vista della Villa sul Vesuvio e sul Golfo di Napoli, un tutt’uno con l’orto su cui lo chef punta tanto. Peppe Guida è un autodidatta incallito, una voce fuori dal coro, un uomo dall’aspetto serio con uno sguardo intenso e di poche parole. “Per me la cucina di territorio è quella della penisola, stretta tra le braccia” dice lo chef, aggiungendo “Abbiamo un giacimento così prezioso di prodotti caseari, ortofrutticoli, di terra e di mare, tutto a portata di mano. Io mi concentro su questo valore. Non c’è scarto, tutto è materia”. Non c’è menu prefissato, si lavora su base stagionale, con verdure e pescato locale che fanno da canovaccio a una tela reinterpretata quotidianamente, seguendo un percorso che varia a seconda delle giornate.

La nostra cena degustativa ha inizio con aria fritta, una deliziosa montanara, leggerissima e ben fritta con una salsa di pomodoro sul fondo. La leggerezza dell’impasto denota un’alta percentuale di idratazione oltre che un processo di lievitazione ottenuto con i giusti tempi. In abbinamento al piatto è stato proposto il Pinot Grigio Friuli Grave DOC 2022 di Pighin. Vitigno coltivato su terreni ghiaiosi, ben esposti con sistema di allevamento a Guyot. Vinifica unicamente in vasche di acciaio inox. Nel calice si presenta giallo paglierino tenue, mentre al naso spiccano leggeri profumi di frutta bianca. La persistenza non è lunga e nell’abbinamento la memoria del vino viene persa a vantaggio del piatto. 

Arriva la carrellata degli antipasti con i quali lo chef dimostra la sua passione per le verdure. La selezione prevede: culatello con emulsione di mozzarella, caponata, Melanzane a barchetta, tonno con pomodorini, alici marinate, fritto, totano e patate, Pasta e fagioli ripassata. Tutto cucinato con cura e con attenzione ai sapori originali. Particolare menzione merita il tonno con pomodorini e la pasta e fagioli del giorno prima ripassata.

Viene servito un Ribolla Gialla 2022 del Collio, meno declinato sui tipici sentori varietali. Coltivato nella zona del Collio Goriziano, terreno ricco della presenza di “ponca”, una roccia marnosa che sa conferire un carattere minerale ai prodotti del territorio. Al naso il vino regala profumi di frutta a polpa gialla in fase di iniziale maturazione e fiori di campo combinati a lievi cenni di pietra focaia e agrumi. Al sorso esprime freschezza e una nitida mineralità. Ottimo l’abbinamento sia con la pasta e fagioli ripassata che con il tonno. Degno di nota anche l’abbinamento con i fritti.

La pasta e patate con cozze e pecorino è la sorpresa che Peppe Guida ci riserva tra i primi. Un piatto estremamente equilibrato, con gli ingredienti risultano bene amalgamati tra di loro. Gradevole la trama dei sapori e delle consistenze. Il vino in accompagnamento è una Malvasia del Collio 2022. Riconosciamo l’espressività dei vitigni istriani. Il vigneto si trova a meno di 200 m sul livello del mare e cresce anch’esso sulla ponca. Nuance rivestite di giallo paglierino brillante, con note floreali di ginestra, camomilla ed erbe aromatiche e, a seguire, buccia d’arancia miste a sentori di frutta secca. Piacevole alla beva, arricchita da una grande freschezza e sapidità. Abbinamento riuscito alla perfezione!

La seconda sorpresa dello chef è un piatto di pesce: Pesce Musdea o Mostella le cui carni sono simili a quelle del merluzzo nordico, saporite e bianchissime, delicate e gustose. La mostella è servita con patate e scarolina tenera in una riduzione di limone, molto persistente e pregnante al palato. Il Collio Bianco Soreli ’20, di carattere, è ottenuto dal blend di tre bianchi autoctoni del Collio: il Friulano, la Malvasia Istriana e la Ribolla gialla. Naso da albicocca matura e vaniglia, e sorso fresco e longevo. Le uve vengono sottoposte a criomacerazione; Una parte del mosto ottenuto fermenta in vasche di acciaio sulle proprie fecce nobili. Una parte fermenta in “tonneaux” e in “barrique” di rovere Slavonia naturale e di media tostatura ove riposa fino all’assemblaggio.

