Il Cinema prende forma a Sala Consilina (SA) con la decima edizione del Toko Film Fest

Ciak si gira! Parliamo di territorio e lo facciamo, questa volta, con una lodevole iniziativa giunta ormai alla sua decima edizione: il Toko Film Fest – Festival Internazionale di Cinema e Cultura.

Ideato da un’associazione di giovani appassionati della settima arte, definita tale dal critico Ricciotto Canudo nel manifesto del 1921, la kermesse ha cambiato più volte forma, come la pelle di un camaleonte mentre cerca di adattarsi ai colori dell’ambiente circostante.

Partito nel 2014 dalla Piazzetta Gracchi – “la chiazzeredda” per i cittadini salesi – l’evento ha assunto ormai le forme di un appuntamento fisso, che richiama pubblico dai numerosi comuni del Vallo di Diano (e non solo). Ospiti fissi selezionati tra registi, attori e musicisti di caratura nazionale, oltre laboratori di recitazione, cortometraggi, live podcast e talk culturali.

Quest’anno la vera novità è stata quella di passare da un Festival interattivo e itinerante dei tempi della pandemia ad una sorta di “Festival diffuso” lungo 7 giorni e con numerose iniziative in programma dal 24 al 30 luglio. Il culmine sarà il live show finale con il concerto di Valerio Lundini, conduttore televisivo, musicista, comico e scrittore, accompagnato dal gruppo I Vazzanikki già presenti su Raidue nel programma satirico “Una pezza di Lundini”.

Il dibattito invece, spiega il direttore artistico Gianmarco Ungaro, vedrà la presenza del regista Valerio Vestoso e degli artisti Demetra Bellina, Cristina Cappelli, Sabrina Martina, Andrea Vailati, Mauro Zingarelli e il team di sviluppatori indie Morbidware: Diego Sacchetti, Giuseppe Longo e Matteo Corradini (membro dei The Pills e scriptwriter di “The Textorcist”).

Nei giorni precedenti si è svolta la proiezione al Cinema Adriano del film Mixed by Erry del regista Sidney Sibilia e un incontro al Gran Caffè Trezza a Teggiano (SA) per la visione dei cortometraggi ammessi in concorso al Toko Film Fest.

Non manca l’attenzione verso i produttori del territorio; l’occasione ideale per fare la conoscenza di Alessandro Paventa, uno dei titolari, assieme ai cugini, del Caseificio S. Antonio di Sala Consilina (SA), terza generazione di imprenditori abili nel realizzare fiordilatte e caciocavallo di alta qualità. Una gradevole sosta trascorsa assaggiando proprio il loro caciocavallo, stagionato dieci giorni e cotto alla piastra su pane bruschetta.

Nel retro del Palazingaro, sede delle ultime due serate della manifestazione, è possibile anche osservare una piccola mostra d’arte contemporanea, ispirata alle problematiche sociali e ambientali del nostro tempo. Dichiarano gli organizzatori: <<prima ancora che una rassegna cinematografica, è amore per il territorio e per le proprie radici. Uno dei punti fermi è il recupero del centro storico di Sala Consilina, utilizzando il Festival anche per rafforzare la comunità esistente e rilanciare la zona come attrattore turistico e di investimenti nell’intero Vallo di Diano. Una parte fondamentale della nostra macchina organizzativa è sempre stata accompagnare i nostri ospiti – o nuovi membri dello staff provenienti da fuori Regione – a visitare i punti di forza del Vallo di Diano: Certosa di Padula, Grotte di Pertosa, Battistero di San Giovanni in Fonte ed altri, di concerto con le istituzioni e coinvolgendo altre associazioni ove necessario>>.

Per ulteriori info: https://www.tokofilmfestival.it/

L’ingresso è totalmente gratuito.

I volti del Verdicchio dei Castelli di Jesi come non li avete mai visti: piccolo compendio per visitare le splendide Marche

Volevamo stupirvi con effetti speciali dicevano in uno spot anni ’80. Perché invece non parlare concretamente della qualità media elevata del Verdicchio dei Castelli di Jesi riscontrata durante il press tour “I Magnifici 16” organizzato dall’Istituto Marchigiano Tutela Vini (in sigla IMT). Il Presidente Michele Bernetti ed il Direttore Alberto Mazzoni hanno cercato di spiegare a parole il lavoro svolto negli anni di ripresa delle Denominazioni regionali da alcuni momenti bui.

Ma per quanto concerne il Verdicchio dei Castelli di Jesi i veri effetti speciali li abbiamo vissuti nel conoscere di persona i volti e i prodotti delle persone che si sporcano le mani quotidianamente in vigna, recuperando quell’antico sapere che è l’arte di far vino e farlo buono. Dal 2024 anche la tipologia “Superiore” rientrerà nella DOCG assieme alla già presente Riserva, con facoltà di utilizzare o meno il nome Verdicchio in etichetta.

Scelte commerciali che probabilmente non influenzeranno lo stile attuale, se non nell’ottica di una maggiore considerazione delle sottozone produttive. Bisogna avere pazienza in ogni progresso teso a nobilitare un territorio e i suoi vitivinicoltori. E adesso fiato alle trombe! Lo spettacolo sta per cominciare.

Quattro i fiumi che delimitano l’areale lungo i punti cardinali: Musone, Cesano, Misa ed Esino, con suoli variabili per altimetrie e componenti. Dai ciottoli fluviali si passa a sabbie marine, calcare e argille nei versanti collinari, sferzati dai venti freddi dell’Adriatico che influiscono sul carattere aromatico e sul nerbo minerale dei vini.

Direttamente da Cingoli (MC) ecco la Tenuta di Tavignano con a capo Ondine de la Feld Aymerich, entrata nel 2014 in azienda affiancando i fondatori Stefano Aymerich di Laconi e Beatrice Lucangeli. Il Verdicchio Classico Superiore 2021 “Misco” è austero, ricco di agrumi e spezie pepate su finale iodato. Da vigne di oltre 30 anni nella valle del Musone. Solo acciaio per 18 mesi. Cura oggi la parte enologica Pierluigi Lorenzetti.

Tenute Priori e Galdelli presenta un Metodo Classico Millesimo 2017 sboccatura febbraio 2023 da urlo, grazie all’estrema duttilità del varietale e alla spiccata acidità che consentono bellissime espressioni anche nel campo delle bollicine. Rosora (AN) siede su un antico deposito pliocenico di sabbie e conchiglie fossili. Verticale, dal corredo infinito di fiori bianchi, lascia la bocca in assetto verso un nuovo assaggio o verso la gastronomia tipica tra salumi e pesce. Enologo Sergio Paolucci.

Finocchi Viticoltori, giunti alla quarta generazione con Marco Finocchi, viene assistita da un enologo che ha cambiato per sempre l’identità del Verdicchio proiettandolo tra i migliori bianchi al mondo: Giancarlo Soverchia. Siamo a Staffolo (AN) a 500 metri d’altitudine con il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico Fiore 2015: la volontà di spingere il vitigno su vette inesplorate, facendo fermentare il uve in barrique più una maturazione di ben 18 mesi. Ammicca ai vin jaune francesi con un buon mix tra freschezze e sensazioni di frutta secca e tostature.

Azienda Mancini di Emanuela Mancini, con vigne a Maiolati Spontini (AN), realizza il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2019 da piante di oltre 40 anni. Ci mette un po’ a reagire nel calice, ma alla fine sprigiona energia pura in stile marchigiano tra mielosità, nuance succose di susine appena colte e zagare. Elegante dall’inizio alla fine. Anche qui Sergio Paolucci conduce il lavoro di cantina.

Fattoria Nannì si trova invece nella zona più a Sud della denominazione, precisamente ad Apiro (MC). Clima molto simile alla confinante Matelica, con il Monte San Vicino a mitigare le influenze calde estive. Piante di età compresa tra i 50 e i 60 anni di vita e una cantina nata nel 2015 dal proprietario enologo Roberto Cantori. Interessante il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2021 “Origini”, nella ostentazione di sfumature da vendemmia tardiva, come mandorla amara e macchia mediterranea.

