Puglia: San Severo – un “tesoro” da bere

di Serena Leo

San Severo è davvero un “tesoro” da bere. Su 20Italie le info must have per approcciarsi alla città delle bollicine.

Una Puglia diversa dal solito è possibile, basta virare verso destinazioni meno blasonate per scoprire storie da bere veramente interessanti, proprio come quella di San Severo. Per iniziare questo viaggio fuori dall’ordinario andremo in Capitanata, dove il grano cresce guardando il Gargano, alla scoperta di bollicine insolite.

Per i Wine Lovers sempre a caccia di novità ecco dei must have, informazioni essenziali per arrivare preparati alla scoperta, tappa dopo tappa, del distretto spumantistico a pochi passi da Foggia. Iniziamo, allora questo ideale viaggio, lo promettiamo, spumeggiante.

Sapersi ben definire:

San Severo ha una storia commerciale di lungo corso. Secoli e secoli passati ad essere crocevia per merci di ogni tipo e buone idee, si è sempre distinta come terra vocata per lo scambio di uva e mosto da taglio. Da qui partivano, e partono ancora oggi, cisterne dirette verso terre viticole blasonate. Una vera e propria fortuna, ma anche una piaga diremmo, che per anni ha sacrificato le potenzialità territoriali.

Alcune cantine e cooperative, verso la fine degli anni Sessanta nel clou del commercio “da taglio”, pensarono di iniziare a destinare una parte della produzione all’imbottigliamento e alla definizione di questa terra come realtà vitivinicola. Ecco come nel 1968, per la prima volta in Puglia, arriva la DOC di San Severo per il Bianco e per il Rosso. Un primo passo per attestarsi la qualifica di comunità che sul vino affonda davvero le sue radici.

Le uve destinate a rientrare nella denominazione sono per il bianco il Bombino Bianco e il Trebbiano, mentre per il rosso Montepulciano e Sangiovese. Ovviamente in piccole percentuali sono ammessi gli autoctoni a bacca bianca e rossa, come l’Uva di Troia, gioiello ancora da scoprire come merita. Comincia un nuovo corso storico.

Cosa succede in vigna?

Ma perché San Severo e dintorni genera tanta curiosità? Certamente per il suo terroir. Posizionata a circa 100 metri sul livello del mare, ventilazione importante attenuata dal Gargano, suoli sabbiosi in superficie e calcarei in profondità, mportante scheletro per garantire il prosperare di vitigni dalle grandi potenzialità, spesso sottovalutati. Stiamo parlando del Bombino Bianco che diventa quasi un tratto distintivo insieme al Trebbiano.

Quando si parla di grandi numeri in fatto di vini e, soprattutto, se si parla della Puglia di altri tempi, pensare alla tipica coltivazione a tendone delle vigne sembra inevitabile e certamente a San Severo non si fa eccezione. Gli impianti più antichi, quelli degli ani Sessanta per intenderci, preservano una curiosa struttura tipica della DOC San Severo, quindi troveremo piante di Bombino Bianco alternate al Trebbiano. Un blend che parte dalla terra, il segreto per velocizzare il lavoro massiccio in vigna e in cantina.

Parola d’ordine: sperimentare!

Il Bombino Bianco è generoso per vocazione e questo è un fatto assai noto. Studiato attentamente dai produttori storici di San Severo, che con gli spumanti e champagne ha sempre avuto un certo feeling – perché anche da qui partivano cuvée destinate alle bollicine di Francia – si è cercato un modo per caratterizzare questa terra con un’identità enologica ancora in via di progresso.

La parola d’ordine, che è sperimentazione, ha portato alla ribalta il Bombino Bianco con un’intuizione di Antonio D’Alfonso Del Sordo. Fu lui a sperimentare con il Metodo Charmat la spumantizzazione del Pagadebit (altro termine utilizzato per il Bombino Bianco) per eccellenza. Il risultato? Vincente. Da qui si è aperto un varco pronto per invertire la tendenza estremizzata all’export verso nuove frontiere. Ad oggi la trovata dell’azienda vitivinicola D’Alfonso Del Sordo ha rivoluzionato la concezione del Bombino Bianco sanseverese.

E poi venne il Metodo Classico

Il bello della Puglia è che una buona idea, se realizzata con il giusto entusiasmo e quel pizzico di lungimiranza necessaria, diventa un modo per reinventarsi. Se il Bombino Bianco ha saputo dire la sua come spumante Metodo Charmat (o Martinotti), perché non provare a realizzare un Metodo Classico autoctono? A portare avanti questa mission sono stati tre amici sanseveresi dai destini diversi, il cui nome aziendale nasce da un acronimo: D’Araprì. Con loro è iniziata una vera e propria “rivoluzione dell’autoctono” portando il Bombino Bianco a un mercato inedito, quello del Metodo Classico.

A seguire la tendenza, negli anni, sono stati molti altri produttori che hanno puntato certamente sulle uve di casa, giocando con soste sui lieviti sempre più estreme. Ad aggiungersi al successo del Bombino è la Falanghina, potente, che in Capitanata ha trovato casa. Insomma, oggi San Severo è un vero e proprio hub in cui si sperimenta e produce il vero Metodo Classico di Puglia.

Full immersion nelle cantine ipogee:

A San Severo il vino si è sempre fatto nelle cantine ipogee, dei locali sotterranei che si snodano per tutto il centro storico. L’odore di questi spazi è inconfondibile e ricordano la tradizione, tempi andati, fatiche lontane. Oggi qui non si ospitano più le procedure per la vinificazione, ma resta la testimonianza di ciò che è stato, trasformando ogni angolo quasi in un museo, alternando antiche pupitres che ospitano gli spumanti del futuro. Nel centro storico ci sono diverse cantine ipogee visitabili, ove si possono degustare gioielli d’annata.

I numeri della produzione odierna di bollicine:

Attualmente le bottiglie di spumante prodotte a San Severo e dintorni sono circa 200000 bottiglie annue. Grazie anche a nuovi produttori che desiderano mettersi alla prova, un po’ per curiosità, un po’ per lavoro, cresceranno ancora. Gli spumanti di San Severo sanno farsi apprezzare anche al di fuori del confine regionale, ma con la fatica di strategie non sempre condivise.

A mancare sembrano essere ancora delle direzioni comuni, azioni in grado di tracciare una direzione futura univoca. A tal riguardo i produttori, dai più piccoli ai più grandi, caratterizzano al meglio i loro prodotti per raccontare uno spaccato sociale diverso dal solito, che ha saputo farsi notare dalla cronaca non sempre attenta.

Consorzio del vino Brunello di Montalcino: Andrea Machetti è il nuovo direttore

Comunicato

(Montalcino – SI, 9 febbraio 2023). Andrea Machetti è il nuovo direttore del Consorzio del vino Brunello di Montalcino.

Designato dal consiglio di amministrazione dell’ente consortile, Andrea Machetti subentra a Michele Fontana in carica da giugno 2020, fino a dicembre 2022.

