Orcia Doc: una Denominazione nata il giorno di San Valentino

di Adriano Guerri

Una Doc costituita il giorno di San Valentino: la Denominazione Orcia DOC.

Relativamente giovane, è stata costituita il giorno della festa degli innamorati, più precisamente il 14 febbraio del 2000.

Voluta da alcuni produttori fondatori del Consorzio del Vino Orcia, con il preciso intento di salvaguardare e dare impulso all’immagine del vino e del suo incantevole territorio.

Il vitigno principalmente coltivato e utilizzato per la produzione dei vini è sua “maestà”, il Sangiovese. Fiore all’occhiello dell’enologia italiana, ha trovato un habitat ideale in tutto il centro Italia, dando origine a prodotti espressivi e di elevata qualità.

Vengono coltivate nell’intero areale anche altre varietà sia a bacca bianca che a bacca nera, autoctone e alloctone; su tutti Foglia Tonda, Colorino, Cabernet Sauvignon, Merlot e Trebbiano.

Varie le tipologie proposte: Orcia Bianco, Orcia Rosato, Orcia Rosso, Orcia Rosso Riserva, Orcia Sangiovese, Orcia Sangiovese Riserva e, per concludere, anche Orcia Vinsanto.

Storicamente la zona è sempre stata considerata un enclave vocato per la coltivazione della vite. Alcuni toponimi, come “Vignoni” e “Bagno Vignoni” ne sono una testimonianza.

Sia in epoca rinascimentale sia in tempi più contemporanei, tutti i poderi mezzadrili vantavano cantine ove il vino talvolta veniva lasciato a maturare a lungo, al fine di averne peculiarità qualitative migliori.

Seguite con cura tutte le fasi, dalla vigna, passando alla cantina ed alla commercializzazione. La costituzione della Doc è anche concisa con il cambiamento climatico e il conseguente innalzamento delle temperature, scongiurante la possibilità di gelate primaverili.

La zona di produzione dell’Orcia Doc è incastonata tra due grande denominazioni, ossia, Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano, territori altamente vocati per famandi grandi vini rossi apprezzati e conosciuti in tutto il mondo.

I comuni ove viene prodotto questo meraviglioso nettare sono dodici nella denominazione, posti nella parte sud della provincia di Siena: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia e Trequanda. Parte, inoltre, dei comuni di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena.

Una vasta area che presenta aspetti pedo-climatici molto variabili. Le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono notevoli. Il suolo è di origine marina, prevalentemente ricco di fossili, di argilla, di limo e di sabbia.

L’ammirevole paesaggio della Val d’Orcia, posto tra le dolci colline toscane, è iscritto dal 2 luglio del 2004 nella lista dell’Unesco quale Patrimonio dell’Umanità. Secondo l’Unesco questa valle è uno straordinario modello di come il paesaggio naturale sia stato rimodellato nel Rinascimento e rappresenta gli ideali del “buon governo”.

Attraversata dal fiume Orcia al centro e caratterizzata da stupendi scorci, da dolci colline e da un buon numero di Borghi di origine medievale ha nel cipresso una delle sue piante più tipiche, accanto a oliveti, vigneti e campi di grano. 

Oltre al vino, gli altri prodotti gastronomici sono i pici, i salumi di cinta senese, la carne chianina, lo zafferano, il tartufo bianco di San Giovanni d’Asso, il miele, le castagne e i funghi nella parte più vicina all’ antico vulcano, il pecorino di Pienza e l’olio extravergine d’oliva.

La valle è anche un importante parco naturale, artistico e culturale. Un’ambita meta turistica, attraversata dalla Via Francigena, che in passato veniva percorsa da pellegrini. Una strada che ti proietta dritto nel passato, ove il tempo sembra essersi fermato.

Ogni anno, nel suggestivo Borgo di San Quirico d’Orcia, in concomitanza con il ponte del 25 aprile, ha luogo l’Orcia Wine Festival, l’occasione ideale scoprire i vini di questa Denominazione.

I vitivinicoltori sono oltre 60, tuttavia, non tutti iscritti al Consorzio del Vino Orcia e tra i più attivi menzioniamo: Capitoni, Campotondo, Poggio Grande, Mascelloni Wine Estate Poggio al Vento, Valdorcia Terre Senesi, Bagnaia, Sassodisole, Vegliena, Tenuta Sanoner, Fattoria del Colle, Sante Marie di Vignoni, La Canonica, La Nascosta, Atrivm, Podere Forte, Podernuovo, Podere Albiano e Olivi Le Buche.

L’attuale Presidente del Consorzio è Giulitta Zamperini di Poggio Grande,  succeduta a Donatella Cinelli Colombini artefice della rinascita dell’intero areale.

Lo slogan “Orcia il vino più bello del mondo” è tutto questo… e molto di più!

L’irresistibile richiamo di Montalcino

di Augusta Boes

Un giorno per caso, in giro per la Toscana, l’irresistibile richiamo di Montalcino, una cantina nuova di zecca e l’abbraccio di un’amica speciale. Saltate in macchina con me, si parte per una fantastica gita!

Ogni volta che torno in Toscana, tra i miei amati vigneti e le dolci colline, immersa in questo paesaggio che mi lascia senza fiato come fosse la prima volta, ogni volta faccio una fatica enorme ad andare via. Col tempo ho elaborato diverse strategie per procrastinare la dipartita. Una delle mie preferite è quella di ignorare il navigatore, evitando di girare alla svolta suggerita, e obbligandolo a trovare una strada alternativa. In questo modo scopro nuovi percorsi, nuovi paesaggi, nuovi piccoli borghi, e il naufragar m’è dolce in questa terra meravigliosa.

Sono qui, con la mia Yaris Ibrida, fedele compagna di viaggio, che mi accingo a impostare il navigatore sulla strada di casa. Andremo piano io e lei perché non solo ci piace rispettare i limiti di velocità, ma ancor di più ci piace scivolare lungo questo meraviglioso dipinto senza far rumore alcuno, e senza inquinare. Siamo di ritorno dal Chianti Classico, nella notte è nevicato e queste pennellate di bianco rendono il paesaggio ancora più struggente. Non voglio andar via! Non ancora, non sono psicologicamente pronta.

Ed è così che si insinua un pensiero, un desiderio, una speranza: e se passassi ad abbracciare un’amica che non vedo da tanto, troppo tempo? Tra l’altro mi è di strada, più o meno, e il caso vuole si trovi proprio di fronte a una Cantina che custodisce botti pregiatissime che non assaggio da tanto, troppo tempo. Senza alcuna speranza mando un messaggio a un destinatario che probabilmente non mi leggerà almeno per le prossime tre ore. E invece eccola, la risposta arriva subito e finanche affermativa! Oggi è la mia giornata fortunata! C’è nebbia per strada ma io so dove andare; lei mi chiama, lei mi guida, lei mi parla…

Ed eccomi di nuovo qui a Montalcino, da Luciano Ciolfi a Sanlorenzo. Sì, è inevitabile tornare in questo angolo di paradiso dove il vino, oltretutto, è sempre più buono. Incurante delle pozzanghere, abbraccio finalmente la mia amata Quercia che vigila sui vigneti dal punto più alto del podere. È lei la mia bellissima amica lontana. Luciano mi guarda tra il perplesso e il divertito, più perplesso che altro oserei dire, anche perché mi sono un po’ inzaccherata gli stivali. Ma non fa nulla quando si tratta della sacra terra di Montalcino.