Che dire di Fattoria Coroncino, premiatissima dalle guide di settore, qui rapresentata da Valerio Canistrari dopo la prematura scomparsa del padre Lucio avvenuta nel 2021. Gli appezzamenti sono ubicati a Staffolo e Cupramontana su terreni calcarei e marnosi. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2021 è semplicemente commovente, tra note di cipria, caramello, affumicature e agrumi canditi. Assemblaggio di varie parcelle dopo 9 mesi dalla raccolta e vinificazione. Selezione massale con cloni registrati, un’autentica rarità.

Cantina Luca Cimarelli: a parlarcene è il nipote Tommaso Aquilanti, descrivendo l’accorpamento di 2 appezzamenti tra Contrada San Francesco e Contrada Corte a Staffolo (AN). Colpisce il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2019 “Selezione Cimarelli”, da uve scelte su viti di 50 anni. Tanta sostanza e delicatezza, con riverberi di pesca matura, arancia gialla e glicine. Solo cemento e vetro.

Colognola – Tenuta Musone ha certificato i suoi 33 ettari vitati con il marchio BIO dal 2014. Gabriele Villani funge sia da enologo che Direttore, curando i terreni esposti a Nord sul versante più alto di Cingoli (MC). Rese bassissime per il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2020 “Ghiffa”, ben 18 mesi di sosta sulle fecce fini e batonnage per un vino austero, che gioca a nascondino prima di esprimersi con carattere in tutto il meglio del varietale. Il nome deriva da un single vineyard a San Michele della Ghiffa.

Andrea Felici parte da zero, nel 2005, con la sua attività a conduzione familiare, grazie anche all’aiuto del figlio Leopardo (per tutti Leo) di rientro da esperienze internazionali avute grazie ai migliori chef e manager del globo. Il loro Cru Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2017 “Cantico della Figura” conserva dinamismo ed eleganza, al netto di una verve muscolare che rimanda all’annata di provenienza e che lo rende panciuto al centro bocca. Evolve su note idrocarburiche stimolanti e appetitose.

Cantina Spallacci è posta al limitare di Corinaldo (AN) a 200 metri sul livello del mare con terreni di medio impasto. Giordano Spallacci è il titolare, coadiuvato nelle scelte enologiche da Aroldo Bellelli. Nuova cantina dal 2011. Buono il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2021 “Il Villano”: vibrante e caloroso, mantiene il passo su sensazioni di frutta secca e miele d’acacia.

La Staffa ha compiuto 30 anni da poco e la cura dell’enologo Umberto Trombelli è sinonimo di qualità. Siamo di nuovo a Staffolo (AN), su crinali a elevate altitudini e ottime esposizioni. Il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2020 “Rincrocca” ammalia per delicatezza, dimostrando al contempo una vena acida piuttosto irsuta che lo pone in lunga prospettiva. Fermenta e matura in cemento per 12 mesi, oltre 2 anni di sosta in bottiglia. Sbuffi di mela verde, miele di corbezzolo ed erbe officinali con una persistenza salmastro in splendida forma.

Simonetti: i sorridenti Massimo e Mirco ereditano dal nonno l’azienda nata a metà del secolo scorso. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2021 nasce da un cru che regala forti componenti minerali, grazie anche a una resa davvero irrisoria di appena 50 quintali d’uva per ettaro. Teso come un vento di tramontana che sferza portando con sé ricordi di salsedine.

Cantina Suasa di Giorgio Secondini è una piccola realtà di 4 ettari a Castelleone di Suasa, che guarda dritto alle acque del Mar Adriatico a pochi chilometri. Dominano argille e sabbie per vini di corpo, dall’allungo fruttato. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2021 “Princeps” emerge con lentezza, la stessa che gli antichi romani chiamavano festina lente, ovvero un’alternanza tra passo piano e subito che conduce comunque al traguardo, fatto di mandorla secca, bouquet di fiori bianchi e crema pasticcera.

Il mio personalissimo premio al merito lo ottiene lui, Giovanni Donninelli con la cantina Terre di Confine. Quasi 3 gli ettari in produzione su suoli argillosi a Castelpliano (AN). Rapporto qualità prezzo infinitamente bello, ciò che rende questo mondo sorprendente e amaro in parti uguali, quando noti dei divari non giustificati dal reale valore del vino. Giovanni produce un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 2021 per circa 1200 bottiglie vendute in azienda a 5 euro. Vigne vecchie che regalano quel corredo zuccherino, associato ad effluvi officinali e una mineralità appagante. Averne! Speriamo nel prosieguo futuro da parte del suo erede di questa perla tutta marchigiana.

Vignamato di Francesco e Maurizio Ceci trae le proprie origini da nonno amato, uno dei 13 fratelli della numerosissima famiglia. Gli ettari vitati arrivano fino a Monte Follonica, uno dei luoghi maggiormente vocati (e belli) della denominazione d’origine. Il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2018 “Ambrosia” è superbo. Nasce da un cru piantato nel 1975. Le sensazioni divagano su fiori appassiti, scorze di cedro e iodio marino. Sollo cemento.

Chiudiamo i sipari con la giovane e promettente Marasca Rossi e con Luca Marasca che, assieme al fratello Matteo, ha realizzato il sogno di non veder vanificata la passione di nonno Mino scomparso nel 2010. Un aiuto concreto da Roberto Potentini che insegna ai novelli vigneron a prendersi cura di campi e vinificazione, praticamente da garagisti. Unica realtà a Monte Roberto con presenza di argille e limo. Nella mini verticale proposta della sola etichetta di Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore – annate 2019, 2020 e 2021 – vince, a mani basse, quest’ultima per maggior pulizia e consapevolezza degli attori protagonisti. Gradevole espressione ancora timida agli inizi, ma dal sorso equilibrato e succoso.

Un compendio che si spera possa servire ad un viaggio di approfondimento alla scoperta delle meravigliose Marche.

In tour con Le Donne del Vino delegazione Lazio: alla scoperta del Cesanese – parte seconda

di Olga Sofia Schiaffino

La seconda giornata del press tour de Le Donne del Vino delegazione Lazio è iniziata con una ricca colazione all’agriturismo VerdeLuna, dalla terrazza affacciata sulla vigna che guarda le montagne e i borghi collinari. Da lì abbiamo raggiunto una vigna di Cesanese dell’azienda Terenzi incontrando il fondatore dell’azienda: Giovanni Terenzi accompagnato da sua figlia Pina.

Persona carismatica, che ha creduto nelle potenzialità del territorio e della viticoltura nei tempi in cui il miraggio economico era rappresentato dalle industrie e dal lavoro in fabbrica. Giovanni conosce le viti quasi fossero figli e ci spiega i danni del mal dell’esca, come effettuare la spollonatura e soprattutto come riconoscere una pianta di Cesanese.

Una realtà vitivinicola a conduzione familiare, nata negli anni ’50: che conta adesso su 12 ettari gestiti in modo naturale e sostenibile, lavorati con cura, e con il figlio Armando che si occupa della cantina di vinificazione e affinamento vini.

Nella sala di degustazione con vista mozzafiato sulla vallata e su Palliano, i piatti del territorio sono stati serviti insieme ai vini dell’azienda. Il primo a essere assaggiato è stato il bianco Zerli 2021, Passerina del Frusinate fortemente voluta da Pina. Un risultato molto interessante: il vino mantiene freschezza e delicatezza dei profumi di pera, sambuco, acacia, a cui si integrano garbate note speziate.

Colle Forma 2020 Cesanese Superiore da un vigneto coltivato nella parte più bassa e argilllosa del terreno visitato la mattina. Dopo la fermentazione in acciaio vede l’utilizzo della botte grande per 20 mesi e affinamento di 12 mesi in bottiglia. Corredo olfattivo che regala nuance di spezie, frutta e balsamicità. Tannino levigato e bella persistenza.

Vajoscuro 2020 Cesanese Superiore Riserva ottenuto dalle uve raccolte nella parte superiore della vigna, ricca di ciottoli, matura 12 mesi in tonneau da 350 hl e 24 mesi in bottiglia. Colore luminoso, granato, alla prima olfazione si apprezzano sentori di mina di matita, ciliegia in gelatina, peonia, pepe bianco e nero, thè. Tannino vivo, perfettamente disciplinato e integrato. Finale lungo e persistente.

Pina e Armando ci hanno deliziato con una mini verticale di Vajoscuro, annate 2015 e 2013. Pur essendo molto diversi, entrambi i vini hanno colpito per la loro personalità: il primo, dal carattere solare, con profumi intensi di frutta in confettura e sottospirito, ciliegia, cardamomo, pepe corbezzolo, lentisco e il secondo più riservato, centrato su un bouquet ricco di terziari quali humus, sottobosco, fungo, tabacco, elicriso, ginepro e pepe.