Il fine pasto è affidato a una sfogliatella santa rosa scomposta con crema e amarene, degna rivisitazione della ricetta originale. In bocca è un’esplosione di sapori ed odori. Immancabile jolly è la zeppola fritta, che qui è una vera e propria istituzione da assaggiare.

Il Picolit ha un colore giallo ambrato, al naso è intenso, fine ed elegante. Ricorda l’albicocca e i fichi secchi. In bocca è dolce, caldo e armonico. Un vino passito, di grande concentrazione e persistenza. Ottimo chiusura di serata.

Un territorio cresce ogni qualvolta il confronto è cercato, condiviso e ragionato. Il connubio a Villa Rosa tra due grandi eccellenze del mondo enogastronomico ha sicuramente lasciato il segno. Il dialogo, la sperimentazione e l’apertura consentono sempre di migliorare e perfezionare le intese. Per il Pighin Tour 2023 possiamo concludere con la tipica espressione cinematografica “Buona la prima”!

Cantina La Sibilla: testimone della storia dei Campi Flegrei

di Luca Matarazzo

Narrare la storia dei Campi Flegrei significa passare necessariamente da La Sibilla, testimone da generazioni dell’opera vitivinicola di questo areale posto ai confini con Bacoli e immerso in una scenografia naturale da film di Hollywood.

La famiglia Di Meo persegue lo scopo praticato già dagli antichi romani, che hanno qui lasciato tracce indelebili sotto i resti dell’Opus Reticolatum tipico, probabilmente, di un vecchio acquedotto usato per le terme.

Nel mezzo, tra la fine dell’Impero d’Occidente e i tempi moderni, la storia fu scritta col dolore e con l’abbandono delle terre, causato dalla paura per i frequenti smottamenti dovuti al bradisismo. E poi eruzioni, brigantaggio, abusivismo edilizio: un lento incedere nel quale i produttori locali hanno dovuto confrontarsi per poter sopravvivere.

Terreni ricchi di materiale piroclastico sotto forma di cenere, mista a sabbie marine e argilla. Gli ettari vitati sono tornati 15 come i bei fasti del passato, anche se non tutti a regime, e le bottiglie vengono conservate assieme alle collezioni in una grotta ricavata nella roccia di tufo e recuperata abilmente dai Di Meo.

Mattia Di Meo la quinta generazione

La prima bottiglia è datata 1997; ai tempi, per l’intero comparto, la vendita era fatta in prevalenza di vino sfuso destinato a soddisfare i canali commerciali di Napoli e provincia. Proprio in quei momenti venne concepita la storica etichetta Cruna deLago, straordinario esempio di come la Falanghina riesca a dimostrare eleganza e serbevolezza quasi infinita.

La vedremo danzare in un confronto 2022 verso 2021, in due vintage simili per difficoltà tecniche e climatiche. Chiuderemo la carrellata degli assaggi con il raro Domus Giulii che esce in poche selezionate annate.

La degustazione

Cruna deLago 2022: assaggiato en primeur direttamente da vasca inox, dimostra straordinaria possenza, con immediatezza salmastra e acidità vibrante verso agrumi gialli. Non possiamo prevedere quanta vitalità conserverà nel futuro in bottiglia, ma se queste sono le basi…

Cruna deLago 2021: una gioventù disarmante, che le mantiene attivo al gusto tra richiami di ginestra essiccata, pepe bianco e mela golden. Rispetto al precedente campione sembra perdere qualcosina nell’allungo finale, pur in un paragone davvero ardito.

Domus Giulii 2015: attualmente in commercio. Nervoso, scalpitante tra nuance di miele, canditi e tonalità sulfuree. La lunghezza di bocca non è di sicuro il suo problema, ma necessita un obbligatorio abbinamento gastronomico, visto il suo ampio “calore”.

Viticoltori Lenza: la storia di Guido Lenza e del suo sogno realizzato a pochi passi da Salerno

di Luca Matarazzo

Ci sono poche occasioni nella vita per conoscere persone genuine come Guido Lenza di Viticoltori Lenza.