Sono qui con un attimo di calma finalmente, e tutto il tempo necessario per godermi qualche sorso di vino in tranquillità. È da oltre un anno che non assaggio le “mie” botti; ebbene sì ne ho alcune in “adozione”, pratiche sbrigate quando erano ancora in fermentazione. Qualcuno mi ha detto che il mosto non fa troppo bene, ma io ne sono davvero ghiotta, e non sono mai stata meglio in vita mia!

E poi con Luciano è una scommessa vinta in partenza. Gli assaggi 2022 a fine fermentazione e poco prima della svinatura, avevano dell’incredibile! Tre tini già chiaramente definiti: Rosso di Montalcino, agile e floreale, Brunello di Montalcino più polposo e croccante, e Bramante con tutta la sua disarmante profondità ed eleganza. È vero, siamo decisamente in una fase embrionale, ma con il sangue blu ci si nasce e qui ormai la dinastia di questo Sangiovese, ascesa al trono e consacrata anni or sono, regna gloriosa su questo feudo rigoglioso e fiorente.

C’è chi “declassa” il Brunello quando all’esordio sui mercati risulta già molto godibile argomentando la sua presunta mancanza di longevità. Personalmente mi trovo davvero agli antipodi e non riesco ad aspettare nemmeno i cinque o sei anni di affinamento previsti dal disciplinare di produzione. Io il vino buono lo voglio subito! E qui è buono immediatamente. Ecco, dunque, perché c’è sempre un buon motivo per tornare a Montalcino, da Sanlorenzo come da tanti altri amici che in questo modo mi regalano bottiglie mai imbottigliate, che poi alla fine sono le più rare.

Gli assaggi da botte per me sono imprescindibili. Voglio conoscerli intimamente i miei Campioni! Il ritrovarsi a tu per tu con una bottiglia di vino che vi conquista è un po’ come innamorarsi a prima vista di una persona. In quel preciso momento è esattamente tutto ciò che desiderate, ma ognuno di noi custodisce dentro una storia personale che ci ha portati ad essere ciò che siamo di unico e di bello oggi. Il vino non fa eccezione in tal senso.

“Quante cose che non sai di me, quante cose che non puoi sapere” cantavano insieme Elisa e Ligabue. Ecco, io desidero vivere tutta la storia dall’inizio, conoscere la vita e l’evoluzione del vino in cantina, perché si scoprono cose e sensazioni meravigliose e irripetibili in questi sorsi. Non riesco davvero a farne a meno! Ma non indugiamo oltre e cominciamo a riempire i calici.

Il Brunello 2021 se ne sta sulle sue, il sorso è contratto ma ci sta, oggi fa freddo e diamine vuole essere lasciato in pace! Chiediamo scusa per il disturbo e passiamo oltre. La Riserva? Vedremo, per ora resterà un segreto.

Il Brunello 2020 è gioioso, disteso, e di esuberante eleganza. Non credo sia da attribuire esclusivamente alla differenza di un anno, piuttosto a questo suo carattere solare e raffinato. Eppure, c’è stato un momento in cui anche lui era chiuso in una introspettiva riservatezza.

Il Brunello 2019 è in dirittura d’arrivo verso l’imbottigliamento. Qui vi devo dire che non c’è stato un solo momento nell’assaggio, durante il suo lungo percorso, che non abbia espresso vitalità, tensione e grazia innata. È da batticuore, polposo, profondo e vibrante; due botti distinte che si fonderanno presto per l’eternità in una sola anima. Evviva gli sposi!

Poi c’è Bramante, la Riserva 2019. È lui, è sempre lui, è il mio grande, grandissimo amore! Riuscirà a spodestare dal mio cuore la Riserva 2016? In fondo non credo sia necessario. Ho un cuore molto grande e ci sarà posto per entrambi.

Concludo con la più bella novità qui a Sanlorenzo: la nuova cantina realizzata davvero in tempi record. Bravo Luciano! Non deve essere stato facile completare i lavori in tempo utile per la vendemmia. È veramente bellissima, ampia e in un impeccabile stile minimal, così elegante nella sua linea essenziale e sobria. Un grande lavoro di recupero di un capannone che adesso ospita i tini di fermentazione, il magazzino delle vecchie annate (da perderci la testa!) e il leggendario Rosato in definizione. Abbiamo assaggiato anche quello, certo che sì! Ma questa è un’altra storia, prima o poi ve la racconterò.

È tempo di andare ormai, e mentre cammino verso la mia auto, mi giro un’ultima volta per salutare la mia adorata Quercia con gli occhi già pieni di malinconia. Ed è così che mi torna in mente una frase dal libro di Richard Bach “Il gabbiano Jonathan Livingston” che conosco praticamente a memoria.

 “Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato.”

I miei occhi oggi vedono una nuova, bellissima cantina, il mio cuore una scia interminabile di grandi successi, passati, presenti e futuri. Podere Sanlorenzo, 280
53024 Montalcino (Siena) Italy
sanlorenzomontalcino.it

“Storie di vite – Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti”

di Titti Casiello

“Un altro libro sul vino, potrebbe pensare qualcuno”. Così si autodenuncia, nella sua introduzione a Storie di vite – Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti, il wine-teller e scrittore Salvo Ognibene, aiutato nella stesura dell’opera dal prezioso contributo di Gherardo Fabretti, Filippo Moschitta e Antonello De Oto.

Un libro diverso sul tema potrebbe, invece, pensare un pubblico attento al termine della sua lettura. Si pone a metà strada tra un saggio ed un racconto, intrecciando la storia del vino con quella dei vignaioli e ricordando testualmente dai suoi estratti come terreno, vitigno e condizioni atmosferiche necessitano sempre della mano sapiente dell’uomo, senza la quale nulla sarebbe comunque possibile.

Perché sono loro, i “Maestri di vino” così definiti da Fabretti, gli ambasciatori della Terra che hanno creato le condizioni affinché il loro vino riflettesse, e amplificasse, il prestigio di un intero territorio e con esso, dunque, anche di una comunità. Nello scorrere dei paragrafi, suddivisi in quattro capitoli ognuno a firma di un singolo autore,  si osserva una costante pressoché univoca, che mira a sollecitare il lettore verso un’immagine del vino non come un prodotto a se stante, ma come un bene che ha accompagnato lo sviluppo umano e territoriale diventando esso stesso, dunque, un prodotto della cultura e della storia.

Salvo Ognibene

Una storia, però, che non sempre è andata di pari passo con quella delle sue norme. Nulla di così tanto diverso di quanto non avvenga in ogni Stato politico che si rispetti, anche per ben altre e diverse questioni, tra chi gioca di coalizioni e chi di opposizioni pur di far valere le proprie scelte individuali. Parimenti è stato (e sarà) con i Legislatori del vino, dove in un avvincente resoconto storico, emerge un quadro dei grandi successi vinicoli italiani tra chi è riuscito a parlare di territorio in un raggio d’azione delimitato da una Denominazione, e chi, invece, ha dovuto faticare (i resilienti o facinorosi che dir si voglia) per crearsi uno spazio pur di interpretarlo secondo il proprio credo.