Velobra è ottenuto da una vigna di Cesanese piantata nel 1962 nel comune di Serrone Velobra; dopo la vendemmia manuale, la fermentazione e la macerazione sulle bucce per circa 10 giorni, resta in acciaio per 12 mesi. Grande giovialità e immediatezza di bocca.

La giornata è proseguita con il trasferimento ad Anagni per la visita alla cattedrale e alla cripta e la degustazione presso Bottega dei Papi, sulla bellissima piazza medievale perfettamente conservata.

Cantina Colacicchi è stata fondata dal maestro Luigi nel 1950, con il progetto di produrre un grande vino utilizzando Cesanese, Merlot e Cabernet Sauvignon: la conoscenza e l’amicizia con il famoso vinaio romano Marco Trimani fece sì che le bottiglie venissero distribuite e vendute. Il Torre Ercolana conquistò Luigi Veronelli che lo recensì nel Catalogo Bolaffi dei Vini del mondo, indicando quali annate di pregio il 1958, il 1964 e il 1966. Alla morte del maestro, liquidati gli eredi, la famiglia Trimani scelse di proseguire il progetto vitivinicolo, in un nuovo impianto di cabernet e merlot nel 2002, investendo poi nella conversione biologica ottenuta nel 2020 e sull’utilizzo di lieviti indigeni per le fermentazioni dal 2022.

L’azienda si trova ad Anagni, capitale sacra degli Ernici e una delle cinque città ciclopiche create dal Dio Saturno secondo la mitologia, adagiata su una collina tufacea che domina la Valle del Sacco.

Carla Trimani ha portato il suo accorato ricordo e il racconto di quello che sono i vini e l’azienda adesso: la degustazione è iniziata con due vini molto puliti e di ottima beva, Stradabianca 2022 (blend di Passerina, Bellone e Passerina del frusinate vinificate in acciaio) e Schiaffo 2020 Anagni Rosso Doc ottenuto da vigne giovani di Cabernet Sauvignon, Merlot e Cesanese sapientemente vinificate dall’enologo Danilo Proietti, collaboratore di diverse realtà visitate durante il tour.

Tufano Cesanese Lazio 2014 è figlio di un millesimo difficile ma colpisce per il naso che richiama il cacao, humus, la vaniglia, ciliegia e prugna in confettura. L’acidità e il tannino bilanciano l’alcool e il vino chiude su elementi balsamici.

Romagnano Lazio Rosso 2015 è composto per il 50% da Cesanese di Affile e dalla restante parte da Merlot e Cabernet Sauvignon in proporzioni uguali. Corredo olfattivo frutta, floreale, erbaceo e speziato. Tannino serico.

Torre Ercolana Lazio rosso 2015 è il vino prodotto con le uve Cabernet, Merlot e Cesanese in percentuali uguali, provenienti dal vigneto storico. Naso complesso, magnetico, con sentori di prugna mirabelle, tabacco, cacao, chinino, marasca e una nota ematica. Tannino preciso, lungo e persistente nel finale, con buona potenzialità di invecchiamento.

La giornata è terminata a Olevano Romano al ristorante Casale Coni dove, ai gustosi piatti della cucina, abbiamo trovato in abbinamento i vini dell’azienda Consoli.

La storia della Cantina Consoli inizia nel 1920 con Sante; giunta alla quarta generazione è una realtà che ha un forte legame con il territorio di Olevano Romano: il suo impegno è quello di selezionare uve e mosti per dare vita a vini da imbottigliare, da proporre sul mercato.

Roma Doc Rosato è  ottenuto da uve Cesanese 35%, Montepulciano 50% e la restante parte Syrah: il colore richiama quelli francesi, i profumi delicati e freschi.

Oddone è un Cesanese dedicato a Oddone Colonna, signore di Olevano Romano intorno al 1232; le uve provengono da vigneti caratterizzati da suoli argilloso tufacei e sono vendemmiate verso la metà di ottobre. Dopo la fermentazione, matura in acciaio e affina in bottiglia.

Luna Mater 2014 è un Cesanese di Olevano che sosta 8 mesi in barrique. Il naso offre una gamma di sentori di spezie dolci e rimandi fruttati; il tannino è gentile ed equilibrato.

Ultima cantina visitata giovedì 8 giugno è stata Petrucca e Vela: Tiziana e Fabrizio hanno organizzato un tour con le biciclette elettriche per godere appieno della bellezza delle vigne e delle colline ciociare.

La gita è stata proposta da Pachamama Adventure e la guida biker Danilo Camusi è stata veramente brava a coinvolgere positivamente i presenti in una esperienza davvero emozionante. Dopo la fatica, ad accoglierci in cantina l’enologo dell’azienda, che ha guidato il gruppo in cantina spiegando alcune delle scelte fatte per la vinificazione, e un gustosissimo pranzo, accompagnato dai canti e dall’esibizione del coro di Bellegra.

Abbiamo iniziato con Rosesi, un rosato ottenuto da una vinificazione in bianco del Cesanese, affascinante davvero per il colore color melograno e la succosa croccantezza del frutto. Persistente e sapido in chiusura.

La Passerina del frusinate Vela è nata dalla scommessa di voler puntare su questo vitigno per produrre vini bianchi apprezzati dai consumatori; risultato sicuramente raggiunto!

Tellures 2015 Cesanese del Piglio Superiore Riserva dal colore intenso e dal corredo olfattivo articolato su eleganti note balsamiche e di frutta rossa, con una leggera speziatura sul finale. Una buona struttura supportata dalla acidità e da una buona sapidità.

Non è facile riuscire a organizzare un appuntamento così ben articolato, con le giuste pause, il tempo per le relazioni e le scoperte, per l’arte e la cultura: Le Donne del Vino del Lazio hanno raggiunto perfettamente l’obiettivo ma prima di tutto hanno testimoniato la loro passione e grande amore per un territorio meraviglioso, che merita di essere approfondito e comunicato.

Sono stati due giorni pieni di rivelazioni, che hanno messo in luce la filosofia, l’ardore, la determinazione delle produttrici incontrate , impegnate a rafforzare una identità di gruppo, basata anche sulla viticoltura e sulla bellezza del Cesanese.

Un grazie a tutte, dal profondo del mio cuore.

Romagna: a Brisighella nasce l’associazione “Anima dei Tre Colli”

di Matteo Paganelli

Anima dei Tre Colli. È questo il nome scelto per la neonata associazione di viticoltori Brisighellesi.

Ai blocchi di partenza sono in cinque: Azienda Agricola Gallegati, Fondo San Giuseppe di Stefano Bariani, Podere Baccagnano di Marco Ghezzi, Vigne dei Boschi di Paolo Babini e Vigne di San Lorenzo di Filippo Manetti.

La prossima ad entrare sarà La Collina di Mirja Scarpellini, anche se i confini dell’associazione sono i medesimi che insistono sulla sottozona Brisighella del Romagna Sangiovese (includendo quindi una parte di Faenza e una parte di Casola Valsenio), portando a circa 18/19 le aziende che potrebbero farne parte. Il fermento che si è creato negli ultimi giorni, infatti, denota un grande interesse all’ampliamento dell’associazione.

Per l’occasione, 20Italie si è recata in quel di Faenza per intervistare Cesare Gallegati, presidente dell’associazione. Da buon padrone di casa, con l’ospitalità che lo contraddistingue, Cesare mi fa accomodare all’ombra nel suo dehor mentre va a prendere due bottiglie che aveva precedentemente raffreddato, per potermele servire durante la chiacchierata. E così, fra i frinii delle cicale e i paupuli dei pavoni, incomincio a porre qualche domanda a Cesare, perché la curiosità a riguardo è tanta.

20Italie (Matteo Paganelli): Cesare, come è nata l’idea di questo progetto e quali sono state le esigenze riscontrate che lo hanno reso necessario?

