L’arte della Sommellerie a misura d’uomo: intervista a Pasquale Esposito

Esistono diverse vie per approdare alla Sommellerie; ogni caso è assolutamente a sé stante e ciascuno ha le sue buone motivazioni, stando al vissuto, all’estrazione sociale e alle aspirazioni personali, per incamminarsi lungo un percorso impegnativo, investendo tempo e denaro tra le tante sigle professioniste d’Italia. C’è chi lo fa per mestiere, provenendo dal mondo ristorativo-alberghiero, e quindi per incontrare un miglioramento professionale e nuove opportunità lavorative; c’è chi invece inizia per curiosità e passione trovando poi, a prescindere dalla spinta iniziale, una vocazione che sentiva forse dal principio o che è andata affiorando, corroborandosi strada facendo, fino a diventare una parte irrinunciabile della propria esistenza.

Oggi ai sommelier moderni si richiede soprattutto di essere abili comunicatori, giudici sul lavoro di un anno di chi prova a fare vino in maniera seria; un hobby ben remunerato in qualche caso, non sempre legato al settore ristorazione di qualità. Probabilmente la Sommellerie concepita agli inizi non esiste più, fortunatamente ora dinamica, poliedrica ed adatta ai diversi contesti della wine industry, anche con qualche improvvisato che cerca di evitare l’inevitabile fatica della gavetta quotidiana. Stesso dicasi per il mondo della stampa enogastronomica si intende, absit iniuria verbis.

Ci sono poi donne e uomini operosi, capaci e grandemente talentuosi, che non si vantano e preferiscono giocare nel dietro le quinte. Coloro che sono riusciti a fare del mestiere del vino una vocazione verace e una professione al tempo stesso, opportunamente alimentata da un amore sincero e da un continuo desiderio di migliorarsi. Pasquale Esposito è uno di loro ed è la dimostrazione che il lavoro, la dedizione e i sacrifici, se non si molla mai, ripagano eccome.

Pasquale è stato meritatamente incoronato miglior sommelier della Campania 2024 da AIS – Associazione Italiana Sommelier durante il concorso svolto lo scorso giugno a Pompei, conseguendo un risultato strepitoso, frutto di un grandissimo impegno che gli ha concesso di emergere su tantissimi concorrenti, altrettanto validi e preparati.

Nato a Castellammare di Stabia, classe 1980, sotto il segno del toro, ama farsi chiamare sommelier chianchiere” – termine locale che significa macellaio – anticipando da subito le costanti della sua storia professionale.

Esposito lo dice chiaramente “io ho avuto la fortuna di essere il figlio di don Peppe il macellaio, devo tutto ai miei genitori che mi hanno avviato alla macelleria” e infatti il padre lo andava cercando ovunque se mancava da troppo tempo dalla bottega, ecco perché il legame di Pasquale con le carni è davvero particolare e privilegiato. Cresciuto in un ambiente per niente facile, in un periodo dove 8 ragazzi su 10 si perdevano per la cattiva strada, ha iniziato a lavorare all’età di 10 anni, portando la spesa ai clienti che spesso lo ricambiavano con caramelle; un ragazzo affabile, tutto pane, strada e lavoro, coi tempi che corrono oggi, ricorda con affetto quelle dolci e affettuose regalie. Le persone che maggiormente lo hanno ispirato sono la signora Emma, sua madre, e don Peppe, il papà macellaio che tanta passione gli ha trasmesso, provenienti entrambi da famiglie poverissime.

Terminati gli studi superiori in ragioneria, a 18 anni riusciva a gestire mirabilmente tutti gli aspetti del mestiere, dai tagli all’allevamento del bestiame,  dalle trattative presso i mercati boari e i centri di macellazione fino alle doti di vendita alla clientela, fino alla passione per la salumeria che, a partire dal ’99, gli ha consentito di avviare una produzione norcina e di avviare l’attività di ristoratore con C’è posto per Te, dove propone specialità di carne e pizza in abbinamento ad una selezione vini di tutto rispetto.

Quale vocazione è sorta prima, quella per la ristorazione o per il vino?

Sicuramente è nata prima la passione per la ristorazione, una diretta conseguenza della macelleria, e subito dopo il vino. Ho scoperto che il vino è diventato parte dominante della mia vita quando ho conosciuto un produttore friulano che a definirlo “dinamite” sarebbe poco. Parlo di Fulvio Bressan, che mi ha trasmesso la giusta carica per conoscere il mondo del vino. Non scorderò mai quando l’ho incontrato a Farra di Isonzo assieme al papà Nereo, allora novantenne ma che lavorava come un ventenne. Anche Antonio Caggiano mi ha dato una forte motivazione.

Com’è cambiata la ristorazione a tuo avviso dopo la pandemia?

Direi che ha subito un colpo quasi letale. Tocca a noi ristoratori comprendere che la rotta intrapresa anni addietro non è più percorribile, inoltre bisogna essere più disponibili verso la popolazione, leggere i sentimenti delle persone e prevenire in quale direzione sta andando il mercato. È del tutto inutile avere certi atteggiamenti spocchiosi, impuntandoci come a dire “questo sono io, chi mi vuole mi deve amare così, altrimenti vada altrove”: siamo andati già a sbattere, dobbiamo cambiare mentalità per riportare la ristorazione a misura d’uomo.

Si potrebbe affermare che la figura del sommelier non sia ancora decollata del tutto nel mondo ristorazione-hotellerie?

Si è vero, la figura del sommelier non è mai decollata efficacemente. C’è ritrosia da parte di molti titolari di investire in questa figura, ma ultimamente c’è anche un aumento vertiginoso di ristoranti che accettano di buon grado la Sommellerie e si rendono conto dell’importanza di avere un professionista decisivo per la gestione della cantina e della carta, nonché per valorizzare l’investimento costituito dal vino e dare maggiore prestigio al locale. Per fortuna noto che negli ultimi anni le cose stanno cambiando.

Com’è cambiata la Sommellerie di oggi rispetto al passato?

Sono totalmente diverse, talvolta opposte e spesso tale differenza genera piccole divergenze di vedute tra un sommelier più vecchio e uno più giovane. Due mondi non accomunabili, per quanto si parla della stessa materia, ma con visioni totalmente diverse: sono cambiati i territori, sono stati fatti grossi investimenti e di conseguenza anche le nuove tecnologie hanno visto un miglioramento progressivo. Le due visioni dovrebbero trovare un accordo in un contesto dove il cambio di clima è evidente, la tecnologia la fa da padrone e i vini di ieri quasi non esistono più per perfezione tecnica.

Il vino che più ti ha sopreso nella vita?

La tipologia di vino che più mi ha sorpreso è stato lo Champagne. Sono rimasto affascinato dalla cura maniacale dei vigneti, dalla visione del Clos du Mesnil, nel cuore della Côte de Blancs, in particolar modo in riferimento ad una nota azienda del comune di Le Mesnil-sur-Oger, che nei racconti dei comunicatori più bravi assume dei contorni incredibili, quasi mistici. Reims, épernay sono località fantastiche e tra le foto più belle conservo quella presso la sede della Moët & Chandon.

Il tuo rapporto con il cibo?

È bellissimo, fin troppo buono. Lo dico col sorriso perché amo tanto il cibo, amo tanto i sapori genuini. Con mia sorella Angela, chef a C’è Posto per Te, portiamo nuovi sapori in cucina, ne parliamo, ci confrontiamo, assaggiamo, restando però fedeli alla cucina tradizionale campana, di riferimento per tutto il mondo.

Piatto preferito?

