La Romagna è una terra di mezzo, ed è inevitabile attraversarla e fermarsi. Chi non ha mai assaggiato un piatto di pasta fresca fatta in casa o sentito e letto di Pellegrino Artusi?
Lui, romagnolo doc nato a Forlimpopoli, letterato e gastronomo, autore del libro “la scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. La sfoglia, regina della cucina romagnola, in passato era una certezza di un pasto caldo, forse l’unico tipico di ogni famiglia.
Saperla tirare a mano, può sembrare strano, era una buona dote di ogni futura sposa. Compito della ‘zdora, la donna più anziana della casa, tramandare quest’arte alle fanciulle. La zuppa preparata con quel che c’era ha lasciato poi il posto alle minestre: da noi, in bassa Romagna per minestre si intendono sia paste in brodo che asciutte. Come si sa questa terra è piena di campanili ed ognuno ha il suo suono, così come le ricette di casa, aggiustate di sapore, utilizzando il meglio disponibile.
Ma con il boom economico avviene il passaggio a piatti più ricchi, quali paste asciutte con ragù importanti di carne o pesce. Quella parte di anima romagnola che è in me continua grazie alla mia nonna paterna, che quotidianamente, china sul tagliere, impastava farina e uova, ricavandone un disco sottile, giallo, rotondo come il sole. Sapientemente tagliato nascevano tagliatelle, tagliolini, pappardelle, quadretti, maltagliati, reginelle, pestini e monfettini. Le mani pizzicavano la pasta che si trasformava in farfalle, garganelli, strichetti o cappelletti finti. Quando era possibile avere ricotta fresca, parmigiano reggiano, patate e zucca o spinaci, si preparavano vere prelibatezze: tortelli, cappelletti, sfoja lorda e le immancabili tagliatelle.
Artusi cita il detto “conti corti e tagliatelle lunghe” a dimostrare che la padrona di casa aveva saputo impastare una massa importante di uova e farina per una grande sfoglia. Il mio impastare è un rito antico carico di ricordi. Dopo aver impastato si lascia riposare la massa omogenea per rilassare la maglia del glutine. Poi si tira la pasta che non vuol significare lanciarla come a volte mi sono sentita dire scherzando… Lo strumento da utilizzare è il mattarello (forse dal latino mateola ovvero mazza) che serve per distendere e assottigliare l’impasto. Era lo scettro dell’azdora, regina del focolare, colonna portante della famiglia che aveva a cuore il buon andamento, anche economico, del parentado.
Oggi la cucina non è solo nutrimento o tradizione; è arte, fantasia, oltre alla ricerca della materia prima, ed è soprattutto accostamento di sapori in armonia. Insomma il piacere del gusto! Un piccolo segreto del mestiere? Provate ad aggiungere all’impasto finale delle erbe aromatiche, dei fiori eduli, spezie e quel che serve a dare colore. Anche l’occhio vuole la sua parte.
2 commenti su “La mia idea di sfoglia a mano ed i suoi molteplici usi in cucina”
Bravissima Caterina! Il cuore dentro la nostra tradizione enogastronomica e l’occhio all’ arte ed alla sintonia degli abbinamenti. Grazie!
Sei fantastica,con la semplicità che ti contraddistingue ,Caterina 😊❤
Felice di averti in qualche modo nella mia vita!🥰
…tutto ciò che crei,ti viene dal cuore e si vede benissimo!!❤