Cesare: Nonostante il benestare ufficiale sia arrivato il 18 di aprile, è più di un anno che ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto delle riunioni preliminari cercando di coinvolgere più persone possibili e alla fine l’idea è nata da queste cinque aziende che hanno sentito l’esigenza di unirsi per provare a promuovere la nostra sottozona in una maniera più idonea, più incisiva. Finora Brisighella è ben conosciuta per l’olio e per la bellezza del borgo storico. Nonostante nel corso degli anni tanti produttori di vino siano stati premiati dalle guide nazionali, la sensazione è che ancora la Brisighella del vino non sia stata valorizzata come dovrebbe. Oggi, la vediamo inoltre come strumento di risposta all’alluvione che ha messo in luce severe criticità.

20Italie (Matteo Paganelli): Anima dei tre colli. Cosa si cela esattamente dietro a questo nome?

Cesare: Anima inteso come comunità, come capitale umano che oggi insiste su Brisighella, un gruppo di persone che ha capito che da soli non si va da nessuna parte. Un gruppo di anime coese ma allo stesso tempo diverse; abbiamo infatti anime di vignaioli anarchici, anime di vignaioli estremi e anime di vignaioli nobili. Nonostante questa diversità, c’era la volontà di dire: “mettiamoci assieme e proponiamo un vino con un protocollo condiviso che tutti, seppur nella loro interpretazione, dovranno seguire”. Tre colli come i tre areali di Brisighella: le zone alte (marnose-arenacee), i gessi e i terreni calcarei. Zone molto diverse nel contenuto geologico ma che fanno del terroir la loro cifra stilistica che li unisce, alla ricerca dell’identità.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è lo scopo del vino che uscirà con l’etichetta e il marchio di questa nuova associazione?

Cesare: La volontà di aver un vino con una valenza nazionale e internazionale, una credibilità anche fuori dal nostro areale. Per questo motivo il disciplinare prevederà affinamento in legno, perché non esiste al mondo un vino di grande spessore che non abbia avuto un passaggio, seppur minimo, in legno. Del resto, il disciplinare prevederà poche altre cose che però caratterizzano la cifra stilistica del vino: no macerazioni estreme, no anfora, no ossidazioni. Non ci sarà qualcuno che giudica, dovrà essere un lavoro che viene fuori dalla condivisione, dagli assaggi continui che faremo, per accordare il gruppo. Questa è la cosa bella. Un po’ come succede in Borgogna, dove c’è un’idea condivisa di vino e se qualcuno fa un vino straordinariamente buono ma non è accordato con l’idea comune non viene apprezzato.

20Italie (Matteo Paganelli): Perché è stata scelta proprio l’Albana come unico vitigno di questo nuovo protocollo?

Cesare: È stata una scelta ponderata da un presupposto. È vero che noi facciamo dei grandi Sangiovese e che il Sangiovese è un vitigno importantissimo che caratterizza la Romagna e i Romagnoli. Ma quello che ti può far svoltare veramente a livello nazionale e internazionale dove ‘ci sei tu e nessun altro’, è l’Albana. È su questa che dobbiamo puntare se vogliamo farci riconoscere. Possiamo fare un Sangiovese buonissimo ma oggi il Sangiovese nel mondo è Toscana. L’Albana invece ce l’abbiamo solo noi. Quando l’Albana diventò la prima DOCG bianca d’Italia, il sistema era tarato su una risposta completamente diversa. In una Romagna del 1987 dove “si vendeva solo ciò che pesava”, dove si era abituati a rese di 300 quintali per ettaro, entrare con un disciplinare che te ne imponeva 110 ha reso l’Albana non più interessante, causandone il crollo degli ettari vitati dai 10.000 dell’epoca ai poco più di 800 odierni. Oggi giorno, pensando a un’Albana di collina dove le produzioni sono per forza di cose limitate, possiamo dare la risposta che finalmente coincide con gli interessi comuni.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è il futuro dell’associazione?

Cesare: È presto per dirlo. Sicuramente questo lavoro lo cederemo alle future generazioni perché non so se ce la faremo a vedere concretamente i risultati. Vogliamo dare loro una possibilità di lavorare su qualcosa di diverso, e questo progetto potrà servire da traino pure per il Sangiovese e per il Trebbiano, perché in Romagna si può fare qualcosa di molto bello.

Terra di Lavoro Wines: Masterclass alla cieca dei vini DOP e IGP della provincia di Caserta

di Silvia De Vita

<<N.d.r.: il titolo ricalca fedelmente quanto vissuto dall’autore di 20Italie nella serata di presentazione a Salerno di Terra di Lavoro Wines. A conclusione della Masterclass (condotta in maniera magistrale), non è stato possibile conoscere l’elenco delle etichette proposte in assaggio. Un vero peccato, seppur motivato nella scelta inusuale dai protagonisti. Un imprevisto che ci limita, come stampa, nel racconto complessivo che vogliamo offrire sempre ai lettori. Nell’attesa di un’ulteriore degustazione guidata ove sarà possibile sapere anche le referenze scelte, ecco comunque, per dovere di cronaca, una breve sintesi dell’evento>>.

Ogni territorio presenta un prezioso patrimonio di vitigni autoctoni, il cui pregio è espresso dalla ricchezza e la diversità ampelografica. Caserta produce circa 1.800.000 bottiglie che qualitativamente ricadono all’interno delle DOC e IGT. Il Consorzio Tutela Vini Caserta VITICA, uno dei magnifici 5 della Campania, è stato il primo ad essere riconosciuto in Campania dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali con DM del 18/01/05, e si propone come traguardo la tutela, la valorizzazione e la cura degli interessi di tutta la filiera vitivinicola casertana, contribuendo a preservare la ricchezza varietale della viticoltura locale e la sua storia millenaria. Sono vini che raccontano di un passato importante, ma sempre aperti al futuro.

Il Consorzio Vitica raccoglie ben 5 Denominazioni di Caserta: Aversa Asprinio DOC, Falerno del Massico DOC, Galluccio DOC, Roccamonfina IGT e Terre del Volturno IGT.

Lo scorso giovedì 22 giugno 2023, presso il Saint Joseph Resort a Salerno, si è svolta una Masterclass sui vini di Caserta, organizzata e condotta da Nevio Toti (AIS Salerno) in collaborazione con Pietro Iadiccio  (AIS Caserta) e Cesare Avenia (presidente del Consorzio) per raccontare l’ampia ricchezza ampelografica del territorio casertano e le sue varie espressioni ed evoluzioni. 

Con l’aperitivo di benvenuto abbiamo avuto modo di conoscere la denominazione Aversa DOC, condivisa con la provincia di Napoli, dedicata al vino bianco, soprattutto in versione spumantizzata prodotta con le uve della varietà Asprinio.

La zona di produzione dell’Asprinio comprende 19 comuni della provincia di Caserta e 3 della città metropolitana di Napoli, collocati nella fertile piana aversana. In questa zona, tra coltivazione di ortaggi e frutta, domina, seppur con fatica, la tradizione delle cosiddette alberate etrusche, particolare sistema di allevamento verticale utilizzato nei vecchi impianti di asprinio. La DOP prevede sia la tipologia ferma-secca (minimo 85% di asprinio), sia la versione Spumante (asprinio 100%), ottenuto con metodo Charmat o con Metodo Classico. Appena 73,49 ettari è la superficie vitata idonea a produrre vini rivendicabili attraverso la DOP Aversa (o Asprinio d’Aversa). Sono viti patrimonio di bellezza, franche di piede e che si arrampicano “maritate” al pioppo, verso il cielo fino a raggiungere i 15 metri di altezza, fornendo delle imponenti barriere verdi cariche di grappoli. Uve che per essere raccolte impongono ai viticoltori equilibrio atletico su scale altissime.

Lo spumante proposto in degustazione con l’aperitivo di benvenuto, è un metodo classico da 48 mesi sui lieviti, con affinamento nei fondali marini. La freschezza spinta è la sua più importante caratteristica. Solare e gioioso già nel colore che tende all’oro, è avvolgente e intenso nei profumi agrumati e di pesca bianca: si percepisce qualche nota di  nocciola tostata, e sottile è la nota di anice stellato. Il perlage è fine e ne fa apprezzare ancor di più la cremosità la sapidità e la freschezza. Viene subito voglia di berne un altro bicchiere, e poi un altro ancora.

Al banco d’assaggio è possibile assaggiare anche un Asprinio versione ferma, fresco e con ottime punte di sapidità. Gli agrumi sono predominanti al naso come anche le erbe aromatiche. Risulta caratteristico e schietto, asciutto e vivace al palato, grazie anche alla gradazione alcolica contenuta.

