Cartoline dal Matese: le interviste a Terre dell’Angelo e La Sbecciatrice

Come non pensare ad una delle visite più coinvolgenti vissute dalla redazione di 20Italie, quella nell’Alto Casertano ai piedi del Matese? Ricordi che hanno lasciato tracce indelebili, testimonianza del fare artigianalità in Campania, a volte persino contro tutto e tutti.

Le possibilità di creare impresa non sono le stesse di altri territori, inutile evidenziarlo. Ma l’inventiva nostrana è il vero motore di un settore che potrebbe mirare ai vertici assoluti dell’eccellenza enogastronomica. Basta poco che ce vo’? In realtà, pensiero ed azione devono andare di pari passo con impegno e sacrificio, dedizione e volontà, in maniera impavida pronti alle sfide enormi poste in essere dall’odierno altalenante e dal futuro ricco di insidie.

Terre dell’Angelo e La Sbecciatrice, ovvero Angela e Domenico (Mimmo), due elementi caratterizzanti un territorio bellissimo, foriero di prodotti d’alta qualità e genuini fino al midollo. Le loro aspirazioni, i sogni e progetti ancora da realizzare traspaiono dalle parole e dagli occhi lucidi. Il pensiero fisso di chi non cerca solo il facile realizzo economico, quanto, piuttosto, di lasciare un segno nel luogo in cui vivono.

Di loro abbiamo già accennato nell’articolo riassuntivo Matese: un giorno in Alta Campania alla ricerca del nostro “Vecchio West”; mancava all’appello l’approfondimento video e due righe del sottoscritto per invogliare il lettore a tuffarsi in una dimensione ancora poco esplorata, di forte impatto emotivo.

Terre dell’Angelo è un progetto che unisce idee e professioni per promuovere alcune peculiarità delle terre sannite legate all’antico culto micaelico. Partendo dal recupero dell’ulivo per arrivare alla riscoperta di vitigni autoctoni come il Pallagrello e il Casavecchia, per produrre olio e vino di alta qualità continuando a mantenere vive le tradizioni.

Quattro etichette, moderne e originali con richiami iconici al terroir: “La volta” da uve Pallagrello Bianco; “L’Astrale” Falanghina in purezza clone beneventano e poi “L’Arca” dallo storico vitigno Casavecchia e “Il Tempo”, il loro primo vino, da vecchi filari di Pallagrello Nero allevati ancora a pergola casertana. E poi un’attenzione particolare alla cultivar Tonda del Matese, per un olio extravergine di oliva delicato e fruttato, in grado di esaltare preparazioni estremamente eterogenee.

La Sbecciatrice, la storia di due fratelli, un antropologo ed un naturalista, che decisero di mettere a frutto le loro competenze seminandole nei campi della loro stessa famiglia. Per generazioni la base della sussistenza alimentare di avi agricoltori, poi quasi abbandonati, queste terre fertili ed incontaminate, collocate in un territorio lontano da ogni forma di inquinamento e antropizzazione, sono diventate l’inestimabile risorsa con la quale costruire un progetto di valore unico.

L’azienda è stata battezzata con il nome di un antico attrezzo agricolo utilizzato per mietere il grano ed è stata arricchita dalle innumerevoli competenze di una ex-architetta/designer, donna di ingegno e di temperamento. Ricerche con università sulle varietà Pomodoro Riccio, Fagiolo Lenzariello, Fagiolo Curiniciello e Cece delle Colline Caiatine, tutti a km zero, oggetto di resilienza eroica dei Barbiero.

Viva l’Alto Casertano, viva il Matese!

Mosaico per Procida chiude i battenti con un arrivederci

Dal 1 settembre del 2022, data di un incontro tra amici a Pontelatone da cui è scaturita l’idea visionaria di Mosaico per Procida, la celebre bottiglia di fermo ha avuto soltanto la tipologia enologica di riferimento, se non si tiene conto del vinaggio pazzesco di 26 vini che non ha precedenti. Roberto Cipresso e Gaetano Cataldo hanno portato egregiamente a termine un’attività amorevole per il territorio campano e mantenuti tutti i buoni propositi. La bottiglia ne ha macinato di strada, da una parte all’altra dell’Italia e portando un messaggio fortissimo in Francia, Irlanda, Cina, spagna e stati Uniti d’America, anzi, più di uno…

1. Da soli si va più veloci, assieme si va più lontano. La rete sinergica tra cantine, ristoranti, imprenditori dell’agroalimentare e del packaging ha dato i suoi frutti, le relazioni umane soprattutto.

2. Promuovere e valorizzare il territorio con un amorevole gesto, senza secondi fini, non necessità di compromessi o permessi. E bisognava pur cedere generosamente qualcosa di bello per la Campania, piuttosto che pigliare sempre.

3. Non è la materia che genera il pensiero ma il Pensiero che genera la materia, così diceva Giordano Bruno, e senza lo straccio di un aiuto pubblico o di un finanziamento una piccola associazione ha fatto quello che le grosse e facoltose corporazioni del vino avrebbero potuto fare in un qualsiasi giorno della settimana.

Insomma, Mosaico per Procida si è rivelato un progetto sano, tanto francescano quanto eversivo, ed è stato interessante, malgrado tutti i pronostici contrari e qualche detrattore, vedere come il primo vino a celebrare una capitale della cultura sia diventato tale, inaugurando l’umanesimo del vino stesso.

Esemplare per la bottiglia celebrativa l’essere stata oggetto della tesi universitaria di Giovanna Agnello ad un corso di wine marketing presso l’Università di Fisciano e rientrare tra le tematiche del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea, fondato dal prof. Marino Niola.