“Siamo doppiamente soddisfatti che Andrea Machetti abbia accettato l’incarico – commenta il presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, Fabrizio Bindocci -; innanzitutto perché si tratta di un manager di successo e di altissimo profilo, profondo conoscitore del territorio, del brand Brunello e delle dinamiche di mercato. Inoltre, Machetti è un montalcinese doc, nato e vissuto in questo microcosmo enoico vocato all’eccellenza e divenuto, grazie alla costante ricerca qualitativa dei produttori, un vino-icona del made in Italy nel mondo. Siamo certi – prosegue Bindocci – che sotto la sua direzione, il Consorzio saprà consolidare la crescita della denominazione”.

Un obiettivo condiviso dal nuovo direttore, Andrea Machetti, che aggiunge: “Confido di poter dare al Consorzio un contributo importante per tracciare il futuro di questa grande denominazione. Tra le priorità quella di potenziare ulteriormente il team di lavoro pronto a raccogliere le sfide che il futuro di impone”.

Tra le esperienze manageriali di Andrea Machetti, quella a Villa Banfi dal 1983 al 1989; successivamente a Castiglion del Bosco fino al 1992 quando approda al timone dell’azienda agricola Mastrojanni, che guida per 30 anni nel ruolo di amministratore delegato fino al dicembre scorso.

L’Etna raccontato da Salvo Foti – I Vigneri

di Titti Casiello

Non può mai essere casuale un incontro con Salvo Foti – I Vigneri

Attraverso le sue parole, riservate, pacate e con l’attenzione di chi tiene molto a qualcosa, prende forma il linguaggio di un vino dell’Etna.

“Tengo molto alla mia terra, ma parto dalla possibilità, da quello che vorrei da lei. Poi da quello che intuisco che la natura può darmi. E infine da quello che posso ottenere. Non c’è un’idea precisa, la concretizzo solo quando vivo questi elementi”.

Salvo è uno che nella vita si è fatto un sacco di domande. Uno che più che dare soluzioni, ha creato degli interrogativi “perché non è facile fare un vino di territorio, ancor di più se sei sull’Etna”.

Non basta una facile propaganda in vista di un’elezione politica, ma ci vogliono azioni concrete, cultura  e dedizione e qui, a Milo – nel versante est etneo – le parole concretizzano il loro reale senso enciclopedico nelle scelte fatte da Salvo e dai suoi figli Simone e Andrea.

“Quinconce”, ad esempio, è la concretizzazione di quello che potremo chiamare “vino del territorio”. Non è solo una parola bella, semanticamente parlando, ma anche utile. Il quiquonce è un gioco di squadra, un dado fermo al numero 5, un sistema di allevamento dove le piante sono disposte a intervalli regolari secondo un reticolo a maglie triangolari. E tutto ciò permette alla vite di ben svilupparsi radicalmente e soprattutto ad una maggiore profondità.

Una faticaccia immane la sua gestione, che esclude del tutto la meccanizzazione consentita ad esempio dal guyot (i cui filari iniziano a moltiplicarsi sull’Etna). “In questo modo il vigneto si autoregola come un organismo. Un sistema di coltivazione finalizzato alla meccanizzazione, invece, non può tenere conto di questa biodiversità”.

Salvo è cresciuto in tale biodiversità, prima come figlio di contadini e poi durante i suoi studi di enologia a Catania. E l’ha portata in giro con sé, con le prime consulenze dal Cavalier Benanti agli inizi degli anni 90, e quindi in un susseguirsi di esperienze tra diverse aziende etnee e siciliane. Per arrivare a decidere, nel 2001, di dar vita al proprio personale credo enoico con la sua azienda I Vigneri.

“Perché la vite, per quanto addomesticata, rimane sempre una pianta selvatica, come l’uomo. E se la cultura dell’uomo non è innata, al pari la vite per crescere ha bisogno della mano e della mente umana. Il problema,  però, è che se l’uomo si accanisce, la vite si incattivisce e perde la sua personalità. A quel punto  il vitigno non sa più esprimersi e non riuscirà a farlo neppure il territorio in cui è coltivato”.

Salvo Foti – I Vigneri

Parole, queste, che mi spingono a dire che è di luogo che si dovrebbe discutere, piuttosto che soffermarci sulle varietà coltivate. Il luogo, secondo Foti, diviene interprete di un vitigno. Ci vorrebbe una grande coscienza sociale che vada al di là delle larghe maglie concesse dai disciplinari, e sarebbe opportuno ascoltare ciò che un luogo ha effettivamente da raccontare e conseguentemente da offrire.

Luogo, termine sacro. Non è un caso il nome scelto per la sua azienda. Così facendo rivive, nei suoi vini e nella memoria collettiva, quell’antica maestranza catanese che nel 1435 creò le basi per una professionalità vitivinicola in Sicilia e che oggi si ritrova in una comunanza di idee tra alcuni produttori: i Vigneri, I Custodi delle Vigne dell’Etna, Federico Graziani, il californiano Rhys, Gulfi a Chiaramonte Gulfi, Guglielmo Manenti nel Vittoriese e Daino a Caltagirone.

Costoro sono ormai “in armonia con se stessi e quindi con tutto quello che ci circonda: ambiente, natura, il vulcano Etna, di cui si è parte, e non al di sopra” . Tutti riuniti in onore di un unico credo.

Le viti de I Vigneri sono dislocate su 5 ettari in tre diverse aree della cosiddetta Muntagna, epiteto affettuoso per indicare l’Etna: a Milo, a Castiglione di Sicilia ed a Bronte. Tante viti ultracentenarie, di cui molte a piede franco, con una densità per ettaro da far sembrare i filari un’unica grande linea intervallata da pali di castagno e da muretti a secco, splendide cornici dell’umano lavoro. 

A Milo, ad 800 metri di altitudine nella parte est di Idda, giace il Carricante  dei vini “Aurora”, “Vigna di Milo” e “Palmento Caselle”. A Castiglione di Sicilia, in Contrada Porcaria, troviamo il Nerello (Mascalese e Cappuccio) che canta da soprano con “Vinupetra”;  mentre nel comune di Bronte, nel vigneto più alto dell’Etna, a  1.200 metri di altitudine, nasce un rosato da vigna “Vinudilice” mescolanza di uve bianche e rosse raccolte e vinificate tutte insieme.

Il territorio è impervio, dalle condizioni estreme, tanto che nelle annate più difficili se il vino non raggiunge, in modo naturale un grado alcolico dell’11%, è prodotto in versione spumante con il Metodo Classico “Vinudilice Brut Rosè”.

Ma di tutte le referenze c’è poi quella che esprime a pieno titolo l’idea concreta di un luogo: ed è l’Etna Rosso “I Vigneri”. Ogni bottiglia prodotta porta con se il compito di non far cadere, nell’oblio della memoria, l’antica civiltà vitivinicola etnea e la sua tradizionale vinificazione in Palmento. E che Salvo Foti, fa rivivere con questa etichetta.  

Si segue un indice morale anche nella cantina della famiglia Foti. Non ci sono tecnicismi occulti, o racconti per iperboli. Qui le cose sono rese edibili non appena si varca l’entrata. Anche perché è tutto lineare tra fermentazioni spontanee, travasi che seguono le fasi lunari e affinamenti in contenitori diversi: acciaio, legno e anfora, a secondo della referenza.

