Ogni buon appassionato di vini del proprio territorio è spesso incuriosito (e a volte prevenuto) alla presenza di nuove realtà. Si pensa che ormai nessuno abbia qualcosa di nuovo da offrire in un mondo vitivinicolo già dominato dai “big” storici.
Questo atteggiamento è comprensibile, soprattutto se consideriamo che molti ci provano, ma pochissimi riescono a emergere, e quei pochi pagano lo scotto dell’immaturità dei primi anni non avendo un background consolidato alle spalle.
Fortunatamente, noi “curiosi” cerchiamo di osare e trovare un equilibrio tra l’esplorare qualsiasi proposta e il restare unicamente nella zona di comfort. La nostra audacia viene ricompensata quando troviamo produttori come Filippo Poggi di Tenute Bacana.
Siamo a Villa Vezzano, una minuscola frazione di appena 300 anime, confinante con Tebano (Faenza) ma che fregiarsi di essere, seppur di poco, sotto il comune di Brisighella. Lo si capisce anche dai terreni variegati: argillo-ferrosi e sasso-sabbiosi, a seconda della particella, ma sempre con buone dosi di calcare, tipici della Brisighella “bassa”.
La storia di Tenute Bacana affonda le radici nel secondo dopoguerra, quando il nonno materno di Filippo, Angelo Liverani, coltivava viti nei poderi di famiglia. Come avveniva nella stragrande maggioranza dei casi di quell’epoca, l’uva veniva poi conferita alle Cooperative vitivinicole sociali, ad eccezione di quei grappoli riservati per produrre il “vino per la casa”.
Facciamo ora un salto avanti di almeno 70 anni. È il 2020, e in Italia imperversa l’epidemia di Covid-19. Filippo (classe 1998), stanco del suo lavoro di trasfertista per una nota azienda di packaging, decide che è arrivato il momento di provar a fare qualcosa di suo. In fondo lui le viti le ha sempre coltivate assieme al nonno e la passione non gli manca.
Parte l’esperimento non senza un pizzico di sana follia. Filippo dimostra audacia nel produrre, già il primo anno, 5.000 bottiglie di Sangiovese e 5.000 bottiglie di Albana. Senza un aiuto. Senza qualcuno che curasse la parte commerciale o il marketing. La sera, dopo il lavoro e nei weekend, caricava le bottiglie in macchina e bussava a tutti i locali e ristoranti della zona. Ed ha funzionato. Il vino riscuoteva così tanto successo che ogni volta tornava a casa senza bottiglie. Quell’anno fece il tutto esaurito e anche l’anno successivo e pure quello seguente.
Un successo che trova la sua chiave di volta in un prodotto genuino che si è ben guardato dallo scimmiottare qualcosa già esistente, aggiungendo quindi un tocco di personalità tramite il legame con i vitigni e il territorio. Il tutto condito da una grandissima dose di umiltà. Sì, perché Filippo è rimasto umile, continuando a fare un secondo lavoro, l’agente finanziario, in modo da potersi permettere di fare qualche investimento per vedere il nome di Tenute Bacana crescere Un’umiltà che dimostra nell’accogliermi a casa sua preparando tagliatelle al ragù della tradizione con l’entusiasmo di farmi assaggiare i suoi vini.
Albana 2023
Un sapiente di mix di una parte raccolta in leggero anticipo con criomacerazione per donare freschezza e una parte in vendemmia leggermente tardiva (fine settembre) per donare spessore, condite da sosta di 3 mesi sulle fecce fini.
Al naso regala un’esplosione di profumi, più che altro di fiori delicati come la camomilla ed erbe aromatiche come il rosmarino. La frutta, la classica albicocca, arriva solo dopo qualche olfazione. C’è spazio anche per tanta mineralità e per un finale su aromi di lavanda, talco e altre essenze floreali. In bocca è rotondo, masticabile. C’è concentrazione ed estratto senza risultare pesante.
Intento 2023
Eliminiamo subito la curiosità del nome riportato in etichetta (che fra l’altro è l’unico dato che Albana e Sangiovese non hanno ancora un nome). Il romagnolo ha l’intento di far grande il Trebbiano, da sempre bistrattato ed accostato al vino in brick. Inizialmente non era l’idea di Filippo, che con appena 15 quintali voleva conferirlo alla cantina sociale. Però quest’anno, complici altri impegni in vigna, l’ha lasciato lì fino alla prima settimana di ottobre, constatando che l’uva era perfetta. Ed ecco il primo tentativo di sole 2000 bottiglie proprio con questa annata, la 2023.
La presa al naso è più timida rispetto all’Albana. Un vino che vira sul vegetale fresco/mentolato. Frutta che ricorda pera, mela renetta e perché no, la giuggiola.
In bocca è materia pura. Cremoso, a tratti quasi da sorbetto. L’acidità purtroppo non prevale, ma c’è estrema sapidità a reggere la spalla delle durezze. Finale di bocca lungo e non amaro.
Piccola curiosità: esce in denominazione Brisighella Bianco.
Sangiovese 2022
Il colore è davvero invitante, quello “bello” del Sangiovese rosso carminio saturo e con buona trasparenza. Il naso è gracile e spinge a tratti su freschezza di mora, fragolina di bosco e nepitella, mentre il calore ci rimanda a una frutta leggermente macerata. In bocca l’alcool è ben integrato, con accenni di rotondità. Il sale dona un ottimo equilibrio. Manca un po’ di lunghezza ma il coup-de-nez finale rivela l’integrità aromatica riscontrata all’inizio. Da perfezionare.
Filippo, vorremmo davvero assaggiare questi vini fra qualche anno, ma se vendi sempre tutte le bottiglie attenderemo con piacere.