Bodegas Salado: tutta l’Andalusia in un calice

Siviglia, città del Flamenco e della Corrida, è una miscellanea di culture avvicendatesi in una terra unica e affascinante. Ma Siviglia è anche la capitale dell’Andalusia, rinomata non solo per il suo patrimonio culturale e architettonico, ma anche per la tradizione vitivinicola.

A Umbrete la strada mi porta a visitare Bodegas Salado, cantina bellissima dalla tradizione familiare che risale alla fine del 1800. La calorosa accoglienza mi fa sentire da subito a mio agio. L’enologo ci introduce nella coorte interna, circondata da muri di un bianco candido e, attraversato un cancello in ferro battuto, si entra nel cuore della Bodegas.

Tra bouganvillea dai fiori sgargianti e barrique impilate l’una sull’altra a formare la piramide del Metodo Solera, si passa attraverso la storia di famiglia con le antiche usanze e gli strumenti per la vinificazione utilizzati nel passato. Dalle testimonianze fotografiche si passa all’attuale processo di vinificazione con tutti i passaggi: dalla raccolta dell’uva, alla pressatura soffice, alla fermentazione in acciaio, e infine l’affinamento in legno. Nonostante io non conosca bene il castigliano, riesco a comprendere i racconti di Fran León, Sommelier Responsabile della Comunicazione aziendale, che mi spiega nel dettaglio i processi produttivi.

Sono passati più di 200 anni da quando Don Ramón Salado fondò le cantine nel 1810. Da allora, Bodegas Salado è rimasta nelle mani della famiglia. Siamo già alla sesta generazione! Una tenuta strategica: Las Yeguas, situata nell’Aljarafe sivigliano su terreni di albariza: qui da decenni viene coltivata con cura la varietà di uva autoctona sivigliana: la Garrido Fino. Una varietà che negli anni è  stata espiantata praticamente ovunque, mentre a Bodegas Salado è stata preservata, preservando così la propria identità.

Valorizzando la Garrido Fino, con essa è stato prodotto il primo spumante sivigliano, Umbretum, premiato come miglior vino in assoluto di Siviglia. I vini di Siviglia si abbinano perfettamente con la cucina locale. Il Garrito Fino è un abbinamento eccellente con lo Jamón ibérico, il famoso prosciutto spagnolo, le olive e i piatti di pesce come le sardine alla griglia. L’Amontillado e l’Oloroso si sposano bene con piatti di carne e formaggi stagionati, mentre il Pedro Ximénez è ideale con dolci a base di mandorle o cioccolato.

Cura e attenzione ai dettagli, sostenibilità e rispetto per il territorio, sono la filosofia dei Salado che da sempre adottano pratiche sostenibili e rispettose per l’ambiente. Il contatto diretto con i produttori consente ai consumatori di conoscere meglio il processo produttivo e di apprezzare appieno la passione e l’impegno che stanno dietro ogni bottiglia. Alla Bodegas Salado ho avuto  la percezione della tipica cantina a conduzione familiare che rappresenta un patrimonio culturale e vitivinicolo di grande valore, caratterizzato da tradizione, qualità, sostenibilità e un forte legame con il territorio e la comunità locale.

Vino Fino o Garrido Fino, é un tipo di vino morbido, chiaro e leggero, molto apprezzato e consumato a Siviglia. La degustazione di M de Salado è un bianco macerato non filtrato che si presenta volutamente con deposito sul fondo e regala profumi di pesca e frutta esotica. Vino immediato, piacevole e beverino.

Finca Las Yeguas 2022, uva Garrido Fino con una gradazione di 12º Vol. è limpido e brillante, con affascinanti riflessi verdognoli e delicate sfumature dorate. Al naso, è caratterizzato da intense note di frutta verde e gialla, evocando la dolcezza e freschezza della pera Conference, arricchite da eleganti sentori tostati e affumicati, frutto del passaggio in legno. Il finale olfattivo è minerale, espressione tipica del suolo albariza.

E poi è il momento di UMBRETUM 1810, spumante a base di Garrido Fino in purezza, vinificato con metodo ancestrale. Con una gradazione di 11,5º, si presenta con un’elegante livrea gialla dorata, arricchita da brillanti riflessi verdognoli. La sua leggera torbidità, dovuta all’assenza di un filtraggio estremo, ne sottolinea l’autenticità. Al naso, regala una sinfonia aromatica spensierata e vivace, che richiama l’essenza di un vino andaluso coltivato su terreni di alberese. Le note di frutta matura si mescolano armoniosamente con sentori minerali e speziati, seguiti da delicati profumi di pasticceria, scorza di pompelmo, fiori bianchi, miele, e accenni di tostatura e affumicatura. In bocca l’ingresso è setoso, rivelando un vino ampio e avvolgente.

La visita a Bodegas Salado è stata un’esperienza straordinaria, capace di svelare un angolo affascinante della Spagna. Passeggiare tra i vigneti, assaporare i profumi intensi del terroir e scoprire le tecniche di vinificazione tramandate di generazione in generazione è stato un viaggio sensoriale unico.

L’Italia del Pinot Nero: a Roma l’evento dedicato al re internazionale dei vini rossi

Comunicato Stampa

Il 27 e 28 ottobre le due giornate in programma al Belstay Hotel. Il Pinot Nero rappresenta da sempre una sfida per i viticoltori ma anche una grande ricompensa per gli intenditori: conosciuto per la sua complessità e delicatezza, è considerata l’uva a bacca rossa più pregiata al mondo e la Capitale si prepara a celebrare questa antica varietà. “L’Italia del Pinot Nero” andrà in scena al Belstay Hotel (via Bogliasco 27, 00165, Roma) i prossimi 27 e 28 ottobre 2024: l’evento organizzato dalla testata giornalistica Vinodabere che nei mesi scorsi ha pubblicato anche la Guida ai Migliori Pinot Nero d’Italia 2024 (disponibile qui), si svolgerà in due giornate che vedranno protagonisti circa 40 produttori, che presenteranno i loro vini (non solo il Pinot Nero) ad operatori del settore (ristoratori, enotecari, agenti etc.), giornalisti, wine lovers, appassionati e sommelier.