Domanda difficilissima perché a me piacciono un sacco di cose e non ho un piatto preferito vero e proprio, ma dovendo scegliere direi anzitutto l’agnello di mamma, fatto al forno con patate, funghi e piselli, magari abbinato ad un buon calice di Taurasi. Poi però il richiamo degli scampi è potente e mi ricordano appunto la mia predilezione per lo champagne.

La caratteristica principale dello staff di C’è Posto per Te?

È la familiarità, la mia principale prerogativa, il mio pallino, il mio punto di forza. Ci troviamo in un’area non centrale di Castellammare, dovevamo dare qualcosa in più alle persone, farle tornare. Diamo accoglienza vera, genuina, ci piace farli sentire comodi, importanti e soprattutto a casa loro. Lo facciamo bene perché ci viene dal cuore, perché è così che vorremmo essere trattati anche noi. Li ho scelti personalmente uno ad uno i miei collaboratori, non si tirano mai indietro a una richiesta di un cliente. Devo ringraziare i ragazzi dello Staff, sono stupendi: dal motore del ristorante che è mia sorella e gli aiuti in cucina, ma soprattutto i ragazzi in sala.

Il percorso per arrivare al titolo di Miglior Sommelier della Campania per l’Associazione Italiana Sommelier?

Un percorso di enormi sacrifici. Non so neanche io dove abbia potuto trovato il tempo, perché tra lavoro e famiglia la mia giornata inizia alle 9:00 fino a mezzanotte, per poi mettermi alla ricerca della materia prima migliore, dalle carni più pregiate al pescato e frutti di mare, che a Castellammare di Stabia non mancano mai. Per 7 anni ho viaggiato dal lunedì al mercoledì per visitare territori e conoscere cantine, per poi tornare a lavorare a tempo pieno nel ristorante fino a mezzanotte.

Conoscere per me significa toccare le realtà enologiche con le proprie mani: le sensazioni che si possono percepire personalmente sono più forti e chiedersi perché in uno stesso distretto vitivinicolo un produttore la pensa in maniera diametralmente opposta ad un altro produttore a mezzo chilometro di distanza è fondamentale per uno curioso come me. Questo mio percorso lo vedo come punto di partenza e non come punto di arrivo, il primo tassello di ambizioni future che sono normali per chi come me vuole crescere e continuare a migliorarsi.

Che consiglio ti senti di dare a chi vuole iniziare un percorso come sommelier?

Di mettersi in gioco e non sentirsi tagliati fuori da alcun progetto. Credere fortemente in quello che si sta iniziando a fare, perché se uno ci prova senza metterci il giusto impegno non riesce ad ottenere risultati importanti.

Un sogno nel cassetto?

Il mio desiderio è che Castellammare di Stabia faccia un passo avanti verso il mondo dei sommelier, puntando su questa figura. Spero che molti titolari di aziende ristorative si ravvedano, visto che non scommettono sul sommelier e non lo fanno entrare nel loro ristorante. Sogno di contribuire a portare la Campania a un livello ancora più importante, perché abitiamo in una regione fantastica, che dona vini stratosferici e che si fa fatica a trovare in altre regioni. Greco, Falanghina e Fiano sono tre punte di diamante e credo che avere tre autoctoni simili in una sola regione non è da tutti. Ringrazio tutti i colleghi sommelier che si sono cimentati nella prova, in particolar modo Antonio Calandriello e Ivan Fernandez Mendana (ndr gli altri 2 finalisti sul palco). Estendo infine la mia gratitudine al Presidente AIS Italia Sandro Camilli, al Presidente AIS Campania Tommaso Luongo e al formatore responsabile Area Concorsi AIS Campania Luca Matarazzo, per avermi sempre stimolato a crescere professionalmente.

Majolini Franciacorta, vino e arte

Recarsi in Franciacorta suscita sempre tante emozioni legate ai vini che regalano una varietà di aromi e sapori dove ogni sorso racconta storie di uve, terra e tradizione; legate al paesaggio collinare, punteggiato da vigneti, laghi e borghi storici, che offre panorami mozzafiato. Recarsi dalla cantina Majolini Franciacorta vuol dire immergersi in una realtà fatta di vino e arte, essere accolti con calore in un ambiente curato, dove è palpabile la forte connessione con il territorio volta a favorire uno sviluppo sostenibile. Siamo nel comune di Ome (BS) che si snoda tra colline verdi e vigneti, per arrivare in cantina ci si deve inoltrare nelle stradine del paese per risalire poi la collina e intravedere all’orizzonte la struttura che si staglia imponente, perfettamente integrata con la natura circostante.

Fondata nel 1993, la cantina ha saputo affermarsi nel panorama vinicolo grazie all’attenzione alla qualità e alla cura dei dettagli. Ad accoglierci all’ingresso Simone Majolini, onorati di avere un cicerone di eccezione, che inizia il racconto di quella che è una tradizione di famiglia, un legame profondo con la terra, della combinazione tra vino e arte.

Subito all’esterno, nel piazzale della cantina, ci accolgono le prime opere: la scultura di bronzo “Cavalli Innamorati” di Aligi Sassu in posizione dominante di tutta la valle e dei vigneti, questa celebra la bellezza della natura e rappresenta l’amore per questo territorio; il “Moby Dick” di Mattia Motta, la balena inabissata, arpionata da Achab e mai conquistata è il simbolo del sogno irraggiungibile: quello della sfida costante per creare un vino perfetto.

Simone racconta che la cantina nasce e si sviluppa intorno ad un’idea di bellezza che vive attraverso l’arte, la sostenibilità, l’architettura. Le stanze ospitano pezzi da collezione, ambienti affascinanti e originali.

  • La stanza Luxury Wine Collection dove il fermento della moda e del design crea un ponte con il mondo del vino e offre l’opportunità di esplorare come queste due realtà, apparentemente distinte, possano intersecarsi in modi innovativi e sorprendenti. Alcune bottiglie sono vestite con giacchette in pelle di struzzo rosa e azzurre a ricordare i bustini ottocenteschi che servivano a modellare la figura femminile, evidenziando il punto vita e creando una silhouette a “campana” che era molto in voga all’epoca; altre indossano veri e propri abiti da sera tagliati e cuciti come in haute couture caratterizzati da una cura artigianale impeccabile e da materiali di altissima qualità. La parola d’ordine è sensualità femminile. Questa è quella che Simone chiama la “stanza dei sogni” a sottolineare che il vino può essere abbinato a qualsiasi cosa, non solo al cibo.
  • L’antica barricaia ospita “Opera Sensoriale” realizzata dall’ebanista di fama Luciano Molinari con 199 legni provenienti dai cinque continenti. Un’opera da guardare e da annusare: sigillo della cantina scomposto in tanti piccoli tasselli di legno, rimanda ai profumi in vasetto dei legni corrispondenti, per “sentire” la materia tramite l’olfatto. Un’esperienza multisensoriale durante la degustazione dei Franciacorta Majolini.

  • La Sala della Trasformazione dove le bottiglie svolgono la rifermentazione sotto lo sguardo di un Sole e di due Meduse, opere di Giuseppe Bergomi, artista lombardo, amico di famiglia. Il sole rappresenta la natura che per primo trasforma l’uva e la rende utilizzabile e le due Meduse, che sono il simbolo greco e romano della trasformazione in qualcosa di morto, sono un monito per ricordare che fare vino deve essere sempre un attento gioco di equilibri per evitare il rischio di modificare troppo ciò che la natura ci regala.
  • La stanza con le fotografie di Enrica Sensini che riesce a cogliere con la sua arte l’essenza dell’anima. Non solo immagini in senso tradizionale, ma rappresentazione della personalità, delle emozioni di un individuo attraverso i suoi occhi, le espressioni del viso, i suoi abiti e l’ambiente circostante.

