Dalla castagna può nascere un fiore

La parafrasi della canzone dolcissima di Sergio Endrigo, tanto amata dai bambini, è l’incipit ideale per parlare di un frutto caro ai nostri ricordi d’infanzia. Ci vuole un fiore anche per creare una castagna, che rappresenta il seme del castagno; una pianta forte all’apparenza, fin quando non venne assalita da un turista poco gradito: il Cinipide Galligeno (Dryocosmus Kuriphilus Yasumatsu).

Questo piccolo insetto proveniente dall’Asia, ha letteralmente messo in ginocchio i coltivatori castanicoli e, per quasi un decennio, il rischio di veder azzerata per sempre la produzione agricola delle castagne è stato più che concreto, salvato dalle scoperte recenti in campo di lotta antagonista integrata. Ancora una volta la mano dell’uomo riesce a rimediare ai danni immani provocati da se stessa, quando la mancanza di controlli e le pratiche errate portano alla distruzione un intero comparto merceologico.

Rialzare la testa per gli attori in gioco è stato un atto di profondo eroismo. Il dimostrare la voglia di riscatto e l’orgoglio d’appartenere a territori ancora selvaggi e aspri, dove la natura regna incontaminata lontana dai clacson e dell’inquinamento urbano. La nascita del Consorzio Distretto della Castagna e del Marrone della Campania che raccoglie tra le sue fila oltre 400 coltivatori regionali, 4 IGP e 10 PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani), ha fatto da necessario supporto e sostentamento alle idee positive per la tornare a primeggiare nel mondo.

Le castagne vengono, infatti, raccolte anche in Portogallo, Albania, Turchia e persino Cile, ma solo le nostre ricevono gli apprezzamenti degli americani, devoti alla perfetta farcitura del tacchino durante il giorno del Ringraziamento. Ecco la motivazione principale dell’ingente quantitativo di prodotto esportato, di cui meno del 20% resta in Italia per il consumo interno. Irpinia, Roccamonfina, Cilento con Roccadaspide e persino la Costiera Amalfitana sono ormai capisaldi importantissimi, ricchi di varietà diverse che si prestano agli usi richiesti dalla clientela privata e dalle industrie di trasformazione.

La vita di un castagno è pressoché infinita, arrivando a superare, in certi casi, i due secoli senza particolari difficoltà. A patto di non incontrare lungo la strada il temibile parassita, capace di deporre le proprie uova nelle giovani gemme primaverili e distruggerle con cicatrici indelebili a forma di cisti non più fertili. Eppure dopo il periodo buio, cui è seguito uno strascico causato dalla debolezza delle piante che soffrivano maggiormente di marciumi e altre malattie, l’ecosistema ha definitivamente vinto giungendo ad una nuova forma d’equilibrio dove interagire.

Il press tour organizzato dall’Agenzia di Comunicazione Miriade & Partners comincia da qui, dal dolore verso la speranza ed il sorriso. Dall’angoscia per il futuro ad un nuovo orizzonte ove prendersi per mano e camminare tutti insieme uniti in un solo destino. Perché i frutti della nostra Castanea Sativa godono di una texture particolare, tenace, che consente una corretta curatura, il procedimento di ammollo utile alla conservazione e successivo utilizzo delle castagne stesse. Una piccola sosta da Olio Basso che dal 1904 valorizza il made in Italy dell’Olio Extravergine d’Oliva di alta qualità e dalla cantina Villa Raiano con le sue deliziose espressioni di Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi, per ripartire verso il vasto mondo dei castagneti, che fungono presidio, contro frane e deforestazioni.

Dove c’era un castagno ci sarà sempre un altro castagno e così per secoli. Anche qui, come per la viticoltura, si possono realizzare sul campo vere e proprie selezioni clonali, per avere la miglior varietà nel contesto in cui crescere. E poi ci sono le tradizioni storiche, secolari, che narrano di coesione sociale, di famiglia e di aiuto ai più bisognosi. Quasi ovunque lungo il Distretto campano, la raccolta cessa il 1 novembre e dal giorno dei morti i ricci ancora a terra od in cima all’albero sono messi a disposizione della popolazione. Un retaggio del passato che significa lasciare del cibo per chi non poteva permettersi il pane. Con la differenza che la farina di castagne è adatta alle diete per celiaci, priva di sostanze allergeniche ed abbondante invece di tannini utili ai processi antiossidanti e di zuccheri complessi a lento rilascio glicemico.