Questo perché mettersi in gioco è un affare per pochi e bisogna sapersi adoprare con umiltà, disinvoltura e un pizzico di sana follia. Il sogno di un’azienda completa, iniziata da papà Valentino e proseguita nelle mani sapienti del figlio a pochi passi dall’Ippodromo di Salerno.

Guido Lenza

Cererali, cavalli e vino un trittico da autentica tela bucolica, fatta di Natura viva! Oggi parleremo dell’ultima pennellata, l’attività da vigneron che costa immane tempo e sacrificio. Il primo appezzamento era di circa 5 ettari, tutti Aglianico, con il quale il babbo vendeva le uve per portare fieno in cascina. I terreni non sono certo quelli poveri collinari, ma ricchi di sabbie e limo, molto drenanti e raramente soggetti alle siccità estreme degli ultimi anni.

Attualmente Lenza gestisce 10 ettari vitati: oltre la varietà a bacca rossa principe della Campania le fanno compagnia Piedirosso, Greco, Fiano e Falanghina. L’aiuto iniziale di Sergio Pappalardo ha consentito alla start-up di partire con la fase di vinificazione e imbottigliamento, in mano poi a vari conto terzisti nel tempo e adesso stabilmente in capo alla Cantina Firosa di Olevano sul Tusciano, con enologo il giovane e competente Michele D’Argenio.

Andiamo alla degustazione dei campioni proposti

Rosato Pèt-Nat: il classico frizzante da aperitivo? Siamo fuori strada; indubbiamente ammicca ad uno stile piacevole, ma la struttura importante lo rende un prodotto gastronomico ben adatto a specialità a base di pesce. Ancestrale sì… con grazia.

Vale Fiano 2021: in commercio dagli inizi di marzo. Eccessi balsamici sul sorgere di bocca che non accennano a diminuire nel prosieguo, sostenuti da acidità vibranti e nuance erbacee. Il Fiano ha bisogno di riposo per essere compreso nel suo carattere ribelle mai domo. Da riassaggiare in futuro.

Ida 2021: suddiviso in parti uguali tra Greco e Fiano. Dal primo ne giova la palpabilità gustativa, con presenza astringente sul finale, mentre dal secondo la delicatezza di fiori bianchi e agrumi di Sicilia. Buona l’accoppiata, sempre per restare nel gergo dell’ippica. Matura 10 mesi a contatto con le fecce fini.

Massaro 2019: la forte vena bianchista dei produttori campani la si nota subito quando si esercitano timidamente nella produzione dei rossi. Non perfetta l’esecuzione, con freschezze esuberanti corredate da sfumature verdi. Già quattro anni sulle spalle e sembra in bottiglia da pochi giorni. La consapevolezza, forse, di un grande potenziale che necessita però di ulteriore approfondimento e studio.

Valentinia 2021: complice il venir meno di un importante acquirente per le sue uve, Guido decise di realizzare un vino sull’esempio di quanto avviene in Valpolicella, riuscendoci benissimo. Ottima bevibilità, declinata su un frutto nitido al sapore di bosco e speziature calde, su finale di confettura di ciliegie. Tannini sontuosi, ben equilibrati ad un alcool potenziale da sfiorare i 18 gradi volumici senza sentirli.

Ogni nome in etichetta rappresenta un componente della famiglia, eccezion fatta per il Massaro. Sintomo di come Lenza (professione avvocato) concepisca lavoro, vigna e affetti in perfetta soluzione di continuità. Una “scommessa vincente” per il domani dell’areale salernitano.

Campania Beer Expo 2023: al MANN di Napoli per incontrare l’arte campana della birra artigianale

di Silvia De vita

Si è appena concluso Campania Beer Expo, primo Salone regionale della Birra artigianale, nato in risposta alle esigenze del settore e promosso su iniziativa dall’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Campania, nell’ambito della Legge regionale della Campania 24 giugno 2020, n. 16 che prevede misure a sostegno della agricoltura di qualità e del patrimonio agro-alimentare nel settore della produzione di birra agricola e artigianale.