Si inizia domenica 27 ottobre alle 10:30con la degustazione tecnica con alcuni posti riservati alla stampa e agli operatori, dal titolo “Il giro d’Italia attraverso il Pinot Nero” e guidata dai giornalisti di Vinodabere Antonio Paolini e Maurizio Valeriani e dal critico enogastronomico Dario Cappelloni (DoctorWine). Si proseguirà nel pomeriggio con l’apertura dei banchi di assaggio riservati alla stampa, operatori e sommelier (dalle 14 alle 16) e poi dalle 16 alle 20 aperti al pubblico. Il lunedì 28 ottobre si riprende dalle 10 alle 18:30 con un’altra giornata di assaggi dedicati al Pinot Noir ed alle altre referenze che i produttori porteranno in degustazione.

Tutti i dettagli saranno resi disponibili sul sito del magazine enogastronomico (qui).

“Aria di mare Profumo di vino”: sapori e profumi si incontrano sul Golfo di Gaeta

L’evento “Aria di mare Profumo di Vino”, giunto alla sua ottava edizione, ha aperto le porte a una selezione accurata di produttori vinicoli e ristoratori del Lazio meridionale.

Roberto Perrone, l’organizzatore dell’evento, ha deciso quest’anno di dare un tocco più intimo e conviviale alla manifestazione. “Volevamo creare un’atmosfera dove le persone potessero davvero connettersi, condividere e apprezzare la qualità dei prodotti”, ha spiegato Perrone intervistato. “Negli anni precedenti, l’evento era cresciuto molto, ma sentivamo che era il momento di tornare alle origini, di dare più spazio alle interazioni personali e alla scoperta dei sapori in un contesto più raccolto.”

E quale location migliore dello storico Grand Hotel Miramare di Formia, con vista mozzafiato sul Golfo di Gaeta, che ha fornito lo sfondo perfetto per questa celebrazione dei sensi. I partecipanti hanno potuto godere non solo dei sapori e dei profumi offerti, ma anche della bellezza del paesaggio circostante.

La parola d’ordine dell’evento è stata “Qualità”, e si è vista in ogni dettaglio. Dai vini accuratamente selezionati alle prelibatezze gastronomiche; i bianchi frizzanti e freschi, perfetti per accompagnare i piatti di pesce e rossi strutturati e corposi, ideali per le carni e i formaggi stagionati. Roberto Perrone si è avvalso della professionalità di Giovanni D’Andrea noto come John Wine, che è anche il nome della sua azienda di distribuzione vini e prodotti gastronomici.

I ristoratori, dal canto loro, hanno dato prova della loro creatività e maestria culinaria, presentando piatti che esaltavano le materie prime locali. Particolare attenzione è stata data ai prodotti del mare, in omaggio alla location costiera dell’evento. Antipasti di crudo di pesce, primi piatti con frutti di mare freschi, e secondi che combinavano sapientemente i sapori del mare con quelli della terra hanno deliziato i partecipanti.

Ma non solo pesce: la gastronomia del Lazio meridionale è ricca e variegata, e l’evento ha dato spazio anche alle specialità dell’entroterra. Formaggi artigianali, salumi di produzione locale, e piatti della tradizione contadina rivisitati in chiave moderna hanno completato l’offerta culinaria, creando un ponte tra passato e presente, tra tradizione e innovazione.

Formia, ultima frontiera del Lazio verso sud (o la prima per chi arriva dalla Campania), si è rivelata la cornice perfetta per questo incontro di sapori. Terra di passaggio sin dall’antichità, crocevia tra mare, entroterra e Roma, ha offerto uno sfondo storico e culturale unico all’evento. “Aria di mare Profumo di Vino” ha incoraggiato l’interazione diretta tra produttori, chef e appassionati.

L’evento non si è limitato solo alla degustazione. Nel corso della giornata, sono stati organizzati anche dei mini-workshop e delle presentazioni, dove produttori e chef hanno condiviso i segreti del loro mestiere. Il cuore della manifestazione è stata la Masterclass su Champagne Encry, una degustazione di gran livello in cui oltre ad assaggiare il famoso vino, è stato possibile ascoltare dalla voce di Enrico Baldin il racconto di come è diventato produttore di Champagne.

Quattro i vini in degustazione serviti dalla sommelier Simona Marricco:

  • Champagne ENCRY EXTRA BRUT BLANC DE BLANC MATIÈRE GRAND CRU
  • Champagne ENCRY ROSÈ BRUT NUANCES GRAND CRU
  • Champagne ENCRY BRUT GOLD BLANC DE BLANC NAISSANCE GRAND CRU
  • Champagne ENCRYBRUT BLANC ET NOIR RÉVERIE GRAND CRU

Tra le aziende partecipanti agli stand, ho inoltre provato:

VIGNE TONICHE – Nel cuore di Esperia, un piccolo borgo in provincia di Frosinone, la cantina Vigne Toniche racconta una storia di passione e tradizione. Stefania e Roberto Vallone, insieme al loro padre, hanno ereditato vigne vecchie di oltre un secolo, tramandate dal nonno. Tra queste filari si nasconde un tesoro enologico: due vitigni autoctoni quasi scomparsi, il Reale e il Raspato di Esperia.

Varietà che rischiavano di svanire per sempre, ma grazie alla dedizione della famiglia Vallone sono stati riscoperti e riportati alla luce prima che l’oblio li avvolgesse completamente. Oggi, Vigne Toniche è un simbolo di resilienza, un ponte tra il passato e il futuro, che celebra l’unicità del territorio con vini autentici, legati alla storia millenaria di questa terra.

HUMAN WINE cronimo che sta per Harmonic Union Man And Nature e produce vini sostenibili e biodinamici. Una filosofia naturale che si esprime in modo divertente sulle etichette che sono opere d’arte.

IZZI LIQUORI – Riccardo e Alessandro Izzi hanno portato l’innovazione nella tradizione familiare di 4 generazioni che risale al 1903. I nostri 4 liquori vantano grandi proprietà toniche e digestive, con un sapore autentico che non necessita di zuccheri aggiunti per esaltarne le proprietà aromatiche e benefiche. Tradizione e ricette segrete sono alla base del successo dei liquori Izzi. 