Il prof. Antonio De Cristofaro, presidente del Consorzio Distretto della Castagna e del Marrone della Campania esprime la sua soddisfazione nel leggere i numeri in forte crescita del settore. Ci si è riavvicinati a quota 700 mila quintali, il livello prima dell’avvento del Cinipide asiatico e nonostante il cambiamento climatico ostile per le temperature eccessivamente elevate in fase di maturazione, attualmente soffrono solo i castagneti in bassa quota, in percentuale ancora trascurabile.

Roberto Mazzei, direttore del Distretto, ci conduce tra alcune realtà irpine, come Agricola De Maio produttore del Marrone di Santa Cristina e la Cooperativa Agricola Castagne di Montella, dove Maurizio Grimaldi ci spiega la caratteristica della pezzatura basata sul calibro e sul numero di frutti per chilogrammo. La castagna va sempre bagnata, non soltanto per ammorbidirla, ma per sviluppare la fermentazione e polimerizzazione dei tannini resi meglio digeribili dal corpo umano.

Perrotta apre le sue porte all’antica lavorazione della castagna del Prete nei gratali, strutture in verticale inframezzate da grate di legno ove far filtrare il fumo per essiccare le castagne riducendone il loro contenuto in acqua di ben l’85% prima di essere tostate a forno e bagnate ad immersione o a spruzzo. Sapore facilmente riconoscibile con quel tipico accenno affumicato tanto goloso e duttile negli abbinamenti gastronomici.

Diversificando i prodotti, aiutati dalle tecniche alimentari della trasformazione, si garantisce ai dipendenti di lavorare ininterrottamente per tutto l’anno, contrastando il fenomeno erosivo dell’emigrazione dalle campagne. L’azienda Agricola Malerba Castagne, dal 1862, è stata la pioniera in tal senso, arrivando persino alla produzione della birra di castagne in tre versioni IGA.

Spostandoci a Roccamonfina (CE) il discorso non cambia: Carlo Montefusco, giovane e già esperto sindaco, ci mostra la celebre Sagra della Castagna e del Fungo Porcino di Roccamonfina, un evento diffuso che dura per ben 30 giorni e che consente alle migliaia di visitatori di scoprire un luogo bellissimo, intriso di storia, di cultura e di usanze, devoto all’Ordine dei Francescani e al Santuario di Santa Maria dei Lattani.

Dalla castagna può nascere un fiore e quel fiore rappresenta l’anima di un intero popolo, fiero di esistere e di resistere.

La Reggia di Caserta ha ospitato la terza edizione di Terra di Lavoro Wines

La terza edizione di Terra di Lavoro Wines, l’evento promosso dal Consorzio Tutela Vini VitiCaserta – Vitica – quest’anno ha avuto come cornice d’eccezione la Reggia di Caserta. Il palazzo voluto da Carlo di Borbone e progettato da Luigi Vanvitelli, patrimonio Unesco dal 1997, ha accolto, il 26 e 27 ottobre, la due giorni dedicata ai vini di Caserta. Una scelta non casuale  e neanche legata a pure ragioni di ordine estetico, ma voluta con il preciso intento di fare rete e rafforzare le sinergie tra patrimonio culturale e attività produttive territoriali, ha sottolineato Tiziana Maffei, Direttore della Reggia di Caserta.

Inoltre, nella scelta di questa location, la manifestazione si è aperta al grande pubblico, compreso quello internazionale, come commentato da Cesare Avenia, Presidente di Vitica, nella conferenza stampa di presentazione dell’evento, perché, va ribadito, ancora oggi nello stesso casertano, il consumo di vino del territorio si attesta solo al 15%.

Terra di Lavoro Wines ha dato il via al ricco manifesto di eventi e degustazioni con il convegno Enoturismo: leva dello sviluppo per la DOP/IGP economy della provincia di Caserta, che ha tracciato un quadro preciso della situazione attuale e dei possibili sviluppi per l’enoturismo – non solo nella Provincia di Caserta ma in tutto il territorio campano – con dibattiti e interventi, incluso quello istituzionale dell’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania Nicola Caputo. La Campania, con l’1% della produzione vinicola nazionale, è stata la dodicesima regione a recepire la legge nazionale sull’enoturismo del 2019, attraverso la legge regionale n. 7/2024, che si pone tra gli obiettivi quello di “valorizzare le aree ad alta vocazione vitivinicola della Regione Campania e le denominazioni vitivinicole di ciascun territorio” (art. 1).