Le innumerevoli degustazioni ufficiali con l’Associazione Italiana sommelier e non solo, oltre che le uscite in pubblico al MAVV Wine Art Museum, al Vinitaly di Verona, campeggiando in tre padiglioni e una trentina di  stand, al Mediterranean Wine Art Fest al Complesso Monumentale di san Domenico Maggiore a Napoli, al Macellum di Pozzuoli e al Merano Wine Festival, hanno decretato tanto il successo enologico di Roberto Cipresso che quello progettuale di Gaetano Cataldo, spintosi ben oltre il limite ed ha saputo gettare il cuore ben oltre l’ostacolo, di qualsiasi cosa si sia trattato. Le autorità politiche, oltre che del mondo della cultura e dello spettacolo, ad essere state raggiunte dalla bottiglia in formato magnum, sono state tante, ma a noi piace citare il dono fatto a Francesco Bergoglio e la Jéroboam dedicata a san Gennaro in ricordo di Procida Capitale 2022.

È stato proprio un “Incanto diVino”, potremmo dire, citando l’opera d’arte di Carolina Albano che ne è divenuta l’etichetta. Al termine del 2023 non sono mancate comunque le occasioni a Mosaico per Procida per attestare il buono e il bello che lo ha contraddistinto: Identità Mediterranea lo ha portato a Procida, per cui tutto è nato, alla Festa del Vino che non vi si celebrava da anni e che ha avuto luogo nel giorno dell’Immacolata, lo ha offerto ad un pranzo di beneficenza per la Caritas procidana, tenutosi il giorno successivo presso il ristorante Albatros, proprio dopo la celebrazione della consegna della bandiera di Città del Vino, alla presenza del sindaco Raimondo Ambrosino e dell’assessore Leonardo Costagliola, officiata dal presidente nazionale Angelo Radica. Salpata dall’Isola di Arturo, Identità Mediterranea è approdata verso un altro appuntamento: il 14 dicembre scorso, grazie ad un’idea di Francesco Di Martino, la piccola associazione culturale fondata da Gaetano Cataldo, ha presenziato alla cena di beneficenza organizzata, entro il progetto Punch Art Helps People, al ristorante La Gare di Pompei. In tale occasione è stata donata una bottiglia magnum di Mosaico per Procida a Giuseppe Peroziello, presidente dell’associazione onlus Live for Africa, di modo che, come per March of Dimes, possa essere battuta all’asta per finalità benefiche.

Infine, la stessa Identità Mediterranea ha partecipato anche alla manifestazione per la consegna della bandiera delle Città del Vino a Pozzuoli e, in segno di buon auspicio, ha fatto dono di un magnum della celebre bottiglia al capoluogo flegreo, consegnandola nelle mani dell’assessore Titti Zazzaro.

Umbria: la visita da Fattoria ColSanto della famiglia Livon nello storico borgo di Bevagna

Da Fattoria ColSanto si arriva percorrendo un lungo e suggestivo viale di cipressi, disposti in duplice filare, che anticipa lo charme della Tenuta. Siamo nel centro dell’Umbria nello storico borgo di Bevagna, a pochi passi da Montefalco. 

La Storia

Nel 2001 l’azienda è stata acquisita dalla famiglia Livon, che ha subito iniziato a restaurare i ruderi del vecchio casale risalente al 1700, impiantando nuovi vigneti ad alta intensità. L’etimologia del nome deriva proprio da Colle, posta sulla sommità della collina di fronte ad Assisi, terra di Santi.
La proprietà ha un’estensione vitata di oltre 20 ettari, attorno alla nuova cantina, ove affondano le radici di varietà, quali, Sagrantino, Sangiovese, Montepulciano e Merlot e un appezzamento di tre ettari di Trebbiano Spoletino non lontano dalla fattoria. La “patria enologica” del Montefalco Sagrantino, il cui vino può a buon diritto essere considerato una perla enologica italiana sia nella versione secca sia passito. La struttura mette a disposizione ai propri clienti 12 eleganti camere ricavate nella vecchia villa padronale.

Fattoria ColSanto è immersa in uno scenario incantevole, dove la nutrita presenza di vigneti e uliveti ne fanno un territorio di straordinaria bellezza che cede il passo ai rilievi del Monte Subasio con cime innevate in questo periodo. La visita è iniziata dalla panoramica terrazza che offre una vista di ineguagliabile bellezza, dalla quale si vedono in lontananza Assisi, Spello, Trevi e Montefalco. Poi dritti in cantina, tra barriques, botti di varie dimensioni e anfore, a seguire degustazione dei vini anche dell’azienda friulana accompagnati da prelibatezze locali.

I Vini degustati

Fenis Livon – Ribolla Gialla Metodo Martinotti – Paglierino con riflessi verdolini, dal perlage fine e persistente. Note di fiori di camomilla, pera e pasticceria da forno, dal gusto fresco, sapido e lungo.

Collio Doc Chardonnay 2021 – Livon – Paglierino brillante, naso di mela, ananas, banana, pesca, nocciola e crosta di pane. Avvolge e persiste al palato con freschezza che stimola il sorso.

Collio Doc Friulano Manditocai 2021 – Livon – Riflessi dorati, sprigionante note floreali di pesco, frutta tropicale e noce moscata. Sorso ricco, avvolgente e vibrante.

Cantaluce Umbria Igt 2019 – ColSanto – Trebbiano Spoletino – Riflessi dorati,  con sentori di mela, pera, melone, frutta tropicale e erbe aromatiche. Fresco, rotondo e leggiadro.

Montefalco Sagrantino Docg ColSanto 2016 – Rubino profondo, emana note di marasca, melagrana,  mora, prugna, tabacco e spezie orientali. Grip tannico poderoso, ma setoso, avvolgente e duraturo.

Montarone Passito Umbria Igt 2016 – ColSanto – Sagrantino – Anch’esso rubino profondo, sentori di lavanda, confettura di more, ciliegie sotto spirito e prugne secche. Vino delicato ed appagante.

Visita all’Acquedotto Campano Sorgente del Torano

Visita consentita grazie allo Staff Tecnico Amministrativo Impianti e Reti del ciclo integrato delle acque di rilevanza regionale

L’acqua è vita. Lo sanno benissimo le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, quando scarseggia nel soddisfare il fabbisogno quotidiano per alimentarsi. Sì, perché l’acqua è essa stessa un alimento indispensabile alla sopravvivenza; il movimento survivalista affermava che possiamo stare 3 minuti senza aria, 3 giorni senza acqua e ben 3 settimane senza cibo.

