Sette vite come i gatti. Sette annate così diverse ed entusiasmanti del Quartara di Lunarossa. Mario Mazzitelli non manca di stupire continuamente con la ricerca spasmodica della perfezione; lo fa andando controcorrente nell’utilizzo di tecniche e contenitori per elevare i suoi vini ad uno status di reperti unici sul mercato.
Parlare di terracotta, sotto forma di orcio anni fa e divenuta adesso prodigio di uniformità con le anfore Tava, saper maneggiare al meglio tale materiale retaggio di uno stile primordiale, è da veri precursori del ramo. Ebbi una folgorazione nel 2015, all’epoca ancora imberbe del mondo del vino mi appoggiavo ad un ristorante purtroppo scomparso che si chiamava Sorso 23. Per i pochi eletti che hanno avuto la fortuna di scoprirlo (la location era a dir poco curiosa, posta nelle vicinanze di una pompa di benzina verso Baronissi), la proposta vini era davvero interessante, curata nei dettagli dal sommelier Alessandro Pecoraro, ex della braceria Terrantica e attualmente in capo a Casa del Nonno 13.
Gli studi iniziali
Trascorsi quasi 10 anni da allora, dopo aver incontrato più volte Mario Mazzitelli negli eventi enogastronomici, finalmente ho avuto modo di visitarne l’azienda nata nella filosofia “parva sed apta mihi”. Mario si è prima laureato in Scienze delle preparazioni alimentari a Portici, iniziando a lavorare da un amico produttore a Mirabella Eclano e, successivamente, dall’istrionico Bruno De Conciliis che lo ha avviato alla conoscenza dell’enologia. Nel 2001 passa da Venica & Venica come tecnico di laboratorio, per conseguire l’anno seguente il Master in Viticoltura ed Enologia dalle mani del prof. Attilio Scienza.
L’incontro con Roberto Cipresso
Ormai il tarlo di come realizzare un vino aveva già intaccato la sua mente, avida di nozioni e metodi da apprendere. Ed ecco spuntare Roberto Cipresso che lo volle con sé agli inizi del 2003 a Montalcino per aiutarlo nelle consulenze delle Tenute. Il rientro a Salerno con un bagaglio di esperienze importanti conducono Mazzitelli a lavorare dapprima alla Cooperativa Vitivinicola Cantine Monte Pugliano e, dopo la chiusura, a creare il marchio Lunarossa acquisendo le uve da alcuni conferitori per iniziare a imbottigliare.
Il progetto Lunarossa
Siamo giunti nel 2007 con Lunarossa, e con l’aiuto dell’enologo Fortunato Sebastiano viene concepita l’idea del Quartara, un Fiano vinificato e maturato in anfore di argilla e pietra lavica. Con la dovuta calma, imparando anche dagli sbagli, si è passati anche all’inserimento di legni piccoli di rovere e a calcolare lotto per lotto, parcella per parcella, quali dovessero essere i tempi esatti per ottenere il meglio. Un’opera certosina, impressionante, che lascia di stucco per la modestia del suo autore che non si vanta mai di quanto realizzato con sacrificio quotidiano. Oggi parleremo di 7 annate di un vino icona della Campania, amato da chi riconosce le cose belle di questo mondo che ha ancora tantissimo da raccontare (senza “supercazzole” per carità); temuto e visto con diffidenza da chi si limita ad una visione superficiale o in malafede e preferisce prodotti omologati costruiti ad arte.
A ciascuno il suo Quartara
La degustazione seguirà l’andamento dalla vintage più recente a quelle più lontane nella memoria:
2020: assaggiata proprio per le Festività natalizie, in abbinamento ad un formaggio a pasta molle dell’azienda Kasanna di Nicola Memoli a Sala Consilina, affinato nelle vinacce di uve Aglianico. La linerarità del sorso lascia disarmati. C’è tutto del Fiano, dai fiori bianchi alla polpa di pera e mela per concludere verso un tocco aromatico di spezie dolci. Equilibrio e potenza uniti verso il futuro.
2019: la sosta in anfora prevale nell’espressione resinosa e balsamica con sensazioni di tostature e mandorla essiccata nel finale. Pecca leggermente in lunghezza, mostrando i limiti di un’annata a tratti siccitosa, a tratti troppo fresca nei momenti salienti di sviluppo degli acini e di vendemmia.
2018: bella, scattante, agrumata. Per i rossi italiani è stata in chiaroscuro, ma dai bianchi arrivano numerose soddisfazioni. Emerge la vena minerale tipica del varietale, con nuance iodate di salsedine e pietra marina. Saporito.
2017: pesa il caldo eccessivo, a volte fiaccante. Anche la vigna più forte e resistente alla lunga si chiude a riccio per sopravvivere, a discapito di acidità e note vibranti. Ha ormai detto il suo.
2014: le piogge eccessive hanno influito sulle corrette maturazioni, tuttavia il prodotto finale risulta delicato ed espressivo; un carattere a tratti mordace, quasi un ricordo di catechine, che rendono il vino instancabile al palato (e fortemente defaticante).
2013: ecco il mio colpo di fulmine, eseguito ancora alla vecchia maniera ovvero spingendo con la parte ossidativa in stile orange wine. Alla cieca lo avrei posto ai confini tra Friuli e Slovenia, invece siamo qui nella Provincia di Salerno. Fiori secchi, albicocca disidratata e tanto zenzero e pepe bianco in chiusura. Eterno.
2012: commovente. Dai riverberi di miele di millfiori, pesca acerba ed erbe officinali. Struttura e nerbo in un guanto di velluto. Ancora vivo e scalpitante, il migliore assaggiato finora, anche se la 2020… chissà.
Ave al “tuo” Quartara o Mario Mazzitelli!
1 commento su “Lunarossa: le 7 vite di 7 annate del Quartara di Mario Mazzitelli”
Ma che bell’articolo! Come sempre, caro Luca, è un grandissimo piacere leggere!