C’è chi “è stato capace [..] di promuovere un territorio [..] con a monte le geniali intuizioni di Giulio Ferrari  e che oggi compone la squadra del Trento DOC” e chi, invece, si muoveva “con fastidio tra  le regole di un Disciplinare” come Marco De Bartoli che ha dovuto scardinare uno dei più intricati regolamenti di Italia, quello della Doc Marsala, dimostrando, con ostinato rifiuto il non cedere di un solo millimetro dinanzi alle avversità: una storia di rinascita grazie al Vecchio Samperi e che, oggi, custodisce amorevolmente l’antica tradizione siciliana del perpetuo. Ma “Storie di vite” è ricco anche di nozioni che vanno oltre le informazioni più attuali, “Oggi lo Stato con più consumo pro capite è Città del Vaticano con circa 60 litri a persona all’anno”, o le domande ormai di tendenza ad esempio per definire ad libitum i vini biologici e biodinamici e si sovrappongono parti storiche, dalla religione, alla letteratura e alla prosa che ci ricordano da dove veniamo e dove stiamo andando.

Informazioni che se aprono nuovamente la mente al lettore: il vino visto come strumento di riscatto sociale. Ciò è accaduto alle porte di Napoli, in una città assediata all’epoca dal “malaffare”.  Chiaiano sembrava destinato ad una triste sorte, ma il sentire profondo di una comunità che voleva risorgere ad ogni costo, risiederà per sempre nei due ettari di vigneto di Falanghina gestiti dalla Cooperativa (R)esistenza. Un bene agricolo confiscato alla camorra e dedicato alla memoria di un purista della legalità come era Amato Lamberti. Tanta la paura alla prima vendemmia, “poi però incontrammo Gerardo Vernazzaro di Cantine Astroni [..] che sposò il progetto”.   Il libro continua così, tra commossi ricordi e realtà, centodieci pagine che si fanno leggere piacevolmente, pensando che di vino c’è sempre qualcosa di bello da scrivere.

“Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti”

Dario Flaccovio Editore

Prezzo di vendita proposto: 11 euro

Le degustazioni sartoriali a “The Wine Tour” di Vinario4

di Cristina Santini

I ragazzi di Vinario4 non sbagliano un colpo. Domenica 29 gennaio ho partecipato ai banchi di degustazione “The Wine Tour” accolti nella sala di Straforno, rinomato locale di Roma adatto ad ogni tipo di evento, che coniuga l’estro culinario fuori onda alla tradizione della nostra cucina regalando piatti sfiziosi fatti con materie prime di altissima qualità e con una carta vini sensazionale.

Un incontro con 24 realtà soprattutto del tessuto laziale e toscano che hanno presentato le loro migliori etichette, anche di diverse annate, tra autoctoni e non. Ho scritto del progetto Vinario 4, nato nel 2019, in altre occasioni; amo parlarne spesso perché ammiro la loro professionalità, la temperanza e la passione nel raccontare i territori e il lavoro sapiente dei produttori con un’attenzione particolare a quelle aziende che fanno ricerca, innovazione e sostenibilità.

Molti produttori laziali rappresentano per me una grande famiglia, amici con cui condividere dialoghi costruttivi e assaggiare i loro vini dalle vasche ancora in fermentazione fino a poco prima dell’imbottigliamento. Una fiducia reciproca che si costruisce nel tempo con serietà e passione per il meraviglioso mondo del vino. D’altro canto Ernst Engel diceva che il miracolo del vino consiste nel rendere l’uomo ciò che non dovrebbe mai cessare di essere: amico dell’uomo.

Vi presento allora alcune cantine con i loro vini e le mie considerazioni di rito.

Casamecocci Winery “Il Malandrino” annate 2021 – 2020 – 2019

Azienda di appena tre ettari nata nel 2019 da due amici, Marcello Lagrimanti e Giacomo Andreocci, che hanno recuperato vigneti antichi di settant’anni e ostinatamente ripercorso quella che era la tradizione vinicola della Tuscia, nel territorio di Vignanello tra i monti Cimini, storicamente nota e citata nelle opere di famosi poeti italiani e stranieri, dove fare vino rischiava di divenire un’impresa dimenticata.

Un’etichetta particolare, “malandrina”, che si fa subito notare. Unione di uve bianche nate su terreni stratificati dall’attività dei vulcani Cimino e Vico. Da Procanico, biotipo del Trebbiano Toscano, e dalla varietà Trebbiano Giallo (localmente chiamato Rossetto) per il 70% ed il resto conteso tra Malvasia di Candia, Malvasia Puntinata, Greco di Vignanello e Grechetto. Decantazione statica a freddo, vinificazione dell’uvaggio e affinamento per sei mesi in vasche d’acciaio, con continui bâtonnage, più un ulteriore riposo di sei mesi in bottiglia.

Vino poliedrico che sorprende con la forza dei suoi profumi, attimo dopo attimo senza annoiare mai. Regala emozioni diverse con l’età e con la longevità: una 2021 può conquistarti per sentori di agrumi ed erbe aromatiche fresche che ricordano le montagne e con quel sorso minerale e sapido che richiama i terreni tufacei.  La 2020 stupisce per forza di freschezza e mineralità, declamando aromi di pietra focaia e leggere note terrose. In chiusura una 2019 dalla quale ti aspetteresti la discesa ed invece ti presenta il conto della maturità.

Tenuta Iacoangeli – Cabernet Franc Igt Lazio 2020 Eredità di famiglia che parte nel lontano 1571 con il trisavolo Giovanni Iacoangeli e viene tramandata di padre in figlio fino agli attuali sei ettari coltivati e curati da papà Mauro e dai figli Matteo e Paolo. Passione, quella di fare vino, da cinque generazioni che ha visto una crescita costante negli anni puntando alla qualità e al rispetto del territorio.

I vigneti sono stati reimpiantati e trasformati da allevamento a tendone a quello a spalliera a cominciare nel 2013, partendo da Malvasia Puntinata, Bellone e Viognier (che formano la Doc Roma di cui la cantina è socia fondatrice), proseguendo nel 2016 con il Cabernet Franc ed il Petit Verdot. Siamo a Genzano di Roma (RM), nel cuore dei celebri “Castelli”, situati sul versante esterno del cratere vulcanico del lago di Nemi appartenente al complesso del Vulcano laziale. Da immaginare solo il lavoro nel trasportare le uve raccolte rigorosamente a mano dai vigneti, non proprio vicinissimi, ai localeidi vinificazione.

Tra le proposte, tutte d’impronta qualitativa, vi racconto proprio il Cabernet Franc. Vino giovane, vigoroso ed intenso che matura 14 mesi in acciaio e 12 mesi in bottiglia, sfoderando note erbacee non troppo marcate e nuance di frutta rossa come lamponi e ribes. Buona la struttura, finemente speziato nonostante la giovane età, dal sorso armonico e consistente che trapela una velata alcolicità mai priva di eleganza. Grintoso, compatto, autentico ha ancora tanto spazio per crescere ed elevarsi.

Emiliano Fini – Cleto Igt 2019 e Lavente Igt 2020 – Altra bellissima realtà familiare acquistata nel 1988 da Anacleto e sua moglie Giorgia insieme ai figli Claudia e Emiliano, ubicata con i suoi dieci ettari ad Aprilia (LT), ai piedi del grande distretto vulcanico dei Colli Albani. Le piante crescono a pochi chilometri dal mare su terreni costituiti da piroclastiti, tufo e lapilli dando quell’impronta di sapidità e mineralità importante ai vini.

