Esistono luoghi dove il cambiamento climatico non è visto come un nemico. Posti unici nel panorama ampelografico italiano così diversificato e ricco, a modo suo, di innumerevoli espressioni. Non è da meno la denominazione Chianti Classico con le UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) realmente efficaci ad individuare le particolarità di terreni e clima in un fazzoletto di qualche migliaio d’ettari. Valeria Zavadnikova può trovare sollievo dalle ansie di quanto sta accadendo in Ucraina pensando alle splendide vedute delle colline toscane ed ai vini eleganti ed austeri prodotti nella sua Fattoria di Montemaggio.
La fortuna di Valeria fu quella di incontrare lungo il percorso l’agronomo Ilaria Anichini, che ha dedicato anima e corpo alla continuazione del progetto svolgendo un ruolo difficile da vero factotum all’interno dell’organigramma. Dopo la laurea presso l’Università di Agraria di Firenze, Ilaria ha lavorato in aziende vinicole all’estero in Australia e Bordeaux, tuttavia ha sempre sognato di tornare nel Chianti e di dirigere la squadra in una piccola tenuta. La vera anima è da sempre la Anichini con il proprio stile inconfondibile nel creare prodotti “confortevoli” all’assaggio, anche a costo di attendere qualche istante in più prima di vederli in commercio.
Un ambiente meraviglioso e fortemente vocato, uno dei tanti di cui si compone l’areale. Galestro ed alberese dominano sulle altre matrici, con esposizioni a sud ovest per adeguare le varietà a bacca rossa verso perfette maturazioni polifenoliche in regola con quelle zuccherine. Siamo pur sempre a 450 metri sul livello del mare. Passione anche per il Pugnitello, vitigno storico riscoperto di recente e prodotto in purezza solo da poche cantine. Otto ettari vitati su complessivi 80 per circa 30 mila bottiglie prodotte ogni anno.
La cantina racconta di processi artigianali eseguiti con il minimo intervento dell’uomo. Nessun lievito selezionato ed utilizzo di botti grandi per evitare ridondanze legnose a discapito delle delicate sensazioni floreali e fruttate, marchio celebre dei vini di Radda in Chianti. Due donne volitive al comando e non è un caso che l’immagine e il logo siano rappresentati proprio da una giovane etrusca con un cesto d’uva in testa. Marina Zimoglyad ha avuto l’idea e si è ispirata al dipinto realizzato dal marito Andrey Remnev, noto e apprezzato pittore russo.
Ciò che distingue i vini di Fattoria di Montemaggio è la serbevolezza nata dall’esigenza di attendere la miglior veste, divenuta un punto vincente considerando l’elevato impegno economico nello stoccare annate diverse senza monetizzare rapidamente. Capire, a volte, di aspettare quando bisogna aspettare senza compromessi al ribasso, significa evitare di danneggiare l’intera comunità vitivinicola.
Chianti Classico 2015 – quando in vendita si trova la 2020 qui le lancette si sono fermate ad un lustro fa alla calda e potente 2015. Acidità vibrante di arancia tarocca e parte balsamica sul finale di bocca. Si incunea una scia sapida data da tannini saporiti e ben integrati che rende dinamiche note molto dense e caloriche. Un gastronomico esempio di Chianti Classico d’annata.
Chianti Classico Riserva 2014 – che la 2014 fosse complicata lo si rammenta per un’estate fredda e piovosa dove il sole giocava a nascondino. Quei pochi “folli” che hanno rischiato sembrano aver vinto sullo scetticismo generale. Di sicuro non saranno espressioni memorabili e di ampia prospettiva, ma le nuance delicate e gioviali aiutano, eccome se aiutano! Ciliegie mature, pepe nero in grani e sensazioni iodate su chiusura da affumicature di brace. Delizioso e immediato.
Chianti Classico Gran Selezione 2013 “Alberello” – manto di fiori rossi con attacco di frutta macerata al sapore di amarene e tamarindo. Progressione succosa tra sottobosco e chinotto, tanta estrazione di ottima qualità. Il miglior campione di giornata, dal futuro ancora lunghissimo.
Quinta Essentia 2015 – non poteva mancare una piccola digressione in chiave Supertuscan con un blend di Sangiovese e Merlot. Un ragazzo che sogna di raggiungere la piena maturità con tanto riposo in bottiglia. Eppure la godibilità identitaria per la tipologia lo rende un perfetto esempio di quanto possa raccontare la corretta integrazione tra il principe degli autoctoni toscani e gli internazionali divenuti italiani a tutti gli effetti. Sarà forse una coincidenza?