L’idea di una fiera annuale della birra agricola e artigianale da tenersi, a rotazione, nei diversi territori della Regione è nata per rispondere a quanto prevede la Legge Regionale orientata ad attività̀ di identificazione e di valorizzazione della produzione birraia agricola e artigianale della Campania, con occasioni e iniziative di informazione.

Nell’ultimo decennio, la richiesta di birra è cresciuta anche nella nostra penisola. La produzione di birra in Italia (anno 2021) è di circa 18 milioni di ettolitri. Da un quarto di secolo a questa parte la tendenza è sempre positiva, soprattutto grazie alla nascita e al progressivo sviluppo dei birrifici artigianali.

Una spinta decisiva allo sviluppo del settore è arrivata dagli under 40, coraggiosi giovani che hanno investito nella loro passione, “la birra artigianale”, facendo nascere realtà imprenditoriali e cogliendo le opportunità offerte dal mercato e gli aiuti della “res pubblica” e dell’Europa. In questo scenario sono nati gli oltre 50 birrifici artigianali in regione, di cui 19 presenti al Campania Beer Expo.

I  campani “brewers”, in un particolare momento storico, critico per l’economia (molti di loro sono nati nel periodo del Covid), hanno abbracciato con coraggio e competenza la richiesta dei consumatori di avere un prodotto artigianale di qualità, originale e, laddove possibile, tipico del territorio in cui opera il piccolo birrificio: ed è proprio questa la sfida più grande in atto, dal momento che ad oggi le materie prime utilizzate per la produzione di birra (luppolo, orzo, altri cereali) sono per la maggior parte importate.


Nel Giardino della Vanella, all’interno del MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – si sono tenuti percorsi di degustazione con banchi d’assaggio, incontri tecnici e giornalistici per favorire possibili sinergie tra produttori e operatori del settore. I produttori giunti dalle varie province campane, hanno esibito le loro referenze, spaziando tra le diverse tipologie di birra a disposizione. I visitatori hanno potuto assaggiare birre campane artigianali, uniche anche per la Biodiversità del territorio: una passeggiata di gusto tra i diversi banchi di assaggio, incontrando tutte le varie espressioni appartenenti al mondo delle Birre (a bassa fermentazione e ad alta fermentazione, le Ale, le Blanche, le Stout, le Weiss, etc.). …

Dinamica e stimolante; vivace e passionale sono alcuni degli aggettivi maggiormente utilizzati dai piccoli produttori protagonisti all’evento per raccontare la loro esperienza nel tessuto imprenditoriale del mercato.

Un ulteriore momento di approfondimento del settore è stato offerto ai visitatori con le Masterclass in programma;

  • “La Campania capitale della pizza e della birra” ha affascinato i presenti proponendo alcuni abbinamenti tra la birra campana e il famosissimo piatto tipico partenopeo;
  • Il BeerLAB dal titolo “Come comunicare la birra artigianale?” grazie alla presenza di Antonio Romanelli di “Hoppy Ending” e Fabrizio Ferretti di “Mosto – Birra&Distillati” con Gabriele Pollio, delegato AIS Napoli, ha dato spunti di riflessione e discussione alla platea sull’importanza di fornire ai clienti un’esperienza di qualità nel consumo di birra. È emerso il fatto che le generazioni cambiano e ora c’è tanta scelta: quindi è diventato più difficile, in pochi secondi al bancone, catturare l’attenzione del cliente che è già esperto.
  • Molto immersiva e formativa, con sfumature a tratti cabarettistiche, la Masterclass dal titolo “Equilibri di Gusto”, moderata da Gabriele Pollio e condotta da Lorenzo Dabove “Kuaska”, supremo maestro spirituale della birra e massimo esperto in Italia di birre belghe e non solo. Un piccolo viaggio attraverso la degustazione di 6 birre ha consentito agli appassionati di avvinarsi meglio ai diversi stili e ai produttori locali.
  • L’ ultimo BeerLAB è stato incentrato sul tema “Birra e turismo: la Campania da scoprire” con interventi di Livia Iannotti, referente Filiera Brassicola Coldiretti Campania, Vito Pagnotta, socio fondatore e consigliere del Consorzio Birra Italia, e Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio “Birra Italiana”, Consorzio di Tutela e Promozione della Birra Artigianale Italiana da Filiera Agricola.