La verità è che quando hai un sogno e sei determinato come lo è stato Emiliano prima o poi le cose si avverano. Nel 2017, dopo un attento studio del territorio e della qualità delle varietà prodotte finora, si convince a vinificare in proprio le uve che prima andavano in conferimento. La scelta privilegia la vinificazione in purezza dei vitigni autoctoni (Grechetto e Malvasia Puntinata) caratteristici della zona avendo particolare cura e attenzione verso la terra in cui dimorano da sempre.

Il buongiorno si vede dal mattino! Da un’accurata selezione in vigna dei migliori grappoli fino alla maturazione di sette mesi sulle fecce fini in cemento, ho degustato due esempi dal carattere schietto, pulito ed identitario. Mentre per il Cleto (omaggio a Papà Anacleto) le uve di Grechetto raccolte a mano vengono dolcemente pressate, per il Lavente (da suolo vulcanico) le uve di Malvasia Puntinata sono sottoposte a macerazione pre-fermentativa prima della pressatura soffice.

Cleto 2019 colpisce per profumi di pesca gialla e agrumi e, se lo sai attendere con calma, ti avvolge per soffuse essenze di fiori di campo. Il sorso è energia e sapidità all’unisono, con quella freschezza che si protrae fino all’ultima goccia.

Lavente 2020 non ha la classica aromaticità prorompente della Malvasia Puntinata, ma un delicato sentore al naso di mela gialla ed erbette aromatiche. Piacevolissima la beva così intensa e persistente dove sapidità e mineralità la fanno da padrone. Ogni annata del Lavente è una vera sorpresa.

Gianmarco Iachetti – Colle San Lorenzo Igt 2021 – Che meraviglia i vini di Gianmarco. Giovane produttore classe ’92 dopo essersi laureato in Enologia all’Università della Tuscia ed aver frequentato a Bordeaux l’Institut des Sciences De la Vigne et Vin (in sigla ISVV), ritorna alle origini recuperando l’azienda appartenuta ai nonni dal lontano 1953. Prima vendemmia targata 2016. Sei gli ettari vitati, dislocati nell’Agro Pontino a Doganella di Ninfa (LT), alle pendici dei Monti Lepini, culla di due autoctoni come il Nero Buono e il Bellone. Ampia gamma dei prodotti, la maggior parte realizzata da varietà autoctone. Personalmente sono rimasta colpita dal Colle San Lorenzo, blend di uve rosse 75% Merlot e 25% Cesanese.

Il frutto di prove continue ed esperimenti per arrivare ogni anno ad ottenere risultati diversi e interpretativi. Dall’amore per il territorio è nata anche la collaborazione con l’Associazione Piccoli Vignaioli Pontini per diffondere e valorizzare al meglio i vitigni di questa zona e le loro peculiarità. Colle San Lorenzo 2021 va letteralmente dimenticato per anni in cantina, così intenso e complesso al naso con note croccanti di frutti rossi e un’importante balsamicità ben armonizzata al sottobosco finale. Sorso morbido nonostante la gioventù, si fa bere con estrema facilità portando ad una chiosa di bocca caldamente fruttata.

Evento “Vini Migranti”: il punto di vista di 20Italie

Lo scorso 22 e 23 gennaio alle ex scuderie Granducali di Firenze  ha avuto luogo la terza edizione di Vini Migranti. Una fiera che ha visto la partecipazione di 60 produttori provenienti da ogni parte d’Italia e da nazioni quali Argentina, Francia, Germania, Libano, Slovenia, Spagna, Ungheria e Giappone per quanto concerne il Sakè, propriamente chiamato Nihonshu. Un’occasione dedicata interamente a piccole ed esclusive realtà vitivinicole del panorama enologico.

Da un desiderio di Teseo Geri – Distribuzione Tanta Roba – assieme ad un gruppo di ristoratori ed enotecari è nato l’evento con il preciso obiettivo di far conoscere cantine da tutto il mondo in una regione a forte vocazione produttiva come la Toscana. Nella due giorni di kermesse hanno avuto luogo anche le Masterclass alle quali, mio malgrado per limiti di tempo, non ho potuto partecipare. La fiera è stata ben organizzata e da consigliare sicuramente agli amanti del nettare di Bacco. Mi sono presentato subito pronto ai banchi d’assaggio, notando un’ottima rispondenza del pubblico di settore: ecco la segnalazione delle note di merito.

Úrágya 57 annata 2015 Demetervin. L’azienda si trova a Mád, in Ungheria, nella storica regione vitivinicola di Tokaj. Ottenuto interamente da uve Furmint provenienti da un vigneto che risale al 1921, è di un luminoso giallo dorato,  sprigionante all’olfatto eleganti sentori di pesca, albicocca e frutta tropicale che ben si fondono con note di agrumi canditi.  Sorso piacevolmente fresco e sapido, dotato di una ottima lunghezza.

Friulano Doc Colli Orientali del Friuli Colvierie 2020 Azienda Agricola Sara & Sara. La Cantina è immersa nella campagna di Savorgnano del Torre in provincia di Udine. Friulano in purezza, affina per un periodo di 10 mesi in tonneaux francese. Delicate le nuance paglierine, al naso prorompono sentori di camomilla, pera, albicocca e mandorla, ben amalgamate a note di agrumi e vaniglia. Tutto molto avvolgente dal finale sapido, persistente e di buona armonia.

Ribolla Gialla Filip Jure  Štekar 2018: cantina a Snežatno, in Slovenia, a poca distanza dal Collio Goriziano. Anche qui parliamo di un monovarietale spinto agli occhi verso le classiche sfumature ambrate della tipologia, con profumi di albicocca, mango e papaya alle quali seguono gustose scie di erbe aromatiche. Lascia un palato elegante e delicato, colpendo per gradevole piacevolezza di beva.

Fara Doc 2018 Az. Castaldi Francesca: ubicata a Briona, in provincia di Novara, tra le splendide colline dell’Alto Piemonte. Blend costituito da 70% di uve Nebbiolo ed il restante 30% di Vespolina; bellissimi i riverberi intensi rosso rubino, spiccano poi sbuffi di violetta,  petali di rosa, frutti di bosco e frutta essiccata  con un gusto pieno ed appagante, dal finale speziato.

Il Faro Doc Chiano Conti 2015 Tenuta Gatto viene prodotto sulle alture di Messina, a 400 metri. Vino da uve Nerello Mascalese (50%), Nerello Cappuccio (30%), Nero d’Avola (15%) ed il raro autoctono Nocera, affina prima in acciaio e poi un anno in tonneaux. Veste di rosso rubino intenso, quasi impenetrabile, dipanandosi tra eleganti sentori di rosa, geranio, ciliegia, mora accompagnate da note di spezia. Rotondo e di buona struttura con la giusta corrispondenza nelle diverse fasi di giudizio.

E chiudiamo con Chianti Riserva Docg Regista 2019 Il Palagio. La Tenuta, di proprietà del cantante Sting (ex leader dei Police) e di sua moglie Trudie, si trova a Figline Valdarno (FI), nella residenza estiva.  Prodotto che dimostra la dinamicità del Sangiovese sia nel colore rubino che nei profumi potenti e complessi tra ciliegia, violacciocca, prugna, cacao e liquirizia. Trama tannica ben amalgamata con un finale fresco e sapido. Un degno “messagge in a bottle” di commiato in attesa del prossimo anno.