Si comprende il senso dell’importanza strategica di avere una rete strutturale pubblica in cui le perdite vengano ridotte al minimo. A ciò bisogna aggiungere il rispetto che ognuno di noi deve avere per un bene di primaria importanza, facilmente deperibile e contaminabile.

Le risorse del pianeta Terra non sono infinite e l’Acquedotto Campano Sorgente del Torano è un fulgido esempio di come si possano evitare gli sprechi sfruttando le antiche costruzioni borboniche, migliorando la qualità complessiva degli invasi e delle tubazioni di affluenza e sanificando le stesse con piccole percentuali di sostanze clorate per rendere il liquido potabile fino ai rubinetti delle nostre case.

Due le sorgenti – Torano e Maretto – che attraversavano Piedimonte Matese, con un impatto ambientale mitigato proprio dall’Acquedotto, presidio anche contro le sicure esondazioni che un clima ormai impazzito amplifica per frequenza e onda distruttiva.

La Sorgente del Torano ha, a seconda della stagione, una portata variabile tra i 1.000 ed i 2.800 l/s
Mentre la Sorgente del Maretto ha, a seconda della stagione, una portata variabile tra i 600 ed i 1.200
l/s. Dalla Sorgente Torano (circa 200 m slm) parte il percorso dell’Acquedotto Campano. Presso la Centrale Torano vi confluiscono le acque della Sorgente Maretto e presso la vasca di riunione in località Madonna del Bagno (circa 190 m slm) a Gioia Sannitica le acque provenienti da Bojano (Sorgenti Santa Maria dei Rivoli, Pietrecadute e Rio Freddo), ovvero dal versante molisano del Matese.

L’Acquedotto arriva così a portate di punta di circa 6.000 l/s. Da qui, per circa 30 km, una serie di opere gallerie, canali sotterranei, ponti canali, sifoni, due attraversamenti del fiume Volturno – conducono
le acque, sfruttando il solo dislivello e senza impianti di sollevamento, al Nodo di San Clemente (presso Caserta, circa 170 m slm), da cui si diramano oltre 20 Km di condotte che attraversano la pianura campana fino ai serbatoi che alimentano Napoli, le aree flegrea e vesuviana e – tramite una condotta sottomarina – le isole di Procida ed Ischia.

Lo Staff addetto alla gestione dell’acquedotto ha aperto le porte a 20Italie di questo prodigio d’ingegneria idraulica ben custodito dall’Amministrazione Pubblica della Regione Campania.

Un esempio finalmente virtuoso di come sappiamo fare le cose per bene al pari, se non meglio di tante altre realtà. Numeri alla mano si intende. Un ringraziamento particolare anche alle associazioni Viatoribus e Love Matese per averci insegnato che territorio e cura dello stesso sono fattori inscindibili per il futuro.

Il ritorno a Fontodi: eccellenza del Chianti Classico e rispetto del territorio nel segno del Gallo Nero

Flaccianus Pagus era l’antico nome del borgo rurale di Panzano, frazione di Greve in Chianti. Da qui prende il nome il Flaccianello della Pieve, forse l’etichetta più nota e riconoscibile dell’Azienda Agricola Fontodi, per l’immagine di una croce in stile longobardo-cristiano, cippo originale in pietra arenaria rinvenuto nelle vigne dell’azienda e conservato nella Pieve romanica di San Leolino.

Panzano e la “Conca d’Oro”

Un’azienda che rivisitiamo con estremo piacere, per raccontare l’etichetta che rimarca il legame fortissimo tra territorio e confini del Chianti Classico, attiva a Panzano dal 1968 ad opera della Famiglia Manetti, oggi guidata da Giovanni Manetti attuale Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico (rimando all’articolo del collega Adriano Guerri: Fontodi: la magia del Sangiovese in purezza nel cuore del Chianti Classico). Ben 110 ettari di vigne, di cui il 95% a sangiovese, contenute prevalentemente in quell’anfiteatro naturale denominato Conca d’Oro, che a sud del borgo di Panzano  si estende fino a raggiungere il fiume Pesa ed è delimitato a est da San Leolino.

Qui un tempo, a godere del clima ideale e dell’irraggiamento solare erano le coltivazioni di grano (da cui il nome), ora che invece la vite ha trovato il suo luogo d’elezione naturale, il significato di Conca d’Oro assume una valenza prevalentemente legata ai caratteri di qualità microclimatica. È Silvano Marcucci, storico collaboratore della Famiglia Manetti, a raccontarci Fontodi, partendo proprio dalle vigne, visibili con un unico colpo d’occhio dal cortile dell’Azienda e racchiuse in questa culla naturale che, complice la luce nitida di un nuvoloso fine ottobre e il principio di foliage delle vigne, nel pomeriggio della nostra visita irradia suggestivi bagliori dorati.

L’azienda a misura d’uomo

“Siamo artigiani”, Silvano ci tiene a ribadirlo sin da subito. E anche se questo termine potrebbe confliggere con la notorietà internazionale e il plauso ormai unanime della critica, Silvano ricorda come prima di tutto si debba mirare a produrre il “vino giusto”, che sia non solo piena espressione del terroir, ma soprattutto sostenibile per il territorio: la porzione di vigna immediatamente davanti a noi è stata rifatta con pietre di recupero seguendo la tecnica del terrazzamento, più rispettosa dell’ambiente. Ma d’altronde Panzano è biodistretto vitivinicolo, il primo costituitosi in Europa nel 1995, inizialmente con soli undici produttori, oggi diventati ventitre su un’estensione di oltre settecento ettari. Fontodi dunque opera in regime biologico, attribuendo a questo termine una profondità di significato che va oltre i dettami di legge, legato al rispetto dell’intero ecosistema del territorio e la classifica come un’azienda a ciclo chiuso.