Se così è la vigna così è la cantina, una prosecuzione, quanto mai connaturata della filosofia di Salvo e dei figli Simone e Andrea.

Tra i molteplici descrittori che si potrebbero utilizzare per i loro vini, forse quello più rispondente è l’estrema sensibilità umana. Nei calici par quasi sentire la piovosità di Milo, l’irrequietezza del Carricante o la solarità del Mascalese, probabilmente perché i pensieri dei Foti per una sana vitivinicoltura bussano direttamente ai cancelli d’ingresso.

VINUPETRA 2020, ad esempio, è da bere d’un fiato, non da assaggiare. Il vino stesso lo richiede. C’è sangue e umore in esso. Sembra quasi pungente, lasciando una lunga traccia vivida e sottile al palato, in un giocofòrza tra acidità, tannino e sapidità. Qui non si parla di muscolarità, men che meno aria di dolcezze in confettura. C’è ginepro, timo ed il bosco che rumoreggia. Caldo e pulsante come il cuore di ogni essere vivente.

Napoli: La Guardiense porta il Sannio vulcanico dei suoi vini a Palazzo Petrucci

di Luca Matarazzo

A Napoli, per un istante, il tempo si è fermato quando la cooperativa vitivinicola La Guardiense ha presentato i vini del Sannio al ristorante gourmet Palazzo Petrucci, una Stella Michelin.

È risaputo che l’areale possiede terreni di diversa natura, ma solo recentemente gli stessi sono stati analizzati con l’occhio attento di chi coltiva per particelle, suddivise in apposite zonazioni. Ne consegue che il nobile vitigno sannita per eccellenza, la Falanghina, che in Campania alberga sotto numerose espressioni, gode di una variabilità frutto di imprinting genetico, scelte stilistiche e, naturalmente, suoli.

La Valle Telesina, nella parte ovest del beneventano, è priva di vulcani ma con un terreno sorprendentemente ricco di ignimbrite: merito della super esplosione dei Campi Flegrei circa trenta millenni orsono, capace di trasportare lapilli e minerali magmatici anche nell’area che da Castelvenere giunge a San Lorenzello.

Una sorta di “Cru itinerante” che prende forma dall’impegno del Presidente Domizio Pigna, da anni al timone dell’azienda, grazie anche alla consulenza enologica esterna di Riccardo Cotarella e dell’enologo interno Marco Giulioli. Vini puliti ed eleganti molto diversi rispetto al passato, con un gusto più moderno ed accattivante, che vogliono puntare, lo auspichiamo vivamente, anche al racconto del terroir.

Anima Lavica è la linea innovativa del progetto Janare dedicato ad un preciso compito: quello di comunicare vini di carattere, identificati con una linea congegnata con precisione certosina, vista la dimensione complessive della realtà d’origine.

Dai 33 soci del 1960 se ne contano adesso 1000 con 3500 appezzamenti per un totale di 1500 ettari. A far bene i conti trattasi di soci conferitori dalle piccole dimensioni che difendono con cura il patrimonio paesaggistico e produttivo di queste colline poste ad un’altitudine compresa tra i 300 ed i 500 metri.

“I mille” di Guardia Sanframondi vengono dunque proposti nel calice sotto forme liquide in abbinamento con i piatti dello chef executive Lino Scarallo di Palazzo Petrucci.

«Questo progetto è nato un po’ per caso – ha spiegato Marco Giulioli – col ritrovamento di una mappa di zonazione dei suoli della valle Telesina stilata tra fine anni Novanta e inizio anni Duemila. È stato come trovare un tesoro: la frammentazione dei suoli e il lato vulcanico ben delineato imponevano di cogliere al volo questa opportunità».

Da sinistra: Nicola Caputo, Armida Filippelli, Domizio Pigna, Marco Giulioli

Conclude il Presidente de La Guardiense Domizio Pigna alla presenza della giornalista professionista Monica Caradonna, alla quale vanno i nostri ringraziamenti, ed a importanti autorità politiche campane tra le quali Nicola Caputo, assessore regionale all’Agricoltura ed Armida Filippelli, assessore regionale alla Formazione Professionale: «Le nostre etichette non sono solo il frutto del lavoro di una squadra devota e infaticabile ma anche un importante esempio dell’eccellenza che un territorio come quello del Beneventano, su cui siamo felici di insistere, sa regalare».

Importante rammentare, infine, Benevento.Wine lanciato a maggio 2022, che mira a promuovere le eccellenze e le peculiarità del Sannio attraverso eventi dedicati, incoming di operatori del settore, giornalisti e opinion leader, il tutto finalizzato a creare reti e relazioni con i mercati campani, nazionali e internazionali.

Bacci Wines: equazione risolta

di Augusta Boes

Esiste un’equazione, apparentemente semplice, ma non sempre risolvibile: TANTO + BUONO = TANTO BUONO.

Notoriamente prediligo le produzioni medio-piccole e adoro quelle cantine così minuscole che non avrebbe senso fare vino se non fosse eccellente, oppure semplicemente per uso personale! E forse nemmeno per quello, se non fosse comunque salubre e sufficientemente piacevole. Ciò premesso non ho mai preconcetti e mi piace esplorare, comprendere ed assaggiare a prescindere dalle proporzioni o dalla filosofia di produzione di ogni singola realtà, purché la produzione sia sempre nel rispetto di parametri di qualità e di sostenibilità ambientale.

Ogni produttore con il suo stile e la sua personalità, ma tutti accomunati dal rispetto per la Natura, per il territorio e per il consumatore. Moderni artigiani di una tradizione secolare, uomini e donne d’altri tempi ma sempre proiettati nel futuro. Questo l’identikit del “mio” produttore ideale, e come vedete non vi è alcun accenno a dimensioni di sorta. Insomma, mi accontento di poco!

Bacci Wines è una realtà medio grande nel panorama vitivinicolo della Toscana e non solo. L’azienda nel suo complesso vanta oltre 900 ettari a conduzione biologica certificata, con un campo fotovoltaico di ben otto ettari ed è suddivisa su 5 tenute: Castello di BossiTenuta di Renieri e Barbaione in Chianti Classico, Renieri a Montalcin, Terre di Talamo in Maremma. Sono 21 le etichette prodotte fra rossi, bianchi, rosé, dolci e spumanti, con qualche esperimento avveniristico per non sentirsi mai arrivati! La produzione annua si aggira intorno a un milione e duecentomila bottiglie, sono decisamente numeri importanti. Entriamo un attimo nel merito di questi numeri tuttavia, e vedrete quante belle sorprese…

La produzione della linea base, massimamente rappresentativa per ogni cantina, delinea sempre la sfida più impegnativa: quella da dover vincere senza se e senza ma.  Qui il processo è necessariamente ad alta automazione a cominciare dalla raccolta meccanica che, su superfici considerevoli, ha il vantaggio di garantire tempestività d’esecuzione, parametro fondamentale nella produzione di vino di qualità. Le uve devono essere raccolte tutte al medesimo stadio di maturazione e devono arrivare rapidamente in cantina.

