Non bastano le diatribe interne e visioni politiche contrastanti che hanno tormentato negli anni uno degli areali potenzialmente più brillante del panorama italiano: l’Irpinia, con le sue denominazioni Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi, meriterebbe ben altri encomi e palcoscenici. Lo diciamo da sempre, consci più che mai che un cambio di passo si renda necessario in vista dei temi scottanti proposti dal mercato mondiale del vino.
Un fantasma si aggira per l’Europa (e non solo): quello della crisi dei consumi nel comparto enologico. Far fronte comune, superare impasse ed ataviche posizioni, certo faciliterebbe di gran lunga il compito già arduo per Teresa Bruno, Presidente del Consorzio Tutela Vini d’Irpinia. Il raggiungimento di una coesione tra tutti i produttori, indispensabile per scrollarsi di dosso le posizioni di nicchia seppur di altissima qualità dei vini, viaggia in parallelo all’apertura a mercati sin qui raggiunti solo a macchia di leopardo dai singoli attori.
Per non essere la solita cronaca autoreferenziale destinata a restare lettera morta, ben venga la giusta “ripartenza” con la prima edizione di Irpinia Wine Days e con un calendario ricco di eventi tra i vari comuni dell’avellinese, alla ricerca dello spirito affine per sdoganare il territorio fuori dai propri confini. Importante anche l’adesione delle Istituzioni regionali, qui rappresentate da Maurizio Petracca, presidente della Commissione Agricoltura Regione Campania e da Giovanni Maria Chieffo, presidente del GAL Irpinia e l’Associazione Italiana Sommelier con il Delegato della Campania Tommaso Luongo. E dobbiamo ammetterlo: per la prima volta si è finalmente vista una volontà costruttiva e pragmatica, che parte anzitutto dalle cose che non vanno e che non devono ripetersi.
L’idea stessa di invitare i tre Master Of Wine italiani (in sigla MW) – Gabriele Gorelli, Andrea Lonardi e Pietro Russo – in qualità di consulenti per un approfondimento tematico degustativo sulle varietà Fiano, Greco e Aglianico delle Docg Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi, ha fatto da volano nello scoperchiare il vaso di ipocrisie ed incongruenze udite in tante occasioni.
Per Gorelli <<la troppa accessibilità dei prodotti causa poca attenzione del consumatore. Bisogna dosare anche l’assenza da mercati inflazionati con una seria riflessione sull’uso e la diffusione dei vini irpini. Il valore del vino – rileva il primo MW d’Italia – esiste, ma non sempre viene capitalizzato all’origine, lasciando pochi margini per il territorio da cui proviene>>.
Lonardi rincara la dose, aggiungendo <<la necessità di tenere lontano la politica nelle scelte, valorizzare il terroir e aggrapparsi ad esso uniti, perché solo così è possibile guardare in faccia la grave crisi che si prospetta inevitabile. Ciclicità che potranno non mettere in discussione zone più esperte e resilienti di quelle campane, dove invece si potrebbero verificare danni ingenti. Bisogna creare un messaggio preciso, tale da non essere intaccato>>.
<<Quando sarà pronto, il vino si venderà senza alcuna difficoltà o spinta dall’esterno. Una comunicazione semplice, non prosaica e aderente quanto più possibile alle offerte turistiche per il pubblico dei millenials, nati a cavallo del vecchio e nuovo millennio, potrebbe essere uno splendido gancio. Il vino, infatti, è l’unica categoria merceologica del lusso in cui si pretende che il consumatore sia preparato; troppa esclusività e poca inclusività>>.
Conclude il quadro Pietro Russo, enologo prima ancora che MW, indicando quale alternativa <<la creazione di storie con messaggi chiari ed experience efficaci in cantina. Un turismo che richiede responsabilità precise e sinergie con gli organismi decisori ad ogni livello politico ed infrastrutturale>>.
Se aggiungiamo che i tre moschettieri, come sono stati definiti da Stevie Kim, global brand ambassador di Vinitaly e madrina della manifestazione, poco conoscevano di Irpinia nelle loro innumerevoli degustazioni, non c’è altro da aggiungere.
Un terzo del commercio dei vini resta in Regione, con una filiera cortissima che garantisce ottimi margini e bassi costi di marketing alle aziende locali. Manca però uno studio approfondito sul consumatore medio che rientra in tale percentuale e sul contesto in cui opera, per non lasciare inutilizzate ulteriori possibilità di crescita. Il triste adagio del “meglio una gallina oggi che un uovo domani” deve lasciare il posto al coraggio di fare rete, creando modelli virtuosi che fungano da traino per ogni esponente.
Con i bianchi il percorso è stato più agevole, pur in un contesto estremamente eterogeneo. Giocofòrza scorgere nel fragile Taurasi il vero banco di prova per il futuro, dove l’Aglianico è capace di esprimere i vari aspetti delle zone d’elezione irpine (i cosiddetti quadranti), ma che vive ancora in debito di uniformità stilistica e di eleganza richiesta dai canoni del bere moderno. Si spera di non passare da un eccesso all’altro, andando a stravolgere l’anima tannica e potente della varietà, per copiare male altre tipologie. Non basta lo studio approfondito sui suoli e sulle sottozone, di sicuro utile, ma una visione lungimirante di come coinvolgere appassionati, vacanzieri e operatori del settore a vivere il Made in Irpinia a 360 gradi.
Il confronto tra esperti di caratura internazionale insegna a non dare nulla per scontato e che il momento di agire con unità di intenti, senza guardare cosa fa il vicino e senza pensare che il proprio vino sia migliore degli altri, è l’unica strada da percorrere per scogniurare l’oblio. Se lo merita l’Irpinia e se lo meritano Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi, campioni di rara bellezza, spessore e longevità, che non conoscono tempo e confini ideologici.