Non sono mancate le Italian Grape Ale, chiamate anche IGA, il grande orgoglio italiano, vero e proprio anello di congiunzione tra la birra e il vino, dove l’ingrediente principale è proprio l’uva, uno dei frutti d’eccellenza della penisola italiana. Ed in Campania non potevano mancare le testimonianze delle espressioni di alcuni vitigni autoctoni della Regione: Ipogea, realizzata con l’impiego di mosto di uve aglianico lasco da un vigneto del 1929 (Birrificio Skapte Handcraft Beer), Maritata è una Italian Grape Ale prodotta con mosto di Asprinio di Aversa, vite di origine etruscada (Birrificio 082TRE ) e Waina da Uve Caprettone del Vesuvio (Birrificio Mal-Brewing).

Il mondo delle birre è davvero molto ampio e diversificato, ed arricchirsi di questa conoscenza richiede tempo, passione e tanti assaggi: al Campania Beer Expo 2023 tale percorso è stato facilitato! Non ci resta ora che aspettare la prossima edizione e nel frattempo continuare le degustazioni dei birrifici presenti: 082TRE, 84030, Birra Amore, Birrificio Karma, Birrificio Artigianale Napoletano, Birrificio Dell’Aspide, Birrificio Sorrento, Birrificio Ventitré, Cifra, Cuoremalto, Kbirr Napoli, Magifra Excellent Craft Italian Beer, Mal Brewing, Maestri del Sannio, Microbirrificio Artigianale Okorei, Microbirrificio Artigianale Incanto, Serrocroce – La birra artigianale da filiera agricola, Skapte Handcraft Beer, Parthenya

Campania.Wine 2023: la seconda edizione tra vino, gastronomia e cultura della Campania

di Ombretta Ferretto

La Galleria Umberto I e il MUSAP – Museo Artistico Politecnico –  sono stati il cuore pulsante della seconda edizione di Campania.Wine, manifestazione dedicata ai vini campani, che ha animato il centro storico di Napoli nelle giornate dell’11 e del 12 giugno.

L’evento è stato organizzato dai cinque consorzi di tutela vini della Campania (Irpinia Consorzio Tutela Vini, Sannio Consorzio Tutela Vini, Vesuvio Consorzio Tutela Vini, Consorzio Vita Salernum Vites, VitiCa Consorzio Tutela Vini Caserta) e dal Pomodorino del Piennolo Vesuvio DOP Consorzio Tutela, realizzato con fondi europei Campagna Medways_EU “European Sustainability”, con il patrocinio del Comune di Napoli e della Regione Campania in collaborazione con AIS Campania.

Centosedici le cantine coinvolte e oltre seicento le etichette in degustazione per questa seconda edizione che conta di una piccola parte delle aziende vitivinicole della regione. Ma vale la pena ribadire, come ha dichiarato Libero Rillo, Presidente Consorzio Tutela Vini del Sannio, che, con Campania Wine per la prima volta ben sei consorzi di tutela fanno sistema per dare vita a un evento di ampio respiro per la promozione di vino e territorio campano.

Le due giornate si sono articolate tra numerose iniziative dedicate a stampa, food blogger e appassionati. L’obiettivo ambizioso di raccontare il “Vitigno Campania” nelle sue molteplici sfaccettature di specie e di terroir, è stato centrato attraverso le masterclass diversificate per stampa e amatori, tenutesi al MUSAP, uno scrigno del patrimonio artistico e culturale di Napoli in Palazzo Zapata. I seminari rivolti alla stampa, condotti da Luciano Pignataro insieme a  Ferdinando De Simone, sommelier e archeologo, e Pasquale Carlo, giornalista, si sono incentrati su due macro temi: “La Campania dei vini di montagna”, dedicata agli areali Sannio e Irpinia, e “La Campania dei vini vulcanici e dei parchi naturali”, dedicata agli areali Vesuvio, Caserta e Salerno. Entrambi sono arrivati a coprire tutto il territorio campano, con una panoramica su storia vinicola, caratteristiche dei terroir e dei vitigni e degustazioni esemplificative di varie denominazioni.