Con gli occhi colmi di arte e lo spirito nutrito da tanta bellezza e creatività, ci spostiamo nella sala degustazione anche qui l’arte la fa da padrona.

In alto i calici!

  • Majolini Franciacorta Saten Brut, 100% Chardonnay. Una bollicina fine e persistente, profumi che ricordano la pasticceria e la crosta di pane. Persistente con delle belle note di tostatura. In bocca cremoso, delicato con cenni di frutta matura;
  • Majolini, Franciacorta Brut, Chardonnay e Pinot Nero: fresco e fruttato, con note di mela verde, pera e fiori bianchi. Vivace e ben equilibrato, perfetto per aperitivi. Un vino dalla personalità chiara, ben definita. É avvolgente, secco e deciso;
  • Majolini Franciacorta Brut Vintage Millesimato Le uve, Chardonnay e Pinot Nero, a perfetto grado di maturazione vengono pigiate in modo soffice e fatte fermentare in vasche d’acciaio ad una temperatura controllata. In primavera viene poi realizzata la cuvée ed effettuato l’imbottigliamento per la presa di spuma. Il profumo è ampio, schietto e con note floreali. Il sapore è sapido, persistente e molto equilibrato;

  • Majolini Franciacorta Disobbedisco Extra Brut 100% Pinot Nero.Questo vino nasce per celebrare il Poeta e l’eroe Gabriele d’Annunzio. L’etichetta, creata dall’artigiano Luca Briconi in metallo smaltato e dorato, riproduce il gonfalone della Città di Fiume voluto da d’Annunzio: il serpente che si morde la coda (Oroboro) è il simbolo egiziano dell’eternità e della vita che si rinnova. Le sette stelle del Grande Carro è un altro simbolo di eternità, perché è la costellazione che non tramonta mai e indica la Stella Polare, che dà la rotta ai marinai e che ha accompagnato il Poeta nella Beffa di Buccari. Racconta la rivendicazione dell’italianità della città di Fiume, dopo la prima guerra mondiale. Azione politica e di lotta di cui D’Annunzio fu protagonista.  Elegante e raffinato con aromi di mela verde, pera e fiori bianchi. In bocca è fresco e cremoso, con una piacevole acidità e una nota minerale persistente;
  • Majolini Electo Franciacorta Millesimato Brut, ha un uvaggio composto da Chardonnay 80% e Pinot Nero 20%. Le uve vengono raccolte, manualmente in cassette, non appena giunte a maturazione ideale con vena leggermente acida. La vendemmia è rivolta, principalmente, al mantenimento dell’integrità dei grappoli. Le due varietà vengono vinificate separatamente con pressatura soffice. La fermentazione dello Chardonnay continua in piccole botti di rovere. Successivamente, in primavera sarà valutata la composizione della cuvée. Una volta composta si passa alla rifermentazione in bottiglia con riposo sui lieviti della durata di almeno 36 mesi;

  • A chiudere questa magnifica degustazione una vera chicca: Vino Rosso Majolini 2019, prodotto solo in 666 esemplari nel formato Magnim.Unvino ricavato dalla vinificazione di solo uve Majolina. Uva di cui oggi esistono meno di 1.000 piante, tutte in quella zona (tra Ome e Monticelli Busati), negli appezzamenti più vecchi è ancora a piede franco, cioè senza bisogno della radice americana diffusasi in Europa dopo la filossera. I Maiolini le hanno dedicato un piccolo vigneto di 450 piante, uva che entra in piccola percentuale nel Rosso «Ruc»; prodotto dagli anni 60 e imbottigliato, nelle annate migliori, in purezza, solo nel formato magnum.

Prosit!

I “vini subacquei” di Cantine Carputo

Narra la leggenda che Nicolò Pesce detto Colapesce, giovane napoletano originario di Santa Lucia,  trascorresse più tempo nelle profondità degli abissi alla ricerca di tesori sommersi che sulla terraferma. Quando la madre, stanca delle continue assenze del figlio, decise di punirlo con la maledizione “Potessi addiventà ‘nu pesce!”, il corpo del giovane si rivestì di squame consegnandosi definitivamente al mondo marino. Chissà se Colapesce, tra le sue scorribande subacquee, alcune delle quali commissionategli da Federico II di Svevia, avrebbe mai immaginato di trovare anche del vino, non reduce di un naufragio ma volontariamente sommerso.

Cantine Carputo, cantina con sede storica a Quarto (NA), è stata protagonista, lo scorso 24 ottobre, del primo cantinamento sommerso nel braccio di mare antistante Castel dell’Ovo. A occuparsi dell’operazione, partita del Molo San Vincenzo, è la società Megaride Cantine Sommerse di Francesco Lerro, dopo l’autorizzazione da parte del Demanio – nel gennaio 2024 –  ad una cantina sommersa di oltre un chilometro di superficie a 40 metri sotto il livello del mare.

La famiglia Carputo, ci ha spiegato Raffaele, CEO di Cantine Carputo, vuole in questo modo festeggiare il prossimo trentennale di fondazione della cantina che cadrà nel 2025, anno in cui sarà effettuata l’operazione di riemersione delle bottiglie. Sono in via di studio gli effetti che il cantinamento subacqueo ha sul vino: con una temperatura costante tra i 14 e i 15 gradi e l’assenza di luce, in concomitanza con la pressione esercitata dall’acqua sul tappo della bottiglie, sembra si ottenga un rallentamento dei processi ossidativi.

A godere dell’affinamento sottomarino per circa un anno saranno 2000 bottiglie di Falanghina Metodo Classico e 2380 di Rosso Riserva da Piedirosso e Aglianico, vitigni tradizionali dei Campi Flegrei, territorio cui Cantine Carputo è strettamente legata. Bottiglie celebrative per esprimere la doppia anima che da sempre contraddistingue le etichette aziendali: il Sole e la Luna, componenti maschili e femminili della famiglia Carputo, ma pure la dualità degli elementi fuoco – quello del territorio flegreo, la cui etimologia è direttamente legata al verbo greco φλέγω, ardo –  e acqua, quella del mare. L’evento di cantinamento ricade inoltre nell’anno di in un altro importante anniversario, il trentennale della DOP Campi Flegrei, istituita nel 1994.

Da sottolineare anche la valenza sociale dell’evento, svolta in collaborazione con Archeoclub Italia e l’Istituto Penale Minorile di Nisida. A fare da scorta infatti all’intera manifestazione, con un equipaggio di giovani e studenti di archeologia e subacquea, è stata la Motovela della Legalità e della Memoria Marenostrum – Dike, un clipper di 15 metri sequestrato ad attività illecite di traffico di immigrati sulle rotte egee e restituito alla collettività nella sezione Marenostrum di Archeoclub Italia, specializzata in recupero costieri e marittimi; mentre a documentare l’evento con riprese subacquee sono stati i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Nisida che, nel solco di un percorso di legalità e crescita, hanno conseguito brevetto da sub, con una formazione teorica sul patrimonio geologico, ambientale e storico. Una connessione fortemente voluta tra legalità e promozione del patrimonio vitivinicolo.

La degustazione

Al termine dell’evento, al parterre di giornalisti e ospiti presenti è stato possibile degustare i vini oggetto di cantinamento, direttamente nella sede di Cantine Carputo a Quarto. Scopo della degustazione tecnica è stato quello di rilevare le caratteristiche dei due vini prima dell’affinamento subacqueo per poter poi procedere a un successivo confronto alla riemersione, tra circa un anno.

A raccontare Cantine Carputo e i suoi vini sono stati Francesco Carputo, il fondatore, e Antonio Pesce, l’enologo; a condurre la degustazione tecnica, la referente dei Campi Flegrei di AIS Napoli Paola Licci; a moderare la discussione, la giornalista Chiara Giorleo.