ALBERTO GIACOBBE – Nel cuore della campagna laziale, precisamente a Olevano Romano, Alberto Giacobbe, giovane e appassionato produttore, sta catturando l’attenzione degli enofili con i suoi vini che raccontano storia e terroir. Giacobbe si distingue per la produzione di tre vini di alta qualità con ben sette etichette.

Guardando al futuro, Roberto Perrone ha anticipato che l’edizione del prossimo anno promette di essere ancora più speciale, con l’introduzione di nuove attività e collaborazioni che metteranno ancora di più in luce le eccellenze del territorio. “Vogliamo continuare a crescere, ma sempre mantenendo quello spirito di convivialità e attenzione alla qualità che ci contraddistingue,” ha affermato.

“A Montefalco”: terra di grandi promesse

Dai tempi di Federico II di Svevia il mondo è cambiato. Eppure a Montefalco tutto sembra essere immutato, mentre si passeggia tra le vie del borgo medievale. Coccorone veniva chiamato in epoca tardo romana, un tipico castrum militare che presidiava dalla collina le vallate circostanti. Il cuore (anzi la ringhiera) dell’Umbria volge il suo sguardo verso la modernità e il futuro, da un areale che non è immenso rispetto ai grandi rivali del mercato.

Lo fa in sordina, con la calma necessaria che sembra non essere mai troppa. Lo fa con prodotti, parliamo di vino naturalmente, unici nel panorama enologico italiano: Sagrantino e Trebbiano Spoletino. Ogni anno, giunti quasi all’inizio dell’invaiatura, si celebra il rituale approfondimento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Montefalco, in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Miriade & Partners.

Giornalisti e blogger provenienti da ogni parte del globo arrivano a conoscere la valutazione della nuova annata di Montefalco Sagrantino che verrà posta di lì a poco in commercio e, soprattutto, a scoprire un territorio affascinante, ricco di sorprese. La storia passa tra le mani di nomi evocativi delle famiglie presenti: Caprai, Antonelli, Bartoloni, Tabarrini, Adanti, Romanelli, tanto per citarne alcuni.

Sono una settantina i produttori vitivinicoli iscritti al Consorzio, ai quali si sono aggiungono altri 29 dalla fusione con i vicini di casa di Spoleto. Un totale pari a circa 2,5 milioni di bottiglie annue, un numero contenuto che non potrà soddisfare la “sete di conoscenza” di ogni Continente, ma che, parere del sottoscritto, rappresenta una virtù nel rappresentare il comparto come una piccola nicchia di qualità in continua ascesa.

E le conferme arrivano dal sistema di valutazione dell’Anteprima “A Montefalco”, ormai consolidate non solo con la menzione delle celebri “stelle”, bensì con l’introduzione di un punteggio indicativo che crea legittime aspettative anche in fase di vendite. L’annata 2020 del Montefalco Sagrantino ha ottenuto, parole del giornalista Walter Speller, 5 stelle con 96/100 e grande eleganza. Un valore non indifferente per un vino che ha fatto della trama tannica scalpitante (a volte impegnativa) il suo marchio di fabbrica. Sembra che il cambiamento climatico abbia apportato qui qualche piccolo beneficio in termini di maturazioni polifenoliche. Ciò che un tempo era praticamente indomabile, se non con lustri di riposo in bottiglia, appare adesso godibile appieno già in gioventù pur preservando il carattere e l’identità del varietale.

Un calice di Montefalco Sagrantino fa la differenza tra una serata anonima ed una giocosa, tra la noia di prodotti ormai stereotipati di cui le carte dei ristoranti sono pieni e ciò che può dare una ventata rinfrescante. Un vino che difficilmente ti capita di dimenticare, pur maltrattato in passato con politiche espansioniste non in linea con il vero potenziale che poteva esprimere.

Molti si ricordano delle astringenze tenaci e irsute che hanno dato un’immagine sbagliata rispetto a quella attuale, fatta di ricordi di bosco, spezie nobili e tocchi di liquirizia e macchia mediterranea. Ovvio che la mano di chi lo cura con amore e le nuove tecnologie in campo e in vigna hanno fatto parimenti la differenza, ma c’è di più: la caparbietà di un popolo fiero e l’umiltà di saper ascoltare anche i pareri negativi degli esterni. Cosa rara credetemi. Paolo Bartoloni, neo presidente del Consorzio di Tutela, esprime così la sua soddisfazione per i risultati raggiunti.

E se non bastasse a toccare le corde degli appassionanti, ecco l’arrivo di recente del Trebbiano Spoletino – o semplicemente “Spoletino” – varietà autoctona rivalutata un po’ per caso e un po’, come narra la leggenda, da Giampaolo Tabarrini che nel suo “Adarmando” ha voluto dimostrare le mille sfaccettature e la longevità di uno dei migliori vini bianchi d’Italia. La visita nella cantina avveniristica, i tre cru di Sagrantino e lo spirito combattente del titolare valgono di per sé il prezzo del viaggio.

Una passione che si ritrova anche in Devis Romanelli, figlio d’arte, nell’etichetta “Le Tese” e nel saggio utilizzo dell’estrazione delle componenti aromatiche a contatto con le bucce per oltre 60 giorni. O nei contenitori inerti di ceramica utilizzati da Filippo Antonelli di Antonelli San Marco per il “Vigna Tonda” finalmente arrivato dopo la ricostituzione di un antico e inusuale vigneto dalla forma circolare.

Da quando Arnaldo Caprai dell’azienda omonima, Lodovico Mattoni di Terre de’ Trinci e successivamente Alvaro Palini, consulente di Adanti, hanno cominciato negli anni ’70 e ’80 a valorizzare Sagrantino in versione “secco” e non passito, tramandato invece di generazione in generazione quale vino per la merenda pasquale, i passi sono stati giganteschi. Per guardare al futuro non dobbiamo dimenticare proprio gli artefici del passato, che hanno portato sulle spalle il peso di un territorio semi sconosciuto.