Pillole di vino, invece, sono state raccontate nella masterclass dedicata agli amatori “La Campania in 10 vini”, tenuta dalla giornalista Chiara Giorleo in quattro sessioni giornaliere, con la collaborazione dei relatori AIS Campania che hanno capitanato le diverse degustazioni.

Durante le giornate di Campania.Wine, stampa, food blogger e influencer sono stati coinvolti in numerosi eventi a latere, dedicati a gastronomia e cultura, con lo scopo di evidenziare il rapporto che lega in maniera indissolubile storia, territorio e patrimonio enoico, in un connubio che dura da tremila anni.

In quello che a più riprese è stato definito il Rinascimento di Napoli e della Campania, la manifestazione ha voluto rappresentare un modo di promuovere il vino attraverso il suo territorio, ma anche l’inverso: promuovere il territorio attraverso il suo vino, come ci ha raccontato Cristina Leardi, Presidente del Pomodorino del Piennolo Vesuvio DOP Consorzio di tutela <<soltanto valorizzando il brand Campania, possiamo portare i nostri prodotti ovunque e, soprattutto, far venire sempre di più tutto il mondo da noi>>.

La premiazione “La Campania che ama la Campania” a fine kermesse per assegnare i riconoscimenti alle migliori carte dei vini con referenze regionali, rientra nella stessa ottica di sinergia. I walk around tasting si sono svolti nella monumentale Galleria Umberto I, che ha accolto i produttori in una suggestiva disposizione lungo le due strade che si incrociano ortogonalmente nell’ottagono centrale.

Tra le moltissime degustazioni effettuate in un percorso dedicato a specifiche denominazioni, segnalo venti etichette (l’ordine è dettato esclusivamente dalla successione di assaggio):

  • Kissòs – Falanghina del Sannio DOC 2018 – Cantine Tora
  • Crono – Falerno del Massico bianco DOC 2019 – La Masseria di Sessa S.A. srl
  • Licosa – Cilento DOC Fiano 2022 – Il Colle del Corsicano
  • Fiano – Colli di salerno IGT 2019 – Mila Vuolo
  • Ortale – Greco di Tufo DOCG 2017 – Cantine di Marzo
  • Libero – Falanghina del Sannio Vendemmia Tardiva DOC 2017 – Fontanavecchia
  • Alimata – Fiano di Avellino DOCG 2019 – Villa Raiano
  • Li Sauruni – Fiano di Avellino DOCG 2019 – Laura De Vito
  • Bacio delle Tortore – Fiano di Avellino DOCG 2022 – Passo delle Tortore
  • Vigna Laure – Greco di Tufo DOCG Riserva 2017 – Cantine di Marzo
  • Taurasi DOCG 2017 – Villa Raiano
  • Elle – Fiano di Avellino DOCG 2020 – Laura De Vito
  • Bosco Satrano – Fiano di Avellino DOCG 2019 – Villa Raiano
  • CRAI – Cilento DOC 2022 – Tenuta Cobellis
  • Patrinus – Paestum IGT 2021 – Il Colle del Corsicano
  • Colle delle Ginestre – Fiano di Avellino DOCG 2018 – Tenuta del Meriggio
  • Palimiento –  Paestum IGT Fiano 2019 – Albamarina
  • Perella – Cilento DOC Fiano 2019- Viticoltori De Conciliis
  • Valmezzana – Cilento DOC Fiano 2022 – Albamarina
  • Principe Lagonessa – Taurasi DOCG 2014 – Amarano

A chiosa di questo resoconto sono calzanti le parole di Teresa Bruno, Presidente Irpinia Consorzio Tutela Vini: <<la Campania è sapore, amore, emozione che ritroviamo in un percorso che va dal vino al cibo, attraverso la passione delle persone e il lavoro>>.

Acino – il mercato del vino e il nuovo format delle aste

Organizzare un evento a tema vino è cosa molto diffusa lungo tutto lo stivale: numerose le varianti disponibili offerte dalle manifestazioni presenti sul nostro territorio.