Vino Spumante di Qualità Metodo Classico Falanghina Millesimato 2021

Da vendemmia precoce, dopo un affinamento di 4 mesi in acciaio e presa di spuma in bottiglia a gennaio 2022, ha sostato sulle fecce per 30 mesi, con una sboccatura nella prima decade di settembre 2024.

Si presenta con un perlage continuo e persistente, di media finezza. Il naso è delicato con sentori di agrumi, erbette mediterranee e fiori bianchi, attraversati da un lieve sbuffo sulfureo, mentre nuance gessose e di melannurca ritornano con il sorso; è verticale all’ingresso di bocca per poi rilasciarsi in una consistenza cremosa sostenuta da una buona sapidità e da una media persistenza.

Abbinabile a tutto pasto su cucina di mare grazie al residuo minimo post fermentativo e al dosaggio zero.

Rosso Riserva Campania IGT 2020

(60% aglianico – 40% piedirosso)

Blend in uvaggio, con piedirosso al massimo della maturazione; fermentazione per 25 giorni con due délestage; svinatura del solo mosto fiore (resa del 60%) e acciaio per i successivi sei mesi con lievi rimontaggi settimanali. Affinamento in tonneau per 36 mesi e imbottigliamento a giugno 2024.

Il colore rubino presenta ancora un orlo violaceo. Il naso è tipico di frutta matura (ciliegie e prugna), rosa rossa e pepe, con un ritorno di cacao amaro al sorso.Il sorso è pieno e opulento, con un tannino fitto dalle nuance ancora verdi. Chiusura amaricante, di nuovo su cacao in polvere.

Una curiosità: i nomi dei due vini, come pure le etichette, non sono stati svelati nel corso dell’evento. Dovremo avere la pazienza di aspettare i prossimi dodici mesi per saggiare le differenze rispetto allo stato attuale e dare una veste definitiva alle due bottiglie.

Cantine Carputo

Via Viticella, 93

80010 Quarto (NA)

La storia delle Viti a Piede Franco narrata dal Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco

Correva l’anno 1863 quando un insetto originario delle Americhe fece la sua comparsa in Europa a Pujaut, piccolo paese francese nel Gard, in Occitania. Nel giro di qualche decennio la Fillossera mise in ginocchio l’80% del patrimonio vinicolo europeo, cambiando di fatto non solo il panorama agricolo, ma anche l’assetto sociale del Vecchio Continente.

Molti furono i tentativi per debellare questo insetto, ma solo grazie al fondamentale contributo di Pierre Viala, si giunse alla soluzione che ancora oggi è alla base della moderna viticoltura: l’innesto della Vitis Vinifera europea su un ceppo di Vitis Berlandieri di provenienza americana. Parlare di viti a piede franco significa dunque parlare di viti che tuttora mantengono il piede originario della Vitis Vinifera europea e si riproducono per propagazione o talea.

Il Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco, costituitosi pochi mesi fa e presto destinato a tramutarsi in associazione, si pone come obiettivo la salvaguardia del patrimonio viticolo a piede franco nel nostro Paese. Lo scorso 23 settembre, presso la sala cinese della Reggia di Portici, nel primo convegno La salvaguardia delle viti a piede franco organizzato con il patrocinio del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e introdotto da Identità Mediterranea, il Comitato ha presentato il proprio programma di lavoro, che si sostanzia in nove punti principali.

Da creare un elenco nazionale dei vigneti a piede franco a raccogliere fondi per la ricerca genetica viti a piede franco; da pensare ad itinerari turistico nazionali a creare una piattaforma internet che riunisca tutte le piccole realtà, individuando tutte le viti a piede Franco e numerandole, Infine, avviare le pratiche ministeriali per inserire in etichetta la dicitura Vino prodotto da vitigni a piede franco, organizzare manifestazioni/convegni a livello nazionale, formare un consiglio nazionale stabile con la creazione di un museo telematico sul piede franco.

Al convegno, oltre al Presidente del Comitato Silvano Ceolin e al Delegato del Comitato per la Campania Cosimo Orlacchio, sono intervenuti svariati professionisti del settore che hanno contribuito in maniera diversificata al dibattito: Giulio Caccaviello, agronomo; Ciro Verde, enologo; Riccardo Aversano, Professore di Genetica Agraria; Teresa Del Giudice, Professoressa di Economia Agraria Alimentare ed Estimo Rurale; Giovanna Sangiuolo, Giurista di diritto vitivinicolo.

“Non c’è alcun approccio critico nei confronti dei vini prodotti da viti a piede franco piuttosto che innestate”, ha commentato Ceolin nell’introduzione ai lavori, “l’intento è solo quello di salvaguardare un patrimonio storico”. Lo stesso Ceolin ha infatti definito le viti a piede franco come reduci di guerra, ognuna delle quali può raccontare una storia.

La scelta di organizzare il primo convegno del Comitato in Campania è dovuta al fatto che questa regione nel 1930, al picco dell’infestazione in Italia, insieme alle provincie di Frosinone e Rieti, risultava quella meno inficiata. Ancora oggi la Campania è tra le regioni che conservano il maggior numero di viti a piede franco. Tra le condizioni che hanno preservato il piede franco oltre a terreni sabbiosi e all’altitudine, ci sono anche i suoli di origine vulcanica, di cui la Campania – con il Vesuvio, i Campi Flegrei, il vulcano di Roccamonfina e Ischia – è ricca , ha spiegato Cosimo Orlacchio.

Al centro del dibattito è stato il tema della salvaguardia non solo delle viti a piede franco quale patrimonio storico ma anche quale patrimonio genetico al quale attingere per la ricerca in un’epoca in cui i cambiamenti climatici rappresentano forse la minaccia più importante per la moderna agricoltura, come ribadito sia da Giulio Caccaviello che da Riccardo Aversano.

Ciro Verde ha inoltre sottolineato come, vinificando col minor impatto enologico possibile da viti a piede franco radicate da decenni in un determinato suolo, è possibile restituire un prodotto totalmente identificativo del territorio.

Da sinistra il Presidente Silvano Ceolin e Gaetano Cataldo

Il Comitato, associato alla francese Franc de pieds, la più grande associazione che raggruppa viticoltori di viti a piede franco a livello mondiale, è stato incaricato di organizzare il prossimo convegno mondiale sulla viticoltura a piede franco, che si terrà a Napoli dal 22 al 24 gennaio 2025.

Al termine del convegno è seguita una degustazione di vini da viti a piede franco provenienti da diverse regioni italiane.

I VINI IN DEGUSTAZIONE

Piccà metodo ancestrale – 100% pecorino – Agriarquata

Surpicanum Marche IGT bianco 2021 – Agriarquata

Harmonia Falanghina Campi Flegrei DOC 2021 – Il IV miglio

Le Ghiarelle Lambrusco dell’Emilia IGT 2016 – Poderi Fiorini

Raije Carignano del Sulcis DOC 2021 – Azienda Agricola La Scogliera

Groppello di Revò IGT 2022 – Azienda Agricola El Zeremia

Vigna Le Nicchie 2018 – Prephilloxera tempranillo  IGT Toscana – Società Agricola Pietro Beconcini

Due ori per l’Italia ai Vinoinfluencers World Awards 2024 di Valladolid

Comunicato Stampa

In un contesto internazionale dove la comunicazione digitale si integra sempre più alla promozione del territorio, del vino e del turismo enogastronomico, la prima edizione dei Vinoinfluencers World Awards ha visto l’Italia in cima al podio per ben 2 volte, confermando il talento e l’influenza dei suoi comunicatori digitali. L’evento si è svolto presso il Centro Cultural Miguel Delibes di Valladolid, in collaborazione con enti come Turespaña, la Junta de Castilla y León e il Comune di Valladolid, e ha riunito le voci più influenti del settore del vino sia a livello nazionale che internazionale per un totale di 150 comunicatori provenienti da oltre 30 Paesi.