Che dire persino dell’unica cantina-scultura presente al mondo, opera dell’artista Arnaldo Pomodoro su commissione dei Lunelli di Tenuta Castelbuono. Un autentico “Carapace” atto a simboleggiare la resilienza e l’amore che la più importante dinastia delle bollicine nostrane ha voluto infondere nella terre fertili di Montefalco. La bottaia sotterranea da cui si accede con una larga scala a chiocciola ben riprende il concetto di festina lente, dell’avvicinarsi con lentezza alla meta, aderente metafora dei movimenti di una tartaruga.

Colpiscono le visioni moderne ed eleganti dei campioni proposti da Tenuta Bellafonte, Bocale, Briziarelli, Colsanto ed Ilaria Cocco giovane wine maker appartenente alle “quote rosa” ancora poco numerose, con mia personale amarezza, nel comparto vitivinicolo.

Il tempo stringe e non basterebbero giorni per finire il discorso. Abbiamo dovuto omettere di menzionare le versioni Montefalco Rosso e Montefalco Rosso Riserva, dove il Sangiovese umbro sa domare la vivacità del Sagrantino: l’entry level certamente adatto per chi volesse avvicinarsi ad un mondo meraviglioso.

Lo faremo con le video interviste montate da Federico Ferraro e dallo staff di redazione nella nostra playlist, con tutti i protagonisti visitati durante il tour “A Montefalco”. Buona visione.

Napoli: primo convegno nazionale del Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco

Comunicato Stampa

Lunedi 23 settembre 2024 si terrà nella sala cinese di Portici del Dipartimento di Agraria dell’università Federico il primo Convegno Nazionale del Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco.

Un appuntamento importante per i produttori vitivinicoli e gli studiosi che interagiscono con l’importante patrimonio vitivinicolo italiano scampato alla fillossera.

Il “Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco” è la prima e unica associazione in Italia di protezione, custodia e salvaguardia delle viti franche di piede.

Per vite a piede franco si intende una vite con radici proprie, non ibrida e non innestata. Il ‘’piede’’ è la radice della vite, ‘’franco’’ poiché esentato da vincoli e libero.

Nato nell’aprile 2024 è composto da sommelier, storici, scienziati, viticoltori e appassionati al mondo del vino, in particolare quello prefillossera.

Il Comitato ha lo scopo di valorizzare, sviluppare e promuovere azioni atte a rilanciare storicamente, turisticamente e culturalmente il patrimonio vitivinicolo poco conosciuto o totalmente dimenticato prefillosserico.

Il suo compito oltre a divulgare la conoscenza dell’esistenza dei vitigni scampati all’infestazione della fillossera dalla fine dell’Ottocento, è quello di dare voce e visibilità alle rare realtà italiane che con tanta tenacia tengono in piedi un pezzo della storia vitivinicola del paese.

Le viti franche di piede sono piuttosto rare in Europa.

Il motivo risale alla seconda metà dell’800 quando un temibile afide, la fillossera, fece la sua comparsa nel continente europeo, trasportato via nave su piante contaminate provenienti dall’America del nord.

La fillossera si diffuse rapidamente in tutti i vigneti causando danni sia a livello fogliare che radicale, ostruendo il passaggio dei principi nutritivi e portando lentamente alla morte della pianta.

Non trovandone una cura, al fine di scongiurare la totale distruzione del patrimonio vitivinicolo europeo, si innestarono le nuove barbatelle di vite europea su radici americane (immuni alla fillossera).

Pochi sono stati i vigneti risparmiati dal flagello, gli unici salvi infatti furono quelli su terreni sabbiosi, nei quali il parassita non riesce a riprodursi, oppure a quote elevate, oltre i 1000 metri s.l.m., dove le basse temperature impediscono alla fillossera di sopravvivere, o ancora, su terreni vulcanici.

In Italia, grazie a condizioni favorevoli diversi vitigni sono scampati al flagello, tuttavia si tratta di realtà gestite da piccoli o grandi viticoltori che impiegano energie importanti per tutelare le vigne storiche che necessitano di attenzioni diverse rispetto agli impianti innestati più giovani.

Quanto però sia importante tutelare le piante che oltre a rappresentare esempi di resilienza e patrimonio storico, esempio di biodiversità, sarà oggetto di discussione del Convegno di Napoli.

Relatori della giornata saranno genetisti ed esperti di patologia della pianta, giuristi, agronomi, enologi, sommelier e il presidente del comitato e il delegato Campania che moderati da Adele Munaretto, divulgatrice enogastronomica e vicepresidente del comitato e Gaetano Cataldo, presidente di Identità Mediterranea e miglior sommelier 2023 dal Merano Wine Fest, coordineranno la discussione, analizzando i vari punti di vista e le prospettive dei tavoli tecnici istituiti dal comitato.

 Appuntamento dunque, aperto al pubblico, lunedì 23 settembre 2024 ore 9:00 presso la sala cinese della Reggia di Portici in via Università 100. Al termine dei lavori previsti per le 13:00 per i relatori presso il MAAV verrà offerta una  degustazione di vini dei vitigni a piede franco dei produttori italiani associati al comitato. Partecipazione, quest’ultima prevista solo su invito.

Ufficio Stampa

Comitato Italiano Tutela Piede Franco

Adele Munaretto

cell: 3392799736

comitatoitalianopiedefranco@gmail.com

ABRUZZO IN BOLLA

L’Abruzzo si propone sempre di più come una terra capace di dare vita a spumanti emozionanti: lo conferma la seconda edizione di Abruzzo in Bolla, che ha visto la partecipazione di ben 27 cantine (il doppio rispetto all’anno precedente) a L’Aquila.

La tradizione spumantistica in questa regione risale al 1983, anno che viene indicato per il  primo rilascio di una licenza di vino spumante a un prodotto di una cantina di Giulianova. Sempre in provincia di Teramo continuarono gli esperimenti: sicuramente un territorio dove era consuetudine spumantizzare il vitigno montonico per il consumo familiare. L’introduzione del metodo Martinotti e della autoclave risale invece a circa venti anni fa.