All’apice della loro piramide qualitativa troviamo una interessante declinazione di Cru, parcelle specifiche gestite ognuna come micro-produzione sia nella conduzione dei vigneti, con raccolta manuale e selezione delle uve migliori, che con pratiche di cantina artigianali, ma sempre sotto la guida attenta e l’occhio vigile dell’enologo Stefano Marinari. Attenzione, selezione e pulizia sono i punti cardine della sua filosofia produttiva e tutto ritorna con estrema precisione durante l’assaggio.

Apriamo la degustazione con un Metodo Classico da Sangiovese, nel più rigoroso rispetto dell’etichetta, dopo tutto siamo ospiti in un Castello! Amo i Pas Dosé, credo ai numeri degli angeli come ad esempio 1111, e adoro il Sangiovese che trovo davvero divertente in versione spumantizzata. Che dite, mi sarà piaciuto il Barbaione AD 1111 Dosaggio Zero? Solo 3.000 bottiglie per una fresca ondata di morbide bollicine dal carattere tutto toscano.

In rapida sequenza stappiamo poi Vento 2021 e Vento Forte 2016, due interpretazioni di Vermentino della costa maremmana davvero interessanti. Il primo, vinificato in acciaio, di brezza marina ed erbe aromatiche, presenta piacevolezza e tanto carattere. Il secondo, stagionato in barrique in prevalenza di secondo e terzo passaggio, colpisce particolarmente per la sua delicata cremosità che ricorda lo Chardonnay, ma che poi si differenzia immediatamente con i suoi piacevolissimi sentori di salvia e alloro, di camomilla e tiglio e quell’immancabile nota iodata che riporta alla carezza del vento di mare nel profumo e nel sorso. Conquistare una rossista convinta come me con i bianchi (e per di più in Toscana) non è affare da poco!

Ma rientriamo da questa piacevolissima passeggiata in spiaggia e sediamoci comodi davanti al camino, che adesso a Castello di Bossi comincia a nevicare! Dimmi che sei in Chianti Classico senza dirmi che sei in Chianti Classico: Berardo Chianti Classico DOCG Riserva 2018 e non aggiungo altro!

Per un’amante di Montalcino come me non potevano mancare certo gli assaggi della tenuta Renieri. Impeccabile Renieri Brunello di Montalcino DOCG 2018 fine ed elegante, ma l’autentico attimo di trasalimento me lo ha regalato il Rosso di Montalcino DOC 2019 con un bouquet esemplare e quel suo sorso dinamico, fresco e coinvolgente.

Voce solista fuori dal coro qui a Castello di Bossi è il Pinot Nero di cui si producono circa 3.000 bottiglie. C’è grosso fermento negli ultimi anni intorno a questo vitigno in Toscana e non posso fare a meno di chiedere all’enologo Stefano Marinari se il Pinot Nero abbia davvero un suo perché in questo territorio. La sua risposta mi spiazza e al contempo mi illumina.

Il Pinot Nero è il sogno proibito di ogni enologo, mi dice Stefano. Se c’è un solo barlume di speranza che possa adattarsi e produrre qualcosa di interessante non è possibile rinunciare al sogno più grande. È un vitigno complicato sotto tanti punti di vista, non per ultimo per il fatto che richiede molti più anni di tanti altri prima di produrre uve di qualità adatte alla vinificazione. Il vigneto qui è stato impiantato nel 2014, e bisogna considerare il fatto che il territorio della Toscana marca davvero tanto. Non c’è la pretesa di ambire all’inutile paragone con la Borgogna, non avrebbe senso. Però è una sperimentazione promettente che fin qui ha restituito un piacevolissimo vino, gradevole e molto versatile nell’abbinamento. Dopo aver assaggiato sia l’annata 2020 che la 2021 in anteprima, confermo e sottoscrivo!

Sebbene il vino sia la star indiscussa a Castello di Bossi, tuttavia non è il solo protagonista. L’olio Extravergine di Oliva (in sigla EVO) è letteralmente “da sbattere per terra”! E per concludere, sono grandi maestri nella sapiente arte dell’accoglienza. Siamo a Castelnuovo Berardenga nella parte meridionale del Chianti Classico. Dalle finestre si scorge netto all’orizzonte lo skyline di Siena con l’inconfondibile torre del Mangia e, per chi vuole raggiungere Firenze, la passeggiata attraverso le dolci colline della Toscana è davvero incantevole. Il Resort nel borgo medievale è suggestivo ed elegante, con ambienti curati e spaziosi. Poi per una come me che dimentica frequentemente lo spazzolino o il dentifricio, spesso e volentieri entrambi, l’averli trovati nel kit da bagno è stato davvero impagabile! Anche se questa volta me li ero portati.

Tornando alla nostra equazione, sarà stata risolta secondo voi? In questo caso direi proprio di sì!

Castello di Bossi

Località Bossi in Chianti
Castelnuovo Berardenga – 53019
Siena – ITALY https://bacciwines.it/it/bossi-di-sopra/

Le degustazioni sartoriali a “The Wine Tour” di Vinario4

di Cristina Santini

I ragazzi di Vinario4 non sbagliano un colpo. Domenica 29 gennaio ho partecipato ai banchi di degustazione “The Wine Tour” accolti nella sala di Straforno, rinomato locale di Roma adatto ad ogni tipo di evento, che coniuga l’estro culinario fuori onda alla tradizione della nostra cucina regalando piatti sfiziosi fatti con materie prime di altissima qualità e con una carta vini sensazionale.

Un incontro con 24 realtà soprattutto del tessuto laziale e toscano che hanno presentato le loro migliori etichette, anche di diverse annate, tra autoctoni e non. Ho scritto del progetto Vinario 4, nato nel 2019, in altre occasioni; amo parlarne spesso perché ammiro la loro professionalità, la temperanza e la passione nel raccontare i territori e il lavoro sapiente dei produttori con un’attenzione particolare a quelle aziende che fanno ricerca, innovazione e sostenibilità.

Molti produttori laziali rappresentano per me una grande famiglia, amici con cui condividere dialoghi costruttivi e assaggiare i loro vini dalle vasche ancora in fermentazione fino a poco prima dell’imbottigliamento. Una fiducia reciproca che si costruisce nel tempo con serietà e passione per il meraviglioso mondo del vino. D’altro canto Ernst Engel diceva che il miracolo del vino consiste nel rendere l’uomo ciò che non dovrebbe mai cessare di essere: amico dell’uomo.

Vi presento allora alcune cantine con i loro vini e le mie considerazioni di rito.

Casamecocci Winery “Il Malandrino” annate 2021 – 2020 – 2019

Azienda di appena tre ettari nata nel 2019 da due amici, Marcello Lagrimanti e Giacomo Andreocci, che hanno recuperato vigneti antichi di settant’anni e ostinatamente ripercorso quella che era la tradizione vinicola della Tuscia, nel territorio di Vignanello tra i monti Cimini, storicamente nota e citata nelle opere di famosi poeti italiani e stranieri, dove fare vino rischiava di divenire un’impresa dimenticata.

Un’etichetta particolare, “malandrina”, che si fa subito notare. Unione di uve bianche nate su terreni stratificati dall’attività dei vulcani Cimino e Vico. Da Procanico, biotipo del Trebbiano Toscano, e dalla varietà Trebbiano Giallo (localmente chiamato Rossetto) per il 70% ed il resto conteso tra Malvasia di Candia, Malvasia Puntinata, Greco di Vignanello e Grechetto. Decantazione statica a freddo, vinificazione dell’uvaggio e affinamento per sei mesi in vasche d’acciaio, con continui bâtonnage, più un ulteriore riposo di sei mesi in bottiglia.