L’insostenibile eleganza di “Nebbiolo nel Cuore”

di Augusta Boes

Tutta l’eleganza del Nebbiolo all’evento Nebbiolo nel Cuore. Giunto alla IX edizione l’evento cult di Riserva Grande torna a Roma nella sua veste classica: senza contingentamenti o distanziamenti, potendo finalmente rivedersi in volto. Tra sorrisi, abbracci e tintinnii di calici il Nebbiolo è stato finalmente libero di scorrere copioso per due giorni di festa e di pura condivisione.

Nebbiolo nel Cuore, un nome perfetto per colui che non può non essere annoverato tra i vitigni prediletti di ognuno per insostenibile eleganza, inconfutabile piacevolezza e, diciamolo, anche per una indiscussa notorietà. Nebbiolo non è sinonimo soltanto di Barolo ce n’era tanto presente. Ed in questo Marco Cum è un “Maestro” nel distinguersi, con una selezione sempre originale e di qualità elevatissima che porta in scena ogni volta il nobile vitigno in tutte le sue sfaccettature e declinazioni. Per quanto sia difficile e capriccioso, con il ciclo vegetativo più lungo di altri vitigni, assolutamente incapace di adattarsi al di fuori delle sue poche zone di elezione, possiede una personalità poliedrica e versatile. Dal Roero alle Langhe, dall’Alto Piemonte al Monferrato, dall’Alto Canavese finanche alla Valtellina non mancava nessuno (o quasi).

Si può seguire l’istinto e la curiosità, con il privilegio di poter bere in scioltezza, perché non c’è stato un solo banco d’assaggio che non abbia riempito il calice di emozioni palpitanti. Che fosse Barbaresco, Sizzano, Lessona, Boca, Valtellina, Barolo o altro, il comune denominatore di ogni assaggio è stato sempre e comunque la insostenibile eleganza del Nebbiolo. Non nomino nessuno…perché dovrei in realtà nominarli tutti! Però la verticale del Barolo Bricco San Pietro che ci ha offerto Anna Maria Abbona ve la devo raccontare. Nel confronto tra i millesimi 2015, 2016, 2017 e 2018, la degustazione verticale (dalle annate più giovani alle mature o viceversa) è sempre un viaggio infinito nell’incomparabile. Una sequenza di racconti che si intrecciano e si dividono senza mai incontrarsi realmente. Vini che si somigliano alla stregua in cui si somigliano i fratelli e le sorelle. Per quanto condividano lo stesso DNA non si può prevedere il futuro di uno basandosi sulle caratteristiche e le performance dell’altro. Figli di annate diverse: ognuno una nuova sfida e per ognuno una nuova scelta.

Il vignaiolo lavora tanto, patisce tanto, ma per fortuna non si annoia mai. Ognuno di questi vini vive e rifulge di luce propria e a nulla vale paragonare la forza prorompente della giovinezza con il fascino ammaliante di una personalità più evoluta. Sono aspetti profondamente diversi della stessa bellezza, che non possono e non devono essere estrapolati dal contesto e dal momento dell’incontro. Devo ammettere, senza alcuna volontà di scherno, che ho sorriso in silenzio ascoltando le divagazioni di un neo-sommelier di turno, nel tentativo di raccontare la storia di questo Barolo come una sorta di “verità assoluta” con aria da saccente come ne esistesse una sola e non quattro distinte e separate! C’è stato un tempo in cui sono stata anch’io una giovane Sommelier certo, ma già allora preferivo degustare in silenzio ed ancora oggi lascio la voce soltanto al vino ed a chi lo produce. Ascoltando le loro storie imparo qualcosa di nuovo e, soprattutto, me ne torno a casa con qualche amico in più nel cuore! Chiudo la lieve parentesi da “maestrina bacchettona” ed anticipo invece una grande novità: La Guida di Nebbiolo nel Cuore – Vademecum per l’appassionato, il degustatore, il viaggiatore. Sarà una guida digitale, sempre aggiornata in tempo reale e fruibile attraverso una specifica APP. La prima guida completa ed esaustiva sul Nebbiolo, organizzata per valorizzare le molteplici declinazioni e le tipiche espressioni territoriali del nobile vitigno. Un supporto smart per i viaggiatori enoici.

Approfondire la conoscenza dei vini, e visitare i luoghi del Nebbiolo non sarà mai così semplice, con tutte le informazioni utili digitalizzate alla portata di ognuno e facilmente consultabile grazie ad una esperienza utente progettata ad hoc. Infine, una menzione speciale la do all’Arneis, vitigno a bacca bianca originario del Roero che in passato veniva coltivato ai margini delle vigne di Nebbiolo perché il suo forte profumo attirava sia gli uccelli golosi che gli insetti. Devo confessare che i pochi assaggi del passato non mi avevano entusiasmata, ma mi sono dovuta ricredere. Intenso e floreale, appaga i sensi e consola il cuore. Voglio più Arneis nel mio futuro! Con la partecipazione di 50 cantine, oltre 300 etichette in degustazione e circa 1.500 visitatori, equamente distribuiti nelle due giornate, la IX edizione di Nebbiolo nel Cuore ha battuto tutti i record a dimostrazione del fatto che l’amore per questo nobile vitigno non solo è eterno ma anche contagioso. Per quest’anno è tutto, alla prossima edizione!

La lista completa dei produttori presenti la trovate qui: https://www.nebbiolonelcuore.it/i-produttori/

“AGER FLUENS” di Tenute Bianchino: un nuovo modo di raccontare la storia dell’Ager Falernus

La Campania è stata sempre Felix? Forse la risposta migliore sarebbe: a tratti. In realtà, ripensando attentamente alle problematiche vissute in tempi non lontani (l’immediato dopoguerra tanto per intenderci), l’orizzonte dei vini locali è stato alquanto nebuloso. Foschie a parte, da qualche anno si assiste ad una sorta di riscatto nazionàl-popolare al quale non possiamo che rendere l’onore giornalistico delle penne affilate di una volta. Il luogo del primo sigillo di qualità, il “Pitaccium” di due millenni orsono, o del celebre vino Falerno rievocato sulle tavole delle antiche osterie, sembra finalmente tornato ai fasti dell’Impero Romano. Sarà vero? Anche qui preferiamo rispondere: a tratti! Di sicuro è stato notevole lo sforzo compiuto dal Consorzio VITICA, Consorzio Tutela Vini Caserta per le D.O.C. Aversa, Falerno del Massico e Galluccio delle I.G.T. Terre del Volturno e Roccamonfina. Parimenti fondamentale il lavoro di piccole realtà in crescita, come quella di Tenute Bianchino guidata da Concetta (“Titti” per gli amici) Bianchino e dal marito Armando. A completare il quadro l’interesse di figure professionali illustri come l’enologo Angelo Valentino, a dare supporto ed imparzialità per uno stile che rappresenti unitamente territorio e varietali.

