di Matteo Paganelli
Anima dei Tre Colli. È questo il nome scelto per la neonata associazione di viticoltori Brisighellesi.
Ai blocchi di partenza sono in cinque: Azienda Agricola Gallegati, Fondo San Giuseppe di Stefano Bariani, Podere Baccagnano di Marco Ghezzi, Vigne dei Boschi di Paolo Babini e Vigne di San Lorenzo di Filippo Manetti.
La prossima ad entrare sarà La Collina di Mirja Scarpellini, anche se i confini dell’associazione sono i medesimi che insistono sulla sottozona Brisighella del Romagna Sangiovese (includendo quindi una parte di Faenza e una parte di Casola Valsenio), portando a circa 18/19 le aziende che potrebbero farne parte. Il fermento che si è creato negli ultimi giorni, infatti, denota un grande interesse all’ampliamento dell’associazione.
Per l’occasione, 20Italie si è recata in quel di Faenza per intervistare Cesare Gallegati, presidente dell’associazione. Da buon padrone di casa, con l’ospitalità che lo contraddistingue, Cesare mi fa accomodare all’ombra nel suo dehor mentre va a prendere due bottiglie che aveva precedentemente raffreddato, per potermele servire durante la chiacchierata. E così, fra i frinii delle cicale e i paupuli dei pavoni, incomincio a porre qualche domanda a Cesare, perché la curiosità a riguardo è tanta.
20Italie (Matteo Paganelli): Cesare, come è nata l’idea di questo progetto e quali sono state le esigenze riscontrate che lo hanno reso necessario?
Cesare: Nonostante il benestare ufficiale sia arrivato il 18 di aprile, è più di un anno che ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto delle riunioni preliminari cercando di coinvolgere più persone possibili e alla fine l’idea è nata da queste cinque aziende che hanno sentito l’esigenza di unirsi per provare a promuovere la nostra sottozona in una maniera più idonea, più incisiva. Finora Brisighella è ben conosciuta per l’olio e per la bellezza del borgo storico. Nonostante nel corso degli anni tanti produttori di vino siano stati premiati dalle guide nazionali, la sensazione è che ancora la Brisighella del vino non sia stata valorizzata come dovrebbe. Oggi, la vediamo inoltre come strumento di risposta all’alluvione che ha messo in luce severe criticità.
20Italie (Matteo Paganelli): Anima dei tre colli. Cosa si cela esattamente dietro a questo nome?
Cesare: Anima inteso come comunità, come capitale umano che oggi insiste su Brisighella, un gruppo di persone che ha capito che da soli non si va da nessuna parte. Un gruppo di anime coese ma allo stesso tempo diverse; abbiamo infatti anime di vignaioli anarchici, anime di vignaioli estremi e anime di vignaioli nobili. Nonostante questa diversità, c’era la volontà di dire: “mettiamoci assieme e proponiamo un vino con un protocollo condiviso che tutti, seppur nella loro interpretazione, dovranno seguire”. Tre colli come i tre areali di Brisighella: le zone alte (marnose-arenacee), i gessi e i terreni calcarei. Zone molto diverse nel contenuto geologico ma che fanno del terroir la loro cifra stilistica che li unisce, alla ricerca dell’identità.
20Italie (Matteo Paganelli): Qual è lo scopo del vino che uscirà con l’etichetta e il marchio di questa nuova associazione?
Cesare: La volontà di aver un vino con una valenza nazionale e internazionale, una credibilità anche fuori dal nostro areale. Per questo motivo il disciplinare prevederà affinamento in legno, perché non esiste al mondo un vino di grande spessore che non abbia avuto un passaggio, seppur minimo, in legno. Del resto, il disciplinare prevederà poche altre cose che però caratterizzano la cifra stilistica del vino: no macerazioni estreme, no anfora, no ossidazioni. Non ci sarà qualcuno che giudica, dovrà essere un lavoro che viene fuori dalla condivisione, dagli assaggi continui che faremo, per accordare il gruppo. Questa è la cosa bella. Un po’ come succede in Borgogna, dove c’è un’idea condivisa di vino e se qualcuno fa un vino straordinariamente buono ma non è accordato con l’idea comune non viene apprezzato.
20Italie (Matteo Paganelli): Perché è stata scelta proprio l’Albana come unico vitigno di questo nuovo protocollo?
Cesare: È stata una scelta ponderata da un presupposto. È vero che noi facciamo dei grandi Sangiovese e che il Sangiovese è un vitigno importantissimo che caratterizza la Romagna e i Romagnoli. Ma quello che ti può far svoltare veramente a livello nazionale e internazionale dove ‘ci sei tu e nessun altro’, è l’Albana. È su questa che dobbiamo puntare se vogliamo farci riconoscere. Possiamo fare un Sangiovese buonissimo ma oggi il Sangiovese nel mondo è Toscana. L’Albana invece ce l’abbiamo solo noi. Quando l’Albana diventò la prima DOCG bianca d’Italia, il sistema era tarato su una risposta completamente diversa. In una Romagna del 1987 dove “si vendeva solo ciò che pesava”, dove si era abituati a rese di 300 quintali per ettaro, entrare con un disciplinare che te ne imponeva 110 ha reso l’Albana non più interessante, causandone il crollo degli ettari vitati dai 10.000 dell’epoca ai poco più di 800 odierni. Oggi giorno, pensando a un’Albana di collina dove le produzioni sono per forza di cose limitate, possiamo dare la risposta che finalmente coincide con gli interessi comuni.
20Italie (Matteo Paganelli): Qual è il futuro dell’associazione?
Cesare: È presto per dirlo. Sicuramente questo lavoro lo cederemo alle future generazioni perché non so se ce la faremo a vedere concretamente i risultati. Vogliamo dare loro una possibilità di lavorare su qualcosa di diverso, e questo progetto potrà servire da traino pure per il Sangiovese e per il Trebbiano, perché in Romagna si può fare qualcosa di molto bello.