Vino poliedrico che sorprende con la forza dei suoi profumi, attimo dopo attimo senza annoiare mai. Regala emozioni diverse con l’età e con la longevità: una 2021 può conquistarti per sentori di agrumi ed erbe aromatiche fresche che ricordano le montagne e con quel sorso minerale e sapido che richiama i terreni tufacei.  La 2020 stupisce per forza di freschezza e mineralità, declamando aromi di pietra focaia e leggere note terrose. In chiusura una 2019 dalla quale ti aspetteresti la discesa ed invece ti presenta il conto della maturità.

Tenuta Iacoangeli – Cabernet Franc Igt Lazio 2020 Eredità di famiglia che parte nel lontano 1571 con il trisavolo Giovanni Iacoangeli e viene tramandata di padre in figlio fino agli attuali sei ettari coltivati e curati da papà Mauro e dai figli Matteo e Paolo. Passione, quella di fare vino, da cinque generazioni che ha visto una crescita costante negli anni puntando alla qualità e al rispetto del territorio.

I vigneti sono stati reimpiantati e trasformati da allevamento a tendone a quello a spalliera a cominciare nel 2013, partendo da Malvasia Puntinata, Bellone e Viognier (che formano la Doc Roma di cui la cantina è socia fondatrice), proseguendo nel 2016 con il Cabernet Franc ed il Petit Verdot. Siamo a Genzano di Roma (RM), nel cuore dei celebri “Castelli”, situati sul versante esterno del cratere vulcanico del lago di Nemi appartenente al complesso del Vulcano laziale. Da immaginare solo il lavoro nel trasportare le uve raccolte rigorosamente a mano dai vigneti, non proprio vicinissimi, ai localeidi vinificazione.

Tra le proposte, tutte d’impronta qualitativa, vi racconto proprio il Cabernet Franc. Vino giovane, vigoroso ed intenso che matura 14 mesi in acciaio e 12 mesi in bottiglia, sfoderando note erbacee non troppo marcate e nuance di frutta rossa come lamponi e ribes. Buona la struttura, finemente speziato nonostante la giovane età, dal sorso armonico e consistente che trapela una velata alcolicità mai priva di eleganza. Grintoso, compatto, autentico ha ancora tanto spazio per crescere ed elevarsi.

Emiliano Fini – Cleto Igt 2019 e Lavente Igt 2020 – Altra bellissima realtà familiare acquistata nel 1988 da Anacleto e sua moglie Giorgia insieme ai figli Claudia e Emiliano, ubicata con i suoi dieci ettari ad Aprilia (LT), ai piedi del grande distretto vulcanico dei Colli Albani. Le piante crescono a pochi chilometri dal mare su terreni costituiti da piroclastiti, tufo e lapilli dando quell’impronta di sapidità e mineralità importante ai vini.

La verità è che quando hai un sogno e sei determinato come lo è stato Emiliano prima o poi le cose si avverano. Nel 2017, dopo un attento studio del territorio e della qualità delle varietà prodotte finora, si convince a vinificare in proprio le uve che prima andavano in conferimento. La scelta privilegia la vinificazione in purezza dei vitigni autoctoni (Grechetto e Malvasia Puntinata) caratteristici della zona avendo particolare cura e attenzione verso la terra in cui dimorano da sempre.

Il buongiorno si vede dal mattino! Da un’accurata selezione in vigna dei migliori grappoli fino alla maturazione di sette mesi sulle fecce fini in cemento, ho degustato due esempi dal carattere schietto, pulito ed identitario. Mentre per il Cleto (omaggio a Papà Anacleto) le uve di Grechetto raccolte a mano vengono dolcemente pressate, per il Lavente (da suolo vulcanico) le uve di Malvasia Puntinata sono sottoposte a macerazione pre-fermentativa prima della pressatura soffice.

Cleto 2019 colpisce per profumi di pesca gialla e agrumi e, se lo sai attendere con calma, ti avvolge per soffuse essenze di fiori di campo. Il sorso è energia e sapidità all’unisono, con quella freschezza che si protrae fino all’ultima goccia.

Lavente 2020 non ha la classica aromaticità prorompente della Malvasia Puntinata, ma un delicato sentore al naso di mela gialla ed erbette aromatiche. Piacevolissima la beva così intensa e persistente dove sapidità e mineralità la fanno da padrone. Ogni annata del Lavente è una vera sorpresa.

Gianmarco Iachetti – Colle San Lorenzo Igt 2021 – Che meraviglia i vini di Gianmarco. Giovane produttore classe ’92 dopo essersi laureato in Enologia all’Università della Tuscia ed aver frequentato a Bordeaux l’Institut des Sciences De la Vigne et Vin (in sigla ISVV), ritorna alle origini recuperando l’azienda appartenuta ai nonni dal lontano 1953. Prima vendemmia targata 2016. Sei gli ettari vitati, dislocati nell’Agro Pontino a Doganella di Ninfa (LT), alle pendici dei Monti Lepini, culla di due autoctoni come il Nero Buono e il Bellone. Ampia gamma dei prodotti, la maggior parte realizzata da varietà autoctone. Personalmente sono rimasta colpita dal Colle San Lorenzo, blend di uve rosse 75% Merlot e 25% Cesanese.

Il frutto di prove continue ed esperimenti per arrivare ogni anno ad ottenere risultati diversi e interpretativi. Dall’amore per il territorio è nata anche la collaborazione con l’Associazione Piccoli Vignaioli Pontini per diffondere e valorizzare al meglio i vitigni di questa zona e le loro peculiarità. Colle San Lorenzo 2021 va letteralmente dimenticato per anni in cantina, così intenso e complesso al naso con note croccanti di frutti rossi e un’importante balsamicità ben armonizzata al sottobosco finale. Sorso morbido nonostante la gioventù, si fa bere con estrema facilità portando ad una chiosa di bocca caldamente fruttata.

Rudi Bindella: dalla Svizzera al suo amore per la Toscana

Arrivando alla Tenuta Vallocaia, adagiata su un poggio che guarda la Val di Chiana e la Val d’Orcia e abbracciata dalle splendide cittadine di Cortona e Montepulciano, si capisce subito che si tratta di un bel posto, in ogni senso. I paesaggi morbidi delle colline toscane, l’architettura della cantina moderna ma accogliente, perfettamente integrata con l’ambiente circostante, la cura di ogni particolare senza essere impersonale o artefatto, confermano tale impressione.

La tenuta Vallocaia dall’esterno – photo credits Alessandro Moggi

Quando Rubi Bindella, attuale proprietario, accompagnava il padre nei suoi viaggi dalla Svizzara in Italia, in giro per grandi aziende vinicole e ristoranti, capì ben presto che l’interesse e l’amore per la Toscana e per le sue bellezze, lo avrebbero rapito prima del previsto. Nel 1971 Rudi vinse una borsa di studio all’Università per stranieri di Perugia e nel 1983 decise di fermarsi a Montepulciano, quando acquistò la tenuta. Oggi è in azienda anche il figlio, Rudi Jr.