La premiazione, che ha coinvolto 10 categorie diverse, tra cui miglior sommelier, consulente, educatore, etc,  ha visto la partecipazione di personalità da tutto il mondo, con l’Italia che ha conquistato ben due ori grazie alle performance di Andrea Zigrossi (Trotterwine) e Nello Gatti (L’Ambasciatore). Zigrossi ha vinto il premio nella categoria Wine Communicator, affermandosi come uno dei protagonisti più seguiti del panorama digitale enologico. Durante il suo discorso, ha voluto condividere la vittoria con i suoi amici più stretti, invitando sul palco lo stesso Nello GattiIkerwineLorenawinediaryWinespicegirlHipsterwine  e The Reason Wine, ribadendo l’importanza della collaborazione in un mondo sempre più interconnesso e la gratitudine verso chi supporta, collabora e condivide questo percorso.

Gatti, invece, ha ricevuto un riconoscimento speciale rilasciato dalla Junta di Castilla y Leon, un premio che lo ha incoronato come la figura più votata dagli stessi partecipanti, organizzatori, Cantine e istituzioni dell’evento per le proprie doti professionali, personali e il proprio approccio multi-disciplinare in materia vino. Questo premio, unico nel suo genere, ha celebrato il suo impatto trasversale, che va oltre una singola categoria, premiando il suo approccio sincero e diretto nella comunicazione del vino oltre le metriche e i parametri dei canali social. Nel suo discorso, ha voluto sottolineare l’importanza di una virata necessaria per una diffusione più autentica e meno sensazionalista, dichiarando: “Dobbiamo fare meno quantità e più qualità, come molte cantine insegnano ci hanno insegnato.”

L’evento ha confermato la centralità delle nuove figure digitali nel panorama enologico globale, in un’epoca in cui la comunicazione del vino non si limita più ai soli canali social come Instagram, TikTok e YouTube, coinvolgendo milioni di utenti in tutto il mondo, ma si integra alle esperienze e i grandi eventi presenti sul territorio. Grazie all’evoluzione del mercato digitale, comunicatori come Andrea Zigrossi e Nello Gatti, insieme ad altre personalità italiane presenti come Luca Grippo e Tomas Taddeo (Hipsterwine), stanno contribuendo a trasformare il modo in cui il vino viene raccontato e percepito, avvicinando soprattutto le nuove generazioni alla cultura vinicola attraverso contenuti coinvolgenti e innovativi.

La giuria, composta da sommelier, critici, giornalisti, chef e personalità di fama mondiale, tra cui la prima donna MW spagnola Almudena Alberca, il pluristellato Martín Berasategui e il Presidente dell’associazione giornalisti spagnoli del vino Ernesto Gallud, ha valutato ogni partecipante in base alla capacità di trasmettere la cultura del vino, promuovendo al contempo il territorio e le tradizioni locali, mentre la conduzione dell’evento è stata affidata alla nota professionista Meritxell Falgueras e il contributo di Raquel Arias e le cantanti Twins Melody.

Con il supporto di collaborazioni internazionali e il patrocinio di istituzioni vinicole globali, i Vinoinfluencers World Awards 2024 hanno dimostrato come la comunicazione enologica sia ormai un fattore determinante non solo per la promozione del prodotto, ma anche per il rafforzamento del turismo legato al vino e le opportunità globali che si possono generare facendo rete. 

Bruno Paillard presenta lo Champagne Extra-Brut Millesimé assemblage 2015, dégorgement 2022

Martedì primo ottobre è partito da Napoli il roadshow di presentazione del nuovo assemblaggio della maison Bruno Paillard: Champagne Extra-Brut Millesimé assemblage 2015, dégorgement 2022. 
Il ristorante una stella Michelin Aria Restaurant ha accolto la degustazione che è stata presentata e raccontata da Luca Cuzziol della Cuzziol grandi vini e da Alice Paillard figlia del fondatore della Maison che continua nello sviluppo del progetto originale. 

 La Maison Bruno Paillard è nata dal desiderio del suo fondatore di creare uno champagne molto differente dagli altri, uno champagne molto puro, uno champagne che sia prima di tutto un vino di assemblaggio, un assemblaggio anzitutto dei cru, delle uve, ma anche dei millesimi… con la costante volontà di cogliere la quintessenza della finezza e dell’eleganza all’interno del calice, “quando lo Champagne è servito con amore”.  

Situata a Reims, la Maison diChampagne Bruno Paillard veglia su un vigneto d’eccezione, esteso su 32 ettari di viti, divisi in 15 cru, di cui 12 classificati “Grand Cru”. Il vigneto riunisce i grandi terroir di Oger, Le Mesnil sur Oger, Cumières, Verzenay, nonché l’eccezionale Cru des Riceys situato a sud della Champagne. 

Ogni terroir è il frutto di una riflessione costante, che mira a selezionare solo l’uva migliore. Lo stile Bruno Paillard si basa su questa continua ricerca dell’eccellenza, perseguita attraverso una selezione intransigente. Per l’elaborazione dei suoi champagne, la Maison utilizza solo i succhi più puri della prima spremitura, infatti, si distingue per la grande varietà dei vini di riserva, che permettono di realizzare assemblaggi estremamente precisi di anno in anno.  

La Maison realizza invecchiamenti da due a quattro volte più lunghi di quanto richiesto dal disciplinare della denominazione. La Maison di Champagne Bruno Paillard è la prima nella sua regione ad indicare su ogni bottiglia la data della sboccatura rispettiva, garantendo così una massima trasparenza quanto all’origine e all’evoluzione del vino. 

L’Extra-Brut Millesimé assemblage 2015 è ottenuto esclusivamente dalla prima spremitura, la più pura, dei prestigiosi gran cru e premier cru di Pinot Noir (48%) e Chardonnay (42%), di cui il 25% sono vinificati in piccole botti di rovere antico a cui seguono 84 mesi di affinamento in cantina, compreso un minimo di 18 mesi di riposo dopo il dégorgement e un dosaggio finale di soli 4,5 g/l – così da sviluppare una sensazione di delicatezza e concentrazione servita da una persistente freschezza salina. 

Lo Champagne Assemblage Millesimé 2015 si presenta alla vista di un colore oro profondo, luccicante, effervescenza sostenuta. Al naso i primi aromi di fragole e fragoline di bosco, evolvono in cassis. L’arancia rossa e il pompelmo rosa si impongono progressivamente. All’areazione si dipanano note spinte di elicrisio e liquirizia, pepe di sichuan, accompagnate a sensazioni intense e concentrate. Al palato l’attacco vivo, a sua volta fruttato e salino. Sapori di scorza d’arancia candita, di frutta nera matura, portati da una trama potente. Il finale è lungo ed evolve verso la polvere di cacao e frutta secca. EMOZIONALE!

Extra-Brut Millesimé Assemblage 2015 dégorgement novembre 2022 Bruno Paillard  La presentazione è stata anche l’occasione per unire l’eleganza dello Champagne della Maison con l’eleganza e la perfezione dei piatti dello chef, una Stella Michelin, Paolo Barrale.

ARIA-NCINA  Ragù di manzo, spuma allo zafferano, riso soffiato con Extra-Brut Première Cuvée Bruno Paillard. 

UNA PASTA E PATATE AL MARE  Bottoni farciti di patate, provola, bisque d’astice con Extra-Brut Millesimé Assemblage 2015 dégorgement novembre 2022 Bruno Paillard.