Si va dai classici banchi di assaggio con la presenza di produttori a raccontare i propri vini, alla masterclass condotte da esperti stakeholder, fino alle fiere in cui è offerta la possibilità di vendere i prodotti direttamente al banco e molto altro.

Una novità arriva da Avellino, che per tutti i fine settimana di questo mese di giugno offrirà la possibilità di partecipare ad un evento innovativo: Acino Il Mercato del vino. Giunto alla sua seconda edizione, è un evento pensato e organizzato da Visit Irpinia start up innovativa, fondata e guidata da Alessandro Graziano. Ex farmacista, da oltre 15 anni si dedica allo sviluppo di progetti per la promozione economica, culturale e sociale del territorio. Alessandro, con il suo team, ha creato una manifestazione volta a mettere in luce l’Irpinia in primis, dando voce e visibilità alle cantine dell’areale campano, ma non solo.

Alessandro Graziano, fondatore di Visit Irpinia

Allestito presso le storiche cantine A.MA Angelo Mastroberardino, l’evento si snoda su quattro week end di giugno (dal 3 al 25) dove, oltre ai banchi di assaggio, si è voluta creare per il pubblico un’esperienza più ampia, unica e coinvolgente Ogni fine settimana, infatti, l’animazione è affidata ad un/a Gran Cerimoniere differente ogni volta, che presidia due aste, una il sabato e una la domenica, battendo i lotti di vini da lui/lei ricercati e selezionati tra bottiglie rare, da vini di annata a quelli en primeur, ai formati insoliti, e che saranno aggiudicati al miglior offerente, come ogni asta che si rispetti.

I “battitori d’asta” sono stati scelti tra esperti del settore vino, ognuno con una differente specializzazione e ruolo nella filiera: distributori, influencer, comunicatori ma anche produttori, che si occupano anche di promozione del territorio. Per partecipare, è necessario prenotare il proprio posto sul sito dell’evento https://www.acinoacino.it/

Quest’ultimi sono i protagonisti assoluti della manifestazione, raccontando le proprie realtà e filosofia e facendo degustare i vini agli appassionati presenti. Inoltre, i partecipanti potranno anche portarsi a casa le proprie bottiglie preferite assaggiate in loco, disponibili nello shop appositamente allestito all’interno delle Cantine A.Ma. Per accedere all’evento si deve acquistare il kit degustazione, comprensivo di calice e una pettorina avendo così la possibilità di assaggiare tutti i vini delle cantine presenti.

Un food track presente nell’area esterna della location, è pronto a deliziare i partecipanti con golosi piatti espressi preparati al momento, per una esperienza enogastronomica territoriale a tutto tondo.

Acino – Il Mercato del vino con la formula delle aste è sicuramente un format innovativo e accattivante nel panorama degli eventi vinicoli, specialmente in Irpinia, regione che fa ancora un po’ fatica ad aprirsi al pubblico e a mostrarsi in tutte le proprie meravigliose sfaccettature.

C’è da scommettere, però, che al termine di dei fine settimana di eventi, questa straordinaria zona della nostra bella Italia vinicola, avrà ancora qualcosa di più da raccontare.

Ritorna Vitigno e Terroir: la Notte del Rosso tra pomodoro e vino

Comunicato Stampa

Ritorna l’evento Vitigno e Terroir, promosso dal Gruppo Giovani dell’Associazione Agro Azzurro nella splendida location di Villa Calvanese di Castel San Giorgio (SA), nei giorni 16, 17 e 18 giugno.

La rassegna La Notte del Rosso è una narrazione enogastronomica completa, immaginata per raccontare le eccellenze dei territori della Provincia di Salerno. Si partirà dal pomodoro per finire con il vino, in un percorso emozionale che coinvolgerà i 5 sensi attraverso un viaggio del gusto lungo le rotte di odori e sapori di casa nostra.

La Notte del Rosso è il colore del brio che unisce esperienze nata sotto la stessa radice culturale, con banchi di assaggio aperti al pubblico, live-cooking e wine experience.

Numerose le Masterclass e le tematiche in approfondimento in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier, main partner della kermesse con ANICAV e Coldiretti.