Esistono diverse vie per approdare alla Sommellerie; ogni caso è assolutamente a sé stante e ciascuno ha le sue buone motivazioni, stando al vissuto, all’estrazione sociale e alle aspirazioni personali, per incamminarsi lungo un percorso impegnativo, investendo tempo e denaro tra le tante sigle professioniste d’Italia. C’è chi lo fa per mestiere, provenendo dal mondo ristorativo-alberghiero, e quindi per incontrare un miglioramento professionale e nuove opportunità lavorative; c’è chi invece inizia per curiosità e passione trovando poi, a prescindere dalla spinta iniziale, una vocazione che sentiva forse dal principio o che è andata affiorando, corroborandosi strada facendo, fino a diventare una parte irrinunciabile della propria esistenza.
Oggi ai sommelier moderni si richiede soprattutto di essere abili comunicatori, giudici sul lavoro di un anno di chi prova a fare vino in maniera seria; un hobby ben remunerato in qualche caso, non sempre legato al settore ristorazione di qualità. Probabilmente la Sommellerie concepita agli inizi non esiste più, fortunatamente ora dinamica, poliedrica ed adatta ai diversi contesti della wine industry, anche con qualche improvvisato che cerca di evitare l’inevitabile fatica della gavetta quotidiana. Stesso dicasi per il mondo della stampa enogastronomica si intende, absit iniuria verbis.
Ci sono poi donne e uomini operosi, capaci e grandemente talentuosi, che non si vantano e preferiscono giocare nel dietro le quinte. Coloro che sono riusciti a fare del mestiere del vino una vocazione verace e una professione al tempo stesso, opportunamente alimentata da un amore sincero e da un continuo desiderio di migliorarsi. Pasquale Esposito è uno di loro ed è la dimostrazione che il lavoro, la dedizione e i sacrifici, se non si molla mai, ripagano eccome.
Pasquale è stato meritatamente incoronato miglior sommelier della Campania 2024 da AIS – Associazione Italiana Sommelier – durante il concorso svolto lo scorso giugno a Pompei, conseguendo un risultato strepitoso, frutto di un grandissimo impegno che gli ha concesso di emergere su tantissimi concorrenti, altrettanto validi e preparati.
Nato a Castellammare di Stabia, classe 1980, sotto il segno del toro, ama farsi chiamare sommelier “chianchiere” – termine locale che significa macellaio – anticipando da subito le costanti della sua storia professionale.
Esposito lo dice chiaramente “io ho avuto la fortuna di essere il figlio di don Peppe il macellaio, devo tutto ai miei genitori che mi hanno avviato alla macelleria” e infatti il padre lo andava cercando ovunque se mancava da troppo tempo dalla bottega, ecco perché il legame di Pasquale con le carni è davvero particolare e privilegiato. Cresciuto in un ambiente per niente facile, in un periodo dove 8 ragazzi su 10 si perdevano per la cattiva strada, ha iniziato a lavorare all’età di 10 anni, portando la spesa ai clienti che spesso lo ricambiavano con caramelle; un ragazzo affabile, tutto pane, strada e lavoro, coi tempi che corrono oggi, ricorda con affetto quelle dolci e affettuose regalie. Le persone che maggiormente lo hanno ispirato sono la signora Emma, sua madre, e don Peppe, il papà macellaio che tanta passione gli ha trasmesso, provenienti entrambi da famiglie poverissime.
Terminati gli studi superiori in ragioneria, a 18 anni riusciva a gestire mirabilmente tutti gli aspetti del mestiere, dai tagli all’allevamento del bestiame, dalle trattative presso i mercati boari e i centri di macellazione fino alle doti di vendita alla clientela, fino alla passione per la salumeria che, a partire dal ’99, gli ha consentito di avviare una produzione norcina e di avviare l’attività di ristoratore con C’è posto per Te, dove propone specialità di carne e pizza in abbinamento ad una selezione vini di tutto rispetto.
Quale vocazione è sorta prima, quella per la ristorazione o per il vino?
Sicuramente è nata prima la passione per la ristorazione, una diretta conseguenza della macelleria, e subito dopo il vino. Ho scoperto che il vino è diventato parte dominante della mia vita quando ho conosciuto un produttore friulano che a definirlo “dinamite” sarebbe poco. Parlo di Fulvio Bressan, che mi ha trasmesso la giusta carica per conoscere il mondo del vino. Non scorderò mai quando l’ho incontrato a Farra di Isonzo assieme al papà Nereo, allora novantenne ma che lavorava come un ventenne. Anche Antonio Caggiano mi ha dato una forte motivazione.
Com’è cambiata la ristorazione a tuo avviso dopo la pandemia?
Direi che ha subito un colpo quasi letale. Tocca a noi ristoratori comprendere che la rotta intrapresa anni addietro non è più percorribile, inoltre bisogna essere più disponibili verso la popolazione, leggere i sentimenti delle persone e prevenire in quale direzione sta andando il mercato. È del tutto inutile avere certi atteggiamenti spocchiosi, impuntandoci come a dire “questo sono io, chi mi vuole mi deve amare così, altrimenti vada altrove”: siamo andati già a sbattere, dobbiamo cambiare mentalità per riportare la ristorazione a misura d’uomo.
Si potrebbe affermare che la figura del sommelier non sia ancora decollata del tutto nel mondo ristorazione-hotellerie?
Si è vero, la figura del sommelier non è mai decollata efficacemente. C’è ritrosia da parte di molti titolari di investire in questa figura, ma ultimamente c’è anche un aumento vertiginoso di ristoranti che accettano di buon grado la Sommellerie e si rendono conto dell’importanza di avere un professionista decisivo per la gestione della cantina e della carta, nonché per valorizzare l’investimento costituito dal vino e dare maggiore prestigio al locale. Per fortuna noto che negli ultimi anni le cose stanno cambiando.