Bodegas Salado: tutta l’Andalusia in un calice

Siviglia, città del Flamenco e della Corrida, è una miscellanea di culture avvicendatesi in una terra unica e affascinante. Ma Siviglia è anche la capitale dell’Andalusia, rinomata non solo per il suo patrimonio culturale e architettonico, ma anche per la tradizione vitivinicola.

A Umbrete la strada mi porta a visitare Bodegas Salado, cantina bellissima dalla tradizione familiare che risale alla fine del 1800. La calorosa accoglienza mi fa sentire da subito a mio agio. L’enologo ci introduce nella coorte interna, circondata da muri di un bianco candido e, attraversato un cancello in ferro battuto, si entra nel cuore della Bodegas.

Tra bouganvillea dai fiori sgargianti e barrique impilate l’una sull’altra a formare la piramide del Metodo Solera, si passa attraverso la storia di famiglia con le antiche usanze e gli strumenti per la vinificazione utilizzati nel passato. Dalle testimonianze fotografiche si passa all’attuale processo di vinificazione con tutti i passaggi: dalla raccolta dell’uva, alla pressatura soffice, alla fermentazione in acciaio, e infine l’affinamento in legno. Nonostante io non conosca bene il castigliano, riesco a comprendere i racconti di Fran León, Sommelier Responsabile della Comunicazione aziendale, che mi spiega nel dettaglio i processi produttivi.

Sono passati più di 200 anni da quando Don Ramón Salado fondò le cantine nel 1810. Da allora, Bodegas Salado è rimasta nelle mani della famiglia. Siamo già alla sesta generazione! Una tenuta strategica: Las Yeguas, situata nell’Aljarafe sivigliano su terreni di albariza: qui da decenni viene coltivata con cura la varietà di uva autoctona sivigliana: la Garrido Fino. Una varietà che negli anni è  stata espiantata praticamente ovunque, mentre a Bodegas Salado è stata preservata, preservando così la propria identità.

Valorizzando la Garrido Fino, con essa è stato prodotto il primo spumante sivigliano, Umbretum, premiato come miglior vino in assoluto di Siviglia. I vini di Siviglia si abbinano perfettamente con la cucina locale. Il Garrito Fino è un abbinamento eccellente con lo Jamón ibérico, il famoso prosciutto spagnolo, le olive e i piatti di pesce come le sardine alla griglia. L’Amontillado e l’Oloroso si sposano bene con piatti di carne e formaggi stagionati, mentre il Pedro Ximénez è ideale con dolci a base di mandorle o cioccolato.

Cura e attenzione ai dettagli, sostenibilità e rispetto per il territorio, sono la filosofia dei Salado che da sempre adottano pratiche sostenibili e rispettose per l’ambiente. Il contatto diretto con i produttori consente ai consumatori di conoscere meglio il processo produttivo e di apprezzare appieno la passione e l’impegno che stanno dietro ogni bottiglia. Alla Bodegas Salado ho avuto  la percezione della tipica cantina a conduzione familiare che rappresenta un patrimonio culturale e vitivinicolo di grande valore, caratterizzato da tradizione, qualità, sostenibilità e un forte legame con il territorio e la comunità locale.

Vino Fino o Garrido Fino, é un tipo di vino morbido, chiaro e leggero, molto apprezzato e consumato a Siviglia. La degustazione di M de Salado è un bianco macerato non filtrato che si presenta volutamente con deposito sul fondo e regala profumi di pesca e frutta esotica. Vino immediato, piacevole e beverino.

Finca Las Yeguas 2022, uva Garrido Fino con una gradazione di 12º Vol. è limpido e brillante, con affascinanti riflessi verdognoli e delicate sfumature dorate. Al naso, è caratterizzato da intense note di frutta verde e gialla, evocando la dolcezza e freschezza della pera Conference, arricchite da eleganti sentori tostati e affumicati, frutto del passaggio in legno. Il finale olfattivo è minerale, espressione tipica del suolo albariza.

E poi è il momento di UMBRETUM 1810, spumante a base di Garrido Fino in purezza, vinificato con metodo ancestrale. Con una gradazione di 11,5º, si presenta con un’elegante livrea gialla dorata, arricchita da brillanti riflessi verdognoli. La sua leggera torbidità, dovuta all’assenza di un filtraggio estremo, ne sottolinea l’autenticità. Al naso, regala una sinfonia aromatica spensierata e vivace, che richiama l’essenza di un vino andaluso coltivato su terreni di alberese. Le note di frutta matura si mescolano armoniosamente con sentori minerali e speziati, seguiti da delicati profumi di pasticceria, scorza di pompelmo, fiori bianchi, miele, e accenni di tostatura e affumicatura. In bocca l’ingresso è setoso, rivelando un vino ampio e avvolgente.

La visita a Bodegas Salado è stata un’esperienza straordinaria, capace di svelare un angolo affascinante della Spagna. Passeggiare tra i vigneti, assaporare i profumi intensi del terroir e scoprire le tecniche di vinificazione tramandate di generazione in generazione è stato un viaggio sensoriale unico.

“A Montefalco”: terra di grandi promesse

Dai tempi di Federico II di Svevia il mondo è cambiato. Eppure a Montefalco tutto sembra essere immutato, mentre si passeggia tra le vie del borgo medievale. Coccorone veniva chiamato in epoca tardo romana, un tipico castrum militare che presidiava dalla collina le vallate circostanti. Il cuore (anzi la ringhiera) dell’Umbria volge il suo sguardo verso la modernità e il futuro, da un areale che non è immenso rispetto ai grandi rivali del mercato.

Lo fa in sordina, con la calma necessaria che sembra non essere mai troppa. Lo fa con prodotti, parliamo di vino naturalmente, unici nel panorama enologico italiano: Sagrantino e Trebbiano Spoletino. Ogni anno, giunti quasi all’inizio dell’invaiatura, si celebra il rituale approfondimento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Montefalco, in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Miriade & Partners.

Giornalisti e blogger provenienti da ogni parte del globo arrivano a conoscere la valutazione della nuova annata di Montefalco Sagrantino che verrà posta di lì a poco in commercio e, soprattutto, a scoprire un territorio affascinante, ricco di sorprese. La storia passa tra le mani di nomi evocativi delle famiglie presenti: Caprai, Antonelli, Bartoloni, Tabarrini, Adanti, Romanelli, tanto per citarne alcuni.

Sono una settantina i produttori vitivinicoli iscritti al Consorzio, ai quali si sono aggiungono altri 29 dalla fusione con i vicini di casa di Spoleto. Un totale pari a circa 2,5 milioni di bottiglie annue, un numero contenuto che non potrà soddisfare la “sete di conoscenza” di ogni Continente, ma che, parere del sottoscritto, rappresenta una virtù nel rappresentare il comparto come una piccola nicchia di qualità in continua ascesa.

E le conferme arrivano dal sistema di valutazione dell’Anteprima “A Montefalco”, ormai consolidate non solo con la menzione delle celebri “stelle”, bensì con l’introduzione di un punteggio indicativo che crea legittime aspettative anche in fase di vendite. L’annata 2020 del Montefalco Sagrantino ha ottenuto, parole del giornalista Walter Speller, 5 stelle con 96/100 e grande eleganza. Un valore non indifferente per un vino che ha fatto della trama tannica scalpitante (a volte impegnativa) il suo marchio di fabbrica. Sembra che il cambiamento climatico abbia apportato qui qualche piccolo beneficio in termini di maturazioni polifenoliche. Ciò che un tempo era praticamente indomabile, se non con lustri di riposo in bottiglia, appare adesso godibile appieno già in gioventù pur preservando il carattere e l’identità del varietale.