Sin qui tutto bene si direbbe; eppure sembra, in colui che scrive, che manchi ancora quel quid per svoltare definitivamente il passato. I tempi dell’Ager Falernus devono essere necessariamente superati. Memoria sì, a patto che sia di breve termine e non un legaccio con tradizioni ormai scomparse. La realtà delle cose richiede maggiori investimenti in tecnologie e qualità. Fare vino può essere facile, ma chissà se avremmo davvero gradito una tazza di quello proveniente dai tempi di Ottaviano Augusto, dal sapore acidulo, misto a spezie e miele pure allungato con acqua di mare. Oggi per fortuna siamo lontanissimi da quei metodi, ma resta comunque il fatto che non ci si improvvisa viticoltori. Al di là degli affetti, ben 26 aziende imbottigliatrici in un areale composto appena da 5 Comuni danno l’idea di un numero alquanto sproporzionato. In mezzo le classiche lotte campanilistiche, che in Italia non mancano mai, e che impediscono alle nuove leve di unirsi e darsi forza l’un l’altro. Doppiamente bravi, quindi, Titti ed Armando a crederci dal 2010 dopo la bonifica dei poderi, valorizzando uno dei vitigni autoctoni che alberga in tali lande da almeno da un paio di secoli: il Primitivo. Lo fanno presentando il futuro, chiamato “Ager Fluens”, con un’etichetta dall’elegante veste grafica realizzata da Giuseppe Mascolo di Marasma Studio. Lo fanno con una cantina modernissima e tanta sostanza nel curare le uve di una sottile vigna singola per bottiglie quasi da collezione. Piante ultracentenarie cresciute su suoli sabbiosi adatti alla coltivazione pre-fillosserica a piede franco. La vicinanza al mare ed al vulcano spento di Roccamonfina hanno regalato una combinazione di elementi ed una tessitura tale da impedire la diffusione del temibile parassita.

“Ager Fluens” Campania Rosso I.G.T. Primitivo 2019 ha il carattere ed il fascino di un prodotto in vecchio stile, ma con le movenze delicate dell’era moderna. Frutta densa e scura tra visciole e mirtilli maturi ed un finale balsamico di erbe officinali e mirto. La scia minerale allunga il passo e veicola con sé una spezia profonda e piccante, dai riverberi di pepe verde. Nella trama tannica si ravvisa la sua gioventù dall’ottima prospettiva e fattura, che lo rende un vino godibile da subito ed adatto altresì all’invecchiamento. La presentazione alla stampa ha visto gli interventi, tra gli altri, del Presidente A.I.S. Campania Tommaso Luongo, del Delegato A.I.S. Caserta Pietro Iadicicco e della giornalista Antonella Amodio in veste di moderatrice.

Team Costa del Cilento Incontra lo Chef Terry Giacomello

Proseguono gli incontri didattici organizzati dal Team Costa del Cilento e finalizzati all’alta formazione per professionisti o semplici appassionati di cucina; un’occasione unica di poter apprendere le tecniche di alcuni tra gli Chef più importanti e famosi del panorama. È la volta di conoscere Terry Giacomello impressionante curriculum in termini di esperienze internazionali ed autentico istrione. Terry è un rivoluzionario della materia prima, ama scomporla e ricrearla ad immagine e somiglianza dei suoi artistici piatti. Tanto studio, passione ed amore per gli ingredienti, sempre nel rispetto del territorio e della stagionalità. 

Le sue preparazioni seguono quanto studiato in Spagna, dietro i fornelli di Ferran Adrià il “Re” della cucina molecolare. Eppure le vere origini di Chef Giacomello si sentono nel suo stile inconfondibile. La semplicità resta il faro luminoso su cui puntare, anche nelle preparazioni estreme, avendo ben chiaro il nostro “essere italiani” e con una sana invidia per quante eccellenze gastronomiche offra il Meridione. Proprio da qui parte il racconto video per 20Italie, grazie alla collaborazione con Matteo Sangiovanni presidente dell’associazione e chef executive del ristorante Le Radici a Battipaglia.

Rudi Bindella: dalla Svizzera al suo amore per la Toscana

Arrivando alla Tenuta Vallocaia, adagiata su un poggio che guarda la Val di Chiana e la Val d’Orcia e abbracciata dalle splendide cittadine di Cortona e Montepulciano, si capisce subito che si tratta di un bel posto, in ogni senso. I paesaggi morbidi delle colline toscane, l’architettura della cantina moderna ma accogliente, perfettamente integrata con l’ambiente circostante, la cura di ogni particolare senza essere impersonale o artefatto, confermano tale impressione.

La tenuta Vallocaia dall’esterno – photo credits Alessandro Moggi

Quando Rubi Bindella, attuale proprietario, accompagnava il padre nei suoi viaggi dalla Svizzara in Italia, in giro per grandi aziende vinicole e ristoranti, capì ben presto che l’interesse e l’amore per la Toscana e per le sue bellezze, lo avrebbero rapito prima del previsto. Nel 1971 Rudi vinse una borsa di studio all’Università per stranieri di Perugia e nel 1983 decise di fermarsi a Montepulciano, quando acquistò la tenuta. Oggi è in azienda anche il figlio, Rudi Jr.

Rudi Bindella e Rudi Bindella Jr- photo credits Alessandro Moggi

Imprenditore di successo – le cui attività spaziano oggi dalla ristorazione di alto livello con qualche decina di ristoranti in Svizzera, all’edilizia e all’immobiliare, per un totale di circa 1400 collaboratori – Rudi ha una sua visione, molto semplice ma definita: “la vita è bella”. Con questo credo, porta avanti le proprie aziende cercando di lavorare per abbellire la vita di tutti. “Offrire ambienti esteticamente curati aiuta le persone che li vivono e che ci lavorano a stare meglio”, ci spiega. Come dargli torto! E lo si vede dalla bellezza e dalla cura della cantina di Vallocaia.

Oltre che del bon vivre, del buon vino e bel buon cibo, Rudi è un appassionato di arte: ha comprato il suo primo dipinto quando aveva 16 anni e questa sua passione colora oggi anche gli ambienti della tenuta, rendendola una mostra permanente di opere di ogni tipo e da ogni luogo del mondo.

Vallocaia ha oggi all’attivo 175 ettari di cui 54 a vigneto, 16 di oliveto e una quarantina di seminativi e bosco. La crescita dagli inizi è stata graduale e progressiva (all’acquisto nel 1983 erano 2,5 ettari di vigneto, 10 di bosco e un rudere). Nel 2015 sono iniziati i lavori per la nuova cantina, una struttura interrata e progettata con le più moderne tecnologie di efficienza energetica, utilizzando materiali e colori che ben si sposano col luogo, puntando alla massima funzionalità di ogni reparto, oltre ad un lato estetico sempre curato e mai esagerato. Non ultimo, un profondo rispetto per la natura dirige la produzione vinicola in ogni sua fase, ottimizzando al massimo le risorse a disposizione, in un programma di riciclo addirittura del calore dei frigoriferi e l’utilizzo di pannelli fotovoltaici. Operano inoltre secondo tutti i dettami di un’agricoltura sostenibile e nel pieno rispetto dell’ambiente anche se non in possesso di alcuna certificazione ufficiale.

La zona vinificazione – dominata da grandi serbatoi in acciaio – è estremamente moderna, organizzata e ottimizzata per una eccellente gestione delle uve dove rigore e pulizia sono le parole d’ordine (e l’immancabile tocco estetico con le colonne rosse per dare un punto di colore e calore ad un ambiente che sarebbe, di per sé, molto freddo ed asettico).

La barriccaia, oltre a tutti gli spazi comuni in azienda, non manca della presenza di opere d’arte, quasi a volte far sentire il visitatore all’interno di un museo, piuttosto che in una cantina.