Recentemente il Consorzio di tutela Vini d’Abruzzo ha creato IL marchio collettivo Trabocco per valorizzare gli spumanti prodotti con uve del territorio quali Trebbiano Abruzzese, Cococciola, Passerina, Pecorino, Montepulciano e Montonico, immessi sul mercato nelle versioni bianco e rosè.

L’evento, organizzato da Marco Signori – Virtù Quotidiane – è stato un trionfo di cultura, enogastronomia e passione. Grazie al progetto “L’Aquila Capitale della Cultura 2026” e al supporto del GAL Gran Sasso-Velino, l’intera giornata si è trasformata in una celebrazione unica, ricca di appuntamenti imperdibili.

Sotto il maestoso colonnato di Palazzo dell’Emiciclo e all’interno della tensostruttura elegante allestita nel piazzale antistante, si sono alternati momenti di approfondimento, degustazioni e spettacoli dal vivo. I banchi d’assaggio animati dalle 22 cantine più prestigiose dell’Abruzzo e di altre regioni italiane, hanno accompagnato i visitatori in un viaggio tra le bollicine: dalle microproduzioni artigianali fino ai grandi nomi del settore, con etichette di spumanti che vanno dal Metodo Classico a QUELLO Charmat.

Tra le novità più apprezzate di questa edizione, un angolo dedicato ai prodotti di quattro aziende eccellenti: Cioti, D’Alesio, Di Ubaldo e Illuminati, che hanno portato un tocco di freschezza con le loro creazioni di alta qualità.

Il programma dei talk ha preso il via con l’affascinante intervento di Marcella Pace su “Dalle cime agli abissi, gli affinamenti speciali dello spumante”, che ha visto protagonisti esperti di spumanti dalle zone montane fino alle profondità marine, come Bruno Carpitella di Vini d’Altura, Gianluca Grilli di Tenuta del Paguro, Paolo Leo, Pierluigi Lugano della Cantina Bisson e in collegamento Antonio Arrighi dall’isola d’Elba. A seguire è stato il turno di “Gli spumanti del Mezzogiorno e la (ri)scoperta dell’autoctono”, con contributi appassionati da produttori di Puglia, Sicilia e Campania e la conduzione di Serena Leo.

Non sono mancati momenti dedicati alla gastronomia, come lo show cooking a cura dell’Unione regionale cuochi, che ha deliziato il pubblico con creazioni culinarie uniche. E per gli amanti del caffè, la masterclass degli specialisti di Sca Italy ha offerto un viaggio tra i segreti della torrefazione artigianale aquilana.

Nelle fasi conclusive il talk “La bolla delle bolle: dove va la spumantizzazione italiana?”, moderato da Antonio Paolini, ha visto una partecipazione accesa da parte dei grandi nomi del settore, mentre il dibattito su “L’Abruzzo effervescente” ha esplorato le radici e il futuro del vino abruzzese, con figure chiave del panorama locale, come Alessandro Nicodemi e Emanuele Imprudente.

Tra gli appuntamenti più innovativi, la presentazione del metodo di analisi acustica del perlage, condotta da Tommaso Caporale, che ha affascinato gli appassionati di bollicine e curiosi, fino a condurli a una masterclass esclusiva. La kermesse si è chiusa in bellezza con Antonella Amodio e Fabio Riccio, che hanno condotto un incontro originale sull’abbinamento pizza e bollicine. Il tutto accompagnato dalla nuova pizza al padellino di Luca Cucciniello, lasciando un ricordo gustoso ai presenti.

Gran finale l’esibizione musicale straordinaria: i Railway Movement hanno creato un’atmosfera suggestiva con una miscela di dj set e improvvisazioni jazz dal vivo. L’evento ha anche visto la partecipazione delle principali associazioni sommelier, con un servizio impeccabile sia ai banchi d’assaggio che nelle masterclass. Tra i partner d’eccezione di questa edizione, Bormioli Luigi, Totani srl e Geo L’Aquila, insieme al prezioso sostegno di Marcantonio Beverage e altre aziende del settore.

Le aziende presenti: Biagi, Cantina Frentana, Casal Thaulero, Citra, Ciccone, Centorame, Contesa, Dora Sarchese, Faraone, Fausto Zazzara, Feudo Antico, La Quercia, Piandimare, Poderi Costantini, San Lorenzo, Tollo, Nododivino, Legonziano, Tenuta Ulisse, Vignamadre, Vigna di More e Vinco e, tra le novità di quest’anno, il corner collettivo nel quale erano presenti i prodotti di quattro aziende, Cioti, D’Alesio, Di Ubaldo e Illuminati.

Un successo che ha segnato un’altra tappa importante nel cammino di L’Aquila verso il titolo di Capitale della Cultura 2026, tra brindisi, cultura e tanta emozione: grande sarà quindi l’aspettativa per le prossimi edizioni di Abruzzo in Bolla.

Le Mortelle: un sogno di Maremma della dinastia Antinori

Nel cuore pulsante della Toscana, tra colline ondulate e vigneti che si estendono a perdita d’occhio, si snoda una storia di passione, tradizione e innovazione che dura da oltre sei secoli. È la famiglia Antinori, che ha trasformato l’arte di produrre vino in vera e propria leggenda. Immaginate di tornare indietro nel tempo, alla Firenze del 1385. Mentre Dante aveva scritto la sua Divina Commedia e qualche anno dopo Brunelleschi avrebbe progettato la cupola del Duomo, Giovanni di Piero Antinori dava vita a quella che sarebbe diventata una delle più longeve dinastie vinicole del mondo.

Per 26 generazioni, gli Antinori hanno custodito gelosamente i segreti della loro arte, trasmettendoli di padre in figlio come un prezioso tesoro. Negli anni ’70, quando il mondo del vino italiano sembrava cristallizzato in antiche consuetudini, Piero Antinori osò l’impensabile. Con audacia e visione, ideò il Tignanello, un vino che sfidava ogni convenzione. Fu uno shock per i puristi, una rivelazione per gli appassionati. Quel gesto audace non solo ridefinì il concetto di vino toscano ma aprì la strada a una nuova era di “Supertuscans”, elevando il prestigio dei vini italiani in tutto il mondo.