“L’uva nasce nella terra e ritorna nella terra” è uno dei principi di Giovanni Manetti: ecco perché il cumulo di vinacce che ci accoglie al nostro ingresso nei locali di vinificazione non verrà conferito a nessuna distilleria. La famiglia Manetti infatti è anche proprietaria di un allevamento di Chianina, settanta capi di una razza autoctona del Centro Italia, che negli anni Settanta rischiava l’estinzione. Il letame ottenuto dall’allevamento, insieme agli sfalci e alle vinacce viene utilizzato in vigna come compost nel periodo tra novembre e marzo, in alternanza a interfile con favino, orzo ed erba spontanea.

Attualmente Fontodi produce una media di 350 mila bottiglie all’anno, suddivise su otto etichette: Flaccianello della Pieve (Sangiovese 100%), Vigna del Sorbo Chianti Classico Gran Selezione; Terrazze San Leolino Chianti Classico Gran Selezione, Fontodi Chianti Classico (Sangiovese 100%), Filetta di Lamole Chianti Classico (Sangiovese 100%), Case Via Pinot Nero Colli della Toscana Centrale IGT (Pinot Nero 100%); Case Via Syrah Colli della Toscana Centrale IGT (Syrah 100%), Meriggio Colli della Toscana Centrale IGT (Sauvignon 90%; Trebbiano 10%).

La Cantina

La cantina è nata in due tempi a partire dal 1997. I locali si dislocano su tre livelli (vinificazione, maturazione, imbottigliamento) per avvalersi della sola forza di gravità, al fine di evitare ogni tipo di stress all’uva, la cui raccolta, in periodo di vendemmia, è esclusivamente manuale. Prima di avviare la fermentazione, l’uva viene selezionata a mano e diraspata. I silos in acciaio e i tini tronco-conici, per una capacità totale di 5000 ettolitri, sono utilizzati per vinificare separatamente le varie vigne: la fermentazione con macerazione è avviata da lieviti indigeni e dura dalle 4 alle 5 settimane, con controllo della temperatura.

Un discorso a parte meritano le anfore d’argilla presenti in cantina, tutte fatte a mano da un artigiano locale. La manodopera di ciascun pezzo richiede tre mesi di lavoro, tra modellazione dell’argilla, essiccazione, cottura e lisciatura finale- interna ed esterna- con pelli di daino, per ridurne al minimo la porosità. Vengono utilizzate per una selezione di acini di Sangiovese che vi rimangono in fermentazione, macerazione e maturazione per nove mesi consecutivi. Successivamente alla pressatura, il vino è nuovamente posto in anfora per sette mesi. Il prodotto che se ne ottiene viene miscelato, nella misura di circa il 2%, al vino maturato in barrique atto a divenire Flaccianello. Una sorta di liqueur d’expedition, lo definisce Silvano. A tutti gli effetti una firma che denota lo stile della cantina e serve ad esaltare il frutto del Sangiovese in finezza ed eleganza.

Al livello sottostante i locali di vinificazione, c’è il locale di botti e barrique. Tutti i vini Fontodi fanno passaggio in legno: a seconda dell’etichetta prima botte e poi barrique o viceversa, per un totale che va dai diciotto ai ventiquattro mesi. Le barrique, esclusivamente di rovere francese di media o leggera tostatura, sono utilizzate nuove e fino a un massimo di tre passaggi. Una volta dismesse, vengono riutilizzate per la creazione di mobili e oggetti d’arredo. Il locale dei legni viene tenuto a umidità e temperatura controllata tra dicembre e aprile per permettere l’avvio della malolattica. Durante la sosta in legno il vino subisce solo travasi, due volte all’anno. Terminiamo la nostra visita nei locali d’imbottigliamento, operazione che avviene per caduta. A seconda delle etichette, i vini affinano in vetro dai tre ai dodici mesi, prima di uscire sul mercato.

Il locale si articola attorno a un piccolo cavedio circolare, completamente rivestito di vetro, al cui centro si erge un leccio, l’albero più rappresentativo del patrimonio arboricolo e boschivo del Chianti, a ribadire ancora una volta lo stretto legame col territorio e il suo ambiente.

I Vini

Filetta di Lamole Chianti Classico 2021

Iniziamo la nostra degustazione con un Chianti proveniente da uve di Lamole, non di Panzano. Lo scopo è quello di ragionare sulla differenza di prodotti provenienti da zone diverse, anche alla luce della recente approvazione delle undici UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) che caratterizzano il Chianti Classico Gran Selezione. Lamole è l’UGA più piccola della regione, collocata a sud-est di Panzano, con un’altitudine media di 600 mt SLM e una prevalenza di roccia arenaria non calcarea con elevate percentuali di sabbia. Dopo la vinificazione in acciaio, matura sei mesi in botti grandi e successivamente dodici mesi in barrique.

Il risultato lo verifichiamo nel bicchiere: irruento alla prima olfazione, Filetta di Lamole si distende quasi subito, esprimendo piccoli frutti scuri e gelso rosso,  fini ed eleganti. Al palato risulta muscoloso, di freschezza piacevole ma non sferzante.

Fontodi Chianti Classico 2020

Torniamo a Panzano, con vigne giovani e la seconda selezione delle vigne vecchie di sangiovese. Siamo in un territorio completamente diverso, ad un’altitudine compresa tra i 350 e i 380 mt SLM, caratterizzato da un terreno prevalentemente calcareo. Dopo la vinificazione in acciaio, matura sei mesi in botti grandi e successivamente dodici mesi in barrique.

Il Chianti signature di Fontodi entra immediatamente con sbuffi appena accennati di pietra focaia seguiti a ruota dal frutto – ora una ciliegia croccante – e da un sottobosco bagnato e terroso. In bocca risulta agile e scattante (e qui la differenza principale con Lamole che, indipendentemente dall’annata, è dettata da un passo completamente diverso nell’acidità), di tannino fine e ritorno lungo sul frutto.

Vigna del Sorbo Chianti Classico Gran Selezione 2020

Prima annata in cui compare in etichetta la UGA Panzano.