I vini degustati durante la Masterclass sono stati 8: per ogni denominazione sono stati degustati 2 tipologie (un bianco e un rosso). Il delegato di AIS Caserta ha superbamente raccontato le varie DOC e IGT, sia da un punto di vista storico che di terroir. La degustazione è stata guidata in tandem da Nevio Toti.

Cominciamo dalla DOC Galluccio.

L’area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Galluccio si estende nella zona centrale della Campania. Il territorio è molto ampio e ricade proprio sull’antico vulcano spento di Roccamonfina. La denominazione prevede un Bianco, un Rosato ed un Galluccio Rosso. Il vitigno previsto per il vino bianco è la Falanghina che presenta delle note di spiccata mineralità dovuta proprio ai suoli vulcanici.

L’espressione rossa della Galluccio DOC arriva dalla zona est di Roccamonfina. Qui si esprime un Aglianico da clone diverso rispetto ai fratelli più noti. Si pone a metà tra il Taurasi e l’Aglianico del Taburno. Al naso sprigiona gli sbuffi del vulcanico, accompagnati da note balsamiche e speziate. La complessità del vino è arricchita da sentori di tabacco, cuoio e mandorla amara.

Falerno del Massico DOC è riservata ai vini ottenuti dai vitigni di Falanghina per i bianchi e Aglianico, Piedirosso e Primitivo nelle tipologie Rosso, Rosso Riserva, Primitivo e Primitivo Riserva. Nel versante Sud del Massico, il terreno è ricco di tufo grigio; verso Mondragone viene sostituito prima con le pozzolane e poi con le sabbie. Sul versante Nord, il terreno è ricco di argilla e di sostanza organica, ma la presenza vulcanica diminuisce drasticamente. Verso il mare i vini sono più caldi, più corposi. Il vino proposto in assaggio è una Falanghina che immediatamente presenta erbe aromatiche, frutta esotica, biancospino, fiore della magnolia con toni agrumati e sottofondo minerali. In bocca il vino disseta e lascia una buona sapidità.

Il terzo vino bianco degustato appartiene a Roccamonfina IGT. E’ una falanghina macerata in anfora. Il naso è proteso verso la frutta candita, verso note che ricordano la macerazione e la buccia dell’uva. Si riconosce nel bouquet l’affumicatura del Whisky torbato, l’uva sultanina e una scia dolce terminale di pasticceria. La bocca ha una parte morbida, e un attacco tannico importante.

Il rosso della denominazione Roccamorfina IGT è un Primitivo, con richiami olfattivi ai sentori primari e secondari dalla rosa canina, alla fragola e alla ciliegia. Una nota terragna accompagna il naso. Al gusto il tannino è presente ma piacevole. Il sorso riporta alla verticalità della freschezza e dell’alcool. Straordinario.

Segue il Pallagrello Bianco che appartiene alla IGT Terre di Volturno. L’area geografica vocata alla produzione del Vino di questa IGT si estende sull’omonima valle del Volturno, le cui caratteristiche ambientali ne fanno un contesto particolarmente ideale per la coltivazione della vite. Il naso è orientato verso frutti nostrani di pesca e albicocca, con note affumicate e presenza di note vegetali e resina. Più espansivo al gusto, il vino esprime maggiormente la sua anima dolce e acida grazie ai sentori fruttati, con scie agrumate.

Sempre della IGT Terre di Volturno è il Pallagrello Nero. Al naso è immediatamente percepibile il passaggio in legno, elegante, che però non copre i sentori del varietale consentendo di riconoscere l’amarena, i frutti di bosco e le spezie. Una nota balsamica e la Rosa lo accompagnano. In bocca si percepisce il tannino, ma non è aggressivo.

Liguria: Genova quando il Cuore incontra il mare

di Alberto Chiarenza

Genova, città di naviganti, così affascinante che incanta per storia, cultura e bellezza. Città di porto, crogiolo di influenze e tradizioni che ne fanno un luogo davvero unico al mondo.

Il suo centro storico caratterizzato dai “Caruggi”, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, è un labirinto di stradine strette, piazzette, chiese e i palazzi antichi nascosti, ove si respira l’atmosfera del passato e si odono le canzoni di Fabrizio De André.

Meta di appassionati di mare e di barche oltre che dal turismo della città con numerose attrazioni culturali e culinarie; raramente, però, si sente parlare di Genova come destinazione di un evento dedicato esclusivamente al vino. A questo ha pensato Olga Sofia Schiaffino, già autore di 20Italie, nell’organizzare l’evento della Guida dei Vini del Cuore che si è svolto dal 7 al 8 maggio presso la bellissima cornice dell’Hotel NH Collection Genova Marina.

Quando si parla di cuore il pensiero va all’amore e in questo caso il legame tra il vino e il cuore è dato dal contributo di blogger selezionati. Olga la definisce una guida social: non vengono dati voti, ma solo racconti di storie ed emozioni. Può trattarsi di una bottiglia aperta in una occasione particolare o di una visita in cantina, un racconto emozionale e indipendente dove il blogger non è il protagonista ma soltanto il narrante e racconta le sue impressioni senza dover scendere in descrizioni eccessivamente tecniche.

Giornate ricche di appuntamenti con i produttori e tre masterclass. Il mare incontra il vino nell’elegante cornice del NH Marina Collection Genova, un hotel sul mare affacciato sul porto antico proprio accanto il bellissimo e famoso vascello “Neptune”, utilizzato per numerosi set cinematografici.

Le eleganti sale che hanno ospitato l’evento’ hanno accolto i numerosi partecipanti con vini ai banchi d’assaggio e una vista mozzafiato. Poi nella sala Mediterraneo si sono tenute le tre masterclass di grande spessore.

La prima, condotta dal giornalista Aldo Fiordelli, con 8 vini selezionati e raccontati quasi come un viaggio in Italia. La Leccia, Cantina della Volta, Marisa Cuomo, Colli di Luni , La Salceta, Lecci e Brocchi, Enotria Tellus e Marzocco di Poppiano.

Poi è stata la volta degli Amber Wines, vini senza confine. Il sommelier ed export manager Enrico Cusinato ci ha parlato dei luoghi comuni sui cosiddetti “orange wine”. Il termine orange, amber, macerati o skin contact sono tutti sinonimi di vini di nicchi. Sono prodotti in quantità limitate, crescendo in esperienza, soprattutto nell’affinare le tecniche di vinificazione.

L’ultimo appuntamento è stato un racconto affascinante degli autori del libro “MALVASIA, un diario mediterraneo”, Paolo Tegoni con il fotografo Francesco Zoppi di cui la collega Maura Gigatti ha parlato già nell’articolo MALVASIA un diario mediterraneo – presentazione del libro di Paolo Tegoni.

Varietà dotata di precursori aromatici straordinari; un’uva eccellente dalla quale si possono ottenere vini di grande eleganza e versatilità.

La prima giornata si è conclusa con la Cena di Gala al Rollipop Bistrot con i piatti preparati dal resident Chef Luca Satta.

Antipasto “ribagnun”: la rivisitazione delle acciughe ripiene che in dialetto genovese si chiamano bagnun.

Per primo il risotto Pasqualina, ispirato alla torta di verdure ed un secondo composto da filetto di ombrina, puntarelle e salsa alla mugnaia.

Il dolce, una delizia per occhi e palato, è il “sasso di panera”. Due semifreddi al caffè ricoperti di cioccolato fondente, poggiati su una granella di caffè e spolverati sempre con polvere di caffè.

Non ci resta che aspettare la terza edizione della Guida dei Vini del Cuore, che sarà ulteriormente arricchita e piena di spunti interessanti, visto che i vini che ogni autore potrà descrivere saranno sette invece di tre. Tante le novità allo studio da parte dell’Organizzazione che ha fatto un lavoro egregio e di grande qualità.