Oggi, sotto la guida del marchese e delle sue tre figlie – Albiera, Allegra e Alessia – l’impero Antinori si estende ben oltre i confini della Toscana. Dalle colline umbre alle valli californiane, dal Cile alle terre selvagge della Puglia.

Le Mortelle: un sogno di Maremma

Siamo in bassa Maremma nei pressi di Castiglione della Pescaia, un luogo dove il cielo azzurro si fonde con il mare cristallino, dove le colline dolci si inchinano gentilmente verso la costa, e dove l’aria è permeata dal profumo di macchia mediterranea e salsedine. Le Mortelle, un sogno diventato realtà, nasce tra le siepi di mirto che lo contraddistinguono.

Era il 1999 ed il richiamo di questa terra incontaminata era troppo forte per essere ignorato. In quei vigneti ancora da piantare, in quei terreni piantati a frutteto ricchi di minerali, Piero Antinori vide non solo un’opportunità, ma una sfida sotto forma di vigneti che oggi si estendono a perdita d’occhio: filari di Cabernet Sauvignon che si alternano al Cabernet Franc, parcelle di Syrah che dialogano con Vermentino, Carmenere e l’Ansonica.

Ma la vera magia si svela agli occhi quando si scende in cantina, esempio d’architettura e di ingegneria. Costruita nel 2012, è un tempio sotterraneo dedicato al vino, un luogo dove modernità e tradizione si fondono in un abbraccio perfetto. Immaginate di camminare tra barrique di rovere francese, mentre sopra di voi, invisibile ma presente, la vita della tenuta continua il suo corso.

Ampio e Poggio alle Nane sono il fiore all’occhiello della Tenuta. Ma Le Mortelle non è solo vino. È un progetto di sostenibilità, un esempio di come l’uomo possa dialogare con la natura senza sopraffarla. Pannelli solari che catturano l’energia del sole toscano, sistemi di climatizzazione naturale che sfruttano la freschezza della terra: ogni dettaglio è stato pensato per rispettare e valorizzare l’ambiente circostante.

Vengo accolto da Barbara Fredianelli, referente dell’azienda maremmana, che mi racconta della storia della cantina e mi descrive i vini espressione del territorio.

La degustazione

Vivia 2023

Il nome è un tributo ai vitigni che lo compongono: Vermentino, Viognier e Ansonica. Ma c’è di più: VIVIA è anche il nome della nipote del leggendario Marchese Piero Antinori, aggiungendo un tocco di storia familiare a ogni sorso. La prorompente sapidità sveglia i sensi con note di pesche bianche succose e invitanti. Un soffio di brezza marina porta con sé le nuance agrumate. E poi, come un ricordo d’infanzia, ecco sbocciare il profumo delicato della ginestra, che riempie l’aria di primavera per chiudere su mango maturo al palato.

Botrosecco 2022

Immaginate di percorrere un sentiero polveroso nella selvaggia Maremma toscana, il sole del tardo pomeriggio che filtra attraverso le fronde degli alberi secolari. Il vostro cammino vi porta a un antico fossato prosciugato, un “botro” come lo chiamano qui. Il nome “Botrosecco” evoca immediatamente immagini di una natura tenace, che resiste e prospera nonostante le avversità. L’aroma di frutta rossa matura avvolge come un abbraccio caldo, evocando ricordi di estati passate e promesse di momenti indimenticabili. Le note speziate danzano intorno a voi, stuzzicando i sensi e invitandovi a esplorare più a fondo. Al sorso le componenti dure e morbide si bilanciano con maestria, che si esaltano sulle erbe aromatiche tipiche della Maremma. Il profumo del rosmarino selvatico, del timo e della salvia che crescono spontanei tra le rocce e poi tabacco e cacao amaro in finem. Fermentazione in tini d’acciaio dove la temperatura è controllata e dodici mesi di paziente attesa in barrique di secondo e terzo passaggio.

Poggio alle Nane 2021

Colori, profumi e sapori che raccontano una storia di passione. Sensazioni che evocano la ricchezza di questa terra generosa. La struttura importante e complessa si rivela già al naso, echi dei grandi Supertuscan con un’impronta unica e inconfondibile. Immaginate la cura con cui ogni grappolo viene diraspato, la pazienza certosina nella selezione manuale dei migliori acini sul tavolo di cernita. Visualizzate i tini di acciaio tronco-conici sospesi dove avviene la fermentazione, un’opera d’ingegneria creata ad hoc per l’uso.

E poi sedici mesi di affinamento in barrique, per la maggior parte di primo passaggio, la “gemma” della produzione, che richiede tempo e attenzione per rivelare la sua vera essenza. Un compagno per le occasioni speciali.

Le Mortelle è un angolo di paradiso per gli amanti del vino, una delle stelle più belle della costellazione Antinori.

Il Cilento che non ti aspetti

Vivere nel Cilento. Bella impresa si direbbe, persi tra stradine, borghi antichi e usanze tipiche marinare. Eppure in quest’angolo di paradiso alberga un ritmo di vita forse unico al mondo, pari solo ai villaggi dei pescatori scandinavi e poco altro.

Festina lente pronunciavano i Romani: appropinquarsi con la giusta lentezza, il vero segreto di una lunga e serena esistenza. Quando lo stress del quotidiano pesa sulle nostre spalle, arriva un momento in cui l’assenza di responsabilità, di tensioni nervose e di voglia di sgomitare sul prossimo devono lasciare il posto alla quiete, al silenzio assordante di luoghi senza tempo e sapori senza confini, impregnati di storia e tradizione.

“Le vie del Cilento sono infinite”, parafrasando un celebre motto. Vengono persino utilizzate per sentieri religiosi come il Cammino di San Nilo, che conduce dalla Calabria alle sponde laziali di Grottaferrata ripercorrendo le tappe dei monaci eremiti bizantini. I viandanti e pellegrini dell’epoca ben conoscevano ante litteram i pregi delle terre d’origine della Dieta Mediterranea, celebrata secoli dopo dal biologo scrittore Ancel Keys.