Com’è cambiata la Sommellerie di oggi rispetto al passato?
Sono totalmente diverse, talvolta opposte e spesso tale differenza genera piccole divergenze di vedute tra un sommelier più vecchio e uno più giovane. Due mondi non accomunabili, per quanto si parla della stessa materia, ma con visioni totalmente diverse: sono cambiati i territori, sono stati fatti grossi investimenti e di conseguenza anche le nuove tecnologie hanno visto un miglioramento progressivo. Le due visioni dovrebbero trovare un accordo in un contesto dove il cambio di clima è evidente, la tecnologia la fa da padrone e i vini di ieri quasi non esistono più per perfezione tecnica.
Il vino che più ti ha sopreso nella vita?
La tipologia di vino che più mi ha sorpreso è stato lo Champagne. Sono rimasto affascinato dalla cura maniacale dei vigneti, dalla visione del Clos du Mesnil, nel cuore della Côte de Blancs, in particolar modo in riferimento ad una nota azienda del comune di Le Mesnil-sur-Oger, che nei racconti dei comunicatori più bravi assume dei contorni incredibili, quasi mistici. Reims, épernay sono località fantastiche e tra le foto più belle conservo quella presso la sede della Moët & Chandon.
Il tuo rapporto con il cibo?
È bellissimo, fin troppo buono. Lo dico col sorriso perché amo tanto il cibo, amo tanto i sapori genuini. Con mia sorella Angela, chef a C’è Posto per Te, portiamo nuovi sapori in cucina, ne parliamo, ci confrontiamo, assaggiamo, restando però fedeli alla cucina tradizionale campana, di riferimento per tutto il mondo.
Piatto preferito?
Domanda difficilissima perché a me piacciono un sacco di cose e non ho un piatto preferito vero e proprio, ma dovendo scegliere direi anzitutto l’agnello di mamma, fatto al forno con patate, funghi e piselli, magari abbinato ad un buon calice di Taurasi. Poi però il richiamo degli scampi è potente e mi ricordano appunto la mia predilezione per lo champagne.
La caratteristica principale dello staff di C’è Posto per Te?
È la familiarità, la mia principale prerogativa, il mio pallino, il mio punto di forza. Ci troviamo in un’area non centrale di Castellammare, dovevamo dare qualcosa in più alle persone, farle tornare. Diamo accoglienza vera, genuina, ci piace farli sentire comodi, importanti e soprattutto a casa loro. Lo facciamo bene perché ci viene dal cuore, perché è così che vorremmo essere trattati anche noi. Li ho scelti personalmente uno ad uno i miei collaboratori, non si tirano mai indietro a una richiesta di un cliente. Devo ringraziare i ragazzi dello Staff, sono stupendi: dal motore del ristorante che è mia sorella e gli aiuti in cucina, ma soprattutto i ragazzi in sala.
Il percorso per arrivare al titolo di Miglior Sommelier della Campania per l’Associazione Italiana Sommelier?
Un percorso di enormi sacrifici. Non so neanche io dove abbia potuto trovato il tempo, perché tra lavoro e famiglia la mia giornata inizia alle 9:00 fino a mezzanotte, per poi mettermi alla ricerca della materia prima migliore, dalle carni più pregiate al pescato e frutti di mare, che a Castellammare di Stabia non mancano mai. Per 7 anni ho viaggiato dal lunedì al mercoledì per visitare territori e conoscere cantine, per poi tornare a lavorare a tempo pieno nel ristorante fino a mezzanotte.
Conoscere per me significa toccare le realtà enologiche con le proprie mani: le sensazioni che si possono percepire personalmente sono più forti e chiedersi perché in uno stesso distretto vitivinicolo un produttore la pensa in maniera diametralmente opposta ad un altro produttore a mezzo chilometro di distanza è fondamentale per uno curioso come me. Questo mio percorso lo vedo come punto di partenza e non come punto di arrivo, il primo tassello di ambizioni future che sono normali per chi come me vuole crescere e continuare a migliorarsi.
Che consiglio ti senti di dare a chi vuole iniziare un percorso come sommelier?
Di mettersi in gioco e non sentirsi tagliati fuori da alcun progetto. Credere fortemente in quello che si sta iniziando a fare, perché se uno ci prova senza metterci il giusto impegno non riesce ad ottenere risultati importanti.
Un sogno nel cassetto?
Il mio desiderio è che Castellammare di Stabia faccia un passo avanti verso il mondo dei sommelier, puntando su questa figura. Spero che molti titolari di aziende ristorative si ravvedano, visto che non scommettono sul sommelier e non lo fanno entrare nel loro ristorante. Sogno di contribuire a portare la Campania a un livello ancora più importante, perché abitiamo in una regione fantastica, che dona vini stratosferici e che si fa fatica a trovare in altre regioni. Greco, Falanghina e Fiano sono tre punte di diamante e credo che avere tre autoctoni simili in una sola regione non è da tutti. Ringrazio tutti i colleghi sommelier che si sono cimentati nella prova, in particolar modo Antonio Calandriello e Ivan Fernandez Mendana (ndr gli altri 2 finalisti sul palco). Estendo infine la mia gratitudine al Presidente AIS Italia Sandro Camilli, al Presidente AIS Campania Tommaso Luongo e al formatore responsabile Area Concorsi AIS Campania Luca Matarazzo, per avermi sempre stimolato a crescere professionalmente.