Le cantine partecipanti all’evento

Andrea Bruzzone (Liguria)

Cà du Ferrà (Liguria)

Cantina della Volta (Emilia-Romagna)

Cantina di Vicobarone (Emilia-Romagna)

Casale Azienda Agricola (Toscana)

Crotin 1897 (Piemonte)

Enotria Tellus (Veneto)

Eraldo Dentici (Umbria)

Il Paluffo (Toscana)

John Maiolo (Piemonte) *

La Leccia (Toscana)

La Pietra del Focolare (Liguria)

La Salceta (Toscana)

Lecci e Brocchi (Toscana)

Marisa Cuomo (Campania)

Marzocco di Poppiano (Toscana)

Podere Casina (Toscana)

Podernuovo (Toscana)

Ramoino (Liguria)

Tröpflthalof (Trentino-Alto Adige)

Vini Moras (Campania)

Freschi&Bufano Wine Merchants (Svizzera) con le cantine ospiti:

Fattoria Pagano (Campania)

La Badiola (Toscana)

Piccoli (Veneto)

Tenuta del Vallone Rosso (Sicilia)

Liquorificio Fabbrizii (Liguria)

Tra questealcune che mi hanno emozionato particolarmente senza un ordine di preferenza.

Inizio con Pierin il Barolo secondo John Maiolo, un produttore di Monforte D’Alba, presente con tre referenze del famoso rosso piemontese, il Langhe Rosso, il Langhe Nebbiolo e il grande Barolo Pierin 2016 e 2017. Tre vini di grande eleganza dove le attente selezioni delle uve e le basse rese fanno la differenza.

Dal Veneto l’azienda Piccoli con le bellissime etichette di rose colorate del Valpolicella Superiore DOC Rocolo, il Valpolicella Superiore Ripasso DOC Caparbio e AMARONE della Valpolicella DOCG La Parte.

Sempre dal Veneto una giovane realtà enoica di Fabio Lucchese e Anita Abazi. Le bottiglie si distinguono per le etichette molto colorate e decisamente originali, che sembrano opere d’arte. Parliamo di Enotria Tellus, la cantina inaugurata nel 2016. Vini di un’eleganza sorprendente che ho apprezzato molto.

Rimanendo sui grandi rossi, era presente la Cantina Podernuovo rappresentata da Roberto Mercurio, con il Brunello di Montalcino, Orcia Rosso DOC Il Primo, Orcia Rosso DOC Nectar, Toscana IGT Il Moro e Toscana IGT bianco Gemma. Vini fatti con cura, dove il progetto enologico di fare vini longevi, si ritrova alla beva non solo con la componente fresca ma con un corredo gusto-olfattivo decisamente interessanti.

Cantina Della Volta dall’Emilia, una Cantina che si è dedicata dal 1981 alla spumantizzazione con Metodo Classico di Chardonnay e Pinot nero, oltre al famoso Lambrusco di Sorbara nella versione Lambrusco Spumante metodo Classico. Quando si inizia una degustazione si predilige la bollicina per poi procedere con i fermi. Più volte durante la degustazione sono tornato invece a provare i loro spumanti.

Dall’areale Valdarno di Sopra era presente la Cantina La Salceta, con vini a base di Sangiovese e Cabernet Franc sia in purezza che in blend. Parlando con il produttore, Ettore Ciancico, uomo dalla grande personalità, mi ha parlato del progetto che lo sta portando a studiare un vitigno autoctono quasi sconosciuto e riscoperto da pochi anni e che darà vita a un vino bianco rarissimo: l’Orpicchio.

Ancora Toscana, nel Chianti Classico, con Lecci e Brocchi, realtà immersa in un territorio vocato grazie alla grande biodiversità di Castelnuovo Berardenga.

Dalla terra del Montefalco Sagrantino era presente Eraldo Dentici con i suoi vini di produzione “naturale” bilanciati da buona freschezza e avvolgenza al tempo stesso.

Il Nuovo Liquorificio FABBRIZII in Val d’Aveto nell’ entroterra di Genova è una Azienda di produzione di liquori artigianale che rinasce dal ricettario ritrovato dalla famiglia, appartenente a Giovanni Fabrizi che vendeva liquori in Liguria e Italia settentrionale fino al 1940. Ora è la pronipote Laura a seguire la produzione che vanta una vasta gamma di prodotti di assoluta qualità e bontà.

Cà du Ferrà, produzione di nicchia posizionata nella zona delle Cinque Terre in Liguria, dove la valorizzazione di vitigni antichi e autoctoni è stato il progetto fondamentale della Cantina. Sono il Ruzzese, il Rossese Bianco, il Picabon e l’Albarola Kihlgren le varietà che danno vita a vini di grande eleganza grazie al lavoro svolto dagli enologi, Barbara Tamburrini e Vittorio Fiore.

Non ci resta che attendere la prossima edizione della Guida dei vini del cuore in cui troverete anche i sette vini che ho appositamente selezionato.

Ora i link delle aziende citate

I Vini Del Cuore – https://associazioneampelos.it/

Andrea Bruzzone (https://andreabruzzonevini.it)

Cà du Ferrà (http://caduferra.wine/it/)

Cantina della Volta (https://cantinadellavolta.com)

Cantina di Vicobarone (https://www.cantinavicobarone.com)

Casale Azienda Agricola (http://www.casalewines.com)

Crotin 1897 (https://www.crotin1897.com)

Enotria Tellus (https://www.enotriatellus.it)

Eraldo Dentici (https://www.eraldodentici.com)

Il Paluffo (http://ifiassociazione.it)

John Maiolo (https://www.johnmaiolo.com/barolo/maiolo/pierin/) *

La Leccia (https://www.castellolaleccia.com)

La Pietra del Focolare (https://www.lapietradelfocolare.it)

La Salceta (https://www.lasalceta.it)

Lecci e Brocchi (https://www.vinolecciebrocchi.it)

Marisa Cuomo (https://www.marisacuomo.com)

Marzocco di Poppiano (https://www.marzoccopoppiano.it/it/)

Podere Casina (https://www.poderecasina.com/it/azienda/vino/)

Podernuovo (https://www.podernuovovini.com)

Ramoino (https://www.ramoinovini.com)

Tröpflthalof (https://www.bioweinhof.it/it/)

Vini Moras (https://www.vinimoras.it)

Freschi&Bufano Wine Merchants (https://www.freschibufano.ch/it/freschibufano-i-mercanti-del-vino/)

Fattoria Pagano (https://www.fattoriapagano.it)

La Badiola (https://www.labadiola.it)

Piccoli (https://www.piccoliwine.it)

Tenuta del Vallone Rosso (https://www.tenutadelvallonerosso.com)

Liquorificio Fabbrizii (https://www.liquorificiofabbrizii.com) AccessoriDa Vino (https://www.accessoridavino.com)

Puglia: il racconto del tour organizzato dal Consorzio di Tutela Vini D.O.P. Salice Salentino

di Luca Matarazzo

Puglia. Nell’immaginario collettivo la mente va subito alle spiagge bianche, al mare cristallino, al ballo della taranta, al vento e al buon cibo. Senza dimenticare il vino che tanto bramiamo raccontare tra le pagine di 20Italie.

Puglia, però, significa tante denominazioni di origine. Molteplici sfaccettature della stessa medaglia, ognuna con la sua storia da raccontare. Tra di esse parleremo dello sforzo comunicativo attuato dal Consorzio di Tutela Vini D.O.P. Salice Salentino nell’offrire la visione dello stato attuale produttivo, tra le province di Lecce (Salice Salentino, Veglie e Guagnano), Brindisi (San Pancrazio Salentino e San Donaci) e parte del territorio comunale di Campi Salentina in provincia di Lecce e Cellino San Marco in provincia di Brindisi.

Una zona apparentemente ricca in termini numerici con circa 1670 ettari vitati iscritti e ben 42 cantine impegnate nella produzione di 110 mila ettolitri di vino. A visualizzare la cartina geografica colpisce l’estensione del territorio riversato giusto al centro, a mo’ di cuneo, tra una sponda e l’altra dei mari che bagnano la regione: Adriatico e Ionio.

Urgeva, dunque, una visita in loco per vedere di persona la bellezza degli alberelli di Negroamaro, forma di coltivazione a forte rischio di scomparsa, le tante meraviglie del archeologiche e capire il sacrificio di chi cerca di lavorare con passione, non pensando alla quantità come nel passato. Un confronto virtuoso tra realtà di medie dimensioni – difficile trovare aziende di pochi ettari, per retaggio del latifondismo e per il costo relativamente basso dei terreni agricoli – e Cooperative vitivinicole di ampio respiro che stanno attuando accorgimenti in positivo sulla filiera.

Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie al contributo del Masaf, ai sensi del decreto direttoriale n.553922 del 28 ottobre 2022 (cfr. par. 3.3 dell’allegato D al d.d. 302355 del 7 luglio 2022); non possiamo che rallegrarci di simili iniziative. Tutto bene quindi? La risposta che usiamo utilizzare in tali frangenti è: dipende! Di certo l’impressione avuta di primo impatto spinge verso una vena di profondo ottimismo, pensando ai trascorsi in chiaroscuro che ha vissuto l’areale.

Resta la necessaria e ulteriore valorizzazione del principe di queste zone: quel Negroamaro, capace di emozionare esaltandosi nelle versioni in rosa e sublime nei rossi a patto di non mostrare eccessive estrazioni e muscoli. A tal scopo, il dibattito in seno al Consorzio sta portando a una radicale modifica del disciplinare con l’inserimento di una nuova versione da minimo 85% di Negroamaro e maturazioni soft unicamente in tini di acciaio. Forse non basterà, ma è un primo passo compiuto non certo per condannare quanto fatto finora, quanto piuttosto per spiegare una nuova visione stilistica. A parere del sottoscritto, comunque, l’uso del legno in affinamento per una varietà così instabile nel colore e difficile da domare nei profumi può essere un valore aggiunto (se utilizzato cum grano salis).

Partiamo nel tour da Apollonio, azienda del 1870 certificata tra quelle storiche del Comprensorio. I fratelli Marcello e Massimiliano hanno cominciato a imbottigliare dagli anni ’60 del secolo scorso, con un successo commerciale raggiunto in 40 Paesi.

Scenografica la cantina sotterranea ricavata da antiche vasche di cemento, così come validi i prodotti offerti tra i quali spicca il rosato Diciotto Fanali 2019, selezione delle uve migliori da vecchi impianti di Negroamaro ad alberello con palo di sostegno. Ottima la progressione tra note di macchia mediterranea, liquirizia e frutta di bosco matura.

Proseguiamo con Cantina Cooperativa Vecchia Torre a Leverano, composta attualmente da 1240 soci aderenti per quasi 1500 ettari vitati. Pensando ai 44 conferitori del 1959, tra cui v’erano due donne e persino un sacerdote, sembra un altro mondo.

Straordinaria l’idea di presentare un Vermentino 2022, varietà qui consentita, interessante e dinamico. Danza tra salvia, pera williams e fiori di zagara. Ottimo il rapporto qualità-prezzo, riservato anche al Salice Salentino Riserva 2016 dal tannino setoso e integrato.

Claudio Quarta e la figlia Alessandra sono l’emblema di come si possa fare ricerca, sperimentazione, con un occhio alle tradizioni e uno fisso al futuro. Cantina Moros, giovane realtà, dimostra già di essere un’azienda dal potenziale ragguardevole, persino trainante per l’eccellenza del suo metodo produttivo.

Al momento un’unica sublime etichetta, degustata in 2 annate molto diverse: il Moros Salice Salentino Rosso Riserva 2018 è scuro e potente, denso e maturo. Meglio performante l’anteprima 2019 elegante, di impronta da grande rosso di carattere e serbevolezza.

Il mito Leone de Castris meriterebbe un intero articolo dedicato solo alla storia leggendaria che li ha condotti a esser i primi imbottigliatori e commercianti di rosato in Italia. Five Roses resiste inossidabile dal 1943, più identitario nello standard rispetto a quello “Anniversario”.

Piernicola Leone de Castris può andar fiero dell’opera del suo staff e del progetto Per Lui, che tra le tante versioni presenta anche un Salice Salentino Riserva 2019 avvolgente, grazie a un lieve appassimento delle uve in pianta.

Ci avviamo verso la conclusione del viaggio, con la doverosa tappa alla Cantina Cantele, accolti da Gianni Cantele erede di una dinastia di commercianti di vino e adesso a capo di un’impresa conosciuta in tutto il mondo. Il padre, enologo di fama, sul finire del secolo scorso ha rivoluzionato il concetto di fare Chardonnay in Puglia.

Gianni ne ha seguito le orme stilistiche, proponendo un Metodo Classico Rohesia Pas Dosé millesimo 2016 – sboccatura febbraio 2022 – dalle nuance speziate e fini, con mortella, ribes rosso e pasticceria finale. Impressionante il Teresa Manara Salice Salentino Riserva 2020 che uscirà entro fine 2023. Leggera surmaturazione, balsamico e succoso al punto giusto, dalla trama antocianica compatta. Puro velluto.

Terminiamo con la Cooperativa San Donaci e il vulcanico presidente Marco Pagano. Estensioni più ridotte rispetto alle sue omologhe, ma importante attività di presidio, soprattutto per quanto concerne la tutela dell’alberello di Negroamaro. Molto parcellizzata tra la Provincia di Brindisi e di Lecce, con appezzamenti belli e selvaggi in cui passeggiare diventa un lusso per gli occhi.

E che dire della cantina di affinamento sotterranea, anche questa ricavata dalle vecchie vasche di cemento utilizzate nel passato.

Ottima interpretazione dei rosati, non solo dal vitigno cardine per la zona, ma anche dal Susumaniello, delicato e sempre più ricercato dagli estimatori.

Lu Salentu: lu sule, lu mare, lu ientu“.

Alla scoperta dei vini della Doc Grance Senesi

di Olga Sofia Schiaffino

Cosa sono le Grance Senesi da cui la Doc istituita nel 2010 prende il nome?

Nel Secolo XII lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena, per gestire e ottimizzare lo sfruttamento dei cospicui possedimenti terrieri aveva creato delle fattorie fortificate, le Grance, poste a capo delle tenute che occupavano vasti territorio nella Val d’Arbia, Val d’Orcia e parte della Maremma.

Lo Spedale era un vero e proprio xenodochio, capace di ospitare, curare e accudire i pellegrini che percorrevano la via Francigena: per quasi cinque secoli le Grance riuscirono, con la produzione di grano, vino e olio, a sostenere le esigenze economiche del Santa Maria, fino a che il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena nel 1775 ne mise in vendita tutti i beni.

Attualmente la Doc Grance Senesi comprende i territori di cinque comuni della provincia di Siena, immersi in paesaggi dall’aspetto lunare dati dai calanchi, in verdi e dolci colline ammantate da boschi, vigneti e oliveti.

Rapolano Terme è famosa sin dai tempi dei Romani per le sue acque termali e per il travertino: nelle sue vicinanze la Grancia di Serre di Rapolano è una delle più antiche e meglio conservate, ininterrottamente abitata sin dall’antichità.

Asciano, di origini etrusche ospita l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, fondata nel 1319 da un nobile senese, Bernardo Tolomei che scelse la vita monastica e la regola di san Benedetto: una realtà che produce da sempre il vino e che è diventata azienda nel 2002.

Murlo si sviluppa intorno all’insediamento etrusco di Poggio Civitate del VII secolo a.C. e a partire dall’XI secolo fu dominato dai vescovi di Siena: pare che il patrimonio genetico degli abitanti somigli più a quello dei popoli orientali che non a quello del resto dell’Italia, facendo ipotizzare un legame diretto con gli Etruschi, verosimilmente arrivati dal Medioriente.

A Monteroni d’Arbia, su di una collina poco distante dalla via Cassia, si trova una delle Grance meglio conservate, quella di Cuna.

Sovicille è stato ricompreso nell’areale della Doc ed è caratterizzato da un ambiente naturalistico ricco di boschi e di fauna, attraversato dal fiume Merse.

I vitigni più coltivati sono Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano, Malvasia bianca lunga, ma il disciplinare ammette alcuni vitigni internazionali quali Cabernet Sauvignon e Merlot che possono essere anche riportati in etichetta accanto alla denominazione.

Presso il Castello di Modanella si è tenuta il 9 giugno la masterclass condotta da Maurizio dante Filippi, miglior sommelier AIS d’Italia 2016 , che ha coinvolto quattro aziende del Consorzio, quivi rappresentato da Gabriele Giovannini e Don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

Grance Doc Crete 2020 Podere Bellaria:  giovane azienda fondata da due fratelli nel 2010, punta sul Sangiovese in purezza. La fermentazione avviene in acciaio a cui segue un periodo di affinamento di 6 mesi in acciaio e poi un anno in legno.  Profilo olfattivo che rimanda al frutto rosso, al sottobosco, ai chiodi di garofano e alle erbe aromatiche. Sorso pieno e avvolgente.