Un calice di Montefalco Sagrantino fa la differenza tra una serata anonima ed una giocosa, tra la noia di prodotti ormai stereotipati di cui le carte dei ristoranti sono pieni e ciò che può dare una ventata rinfrescante. Un vino che difficilmente ti capita di dimenticare, pur maltrattato in passato con politiche espansioniste non in linea con il vero potenziale che poteva esprimere.

Molti si ricordano delle astringenze tenaci e irsute che hanno dato un’immagine sbagliata rispetto a quella attuale, fatta di ricordi di bosco, spezie nobili e tocchi di liquirizia e macchia mediterranea. Ovvio che la mano di chi lo cura con amore e le nuove tecnologie in campo e in vigna hanno fatto parimenti la differenza, ma c’è di più: la caparbietà di un popolo fiero e l’umiltà di saper ascoltare anche i pareri negativi degli esterni. Cosa rara credetemi. Paolo Bartoloni, neo presidente del Consorzio di Tutela, esprime così la sua soddisfazione per i risultati raggiunti.

E se non bastasse a toccare le corde degli appassionanti, ecco l’arrivo di recente del Trebbiano Spoletino – o semplicemente “Spoletino” – varietà autoctona rivalutata un po’ per caso e un po’, come narra la leggenda, da Giampaolo Tabarrini che nel suo “Adarmando” ha voluto dimostrare le mille sfaccettature e la longevità di uno dei migliori vini bianchi d’Italia. La visita nella cantina avveniristica, i tre cru di Sagrantino e lo spirito combattente del titolare valgono di per sé il prezzo del viaggio.

Una passione che si ritrova anche in Devis Romanelli, figlio d’arte, nell’etichetta “Le Tese” e nel saggio utilizzo dell’estrazione delle componenti aromatiche a contatto con le bucce per oltre 60 giorni. O nei contenitori inerti di ceramica utilizzati da Filippo Antonelli di Antonelli San Marco per il “Vigna Tonda” finalmente arrivato dopo la ricostituzione di un antico e inusuale vigneto dalla forma circolare.

Da quando Arnaldo Caprai dell’azienda omonima, Lodovico Mattoni di Terre de’ Trinci e successivamente Alvaro Palini, consulente di Adanti, hanno cominciato negli anni ’70 e ’80 a valorizzare Sagrantino in versione “secco” e non passito, tramandato invece di generazione in generazione quale vino per la merenda pasquale, i passi sono stati giganteschi. Per guardare al futuro non dobbiamo dimenticare proprio gli artefici del passato, che hanno portato sulle spalle il peso di un territorio semi sconosciuto.

Che dire persino dell’unica cantina-scultura presente al mondo, opera dell’artista Arnaldo Pomodoro su commissione dei Lunelli di Tenuta Castelbuono. Un autentico “Carapace” atto a simboleggiare la resilienza e l’amore che la più importante dinastia delle bollicine nostrane ha voluto infondere nella terre fertili di Montefalco. La bottaia sotterranea da cui si accede con una larga scala a chiocciola ben riprende il concetto di festina lente, dell’avvicinarsi con lentezza alla meta, aderente metafora dei movimenti di una tartaruga.

Colpiscono le visioni moderne ed eleganti dei campioni proposti da Tenuta Bellafonte, Bocale, Briziarelli, Colsanto ed Ilaria Cocco giovane wine maker appartenente alle “quote rosa” ancora poco numerose, con mia personale amarezza, nel comparto vitivinicolo.

Il tempo stringe e non basterebbero giorni per finire il discorso. Abbiamo dovuto omettere di menzionare le versioni Montefalco Rosso e Montefalco Rosso Riserva, dove il Sangiovese umbro sa domare la vivacità del Sagrantino: l’entry level certamente adatto per chi volesse avvicinarsi ad un mondo meraviglioso.

Lo faremo con le video interviste montate da Federico Ferraro e dallo staff di redazione nella nostra playlist, con tutti i protagonisti visitati durante il tour “A Montefalco”. Buona visione.

Sannio Consorzio Tutela Vini estende per primo in Italia il sistema di tracciabilità anche ai vini a marchio IGT Benevento

Con il DM 19 Dicembre 2023 diventa possibile apporre ai vini IGT quei contrassegni già obbligatori per i vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita e facoltativi per i vini a denominazione di origine controllata.

Il Consorzio Tutela Vini del Sannio aveva già scelto di utilizzare il contrassegno di stato per tutti i vini DOC prodotti all’interno del proprio areale. La scelta ora di apporre il contrassegno anche alla IGT è un’ulteriore modalità per garantire la tracciabilità dei vini, il sistema di qualità e la tutela del consumatore finale.

Il wine talk moderato da Pasquale Caro lo scorso 10 settembre al Museo Arkos di Benevento è servito a presentare l’iniziativa. Sono intervenuti Oreste Gerini e Salvatore Schiavone, rispettivamente direttore generale e Direttore Campania e Molise dell’ICQRF, Francesco Soro, Amministratore Delegato dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Enrico De Micheli, Amministratore Delegato Agroqualità Spa, oltre alle associazioni di categoria Coldiretti, Confagricoltura, Agrocepi e alla Camera di Commercio e Artigianato di Benevento. Tra gli ospiti in platea i presidenti dei maggiori consorzi di tutela del vino campano: Teresa Bruno – Consorzio Tutela Vini Irpina, Andrea Ferraioli – Consorzio Vita Salernum Vitae, Ciro Giordano – Consorzio Tutela Vini del Vesuvio, Cesare Avenia – Consorzio Vitica.

Da sinistra il Presidente del Sannio Consorzio Tutela Vini Libero Rillo e Pasquale Carlo

Il contrassegno sarà realizzato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. con una grafica specifica, che oltre a prevedere il codice alfanumerico non seriale, recherà un codice bidimensionale per la lettura automatizzata. A tutela del consumatore, il collegamento tra la Banca dati del Poligrafico e quella dell’Organismo di Controllo Agroqualità e la loro integrazione tramite QR code, permetterà di consultare le informazioni di produzione e tracciabilità del prodotto come un vero e proprio passaporto digitale.

La IGT Benevento rappresenta più del 50% della produzione dei vini del Sannio con oltre 150.000 ettolitri di vino prodotti all’anno. La scelta di tracciare la IGT ha lo scopo, tra l’altro, di dare piena dignità sia sul mercato nazionale che su quello estero anche a questa produzione. A questo proposito, il primo lotto di 4.000.000 di fascette è già stato stampato e 700.000 sono quelle già distribuite alle cantine.

“Negli ultimi anni abbiamo fatto scelte coraggiose e anche contestate, che hanno portato come risultato l’unione del territorio e il posizionamento di alcune tipologie come la Falanghina del Sannio”, ha commentato Libero Rillo Presidente del Consorzio all’apertura del talk, “ci auguriamo che questa scelta, insieme a quella di modifica dei disciplinari, porti dei benefici e aumenti il reddito non solo delle aziende vinicole, ma anche per i viticoltori”.

Il Direttore del Consorzio Nicola Matarazzo, nel chiudere il talk, ha parlato di punto di partenza e non di arrivo: centrale deve essere la comunicazione di questa novità affinché venga recepita dai consumatori nel modo corretto: come un sistema di valori volto a legare un determinato prodotto a un territorio, garantendone quindi l’autenticità, ma nello stesso tempo la qualità, ossia la corrispondenza a un protocollo di produzione. Senza dimenticare l’importante leva di marketing che può diventare il sigillo non solo in Italia, ma anche e soprattutto all’estero dove viene visto come certificazione e garanzia di qualità.