Rudi Bindella e Rudi Bindella Jr- photo credits Alessandro Moggi

Imprenditore di successo – le cui attività spaziano oggi dalla ristorazione di alto livello con qualche decina di ristoranti in Svizzera, all’edilizia e all’immobiliare, per un totale di circa 1400 collaboratori – Rudi ha una sua visione, molto semplice ma definita: “la vita è bella”. Con questo credo, porta avanti le proprie aziende cercando di lavorare per abbellire la vita di tutti. “Offrire ambienti esteticamente curati aiuta le persone che li vivono e che ci lavorano a stare meglio”, ci spiega. Come dargli torto! E lo si vede dalla bellezza e dalla cura della cantina di Vallocaia.

Oltre che del bon vivre, del buon vino e bel buon cibo, Rudi è un appassionato di arte: ha comprato il suo primo dipinto quando aveva 16 anni e questa sua passione colora oggi anche gli ambienti della tenuta, rendendola una mostra permanente di opere di ogni tipo e da ogni luogo del mondo.

Vallocaia ha oggi all’attivo 175 ettari di cui 54 a vigneto, 16 di oliveto e una quarantina di seminativi e bosco. La crescita dagli inizi è stata graduale e progressiva (all’acquisto nel 1983 erano 2,5 ettari di vigneto, 10 di bosco e un rudere). Nel 2015 sono iniziati i lavori per la nuova cantina, una struttura interrata e progettata con le più moderne tecnologie di efficienza energetica, utilizzando materiali e colori che ben si sposano col luogo, puntando alla massima funzionalità di ogni reparto, oltre ad un lato estetico sempre curato e mai esagerato. Non ultimo, un profondo rispetto per la natura dirige la produzione vinicola in ogni sua fase, ottimizzando al massimo le risorse a disposizione, in un programma di riciclo addirittura del calore dei frigoriferi e l’utilizzo di pannelli fotovoltaici. Operano inoltre secondo tutti i dettami di un’agricoltura sostenibile e nel pieno rispetto dell’ambiente anche se non in possesso di alcuna certificazione ufficiale.

La zona vinificazione – dominata da grandi serbatoi in acciaio – è estremamente moderna, organizzata e ottimizzata per una eccellente gestione delle uve dove rigore e pulizia sono le parole d’ordine (e l’immancabile tocco estetico con le colonne rosse per dare un punto di colore e calore ad un ambiente che sarebbe, di per sé, molto freddo ed asettico).

La barriccaia, oltre a tutti gli spazi comuni in azienda, non manca della presenza di opere d’arte, quasi a volte far sentire il visitatore all’interno di un museo, piuttosto che in una cantina.

Oggi 30 ettari sono destinati alla produzione di Nobile di Montepulciano dove, tra il 2012 e il 2019 è stata realizzata la parcellizzazione dei vitigni, anticipando, di fatto, quella che sarà la nuova tipologia “Pieve” approvata nel 2021 dal Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano e in commercio dal 2024. 180 mila le bottiglie prodotte in totale, di cui 60 mila della Nobile DOCG e il resto ad altre referenze sotto il cappello Toscana IGT. La raccolta delle uve è totalmente manuale. La direzione della produzione – e di tutta l’azienda in generale – è affidata a Giovanni Capuano, originario di Cava de’ Tirreni, ma stabilmente a Vallocaia da oltre 20 anni.

Giovanni Capuano – Direttore Vallocaia

Giovanni e Rudi condividono la stessa filosofia produttiva, con l’intento di studiare e capire il carattere del territorio per trasferirlo quanto più possibile nei loro vini, affinché siano riconoscibili, identitari e ambasciatori di Montepulciano. Attraverso tre “mini verticali” delle annate 2015-2018-2019 abbiamo potuto conoscere dettagliatamente le tipologie dei Nobile rappresentativi di Vallocaia:

Vino Nobile di Montepulciano Bindella (annata, da blend di vigneti)

Vino Nobile di Montepulciano Quadri (cru)

Vino Nobile di Montepulciano Vallocaia (Riserva)

La precisa segmentazione dei suoli di ogni vigneto racconta in maniera inequivocabile le differenti tipologie di Nobile e proprio qui sta la forza di Bindella. Il Sangiovese (localmente detto Prugnolo Gentile) non può dare gli stessi risultati su terreni differenti. Per il Bindella (Nobile annata) si attinge ai vigneti posti su sabbie della Valdichiana di diversi colori (i più recenti risalgono a un milione di anni fa), da zone palustri prosciugate, mutate in terreni sciolti che si ritrovano in vini sottili, taglienti e fini al sorso, ma dagli intensi profumi. Blend di Sangiovese (minimo 85% come da disciplinare) con saldo del 15% circa tra Canaiolo (principale responsabile dei profumi, specie speziati), Colorino e Mammolo.

L’annata 2015 è ricordata come un’ottima vendemmia, dal clima caldo, secco e molto soleggiato con un unico aspetto negativo dato da alcune grandinate in giugno e luglio compromettendo alcune parcelle vitate. Ne derivano vini piuttosto intensi per colore e sostanze estrattive, medi livelli di alcool in equilibrio con un tessuto tannico ben strutturato.

Bindella 2015 si svela sui toni dei frutti rossi maturi in armonia con un manto di erbe aromatiche e balsamiche, rendendo il sorso pieno e di una piacevole freschezza gustativa. L’affinamento in botti grandi di solo rovere francese dona eleganza e profondità.

La 2018 ha inevitabilmente un altro passo, mostrando accenni di sottobosco e frutti meno concentrati dovuti ai grappoli più grandi e di conseguenza dalle sostanze più diluite. Le fasi fenologiche nella stagione sono state per forza di cose in ritardo in base alle media stagionale, a causa delle ripetute precipitazioni che da fine inverno si sono protratte fino al mese di luglio, non consentendo ai suoli di asciugarsi e quindi riscaldarsi in modo appropriato, limitando nelle piante l’assorbimento dei sali minerali. Il clima favorevole di settembre e ottobre ha fortunatamente consentito di raggiungere la piena maturazione dei frutti, portando nel calice un Nobile 2018 dalla delicata espressione del varietale in un corpo senza spigoli, per un vino che non ha bisogno di essere atteso a lungo, ma si che apprezza oggi stesso per la sua immediata freschezza e bevibilità.

Nel 2019 si cambia nuovamente registro dove si parla di vini di grande qualità. Due sono stati i periodi di intense piogge tra la primavera e l’autunno mentre il resto dell’anno – specie nel cruciale periodo giugno-ottobre – si ricorda come una stagione dominata da un clima secco con brevi ed intensi episodi piovosi (arrivati in momenti provvidenziali ed evitando un eccessivo stress idrico alle vite). Già dal colore rubino luminoso, Bindella 2019 si manifesta nell’intensità floreale nettissima e dai toni concentrati di amarena e lampone, insieme a tocchi rinfrescanti di eucalipto e un finale agrumato di grande piacevolezza.