Vigna del Sorbo ha un’estensione di 8 ettari e ceppi di oltre 50 anni di un unico clone di Sangiovese. Dopo la vinificazione in acciaio, matura diciotto mesi in barrique e successivamente sei mesi in botte grande. Affina in bottiglia non meno di nove mesi.

Al naso esprime immediatamente il frutto – piccoline fragoline di bosco – e continua su sentori balsamici di aghi di pino e sottobosco. In bocca entra verticale ed è già pienamente appagante, godibile, di tannino sottile, con ritorni di eucalipto.

Flaccianello della Pieve 2020

L’etichetta simbolo di Fontodi è una selezione accurata di sangiovese che predilige grappoli spargoli e acini piccoli, sinonimo di concentrazione. Le vigne, diffuse su un’estensione di 45 ettari, hanno un’età media di 30/40 anni. Dopo la fermentazione matura diciotto mesi in barrique (80% nuove, 20% di secondo o terzo passaggio) e sei mesi in botte grande.

Entra timido e rimane a lungo sulle sue. Inizialmente si rivela nelle note fumé e tostate, che scivolano in piccoli frutti viola e sentori di vaniglia. La trama tannica è ancora giovane, giovanissima e necessita di tempo per distendersi e affinarsi. Mostra però già potenza di carattere, che evolverà in non meno di tre-cinque anni.

Case Via Syrah Colli della Toscana Centrale IGT 2019

Syrah in purezza da una vigna di tre ettari impiantata nel 1985. La 2019 ha vinificato in tini tronco-conici e successivamente ha maturato in barrique usate per quindici mesi.

Pungente al naso e compatto nella prima olfazione, si apre lentamente su marasca e cenni balsamici. Al palato è subito disteso per poi invadere la bocca con la balsamicità  tipica della radice di liquirizia e tornare con note mentolate sul finale.

AZIENDA AGRICOLA FONTODI

Via San Leolino 89

50022 Panzano in Chianti Firenze – Italia

Al Merano Wine Festival 2023 la Masterclass della guida “I Vini del Cuore”

Al Merano Wine Festival edizione 2023, all’interno di uno dei saloni dell’Hotel Terme, lo scorso 6 novembre ha avuto luogo la masterclass “I Vini del Cuore”, condotta in maniera ineccepibile da Olga Sofia Schiaffino, autore di 20Italie, con 5 vini della guida in degustazione.

I Vini del Cuore e una guida social, la prima in Italia, giunta alla terza edizione, con la collaborazione di Annamaria Corrù e Clara Maria Iachini. Alla realizzazione vengono coinvolti e selezionati con estrazione Wine Blogger ed Instagramer di tutta Italia.

Nella guida sono rappresentate tutte le regioni italiane. Donatella Cinelli Colombini, produttrice di Brunello di Montalcino e Orcia Doc, nonché Presidente delle Donne del Vino Toscane, ne ha curato la prefazione. I vini selezionati dalla guida non hanno punteggi, ma vengono solo descritti in maniera emozionale. Per i vini da recensire  non viene richiesto l’invio da parte dei Blogger alle aziende. I vini sono talvolta di piccole aziende e reperibili sul mercato, capaci di suscitare emozioni dal profondo del cuore. Olga Sofia Schiaffino è stata affiancata anche da alcuni produttori presenti in sala, nella descrizione dei loro vini.

I vini degustati

VSQ Metodo Classico Pas Dosé Rubedo 2018 Fattoria la Leccia – Sangiovese – Bollicina fine e duratura, note di frutti di bosco, rosa e crostata di ciliegie. Fresco, sapido e avvolgente.

Piemonte Doc Bussanello Plisum 2021 Crotin 1897 – Incrocio tra Riesling e Furmint – Giallo paglierino brillante,  emana note di pesca,  susina, fiori di campo e note agrumate. Appagante, dinamico e rinfrescante.

Garanellen 2018 Tröpfltalhof – Sauvignon – Dorato intenso, rimanda note di maracuja, pompelmo rosa, zenzero e pepe bianco. Al palato è succoso e contraddistinto da una buona freschezza e sapidità.

Valdarno di Sopra Doc Osato 2022 La Salceta – Cabernet Franc –  Rosa carico, ribes, ciliegia, ibisco e note aromatiche anticipano al palato queste sensazioni, pieno, fresco e duraturo.

Toscana Igt Pretale 2018 Marzocco di Poppiano – Canaiolo e Sangiovese – Rubino vivace, libera sentori di ciliegia, prugna pepe, bacche di ginepro e scorza d’arancia. Sorso profondo, avvolgente e persistente.

Chianti Classico Gallo Nero: vince la squadra

Il Chianti Classico si è affermato come una delle denominazioni più premiate, con punte di eccellenza da punteggio perfetto, ma in generale il numero davvero alto è quello dei produttori che hanno ricevuto riconoscimenti dalla critica

Ormai è difficile aprire un sito o una rivista di settore che non parli di Chianti Classico. E in periodo di recensioni, si può dire che il Chianti Classico quest’anno ha fatto l’en plein.

Scorrendo la critica americana, spicca la TOP100 di Wine Spectator, dove la nostra denominazione è la più presente al mondo con ben sette referenze. La rivista nel report annuale sulla Toscana ha recensito 164 vini del Gallo Nero, con punteggi spesso altissimi (il 28% dei vini con punteggi superiori ai 95 punti è firmato Gallo Nero).

La testata Wine Advocate ha scelto una via diversa, focalizzando l’attenzione su una Unità Geografica Aggiuntiva all’anno, e stendendo report esaustivi, dedicando quello del 2023 a Lamole.

Antonio Galloni su Wine Advocate che include ben 22 vini con punteggio pari o superiore ai 95 punti, nelle tre tipologie di Chianti Classico, si esprime in maniera entusiasta sulla vendemmia 2021 e sulla qualità generale che la zona di produzione è capace di esprimere, “The wines have never been better, as evidenced by both the growing number of estates making gorgeous Chianti Classicos and the stylistic breadth those wines encompass. The 2021s in particular are some of the most exciting young wines I have tasted in more than 25 years of visiting the region”.