Oggi 30 ettari sono destinati alla produzione di Nobile di Montepulciano dove, tra il 2012 e il 2019 è stata realizzata la parcellizzazione dei vitigni, anticipando, di fatto, quella che sarà la nuova tipologia “Pieve” approvata nel 2021 dal Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano e in commercio dal 2024. 180 mila le bottiglie prodotte in totale, di cui 60 mila della Nobile DOCG e il resto ad altre referenze sotto il cappello Toscana IGT. La raccolta delle uve è totalmente manuale. La direzione della produzione – e di tutta l’azienda in generale – è affidata a Giovanni Capuano, originario di Cava de’ Tirreni, ma stabilmente a Vallocaia da oltre 20 anni.

Giovanni Capuano – Direttore Vallocaia

Giovanni e Rudi condividono la stessa filosofia produttiva, con l’intento di studiare e capire il carattere del territorio per trasferirlo quanto più possibile nei loro vini, affinché siano riconoscibili, identitari e ambasciatori di Montepulciano. Attraverso tre “mini verticali” delle annate 2015-2018-2019 abbiamo potuto conoscere dettagliatamente le tipologie dei Nobile rappresentativi di Vallocaia:

Vino Nobile di Montepulciano Bindella (annata, da blend di vigneti)

Vino Nobile di Montepulciano Quadri (cru)

Vino Nobile di Montepulciano Vallocaia (Riserva)

La precisa segmentazione dei suoli di ogni vigneto racconta in maniera inequivocabile le differenti tipologie di Nobile e proprio qui sta la forza di Bindella. Il Sangiovese (localmente detto Prugnolo Gentile) non può dare gli stessi risultati su terreni differenti. Per il Bindella (Nobile annata) si attinge ai vigneti posti su sabbie della Valdichiana di diversi colori (i più recenti risalgono a un milione di anni fa), da zone palustri prosciugate, mutate in terreni sciolti che si ritrovano in vini sottili, taglienti e fini al sorso, ma dagli intensi profumi. Blend di Sangiovese (minimo 85% come da disciplinare) con saldo del 15% circa tra Canaiolo (principale responsabile dei profumi, specie speziati), Colorino e Mammolo.

L’annata 2015 è ricordata come un’ottima vendemmia, dal clima caldo, secco e molto soleggiato con un unico aspetto negativo dato da alcune grandinate in giugno e luglio compromettendo alcune parcelle vitate. Ne derivano vini piuttosto intensi per colore e sostanze estrattive, medi livelli di alcool in equilibrio con un tessuto tannico ben strutturato.

Bindella 2015 si svela sui toni dei frutti rossi maturi in armonia con un manto di erbe aromatiche e balsamiche, rendendo il sorso pieno e di una piacevole freschezza gustativa. L’affinamento in botti grandi di solo rovere francese dona eleganza e profondità.

La 2018 ha inevitabilmente un altro passo, mostrando accenni di sottobosco e frutti meno concentrati dovuti ai grappoli più grandi e di conseguenza dalle sostanze più diluite. Le fasi fenologiche nella stagione sono state per forza di cose in ritardo in base alle media stagionale, a causa delle ripetute precipitazioni che da fine inverno si sono protratte fino al mese di luglio, non consentendo ai suoli di asciugarsi e quindi riscaldarsi in modo appropriato, limitando nelle piante l’assorbimento dei sali minerali. Il clima favorevole di settembre e ottobre ha fortunatamente consentito di raggiungere la piena maturazione dei frutti, portando nel calice un Nobile 2018 dalla delicata espressione del varietale in un corpo senza spigoli, per un vino che non ha bisogno di essere atteso a lungo, ma si che apprezza oggi stesso per la sua immediata freschezza e bevibilità.

Nel 2019 si cambia nuovamente registro dove si parla di vini di grande qualità. Due sono stati i periodi di intense piogge tra la primavera e l’autunno mentre il resto dell’anno – specie nel cruciale periodo giugno-ottobre – si ricorda come una stagione dominata da un clima secco con brevi ed intensi episodi piovosi (arrivati in momenti provvidenziali ed evitando un eccessivo stress idrico alle vite). Già dal colore rubino luminoso, Bindella 2019 si manifesta nell’intensità floreale nettissima e dai toni concentrati di amarena e lampone, insieme a tocchi rinfrescanti di eucalipto e un finale agrumato di grande piacevolezza.

Quadri è figlio di una parcella argillosa da terreni pliocenici, ricchi di calcare, che regalano struttura ed intensità cromatica ai vini. Dalle vigne poste a circa 360 mt slm., per questa selezione si utilizzano solo uve Sangiovese che non ha bisogno di aiuti per struttura e colore, caratteristiche che gli arrivano in maniera del tutto naturate dei terreni su cui cresce. La produzione media è di circa 13 mila bottiglie all’anno, passando da 6 a 20 mila bottiglie a seconda dell’annata. La differenza può essere davvero molto significativa in termini di quantità, ma la scelta delle uve è decisamente selettiva, tanto che si è deciso di usarle solo per il Nobile, non declassando un parte di materia prima, eventualmente, per la produzione di Rosso di Montepulciano, ma rinunciando completamente all’utilizzo dei grappoli non idonei.

Tra le 3 annate degustate, la 2015 sfuma su toni aranciati e parla di bosco, frutti neri essiccati e maturi, more e prugne, funghi e foglie bagnate, dando spazio anche a delicate note tostate di cacao e caffè ed accenni di cera. Il sorso è composto e sorretto da tannini in riga e ben integrati, chiude balsamico in una scia di scorza d’arancia. Di contraltare, anche qui nel millesimo 2018 si riscontra chiaramente l’annata molto diversa e un po’ più “snella” ma non meno interessante. L’acidità resta protagonista di ogni vino aziendale: in questo calice spiccano più i richiami al floreale scuro di viola, ai frutti rossi sotto spirito dal sorso scorrevole, in un finale di media lunghezza. Anche in questo caso, bevilo oggi e apprezzane la piacevolezza. Quadri 2019 spinge su fragole e ribes, note floreali fresche e profumate con una struttura tannica integra e graffiante. Chiude in lunghezza con un ottima sapidità e il richiamo a qualche anno di bottiglia per integrare al meglio le parti, godendone ancora di più in futuro.

La Riserva Vallocaia nasce dalle storiche dalle terre rosse di Montepulciano, argillo-sabbiose e ricche di ferro e manganese. Va da sé che nel calice si ritrovano la complessità e la struttura date dalle argille e i variegati profumi delle sabbie. Circa il 95% di Sangiovese e un accenno di Colorino compongono il blend del Nobile di Montepulciano Riserva.

Le terre rosse dei terreni per la Riserva Vallocaia

L’annata 2015 ritrova nella Riserva ancora la vivacità del rosso rubino intenso. Il naso è monolitico, compatto e complesso di rose rosse e viola, ciliegie e mora mature, foglie di mirtillo e lieve tostature arricchiscono il bouquet. In bocca è ampio e dalle sfumature balsamiche, slanciato con il frutto al centro bocca, guidato da un tannino che accarezza il sorso. Chiude a lungo su note sottili di cacao. La vendemmia 2018 conferma una carattere più morigerato, quasi timido su accenni di piccoli frutti e zest di arancia, comune denominatore degli assaggi fino a qui raccontati. La spinta acida dona dinamicità al sorso. 2019 è la compiutezza del Nobile nella sua forma migliore: grande protagonismo del Sangiovese perfettamente maturo e croccante, nota smoky che lo rende accattivante in un sorso strutturato e sapido, succoso e fresco, dove il tannino tipico del vitigno conduce le danze e guida il vino verso l’evoluzione in bottiglia. Riassaggiare tra 3/5 anni quando potrà regalare ancora maggiori soddisfazioni!