Quadri è figlio di una parcella argillosa da terreni pliocenici, ricchi di calcare, che regalano struttura ed intensità cromatica ai vini. Dalle vigne poste a circa 360 mt slm., per questa selezione si utilizzano solo uve Sangiovese che non ha bisogno di aiuti per struttura e colore, caratteristiche che gli arrivano in maniera del tutto naturate dei terreni su cui cresce. La produzione media è di circa 13 mila bottiglie all’anno, passando da 6 a 20 mila bottiglie a seconda dell’annata. La differenza può essere davvero molto significativa in termini di quantità, ma la scelta delle uve è decisamente selettiva, tanto che si è deciso di usarle solo per il Nobile, non declassando un parte di materia prima, eventualmente, per la produzione di Rosso di Montepulciano, ma rinunciando completamente all’utilizzo dei grappoli non idonei.

Tra le 3 annate degustate, la 2015 sfuma su toni aranciati e parla di bosco, frutti neri essiccati e maturi, more e prugne, funghi e foglie bagnate, dando spazio anche a delicate note tostate di cacao e caffè ed accenni di cera. Il sorso è composto e sorretto da tannini in riga e ben integrati, chiude balsamico in una scia di scorza d’arancia. Di contraltare, anche qui nel millesimo 2018 si riscontra chiaramente l’annata molto diversa e un po’ più “snella” ma non meno interessante. L’acidità resta protagonista di ogni vino aziendale: in questo calice spiccano più i richiami al floreale scuro di viola, ai frutti rossi sotto spirito dal sorso scorrevole, in un finale di media lunghezza. Anche in questo caso, bevilo oggi e apprezzane la piacevolezza. Quadri 2019 spinge su fragole e ribes, note floreali fresche e profumate con una struttura tannica integra e graffiante. Chiude in lunghezza con un ottima sapidità e il richiamo a qualche anno di bottiglia per integrare al meglio le parti, godendone ancora di più in futuro.

La Riserva Vallocaia nasce dalle storiche dalle terre rosse di Montepulciano, argillo-sabbiose e ricche di ferro e manganese. Va da sé che nel calice si ritrovano la complessità e la struttura date dalle argille e i variegati profumi delle sabbie. Circa il 95% di Sangiovese e un accenno di Colorino compongono il blend del Nobile di Montepulciano Riserva.

Le terre rosse dei terreni per la Riserva Vallocaia

L’annata 2015 ritrova nella Riserva ancora la vivacità del rosso rubino intenso. Il naso è monolitico, compatto e complesso di rose rosse e viola, ciliegie e mora mature, foglie di mirtillo e lieve tostature arricchiscono il bouquet. In bocca è ampio e dalle sfumature balsamiche, slanciato con il frutto al centro bocca, guidato da un tannino che accarezza il sorso. Chiude a lungo su note sottili di cacao. La vendemmia 2018 conferma una carattere più morigerato, quasi timido su accenni di piccoli frutti e zest di arancia, comune denominatore degli assaggi fino a qui raccontati. La spinta acida dona dinamicità al sorso. 2019 è la compiutezza del Nobile nella sua forma migliore: grande protagonismo del Sangiovese perfettamente maturo e croccante, nota smoky che lo rende accattivante in un sorso strutturato e sapido, succoso e fresco, dove il tannino tipico del vitigno conduce le danze e guida il vino verso l’evoluzione in bottiglia. Riassaggiare tra 3/5 anni quando potrà regalare ancora maggiori soddisfazioni!

Chiacchierando con Giovanni, io gli altri colleghi della stampa presenti, gli abbiamo chiesto di scattare una fotografia sull’attuale situazione della denominazione e di abbozzare una previsione a breve-medio termine. Conviene con noi che il Nobile di Montapulciano è un vino che negli ultimi 10 anni ha un perso un po’ della sua identità, a causa della forse troppa libertà di produzione data dalle modifiche apportate al disciplinare dal 2010, permettendo un utilizzo maggiore di varietà di uve (fino al 30% di tutte le varietà coltivabili in Toscana, internazionali inclusi) creando grande confusione tra produttori e consumatori. Il maggior numero di ettari iscritti a Nobile è nelle mani di imbottigliatori di una cantina sociale, aumentando così la difficoltà di far crescere il livello di apprezzamento del Vino Nobile nel mondo. Last but not least, la variegata differenza di prezzi per una stessa tipologia di etichetta, quasi senza controllo. L’impegno di Bindella Tenuta Vallocaia nella valorizzazione del Vino Nobile di Montepulciano è significativo, soprattutto in questi anni in cui molti si chiedono in che direzione stiano andando il Consorzio e la denominazione, adesso che si va verso l’istituzione delle menzione geografiche aggiuntive con le “Pievi” e la restrizione all’utilizzo di soli vitigni autoctoni per la produzione del Nobile.

Benvenuto Brunello 2022: “Why Always Me?”

La bulimia comunicativa colpisce ormai ogni settore e categoria merceologica. Il vino non è da meno, anzi gli specialisti dell’analisi sul futuro di un’annata si sprecano. È lo sport italiano pari soltanto al gioco del calcio, quando si cerca di indovinare la formazione della Nazionale da novelli allenatori. Sia ben chiaro che il diritto di osservare quanto si assaggia in fase di giudizio è sacrosanto. Lo spingersi però oltre, ipotizzando decenni di vita o altrettanti rapidi declini, è solo frutto di una scommessa potenzialmente pericolosa e piena di risvolti empirici. Il metodo razionale e sistematico comporta la visione di un intero insieme sulla base delle degustazioni effettuate; a parlare deve essere sempre il contenuto del calice, senza aggiunta di vademecum su come fare prodotti di qualità o vaticini da autentici profeti enologici. Atteniamoci dunque ai fatti, osservando l’intramontabile Brunello di Montalcino che si presenta con la sua Anteprima 2018 per la versione d’ingresso e la 2017 per la Riserva, senza dimenticare la crescita straordinaria dei meno impegnativi Rosso di Montalcino targati 2020 e 2021.

Non vuole essere il classico elenco di aziende in competizione: per una volta non prenderemo alcuna posizione stilando classifiche ad hoc che finiscono presto nel dimenticatoio. Affronteremo, invece, il grande dilemma che toglie il sonno (o lo fa venire a seconda dei punti di vista) al consumatore medio: durerà o non durerà la 2018? Se incontrate un cliente che vaga tra ristoranti in cerca della risposta a tale quesito, vi prego di comunicarlo alla Redazione di 20Italie per intervistarlo prima delle cure psichiatriche. Entrando più nel vivo della discussione, la tesi della presunta “magrezza” dei vini nati sotto il segno ’18, ricordo che in quel periodo vivevo stabilmente in Toscana. Da testimone oculare delle stagioni passate non mi sarei aspettato di sicuro una vintage potente e muscolare come la 2017, e quante fesserie avevamo sentito pure su di essa! A parlare di levità e minor lunghezza di aromi e sapori ce ne corre: gli oltre 60 campioni testati spingono verso note evolutive scure, simili al sottobosco tipico del Sangiovese che avevamo dimenticato da tempo. Il frutto non è un dominatore assoluto, ma spalleggia sensazioni floreali e speziate in un triangolo equilatero davvero sublime. Il sorso è denso, meno materico, ma di grande impatto. I tannini sono mediamente pronti e di ottima fattura, senza nuance verdi o grip sgradevoli. Se bisogna per forza trarre delle conclusioni finali possiamo dire con certezza che equilibrio, eleganza e carattere sono le tre componenti ideali per dare un vestito da sarto d’alta moda ai Brunello di Montalcino presentati a stampa ed appassionati. Il resto sono chiacchiere da partita di scopone scientifico al tavolo di un bar. 