James Suckling, che ha firmato il primo 100/100 a vino Gallo Nero 4 anni fa, ha pubblicato nel corso dell’anno oltre 400 recensioni di vini Gallo Nero, la cui quasi totalità supera i 90 punti.

Sempre in tema 100/100, ci sono stati due vini premiati con il massimo punteggio, il Chianti Classico Gran Selezione 2019 di Monteraponi, a opera della celebre critica americana Kerin O’Keefe, e l’altro in terra italica, il Chianti Classico Gran Selezione il Poggio 2018 di Castello di Monsanto, da parte del critico Luca Gardini, curatore della Guida de L’Espresso e miglior sommelier del mondo.

Con questo volgiamo lo sguardo alla critica italiana. Altro record per il Chianti Classico, con 25 Tre Bicchieri, prima denominazione d’Italia ex aequo con il Barolo. La palma toscana va alla denominazione Chianti Classico anche secondo Doctor Wine, alias Daniele Cernilli.

Nel resto di Europa da notare oltremanica la rivista Decanter con ben due articoli, di cui uno sulla capacità di invecchiamento del Chianti Classico, mentre l’altro è un esteso report sui vini degustati durante la Chianti Classico Collection, a firma dell’Ambassador ad honorem Michaela Morris. Sulla stampa dei cugini francesi è da menzionare l’articolo sulle Unità Geografiche Aggiuntive pubblicato sulla prestigiosa Revue du Vin de France nel numero di dicembre.

Nel contempo si allarga la rosa dei critici interessati al Chianti Classico, con Sarah Heller MW per Club Oenologique, rivista patinata del buon vivere, e Audrey Frick per l’omonima testata on line di Jeb Dunnuck: lo sguardo degli USA è sempre più rivolto alle colline del Chianti Classico.

In conclusione, sono sempre di più i produttori premiati con punteggi elevati: per usare una metafora sportiva, vince la squadra. In questo caso, in maglia Gallo Nero.

Food Year 2024: presentato il calendario delle eccellenze gastronomiche di Pompei

Martedì 19 dicembre, nella Sala dei Misteri di HABITA79 POMPEII MGALLERY, è stato presentato Food Year 2024, il calendario che celebra dodici eccellenze, sia culinarie che pasticcere della città di Pompei. Lo scopo è di rendere il 2024 un anno di sapori ma anche di ricette da preparare a casa, in cucina con parenti e amici. Dalla pizza napoletana al piatto gourmet, dal pesce alle verdure, concludendo con il panettone tipicamente “Pompeiano”. I protagonisti sono le tavole delle location che, ogni anno, i cittadini ed i turisti scelgono per colazioni, pranzi, cene ed eventi.

L’idea è nata dal sodalizio di tre professionisti del settore food: Gianni Cesariello, giornalista e fotografo ufficiale del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP, ma anche attivo collaboratore di Slow Food; la giornalista Ilaria Cotarella, che ha collaborato con la rivista “Cucina a Sud” ed ha ideato il blog “Sud Food Express” e Marco Pirollo, giornalista nonché direttore della rivista “Made in Pompei”.

Sala gremita nell’attesa di svelare i nomi presenti, mese per mese, nel calendario. Un format avvincente che prevede, per ciascuno di essi, anche l’indicazione di una ricetta tipica proposta in chiave tradizionale o rivisitata in veste moderna. Perché la cucina è camaleontica, in continua metamorfosi.

I mesi

Gennaio con chef Carlo De Gregorio del ristorante Donna Franca e la sua ricetta “Spaghettone alla Donna Franca”

Febbraio con Mercato Pompeiano, brand giovane e visionario, che rievoca l’antico macellum di Pompei (il mercato), dove selezionare e cucinare le migliori materie prime a chilometro zero.

Marzo presente con chef Raffaele Nocerino de La Gare Pompeii Restaurant e gli Spaghetti alla Nerano, grande classico della Campania.

Aprile è il mese de La Bettola del Gusto di chef Alberto Fortunato e la ricetta degli Spaghettoni di Gragnano IGP con alici fresche, colatura di alici di Cetara, tartufo nero e burro di bufala.

Maggio con chef Gianmarco Carli del ristorante Il Principe. Figlio d’arte, tradizione nella ristorazione gourmet, la sua proposta riguarda il Tonno Balfegò con midollo, limone e porro.

Giugno tempo di pizza con il maestro pizzaiolo Nunzio Gallo di Alleria pizzeria Newpolitana, esperto di Pizza senza glutine.

Luglio propone Il Circolo Habita 79 con chef Roberto Lepre e la sua idea di Melanzana a scarpone.

Agosto di fuoco nel forno a legna del maestro pizzaiolo Guido Iovino e lo staff di L’antica Pizzeria da Michele dal 1870.

Settembre con Casa Gallo Cucina & Puteca di chef Vincenzo Cascone e la ricetta dei Totani locali alla griglia su crema di patate aromatizzate al limone.

Ottobre arriva l’autunno con chef Circo Chechile di Bosco De’ Medici Winery ed i colori del suo raviolo ripieno di ricotta di bufala, con crema di zucca, funghi porcini e Provolone del Monaco.

Novembre di straordinaria dolcezza con le meraviglie offerte dalla premiata Pasticceria De Vivo, profumi vibranti che inebriano i sensi ed il palato.

Dicembre si chiude con due giovani e talentuose promesse della ristorazione gourmet di Pompei: Antonio Cesarano e Barbara Ruscinito, compagni nella vita e nel progetto Cosmo Restaurant. Il Baccalà con insalata di rinforzo è il simbolo stesso delle festività natalizie.

Intervista all’enologo Denise Cosentino: dalla Cina all’Italia il passo è davvero breve

Denise Cosentino, già enologa di Domaine Long Dai (Dbr Lafite) e adesso tra le fila della prestigiosa Ornellaia, racconta uno spaccato dell’enologia cinese e della sua voglia di “autoctono”.