Un entroterra quasi esoterico, ricco però di pietanze a base di sughi e carne, formaggi e salumi e tanti prodotti dell’orto. La Costa, invece, regno del pescato, in particolare dell’alice di menaica e sostenuta dai profumi mediterranei delle classiche erbe officinali, per dare un tocco di aroma e sostanza alle ricette.

Il riassunto ideale, tra mari e monti, lo si trova tra i sobborghi di Ceraso, all’Osteria del Notaro della famiglia Notaroberto con Augusto, la moglie e il figlio Stefano ai fornelli. Dalla mozzarella nella mortella, alla parmigiana bianca per finire con fiori di zucca fritti (senza ripieno come vuole la tradizione) e le alici proposte in frittella o “rinchiuppate”, ossia riempite di formaggio e pane raffermo, variabile a seconda del luogo in cui le si assaggia.

E poi la fetta di carne tipica locale, la melanzana al pomodoro, per chiudere poi in dolcezza con le pasterelle cilentane fritte con crema di castagne. Il cibo e il vino viaggiano di pari passo e l’offerta enologica è notevolmente ampia in Cilento, soprattutto quando a parlare sono due varietà cardine per la Campania: il Fiano per i bianchi, l’Aglianico per i rossi.

Suoli marnoso calcarei, con punte di argille lamellari che donano potenza e armonia ai vini, come quelli di Fattoria Albamarina di Mario Notaroberto, raffinato gourmand proprietario di ristoranti in Lussemburgo, con vasta esperienza nel commercio estero delle nostre eccellenze alimentari. Partendo dalle bollicine giocose de “L’Eremita”, passando per la suadente Falanghina “Etèl”, il Greco del “Nylos”, verso i due cavalli di razza del Fiano: “Valmezzana” (vinificato solo in acciaio) e l’ammiccante borgognone “Palimiento”, strutturato e denso come la varietà sa offrire.

Completano il quadro l’Aglianico del “Futos” e quello di “Agriddi”, una sorta di riserva che guarda alle scie tanniche taurasine, non dimenticando l’avvolgenza del Vulture. Vigne a strapiombo, cullate dal tramonto di un sole che tutto colora con luci soffuse, in mezzo a colline dalle verdi sfumature. Un emozionato Mario Notaroberto ci narra proprio delle origini del paese di Futani e della menzione grafica speciale tra le etichette dei suoi vini.

Dalle altezze di Ceraso sino alle propaggini di Pisciotta, seguiamo l’arte di chi, come Alessandro Amendola, vive il mare da protagonista con il frutto del proprio lavoro ricavato dalle reti artigianali dette “menaiche”, che pescano solo le alici più grandi preservando l’ecosistema per le generazioni future. Un procedimento di salagione e stagionatura simile ad altri magnifici territori campani; una moneta di scambio in passato, da barattare con le primizie contadine di chi viveva lontano dalle spiagge.

La giornata si chiude in barca sulla rotta di Palinuro e della celebre Grotta Azzurra, tra miti e leggende che si perdono nella notte dei tempi. Un inatteso sapore di vita sana.

Ritorna “Yellow Night Party” da Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel

Dopo il successo estivo imperdibili gli appuntamenti del 16 settembre e 12 ottobre 2024

L’autunno in Costiera Amalfitana profuma ancora di estate e si tinge di giallo con il ritorno dell’evento clou dell’anno: il Yellow Night Party. Dopo il grande successo delle edizioni estive di giugno, luglio e agosto, la serata più esclusiva della Costiera torna in due appuntamenti imperdibili: il 16 settembre e il 12 ottobre, presso l’iconico Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel, situato nell’ex convento dei Cappuccini risalente al XIII secolo, con vista mozzafiato sul mare.

Le serate vogliono celebrare l’essenza della Costiera Amalfitana, rendendo omaggio al colore dell’oro e al suo simbolo per eccellenza: il limone Sfusato Amalfitano. Con un dress code interamente dedicato al giallo, i partecipanti saranno immersi in un’atmosfera magica, dove i sapori e i colori di questa terra straordinaria saranno i protagonisti. L’evento, aperto sia agli ospiti interni che esterni, regala un’esperienza indimenticabile: un incredibile show cooking realizzato dal Maestro Gino Sorbillo, che omaggia la regione Campania con pizze d’autore che valorizzano i migliori prodotti del territorio.

Inoltre, l’Executive Chef Claudio Lanuto delizierà i palati con una selezione di specialità locali: si inizierà con una ricca selezione di antipasti della tradizione, per continuare con gli iconici tagliolini al limone dello Chef, impreziositi dal profumo senza uguali del limone Sfusato Amalfitano. Si proseguirà con secondi piatti a base di pesce fresco, per concludere con un grande buffet di dolci, golosi bomboloni fritti con crema al limone, frutta fresca e gelati. Il tutto accompagnato da cocktail d’autore creati da esperti mixologist. Come già nelle precedenti serate estive ha trionfato, la protagonista sarà: la “Pizza del Convento”, una creazione che racchiude il meglio della tradizione e dell’innovazione culinaria. Unica nel suo genere, è realizzata con gli ingredienti della tradizione dei monaci, come l’impasto di farina di grani antichi, Alacce (presidio Slow Food), fiori di zucca, Polvere di Olive nere, Provola affumicata e sfusato Amalfitano.

Il Yellow Night Party, non solo è un’occasione speciale per vivere il fascino di Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel ma un vero e proprio evento di intrattenimento senza pari, che si svolgerà presso La Locanda della Canonica Pizzeria by Gino Sorbillo, una location d’eccezione situata vicino alla suggestiva Infinity Pool dell’albergo. Incastonata tra la roccia e i limoneti, questa cornice esclusiva offre una vista mozzafiato, rendendo l’atmosfera ancora più incantata. La serata sarà arricchita da performance artistiche, musica e, per concludere in bellezza, un suggestivo show con il fuoco. Un DJ set accompagnerà l’evento, invitando tutti a scatenarsi fino a mezzanotte sotto il cielo stellato.