Chiacchierando con Giovanni, io gli altri colleghi della stampa presenti, gli abbiamo chiesto di scattare una fotografia sull’attuale situazione della denominazione e di abbozzare una previsione a breve-medio termine. Conviene con noi che il Nobile di Montapulciano è un vino che negli ultimi 10 anni ha un perso un po’ della sua identità, a causa della forse troppa libertà di produzione data dalle modifiche apportate al disciplinare dal 2010, permettendo un utilizzo maggiore di varietà di uve (fino al 30% di tutte le varietà coltivabili in Toscana, internazionali inclusi) creando grande confusione tra produttori e consumatori. Il maggior numero di ettari iscritti a Nobile è nelle mani di imbottigliatori di una cantina sociale, aumentando così la difficoltà di far crescere il livello di apprezzamento del Vino Nobile nel mondo. Last but not least, la variegata differenza di prezzi per una stessa tipologia di etichetta, quasi senza controllo. L’impegno di Bindella Tenuta Vallocaia nella valorizzazione del Vino Nobile di Montepulciano è significativo, soprattutto in questi anni in cui molti si chiedono in che direzione stiano andando il Consorzio e la denominazione, adesso che si va verso l’istituzione delle menzione geografiche aggiuntive con le “Pievi” e la restrizione all’utilizzo di soli vitigni autoctoni per la produzione del Nobile.

In Valle Aurina, c’è aria di festa. Il Natale è alle porte

All’Alpenpalace Luxury Hideaway & Spa Retreat, in Valle Aurina, c’è aria di festa. Il Natale è alle porte ed è tutto pronto per festeggiare tra profumi di cannella, tazze di vin brulè e di succo di mela calda da sorseggiare davanti al camino, avvolti in una calda coperta di lana. E, poi, nella SPA, esperienze personalizzate fra trattamenti per lui e per lei e percorsi con i Maestri Aufguss, che si abbinano a programmi rigeneranti e defatiganti personalizzati per gli ospiti più esigenti.


In tutta la Valle poi non mancano momenti da vivere in outdoor con itinerari sugli sci, con skipass gratuiti a dicembre e, per gli ospiti dell’Alpenpalace Luxury Hideaway & Spa Retreat anche a gennaio, ciaspole e slittino. Circondati dalle montagne che si proiettano verso il cielo fino a sfiorare le nuvole e dove la neve fa rima con benessere. Qui è facile ritrovare la serenità e la pace interiore nei boschi, tra cascate e angoli suggestivi. E, infine, calendario ricco di eventi per la Valle più a nord d’Italia.

L’inverno è alle porte e all’Alpenpalace Luxury Hideaway & Spa Retreat c’è voglia di neve e l’aria natalizia sembra pronta a entrare nella vita degli ospiti e a colorare gli ambienti dove godersi dolci emozioni in totale relax davanti al caminetto sorseggiando una cioccolata calda con della piccola pasticceria, una fumante tazza di vin brulè o un profumato drink a base di succo di mela caldo, rilassandosi coperti da morbide coperte e con il sottofondo di canti e di musiche natalizie. Per chi ama le esperienze in outdoor, non mancano momenti speciali con le eleganti luminarie nel grande parco, gli abeti addobbati, i piccoli oggetti disposti qua e là, le fiaccole accese durante le serate con qualche stella da rimirare, magari immersi nella piscina a 33°C in mezzo al giardino con i vapori che creano un’atmosfera fiabesca. E poi, ancora, pupazzi in pannolenci, buffi animaletti, folletti del bosco e candele ovunque per assicurare l’atmosfera magica. Tutto questo è il benvenuto prenatalizio della famiglia Mairhofer nel cinque stelle lusso della Valle Aurina.
Il mood della prossima stagione invernale è decisamente di carattere e all’Alpenpalace Luxury Hideaway & Spa Retreat parte con la giusta grinta e tanta voglia di concedersi una vacanza tra divertimento, relax, sport e cibo gourmet.



L’Alpenpalace Luxury Hideaway & Spa Retreat, offre un’atmosfera di gran classe dove l’ospite è al centro e tutto viene proposto per esaudire ogni desiderio. Un parco di 30.000 m2, isole relax, una terrazza panoramica con vista sulle montagne, trattamenti spa esclusivi e un servizio internazionale. Le camere e le suite sono dei piccoli gioielli di stile, dove il legno è un’essenza complementare dell’esperienza e il panorama circostante è capace di lasciare chiunque senza parole. Puro relax nella sua SPA Alpin: è il luogo perfetto per perdersi nei numerosi percorsi di benessere offerti per un’esperienza rigenerante e tonificante. Tra i trattamenti il bagno alla lavanda che con le sue fragranze naturali, con un effetto rilassante sui muscoli e sul sistema nervoso o la coccola alle erbe della valle, dalle proprietà curative, da provare in sauna con una temperatura di 55°C capace di eliminare le tossine. Nella lista “benessere” proposta agli ospiti, un trattamento romantico: il profumato bagno alle erbe con il benefico massaggio parziale rilassante e un bagno aromatico a scelta, il tutto accompagnato da un flûte di champagne a lume di candela. e, poi, i rituali di bellezza con i Maestri Aufguss proposti con diverse essenze, per sentirsi vere principesse e ritrovare il benessere per il corpo e la tranquillità della mente.A tutto ciò non deve mai mancare la magia del silenzio che si riscopre passeggiando nei boschi, una magia da scoprire nelle tante attrazioni proposte in Valle Aurina.  E, per chi vuole ancora provare emozioni d’antan, anche un giro in carrozza per raggiungere la Valle e ammirare i punti più caratteristici. Agli sciatori è riservata un’offerta: per il mese di dicembre, esclusi i quindici giorni tra Natale e Capodanno, gli skipass in Valle Aurina saranno gratuiti, per gli ospiti dell’Alpenpalace la promozione varrà anche per il mese di gennaio.


Gli eventi invernali della Valle Aurina sono davvero numerosi da poterli elencare tutti. L’Alpenpalace propone una visita alla “Foresta Incantata” a Cantuccio nei pressi di Campo Tures: 1 km di sentiero illuminato da luci per ammirare lo spettacolo naturale della cascata ghiacciata dove i giochi d’acqua creano il volto di Cristo scolpito in pietra e chiamato il “Capo di Cristo“. E, poi, una visita al “Museo della lana” di Campo Tures  dov’è possibile osservare all’opera chi ancora fila la lana di pecora secondo gli antichi metodi e dov’è anche possibile acquistare soffici e caldi capi d’abbigliamento.
Non ultimo, il museo dei Presepi ‘’Maranatha’’ a Lutago con un’area espositiva che non ha eguali e dove i visitatori possono ammirare presepi provenienti da tutto il mondo e realizzati con i più originali dei materiali; a dare il benvenuto ai visitatori una raffigurazione in scala di Castel Tures come presepe di cavalieri.


Infine sabato 3 dicembre dalle 18, a Campo Tures, tornano i “Krampus” con le loro “spaventose” maschere in una sfilata che è ormai una tradizione e che simboleggia la vittoria del bene sul male, dove i diavoli si impossessano delle strade del paese che diventa un vero e proprio crocevia per i Krampus dell’intera regione. Un’occasione per conoscere e vivere appieno le affascinanti tradizioni della Valle Aurina.