La Cina del vino pian piano sta svelando le sue peculiarità e potenzialità, protagonista di una rivoluzione enologica importante, considerando le dimensioni del Paese. Con Denise Cosentino, già enologa italiana da qualche anno al timone della direzione tecnica del Domaine Long Dai – proprietà del gruppo Domaines Barons de Rothschild – siamo andati alla scoperta di quello che è il territorio viticolo cinese e perché ne sentiremo parlare sempre di più nel prossimo futuro.

Cina e vino. Si può fare

Partiamo dal presupposto che la Cina non ha una tradizione vitivinicola ben radicata come quella europea, ma sta costruendo la sua storia non trascurando i particolari. Numeri che sembrano essere premianti soprattutto quando si parla di consumo locale e che descrivono un popolo interessato alla cultura del vino locale e non solo ai “grandi classici” di importazione. A non cambiare è la voglia di imparare da chi effettivamente il vino ce l’ha nel sangue. Sono molti i professionisti che hanno scelto il grande Oriente per il successo, e a Denise Cosentino quest’opportunità è arrivata per meritocrazia.

Laureata in viticoltura ed enologia a Torino, con diverse esperienze all’estero compreso in Nuova Zelanda, viene selezionata come docente per il prestigioso College di Enologia della North West A&F (agriculture&forestry) University di Yangling, Xian, Shaanxi. Grazie a un percorso premiante è arrivata a lavorare in vigna. Dal Ningxia alla penisola dello Shandong Denise ha scoperto un mondo diverso, dove la tradizione europea gioca la sua parte, ma in maniera marginale. Fare vino in Cina è quindi possibile?

La Cina è enorme e non si può far vino ovunque, per via del clima diverso, a volte proibitivo. La mia esperienza in vigneto inizia nel nord, nello Ningxia dove si arrivano a toccare, di inverno, meno 25 gradi. La viticoltura qui è pensata proprio per affrontare temperature rigide, con l’interramento della vite per proteggerla dal freddo. Un sistema con diversi cordoni bassi che, a seconda della necessità, possono essere ricoperti di terra. Nel Shandong invece, più vicini al Mar Giallo, il clima è completamente diverso, con inverni sì rigidi, ma non troppo. Nella media cinese, si intende. Infatti si toccano temperature che si aggirano in media tra i meno 10 e meno 15 gradi – continua l’enologa – Anche qui si usa l’interramento della vite, ma non completo. Per questo utilizziamo un sistema a spalliera che ricorda le viti europee. Inverni secchi e primavere secche, concentrazione di pioggia sulla parte estiva, questo è ciò che ci aspetta generalmente, anche se stiamo risentendo del climate change che anche qui si manifesta con eventi estremi come violente piogge e calura anomala anche fuori stagione”.

Domaine Long Dai

Domaine Long Dai, nella penisola dello Shandong – dove Denise ha ricoperto il ruolo di direzione tecnica di cantina fino a poco tempo fa – non è solo lo specchio della tradizione francese in Cina, anzi, è un modo per mettere alla prova blend che non riprendano il classico taglio bordolese, comunicando qualcosa di nuovo dal punto di vista enologico. Con il Marselan, varietà che sta riscontrando pareri positivi sia per adattamento al clima sia per le peculiarità organolettiche, si sperimentano assemblaggi “moderni”. “L’azienda è giovane, basti pensare che la prima annata in uscita è il 2019. L’imprinting europeo viene mantenuto solo in parte perché si misura prevalentemente con il mercato cinese. Per il momento cinque annate dedicate al mercato interno cinese. L’80% resta qui. La restante parte invece, arriva nei mercati del Sud Est Asiatico, Hong Kong, Giappone, Corea. Piccoli volumi che ridisegnano un modo di vivere all’occidentale”.

Chi è il consumatore di vino cinese

Se in Occidente il vino viene considerato parte storica della “cultura pop”, in Cina si costruisce un’identità giorno dopo giorno. E allora qual è l’identikit del consumatore cinese e se è l’etichetta a rendere il vino d’appeal? Ce lo spiega Denise: “il fruitore medio del vino è appassionato, è colui che ha studiato ed è molto curioso. In Italia sarebbe il nostro “esperto”. Il vino qui non è una bevanda che arriva in tavola in automatico. Certamente l’etichetta conta e, come nel caso di Lafite, il nome colpisce perché è sinonimo di pregio e perché già dagli anni Ottanta è presente sul mercato asiatico. I cinesi però, studiano e diventano sempre più critici, andando alla ricerca della qualità e dello stile di vita all’occidentale. Il vino è uno status symbol, un cadeau di valore”.

Ma in Cina di vino se ne beve ancora troppo poco. Un dato sottolineato anche dalla Cosentino “ad oggi il picco potenziale di consumo locale non c’è ancora stato ma il picco delle importazioni si, pertanto la flessione di vino che proviene da fuori è quasi fisiologica”. Secondo il rapporto OIV del 2022 sulla salute del settore vitivinicolo mondiale, la Cina si attesta la terza posizione a livello globale per quanto riguarda l’estensioni totali dei vigneti; solo l’ottavo Paese per quanto riguarda il consumo di vino. Dati che indicano, comunque, una crescita delle cantine locali in termini di popolarità, prestigio ed enoturismo rispetto al passato.

Per quanto riguarda la produzione interna c’è ancora molto da fare, ovvio, ma la strada è quella giusta. “Oggi la Cina può diventare un polo di produzione, infatti siamo alla seconda produzione di enologi in Cina. Quindi tra qualche anno si potrà dire che il vino è un prodotto della tradizione, ma chiaramente non ce ne sarà per tutti perché non si può produrre ovunque come abbiamo già detto”. Buona notizia per gli importatori che dovranno fare i conti con un mercato non sempre stabile, ma comunque sempre aperto al prodotto estero. Se nel futuro enologico cinese il vino non mancherà, nel futuro di Denise invece, cosa c’è da aspettarsi? “ Spero che ci sia tanto altro buon vino, altri grandi progetti enologici che garantiscano sempre standard di qualità elevati in Italia, che rivedrò presto.Spero di tornare a casa  in Calabria certo, magari un giorno. Un vigneto a Papasidero in Calabria, il mio paese d’origine, farebbe tornare alla memoria la mia prima vendemmia, quella fatta con il nonno”.

