Sakè: il Nihonshu al tempo dei Samurai

L’élite militare giapponese nel relativo periodo medievale e lo storico fermentato di riso e koji sono stati secolarmente uniti tra loro. La figura del Samurai, classe guerriera del Giappone feudale, e il sakè costituiscono tutt’oggi dei simboli iconici fortemente radicati nella cultura del Paese dell’Estremo Oriente da cui traggono origine.

Infatti, per quanto la genesi del sakè, meglio chiamarlo Nihonshu, e l’affermazione dei samurai non siano state sincrone, sarà proprio la storia del Giappone a intrecciarli tra loro e ad ancorarli alla tradizione di questo Popolo nel fluire del tempo.

Un salto nel passato

Ci sono non poche probabilità che il casuale processo di fermentazione del riso, indispensabile per ottenere il sakè, abbia avuto origine in Cina attorno al V millennio a.C. nei pressi del Fiume Azzurro, per quanto altre ipotesi sostengano invece che sia avvenuto in prossimità del Fiume Giallo, durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a.C. Nella grande Cina, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, viene fatta menzione di una particolare muffa per la prima volta nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come aspergillus oryzae, un fungo filamentoso di estrema importanza per l’alimentazione Estremo Oriente, persino oggigiorno, e noto appunto come koji.

Quel che è certo è che, durante il Periodo Jomon, circa 1200 anni fa, era nota la sola presenza di uva selvatica in Giappone che, assieme ad altra frutta spontanea, serviva alla produzione di bevande rudimentalmente fermentate. Plausibilmente il nihonshu nasce tra il 300 a.C. e il 300 d.C. durante il Periodo Yayoi: le più antiche ed accreditate testimonianze in forma scritta, a riportare notizia sul consumo di sakè in Giappone, risalgono a questa epoca e sono riportate nelle Cronache dei Tre Regni, o “Gishi Wajin Den”, più precisamente nel Libro di Wei, testo cinese importantissimo in cui è descritto come interpretare e decifrare gli ideogrammi giapponesi su costumi, cariche pubbliche, luoghi geografici e, appunto, la consuetudine di bere alcol, sia durante le danze popolari che nei periodi di lutto a quel tempo.

Non è dunque un caso se, proprio in questo periodo, venne importata dalla Cina la tecnica di coltivazione del riso e furono compiuti i primi passi nel tentativo di produrre una bevanda fermentata antesignana del sake odierno. Grazie ai cinesi quindi, già maestri nella coltivazione del riso in terrazzamenti ed ambiente umido, si realizzarono le condizioni ideali per la produzione del sakè moderno nella penisola nipponica e fu possibile produrne il suo primo vero antenato: il kuchikami no zake; prodotto dalle sacerdotesse attraverso la masticazione del riso caldo, usando spesso anche miglio, castagne e talvolta ghiande che, sputato in tini di legno,  cominciava a fermentare anche grazie all’innesco di ptialina e ad enzimi come l’amilasi contenuti nella saliva. Da allora i progressi e le migliorie che hanno condotto il sakè primordiale a diventare la bevanda che conosciamo oggi sono stati innumerevoli.

La comparsa dei samurai

Questa casta di guerrieri, detta anche Bushi, apparve in Giappone intorno al X secolo d.C. e consolidò il suo ruolo, diventando un gruppo privilegiato, verso il 1191, grazie all’ascesa di Yoritomo, del clan Minamoto, il quale assunse il titolo di Shogun di Kamakura un anno dopo; erano noti per il loro coraggio in battaglia e per il loro rigido codice d’onore, il Bushido, oltre che per essere eccelsi spadaccini ed arcieri, abilissimi a cavallo e nelle arti marziali. La cultura dei Samurai aveva quali fondamenta disciplina, rispetto e autocontrollo, basandosi sul forte senso di lealtà verso i loro Daimyō, il clan di appartenenza e quindi lo Shogun, mostrando attitudine per il sacrificio di sé stessi e mettendosi a difesa degli oppressi. Tappe importanti per i Samurai sono il 1868, anno in cui l’imperatore Meiji istituì il “Giuramento dei Cinque Articoli“, con il quale inizia a smantellare, di fatto, la classe dei Samurai, vedendone ufficialmente sciolta la casta in questo periodo. Infine, nel 1876, lo stesso imperatore dichiarò illegale portare spade: scomparvero così i Samurai dopo un’esistenza quasi millenaria.