COLLINE ALBELLE: Julian Reneaud un enologo francese approdato in Toscana

Ascoltare il racconto di Julian Reneaud di Colline Albelle è stato affascinante, mi ha trasportato in luoghi lontani, è stato un po’ come fare il giro del mondo insieme a lui. Un racconto che celebra il suo spirito d’avventura e il desiderio di esplorare il mondo. Enologo e agronomo, terminati gli studi, decide di seguire le vendemmie in giro per il globo ponendosi come sfida quella di non prendere mai l’aereo. Parte in autostop da Carcassonne, la famosa città fortificata a sud della Francia, alla volta del porto di Bordeaux dove trova lavoro a bordo di uno yatch che gli dà l’opportunità di attraversare l’Atlantico.

Approdato prima a Cuba e poi in Messico è in California che si ferma per partecipare alla sua prima vendemmia. Prosegue poi per altri Paesi: Sud America, Australia, Nuova Zelanda e per finire attraversa l’Asia. Soddisfatto da questa sua prima avventura, si rimette in viaggio, questa volta verso l’Africa, quindi il Sud America e gli USA. Si ferma nuovamente in California dove gli viene offerta l’opportunità di far parte dello staff della cantina Opus One: lì rimarrà per due anni collaborando alla produzione di un vino che riceverà il massimo punteggio dalla guida di Parker. Evento che gli farà ricevere proposte interessanti, una di questa arriva nel 2013 dall’azienda toscana Caiarossa a Riparbella che gestirà enologicamente per quattro anni.  

Ma Julian sogna in grande, il desiderio di avere una cantina tutta sua è sempre presente e l’incontro con due donne del vino bulgare, Dilyana Vasileva e Irena Gergova lo porterà alla svolta. Un giorno passeggiando insieme a loro, accade qualcosa: “Abbiamo svoltato in una strada stretta e iniziato la ripida salita sulla prima dorsale della Costa Toscana. A circa 350 metri di altezza, siamo stati accolti da un panorama aperto, il sole e le poche nuvole pennellate sullo smalto blu del cielo. A catturare la nostra attenzione un vigneto abbandonato, bellissimo e dal grande potenziale. Abbiamo deciso che era ora di riportarlo in vita”

Riparbella, antico borgo medievale sulle colline a nord di Bolgheri, vanta una natura ancora incontaminata che negli ultimi decenni ha assunto un modello di viticoltura biologica e naturale.

La zona ha tutti gli elementi favorevoli per la produzione della vite:

  • Terreni sabbiosi, ben drenati, ricchi di sassi, sono l’indicatore di un’alta potenzialità agronomica;
  • alte quote che regalano lunghe giornate fresche e soleggiate, dove le difficili condizioni di crescita della vite apportano concentrazione e carattere. Tutto questo dona ai vini una grande densità e una vivace aromaticità;
  • l’influenza costiera caratterizza le vigne con freschi venti marittimi e una foschia mattutina, permettendo all’uva di mantenere l’equilibrio e l’eleganza mentre dona una particolare salinità al vino.

Colline Albelle prende forma così nel 2016: 40 ettari di terreno (20 di bosco e 20 di vigna), il nome ricorda i suoli tufacei chiari della zona, Albella: bianca L’idea di seguire i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica porta Julian ad acquistare bestiame, al quale verrà affidato il lavoro di ripulire la macchia intorno alle vigne, che dopo due anni di ristrutturazioni tornano produttive. La biodiversità è tangibile, lavorando con il sovescio che fertilizza in modo naturale. La presenza delle api nei vigneti rappresenta una straordinaria risorsa: preservano la biodiversità degli stessi e giocano un ruolo fondamentale nella riproduzione dei fiori della vite.

Anche l’uomo fa la sua parte. I vigneti sono allevati secondo il sistema a guyot e a cordone speronato, ma su queste due classiche tecniche, l’azienda lavora ulteriormente sulla selezione con una particolare azione di potatura. L’idea – studiata sul campo – punta ad ottenere due grappoli per pianta di dimensioni minori e lievemente più tardivi degli altri. Al momento della vendemmia, saranno questi elementi a offrire una particolare nota di freschezza ai vini grazie a un pH più basso.

La prima vendemmia arriva nel 2020. L’inverno mite e poco piovoso ha consentito una buona ripresa dell’attività biologica del suolo (non più trattato dal 2016). La primavera con le giuste piogge che hanno integrato le riserve idriche in vista dell’estate. Il 14 agosto è stato raccolto il Vermentino: “abbiamo raccolto uve di grande qualità, ricche in aromi freschi e fruttati e in uno stato sanitario perfetto, con grappoli spargoli e bel distribuiti sulla pianta” racconta Julian. “Il giorno dopo, è stata la volta del Merlot che si è presentato di grande intensità e dal colore deciso, permettendoci di lavorare lentamente e a bassa intensità su canoni d’estrazione”. Il Sangiovese è stato vendemmiato il 14 settembre offrendo uve sane e con ottime concentrazioni di zuccheri, polifenoli ed aromi.

La Degustazione

Colline Albelle Inbianco unVermentino in purezza con una particolarità: il suo grado alcolico è di soli 10 gradi, primo e unico Vermentino italiano con questa gradazione. L’ispirazione per produrre questo vino, racconta Julien, arriva da una vendemmia fatta in Champagne. Colpito dalla trama aromatica delicata e floreale della base spumante, che nella produzione degli spumanti non è bevibile, decide di creare un vino fermo con le stesse caratteristiche aromatiche.

Da qui l’idea di anticipare la vendemmia: di solito il Vermentino in Toscana viene vendemmiato nella prima settimana di settembre, il suo il 13 di agosto, l’uva non è completamente matura, facendo una pressatura leggera le prime gocce che fuoriescono sono dolci, pressatura a 0.6 che per bianchi di solito è a 1.2 bar. Si estrae così un mosto senza troppe note vegetali.

Il vino fermenta a bassa temperatura con lieviti indigeni e fa anche la malolattica per abbassare la freschezza. Finisce il percorso con 6 mesi di affinamento in barrique di legno crudo piegate al vapore che non incide sulla trama aromatica del vino, non dà note terziare. Una vera scommessa che ha provocato tanta curiosità ma anche qualche scetticismo da parte di colleghi enologi. Poche bottiglie, 3300 nel 2021. All’assaggio Inbianco è ben strutturato con note di pesca, miele e finale minerale.

Colline Albelle Inrosso, Merlot in purezza rivisitato. La particolarità è data dalla lavorazione che viene fatta in vigna durante la fase vegetativa della pianta. Una procedura particolare di potatura che porta il prodotto finale ad avere note vegetali più marcate che normalmente sono assenti nel Merlot. All’assaggio presenta note di frutti rossi e una leggera speziatura, è presente la vena balsamica, la foglia di pomodoro e i chiodi di garofano. Il tannino è elegante e ben integrato.

Serto Sangiovese in purezza. Colore impenetrabile; al naso frutta nera matura, qualche cenno officinale e sottobosco. Una bella declinazione di Sangiovese con tannino elegante e buona struttura.

L’accoglienza

Colline Albelle è anche ospitalità, infatti la proprietà si completa di un grande casolare, Villa Albella, una dimora raffinata per soggiorni all’insegna della tranquillità e dell’eleganza. A completare il progetto, l’inizio della costruzione di una cantina con annesso ristorante e spazio degustazione.

Jiulien mi conduce verso la fine dell’intervista sottolineando come la sostenibilità è per Colline Albelle una filosofia di vita, un chiaro impegno verso l’ambiente e la conservazione delle risorse. L’azienda ha in dotazione anche un apiario. “Nel primo anno abbiamo avuto la bellissima sorpresa di vedere tre sciami arrivare nelle nostre vigne, gli abbiamo dati casa e deciso di non prendere il miele” racconta Julian. Da tre, il primo anno, siamo arrivati oggi a più di 50 arnie in azienda. A questo ritmo, arriverà presto il tempo di una piccola produzione di miele.