Per intanto è arrivata la chiamata in Toscana da Ornellaia e non possiamo che esserne felici.

Costiera Amalfitana: una sera al “Convento” con la cucina di Claudio Lanuto

Non era neve quella che veniva giù dal cielo, ma pioggia e la temperatura faceva pensare più alla Pasqua che al Natale. Eppure l’accensione dell’albero al Grand Hotel Convento Anantara di Amalfi ha mantenuto tutto il magico fascino dell’evento, reso ancora più suggestivo dall’eccezionale location in cui si è svolto: i resti del chiostro cistercense del XIII secolo, incastonati al sesto piano di una delle strutture ricettive più eleganti della Costiera Amalfitana.

I festoni di minuscole luci, Il braciere al centro del porticato, il coro di voci bianche a intonare i tipici canti natalizi e il cocktail di raffinati finger food, sono stati la preziosa cornice del quadro che lo scorso 27 Novembre ha dato il via alla stagione natalizia dell’Hotel ricavato da un’attenta ristrutturazione dell’ex convento dei Cappuccini di Amalfi e oggetto di un recente rebranding della catena di lusso Anantara. L’occasione è stata anche ideale celebrazione per la cucina dello chef Claudio Lanuto, recentemente entrata a far parte della Guida Ristoranti d’Italia 2024 del Gambero Rosso.

L’autore di 20Italie Ombretta Ferretto intervista lo chef Claudio Lanuto

Livornese di nascita, svezzato tra grandi cucine nazionali e internazionali (a partire da I Quattro Passi di Antonio e Fabrizio Melillo al Fat Duck di Heston Blumenthal), Lanuto festeggia il suo battesimo sulla guida più rinomata del Belpaese al ristorante Dei Cappuccini, rivelandosi persona pacata ed equilibrata nel rilasciare una dichiarazione sul recente conseguimento: “Mi sono commosso quando ho letto il mio nome sulla Guida”.

Al termine dell’evento di accensione dell’albero, il Ristorante Dei Cappuccini ha accolto i partecipanti in un ambiente sobrio con elementi architettonici e stilistici dell’antico convento, come le alte volte a crociera da cui scendono, disegnandone le coste, i moderni lampadari. Gli arredi dalle linee pulite ed essenziali cedono il passo all’opulenza solo nei tramezzi dorati che ricordano le piogge d’oro di molti quadri di Klimt, mentre le boiserie in legno chiaro scaldano l’ambiente, insieme alle luci soffuse e alla voce calda di Lucy Kiely, che unitamente alla chitarra classica di Cherubino Fariello, ha accompagnato la serata.

La cena, studiata e realizzata appositamente per l’evento natalizio, è stata un’elegante rivisitazione della tradizione, arricchita da contaminazioni di originale creatività, pur rimanendo fedele alla biodiversità e alla stagionalità del territorio.

La scarola ripassata con uvetta diventa quindi nido ideale per la capasanta scottata e guarnita da una sottilissima gelatina di tsuyu – brodo di dashi concentrato, arricchito di salsa di soya, mirin e sake. Il suo sentore umami fa da contraltare alla goccia di maionese delicata.

Il baccalà, invece, è stato protagonista dell’antipasto assieme alla giardiniera di verdure, classico richiamo all’insalata di rinforzo della tradizione partenopea – e alla crema di limone salato. Ad accompagnare entrée e antipasto Costa d’Amalfi doc Furore bianco Marisa Cuomo 2022 – blend di Falanghina e Biancolella – dai sentori freschi di agrumi ed erbette mediterranee, che ha sostenuto bene la complessità gustativa dei primi due piatti.

Eco di uno dei più grandi classici della tavola di Natale, il tortello di zucchine, crudo di scampi e lamelle di mandorle in fumetto di scampi, riportava alla memoria il confortante tortellino in brodo, spesso presente sulle tavole delle feste. Mentre con la seconda portata Lanuto è uscito dal canone delle festività proponendo un piatto a cui è molto affezionato: il trancio di spigola arrostita e crudo di gamberi rossi, serviti su un bisque di crostacei e accompagnati da sedano rapa grigliato e in dadolata con salsa di limone.

Il Fiano di Avellino DOCG Alessandra 2013 De Meo, ottenuto da uve selezionate da leggera vendemmia tardiva, ricco nei rimandi olfattivi di frutta matura e ginestra, caramello e note fumée, si è rivelato pieno e godurioso al sorso, in perfetto equilibrio con le portate principali.

Come tributo alla varietà e alla ricchezza dei prodotti della Costiera, lo chef ha voluto sottolineare la stagionalità e la territorialità di quelli utilizzati nei suoi piatti, molti provenienti dall’orto-giardino dei frati, come i limoni o i profumatissimi mandarini protagonisti del dessert a chiusura della cena.

Il babà al rum, mandarino del Convento e cioccolato, in accompagnamento con Passion 2021 Vino Passito Cantine Giuseppe Apicella – blend di vitigni autoctoni locali – avvolgente al palato nei sentori di frutta candita, fico secco e bastoncino di liquirizia, è stato ottimo preludio anche per le coccole finali: il bignè alla crema di limone, la gelatina di melograno e la caprese di mandorle e cioccolato.

Al termine della cena Claudio Lanuto, dopo aver ringraziato lo splendido lavoro di tutto lo staff, ci ha raccontato in poche sintetiche parole l’esperienza e la personale aspettativa dal suo impegno quotidiano: “siamo giovani, siamo partiti quest’anno con il progetto della ristorazione e il mio principale obiettivo è quello di far star bene le persone”.