E la relazione tra Samurai e Nihonshu?

Sembra che i Samurai fossero in grado di reggere formidabili quantità di alcol e persino gareggiare a chi ne bevesse di più per dimostrare forza, resistenza, determinazione e lucidità, senza perdere il loro proverbiare autocontrollo. Ciò non vuol dire che fossero dei beoni, anzi contribuirono a migliorare la produzione e il consumo del sakè, grazie al loro gusto raffinato, arrivando in certi casi a plasmarne lo stile, essendo il Nihonshu inequivocabilmente parte della loro identità culturale. Insomma, essere samurai voleva dire a tal punto di avere un palato raffinato che consentiva loro di selezionare un particolare sakè in base al suo sapore, aroma e la sakagura in cui veniva fatto, al fine di intrattenere gli ospiti, dimostrando quindi abilità sensoriali e comunicative. Alcuni arrivarono addirittura a commissionare tazze e contenitori speciali che meglio riflettevano il loro status e il loro gusto personale.

La storia dei 47 Ronin, Samurai senza padrone, risale al 1701: in pratica, un gruppo di Samurai si vendicò su un potente e corrotto Daimyō, tal Kira Yoshinaka, poiché aveva dapprima insultato e poi messo il loro signore, Asano Naganori, nelle condizioni di commettere seppuku, il suicidio rituale. In particolare Yoshikane Oishi, che era stato prosciolto nel suo ruolo di Bushi e lasciato senza padrone, trascorse più di un anno a pianificare i suoi propositi di vendetta assieme agli altri camerati del clan Naganori e, la notte dell’attacco, bevve una tazza di sake prima di dare l’ordine di assalto.

Esistevano comunque altri rituali fondamentali nella vita di un Samurai, come la lucidatura della sua spada e il gesto dello sputo su di essa. Infatti, prima che un samurai pulisse la sua spada, vi sputava sopra del sakè, essendo un simbolo di purezza, atto a rappresentare la purificazione dell’arma sacra. In secondo luogo il sakè costituiva un simbolo dell’onore del Samurai e quest’ultimo giurava il suo onore alla spada. Infine, impegnava il samurai a trasmettere il suo coraggio nell’uso della spada.

Il rito, noto come Bushi-Nin Sake, era un passaggio fondamentale compiuto prima che un guerriero o un Samurai andassero in battaglia, praticato persino dai kamikaze durante la Seconda Guerra Mondiale e richiedeva che il samurai-pilota sorseggiasse sakè prima di ingaggiare il nemico nel duello aereo. Costituitosi nel 2004, a tutela della cultura e del bere giapponese, il JapanSake Brewers Association Junior Council, ha istituito la figura del Sake Samurai, titolo onorifico concesso a coloro che nel mondo divulgano la conoscenza e la passione per il Nihonshu, conferendo le prime nomination annuali a partire dal 2006.

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Gaetano Cataldo

È da un pezzo che scrive sul vino, e non solo! La consacrazione arriva nel settembre 2014 mettendo a segno la pubblicazione sulla rivista Vitae de “Il Vino unito al Mare”, ben prima degli underwater wines. Gaetano è amante dell’Oceano-Mare e del Mondo Vino tanto da farne una doppia esistenza: uno dei suoi mestieri l’ha condotto in molti luoghi del globo, al confronto con altre culture; l’altro gli ha insegnato a gustare ed apprezzare differenze e sfumature. Ufficiale di coperta ed F&B manager, Gaetano incarna e traduce il rapporto tra il Vino e il Mare, navigando e naufragando dolcemente tra scali marittimi e vigneti. Global e local al tempo stesso, per attaccamento alla sua terra, continua a indagare da eterno studente attraverso la cultura del Mare Nostrum, scoprendo Dioniso è stato anche in Giappone. Ha creato Mosaico per Procida assieme a Roberto Cipresso, ha portato la celebre bottiglia a sua Santità citandogli Giordano Bruno e, mentre erano tutti sbronzi, si è fatto nominare Miglior Sommelier al Merano Wine Festival. È sempre "un ricercato" per le Autorità dell'enogastronomia...

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