“E chi non beve con me peste lo colga!”

Sud Top Wine : i vini Campani premiati

Qualità media in netta crescita. L’autoctono conquista i mercati internazionali.
Sono 69 i vini migliori del Sud Italia selezionati dalla prestigiosa giuria di Sud Top Wine tra oltre 600 etichette provenienti da Campania, Sicilia, Basilicata, Puglia, Calabria e Sardegna.
La Commissione del concorso ideato e organizzato da Cronache di Gusto, composta da Daniele Cernilli (Doctor Wine – presidente della Commissione), Stephen Brook (Decanter), Robert Camuto (Wine Spectator), Andreia Debon (Bon Vivant) e Federico Latteri (Cronache di Gusto) – ha degustato i vini suddivisi in 23 categorie e individuato i vincitori premiati nell’ambito di Taormina Gourmet presso l’Hotel Villa Diodoro a Taormina, alla presenza dei giurati e dei giornalisti presenti all’evento e di Gino Colangelo, dell’agenzia americana Colangelo & Partners, partner del concorso Sud Top Wine.

Campania
Taurasi Docg
Taurasi Docg Alta Valle 2017 – Colli di Castelfranci
Taurasi Docg Sant’Eustachio 2017 – Boccella
Taurasi Docg Riserva Scorzagalline 2015 – Fonzone

Greco di Tufo Docg  
Greco di Tufo Docg Riserva Vigna Laure 2020 – Cantine Di Marzo
Greco di Tufo Docg Riserva Vallicelli 2020 – Colli di Castelfranci
Greco di Tufo Docg Riserva Grancare 2020 – Tenuta Cavalier Pepe

Fiano di Avellino Docg
Fiano di Avellino Docg Riserva Alessandra 2013 – Di Meo
Fiano di Avellino Docg 2020 – Guido Marsella
Fiano di Avellino Docg Alimata 2018 – Villa Raiano

Vini bianchi campani a base di Falanghina
Campi Flegrei Dop Falanghina Cruna Delago 2021 – La Sibilla
Campi Flegrei Dop Falanghina Vigna Astroni 2018 – Cantine Astroni
Campi Flegrei Dop Falanghina Luce Flegrea 2021 – Cantine del Mare

Vini bianchi campani (varie Doc e Igt)
Paestum Igp Greco Elea 2019 – San Salvatore 19.88
Cilento Doc Fiano Licosa 2021 – Il Colle del Corsicano
Irpinia Doc Fiano 2021 – Il Cortiglio

Vini rossi campani (varie Doc, Docg e Igt)
Terre del Volturno Igp Pallagrello Nero Tralice 2019 – Il Casolare Divino
Irpinia Doc Aglianico 2019 – Antica Hirpinia
Paestum Igp Rosso Mèrcori 2017 – Francesca Fiasco

La giuria di Sud Top Wine ha evidenziato come negli anni stia cambiando in maniera evidente l’approccio del consumatore internazionale verso i vini italiani. C’è grande curiosità e interesse verso i vitigni autoctoni, rispetto ad un recente passato in cui venivano privilegiati vini dal carattere più internazionale. In generale la qualità media del prodotto è nettamente in crescita e i vini si presentano come più autentici e sempre più territoriali. Si registrano progressi sui rosati, con la presentazione anche di vecchie annate, a dimostrazione che le cantine cominciano a credere su questa tipologia in maniera più incisiva. Un quadro, insomma, molto interessante, che delinea un futuro sempre più importante per i vini del Sud Italia.

Top Sud Wine, i 29 imperdibili del Vulcano

Sono 29 i vini imperdibili selezionati dalla Guida ai Vini dell’Etna 2023 edita da Cronache di Gusto. Un volume in italiano e in inglese, giunto alla sua settima edizione, che racconta il vino dell’Etna con 125 cantine recensite (con ben 16 new entry) e 29 etichette da non perdere selezionate tra oltre 450 assaggi, che rappresentano la qualità e l’espressione più significativa del territorio del Vulcano attraverso i vini e chi li produce.

La Guida ai Vini dell’Etna si conferma la pubblicazione più completa al mondo dedicata ai vini del Vulcano, registrando annualmente tutte le novità del territorio, puntando l’attenzione anche sulla grande diversità dei quattro versanti in cui la guida divide il territorio della Doc Etna, macroaree che facilitano di molto la comprensione dell’Etna da bere.
La presentazione dei vini imperdibili dell’Etna (di cui otto bianchi) di Taormina Gourmet, il più importante evento del Sud Italia dedicato al meglio del food & beverage firmato Cronache di Gusto.

Ecco i 29 Vini Imperdibili dell’Etna:
Doc Etna Bianco Contrada Cavaliere 2020 – Benanti
Doc Sicilia Il Bianco 2021 – Buscemi
La Contrada dei Centenari 2020 – Calabretta
Doc Etna Rosso Calderara 2019 – Calcagno
Doc Etna Bianco Superiore Milus 2020 – Cantine di Nessuno
Doc Etna Rosso Contrada Carranco RV 2019 – Carranco
Munjebel Rosso CR 2019 – Frank Cornelissen
Doc Etna Rosso Riserva Zottorinoto 2017 – Cottanera
Doc Etna Rosso Feudo Pignatone Davanti Casa 2020 – Emiliano Falsini
Doc Etna Bianco Millemetri 2017 – Feudo Cavaliere
Doc Etna Rosso Arcuria Sopra il Pozzo 2017 – Graci
Mareneve 2020 – Federico Graziani
Doc Etna Bianco Superiore Imbris 2019 –
I Custodi delle Vigne dell’EtnaDoc Etna Rosso Vinupetra 2020 – I Vigneri
Doc Etna Rosso Nerello Mascalese 2020 – Masseria Setteporte
Doc Etna Rosso Rumex 2020 – Monteleone
Doc Etna Rosso Prefillossera 2019 – Palmento Costanzo
Contrada G 2020 – Passopisciaro
Doc Etna Rosso Barbagalli 2019 – Pietradolce
Doc Etna Rosso San Lorenzo Piano delle Colombe 2019 – Girolamo Russo
1.200 Metri s.l.m. 2020 – Azienda Agricola Sciara
Doc Etna Rosso Alberello 2020 – Src Vini
Doc Etna Rosso Pignatuni Vecchie Vigne 2019 – Famiglia Statella
Doc Etna Rosso Feudo di Mezzo-Il Quadro delle Rose 2020 – Tenuta delle Terre Nere
Doc Etna Bianco A’Puddara 2020 – Tenuta di Fessina
Doc Etna Bianco Nuna 2020 – Tenute di Nuna
Doc Etna Rosso Calderara 2019 – Tornatore
Pirrera 2020 – Eduardo Torres Acosta
Doc Etna Rosso Contrada Malpasso 2020 – Vigneti Vecchio