Grance Senesi Doc Rosso Abbazia di Monte Oliveto Maggiore 2019: una realtà che ho potuto visitare con i colleghi del press tour. Bellissima la cantina sotterranea, la degna dimora per le botti. Un luogo della fede che merita la visita per la bellezza del chiostro e delle opere esposte. Il vino apre all’olfatto su note speziate dolci, a cui si aggiungono sentori di ciliegia, prugna, foglia di peperone verde, peonia. In bocca il tannino è preciso e la chiusura su note fruttate con piacevole persistenza.

Grance Senesi Doc Sangiovese 2016 Tenuta L’Armaiolo: Gabriele Giovannini ci ha accolto nella nuova cantina e durante il lunch presso il casale Santa Maria, ha raccontato della nascita dell’azienda avvenuta negli anni ’70, quando la sua famiglia acquistò la tenuta. Le uve effettuano una pigiatura soffice, prima di fermentare in vasche di acciaio; segue un affinamento di 6-8 mesi, sempre in acciaio. Al naso ricorda la frutta rossa matura, il pepe bianco, seguiti da effluvi balsamici. Tannino preciso e chiusura con una nota leggermente amaricante.

Grance Senesi Doc Il Cipresso 2016 Tenuta Masciello: i proprietari, di origine pugliese, sono arrivati a Murlo nel 1965. Ottenuto da sangiovese in purezza si presenta con un corredo di vaniglia, china, tabacco frutta in confettura; sorso di buona struttura e avvolgenza.

Grance Senesi Doc Nistiola 2016 Tenuta Armaiolo: blend composto dal 75% da Sangiovese, 20% Cabernet Sauvignon e 5% Merlot, fermenta in acciaio e prosegue la maturazione in barrique da 225 hl per 8 mesi e ulteriori 6 mesi in acciaio. Colore rubino che vira verso il granato in un manto quasi impenetrabile; si apprezzano note di frutta rossa matura, caffè cacao, lentisco, humus. Tannino integrato e di buona persistenza.

L’evento si è concluso con una sontuosa cena di gala al Castello di Modanella, tra i deliziosi piatti dello chef Loris Mazzini e gli assaggi del raro Poggio L’Aiole , Canaiolo  in purezza, dalle bellissime sensazioni fruttate e speziate con tannino perfettamente integrato. Grance Senesi è una denominazione che farà parlare di sé: speriamo “osino” di più in una caratterizzazione soprattutto del Sangiovese, vitigno incredibilmente capace di definire e raccontare i territori della Toscana.

Cantina La Sibilla: testimone della storia dei Campi Flegrei

di Luca Matarazzo

Narrare la storia dei Campi Flegrei significa passare necessariamente da La Sibilla, testimone da generazioni dell’opera vitivinicola di questo areale posto ai confini con Bacoli e immerso in una scenografia naturale da film di Hollywood.

La famiglia Di Meo persegue lo scopo praticato già dagli antichi romani, che hanno qui lasciato tracce indelebili sotto i resti dell’Opus Reticolatum tipico, probabilmente, di un vecchio acquedotto usato per le terme.

Nel mezzo, tra la fine dell’Impero d’Occidente e i tempi moderni, la storia fu scritta col dolore e con l’abbandono delle terre, causato dalla paura per i frequenti smottamenti dovuti al bradisismo. E poi eruzioni, brigantaggio, abusivismo edilizio: un lento incedere nel quale i produttori locali hanno dovuto confrontarsi per poter sopravvivere.

Terreni ricchi di materiale piroclastico sotto forma di cenere, mista a sabbie marine e argilla. Gli ettari vitati sono tornati 15 come i bei fasti del passato, anche se non tutti a regime, e le bottiglie vengono conservate assieme alle collezioni in una grotta ricavata nella roccia di tufo e recuperata abilmente dai Di Meo.

Mattia Di Meo la quinta generazione

La prima bottiglia è datata 1997; ai tempi, per l’intero comparto, la vendita era fatta in prevalenza di vino sfuso destinato a soddisfare i canali commerciali di Napoli e provincia. Proprio in quei momenti venne concepita la storica etichetta Cruna deLago, straordinario esempio di come la Falanghina riesca a dimostrare eleganza e serbevolezza quasi infinita.

La vedremo danzare in un confronto 2022 verso 2021, in due vintage simili per difficoltà tecniche e climatiche. Chiuderemo la carrellata degli assaggi con il raro Domus Giulii che esce in poche selezionate annate.

La degustazione

Cruna deLago 2022: assaggiato en primeur direttamente da vasca inox, dimostra straordinaria possenza, con immediatezza salmastra e acidità vibrante verso agrumi gialli. Non possiamo prevedere quanta vitalità conserverà nel futuro in bottiglia, ma se queste sono le basi…

Cruna deLago 2021: una gioventù disarmante, che le mantiene attivo al gusto tra richiami di ginestra essiccata, pepe bianco e mela golden. Rispetto al precedente campione sembra perdere qualcosina nell’allungo finale, pur in un paragone davvero ardito.

Domus Giulii 2015: attualmente in commercio. Nervoso, scalpitante tra nuance di miele, canditi e tonalità sulfuree. La lunghezza di bocca non è di sicuro il suo problema, ma necessita un obbligatorio abbinamento gastronomico, visto il suo ampio “calore”.

“I Profumi di Lamole”

di Adriano Guerri

La rassegna vini I Profumi di Lamole è andata in scena dal 2 al 4 giugno per la ventesima volta nel caratteristico borgo, evento ideato dai produttori del locali in collaborazione con il Comune di Greve in Chianti.

Gli stands sono stati allestiti nella graziosa piazza di Lamole, dalla quale si gode di un panorama impareggiabile. Nove i produttori presenti con un ospite d’onore proveniente dalla Borgogna.  Arrivando nella ridente località mi è venuto in mente il titolo del film di Leonardo Pieraccioni, “Il Paradiso all’improvviso”. Lo è per davvero, il tempo sembra essersi fermato e la pace regna sovrana. Un borgo abitato da poche anime e molte delle quali portano il cognome Socci.

Lamole è situato nel comune di Greve in Chianti (FI), nel cuore del Chianti Classico ad altitudini elevate, con molti vigneti allevati a 600 metri s.l.m. Nella parte più alta sono stati mantenuti i terrazzamenti con muretti a secco e le viti con il sistema ad alberello, su suoli sabbiosi dotati di un forte potere drenante. Le pendenze notevoli ed i muretti consentono miglior accesso tra i filari, accumulando calore durante il giorno, per poi rilasciarlo nelle ore notturne ed evitando il dilavamento delle piogge.

Un bellissimo esempio di  conservazione e manutenzione del territorio, valso il riconoscimento a pieno titolo dal Ministero delle Politiche agricole di “Paesaggio rurale storico”. La vite su queste erte colline viene coltivata sin dall’epoca romana in un anfiteatro naturale. Con il cambiamento climatico questa enclave beneficia di temperature fresche e anche in annate siccitose non ha problemi di siccità e maturazioni.

Delle 11 UGA (Unita Geografiche Aggiuntive) del Chianti Classico, Lamole è la più piccola e caratterizzata dalla presenza, oltre che di viti e oliveti, di impenetrabili boschi e campi di giaggiolo.
Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, ma anche Colorino, Canaiolo, Trebbiano e Malvasia.
I vini sono compositi, freschi, lineari, eleganti e dotati di una straordinaria piacevolezza di beva e tannini sottili e minerali.

Tra i migliori assaggi:

Chianti Classico Riserva 2018 Vigna Piuca Az.Castellinuzza e Piuca
Chianti Classico Riserva 2019 Az.Le Masse di Lamole
Chianti Classico Testardo 2019 Az. Il Campino di Lamole
Chianti Classico Gran Selezione Vecchie Vigne 2019 Az. Podere Castellinuzza
Chianti Classico Riserva 2019 Az. I Fabbri
Chianti Classico Gran Selezione 2016 Az. Castellinuzza
Chianti Classico Gran Selezione Vigna Grospoli 2019 Az. Lamole di Lamole
Chianti Classico Punto di Vista 2020 Az. Jurij Fiore & Figlia
Le Viti di Livio Toscana Igt 2015 Az. Castello di Lamole di Paolo Socci