La disponibilità dei posti è limitata ed è obbligatoria la prenotazione. Per informazioni e prenotazioni telefono 0898736711 e mail fb.conventodiamalfi@anantara-hotels.com
L’evento ha inizio alle ore 19:30 e richiede il dress code: giallo.

Ristorante Dei Cappuccini | Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel
Via Annunziatella, 46,
84011 Amalfi SA

Tutti in treno con Irpinia Express

Non c’erano fazzoletti sventolanti al binario 2 di Avellino centrale, quando venerdì 30 agosto è partito il treno storico Irpinia Express, ma l’emozione, il fascino, le suggestioni e le attese generate da quel vecchio convoglio a trazione diesel erano evidenti tra le molte persone a bordo. E’ cominciato così, il lento viaggio lungo la via ferrata che dal capoluogo irpino raggiungeva, un tempo, il capolinea pugliese di Rocchetta Sant’Antonio.

In compagnia di Alessandro Graziano di Visit Irpinia e chef Mirko Balzano direttore artistico di Irpinia Mood, la comitiva di ospiti, giornalisti, blogger, ristoratori, fotoreporter, operatori della comunicazione hanno percorso la prima parte della tratta che da Avellino descrive il cosiddetto Cammino di San Guglielmo.

Da sinistra chef Mirko Balzano e il sindaco di Montella Rizieri Rino Buonopane

Un verde mosaico di vigneti, oliveti, boschi cedui e castagneti tra loro incastonati tra i quali fanno capolino i borghi di Salza Irpina, Montefalcione, Montemiletto, Lapio, Taurasi, Luogosano, Paternopoli, Castelvetere sul Calore, Castelfranci, Montemarano, Cassano Irpino fino alla tappa finale di Montella.

Lo storytelling degli albori della vecchia ferrovia, con l’intrigante correlata aneddotica, è stato tenuto dai volontari dell’Associazione InLocoMotivi che opera in supporto di Fondazione Ferrovie dello Stato mentre, insieme al caffè di benvenuto, venivano dispensate amorevoli coccole a base di pasticcini e croissant di Dolciarte, la rinomata pasticceria avellinese di Carmen Vecchione.

Il lento incedere del convoglio dagli allegri salottini cinabrici ha proiettato i partecipanti in una dimensione “sine tempore”, continuamente attratti da rapidi cambi di scenario, lunghe gallerie e numerosissimi ponti di intersezione dei binari con l’asta fluviale del Calore. Fino ai 35 metri di altezza del famoso ponte Principe, ardita costruzione in acciaio lunga oltre 280 metri, di realizzazione fine-ottocentesca su progetto ingegneristico della società Strade Ferrate del Mediterraneo.

L’arrivo a Montella, dopo oltre 90 minuti di viaggio per i pochissimi chilometri percorsi, ha evocato il fascino concettuale del “féstina lente”, apparente ossimoro latino: quell’affréttati lentamente del quale non siamo più capaci nel turbinio della nostra spasmodica quotidianità. Solo il tempo del trasbordo e dei ringraziamenti agli appassionati volontari di InLocoMotivi ed eccoci giunti, al cospetto di Gilberto Soriano (col suo fedelissimo e mansueto… attendente Dadà, l’asinello di casa) patron del bioparco di fattoria Rosabella che sorge a valle del Monte Accellica sviluppando lungo i rivoli sorgenti del fiume Calore.

Lungo la camminata per raggiungere la cascata della Madonnella Gilberto ha copiosamente dispensato preziose informazioni e curiosità su castagne e castagneti, biodiversità presente nel Parco, microclima e fauna dell’areale, servizi e funzioni del bioparco; al termine della piacevole escursione un ghiotto spuntino  a base di salumi e formaggi della casa accompagnati a un fresco bicchiere di Fiano o di corposo Aglianico irpini sono stati offerti come… amuse-bouche al pranzo che attendeva il gruppo di li a poco.

Solo il tempo di riprendere le navette con destinazione Casale del Monte ed ecco aprirsi un nuovo spettacolare panorama dal sagrato di Santa Maria della neve, un complesso monastico con annesso chiostro e romitorio realizzato, per successive stratificazioni storiche, a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Gli onori di casa, questa volta, sono toccati al Sindaco di Montella nonché Presidente della Provincia di Avellino, Rizieri Rino Buonopane che, unitosi al gruppo, ha accompagnato i suoi ospiti fino al rientro in stazione FS del paese.

La bellezza mistica ed austera dei luoghi non ha affatto precluso al gusto di un ricchissimo buffet a base di ricette e preparazioni della tradizione popolare, magistralmente curato dal montellese Ristorante Zia Carmela. Indimenticabili, tra gli altri manicaretti, la zuppa di ceci e funghi porcini all’olio extravergine di ravece e il cannolo alla ricotta farcito all’istante.

La susseguente visita al romitorio è davvero imperdibile. Un sapiente lavoro di restauro e recupero funzionale ha avuto il pregio di valorizzare i luoghi esterni ed interni e le loro originarie funzioni, come nel caso delle ampie cucine, del chiostro, delle ancestrali toilette ad uso dei monaci e del locale con tetto a camino ove venivano essiccate, tramite affumicatura, le famose castagne del prete montellesi.

Proprio la castagna – massima espressione del genius loci montellese – è stata protagonista dell’ultima tappa del viaggio presso la antica e rinomata azienda castanicola di proprietà della famiglia Malerba. Il piccolo museo contadino aziendale e l’illustrazione del processo produttivo della castagna, prima in campo, poi nelle lunghe fasi di stoccaggio, lavorazione, conservazione, trasformazione ed uso gastronomico ha fatto da preludio all’assaggio del dolce frutto nelle sue numerose (dolci e salate) “interpretazioni”, non ultime l’originale liquore e la sorprendente produzione brassicola della birra alla castagna.

La tirannia del tempo che scorre, troppo veloce al cospetto di così tante ipnotiche suggestioni, ha obbligato la compagnia a salutare i propri straordinari ospiti per far rientro a Borgo ferrovia in Avellino. Non senza foto di gruppo di prammatica.