Tassello fondamentale per lo sviluppo del territorio in tal senso devono essere i Consorzi di tutela, attraverso cui sono rappresentate le denominazioni, sostenuti anche da apposita legge di bilancio regionale.

A testimoniarne l’importanza Domenico Raimondo, Presidente del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana DOP: nel sistema DOP/IGP economy la provincia di Caserta si posiziona, in termini di valore alla produzione, al primo posto in Campania, al sedicesimo in Italia (Rapporto ISMEA 2023). E a fare da volano per l’economia del territorio è proprio la Mozzarella di Bufala Campana DOP, al quarto posto dopo Parmigiano Reggiano DOP, Grana Padano DOP, Prosciutto di Parma DOP, con un valore di 502 milioni di euro nel 2022 e un incremento di oltre nove punti percentuali rispetto al 2021.

Incisivo anche l’intervento di Leone Massimo Zandotti, produttore di Frascati DOCG  e consigliere FEDERDOC, che ha sottolineato come il vino sia ambasciatore di cultura e dunque la promozione e la diffusione di ogni aspetto legato a questo mondo devono assumere centralità. A tal proposito i consorzi devono rappresentare luoghi di aggregazione e sviluppo. Vitica, costituitosi nel 2004, è  il primo consorzio di tutela vino in Campania riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare nel 2005; attualmente conta 107 associati tra produttori e imbottigliatori. 

Dunque, ruolo di centralità per i consorzi di tutela ed enoturismo come chiave del successo per le aziende vitivinicole campane. Su quest’ultimo punto sono intervenuti anche Maria Paola Sorrentino, in qualità di Presidente del Movimento Turismo Vino Campania e Nicola Matarazzo, Consulente di direzione, ribadendo l’importanza di creare, attraverso una proposta enoturistica solida e preparata, l’aspettativa per attrarre nuovi flussi turistici sul territorio, ma nel contempo, come ribadito da Luciano D’Aponte, dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, per decongestionare con proposte alternative i punti storici e consolidati di attrattiva (i.g. Napoli e la Costiera) in favore di nuovi areali regionali.

Oltre a spazio di confronto e riflessione, la terza edizione di Terra di Lavoro Wines è stata soprattutto una vetrina dinamica del vino e del territorio casertano per giornalisti, appassionati di vino e turisti, con numerose iniziative che hanno animato la manifestazione: dalla presentazione del libro Calici e Spicchi di Antonella Amodio, casertana nel cuore e nell’anima, (ne abbiamo già parlato in un precedente articolo, mentre il collega Gaetano Cataldo ha intervistato l’autrice); al premio in memoria della compianta Maria Felicia Brini, istituito da Vitica e assegnato con numerosi riconoscimenti a chi nel casertano (ma anche fuori) ha saputo dare il giusto rilievo ai vini di Caserta (alla pizzeria I Masanielli di Sasà Martucci di Caserta per la miglior carta dei vini territoriale, al Ristorante Marotta di Squille per il miglior abbinamento, ad Agristor le Due Torri di Presenzano per la profondità di annate e al Ristorante Agape di Sant’Agata dei Goti per miglior carta dei vini fuori dal territorio casertano).

Hanno visto la partecipazione di 380 iscritti le quattro masterclass a cura AIS, in collaborazione con altre sigle del mondo del vino, dedicate all’approfondimento sulle denominazioni del territorio: Aversa DOP Asprinio, Falerno del Massico DOP, Galluccio DOP & Roccamonfina IGP, Terre del Volturno IGP & Casavecchia di Pontelatone DOP.

Non sono infine mancati banchi d’assaggio con la presenza di 170 referenze in degustazione. Una Vigna del Ventaglio alla maniera moderna Terra di Lavoro Wines ma con lo stesso obiettivo ricercato nel 1770 da Ferdinando IV di Borbone, che la fece impiantare a San Leucio: la conoscenza e la valorizzazione dei vitigni e dei vini del territorio.

Nasce il Fora Bina Wine Club

Il mondo del vino non smette mai di stupire. Tra atti d’eroismo, maschere da sub e affinamenti aerospaziali, cercare di ottenere l’attenzione di un mercato avido di colpi sensazionalistici è diventata, forse, l’impresa più difficile. In ballo c’è il mercato delle vendite, che di tanta poesia non ha certo bisogno. Fora Bina Wine Club nasce, in tali contesti, da un progetto degli enologi Christian Gastaldelli e Matteo Castagna, uscendo fuori dagli schemi precostituiti.

Essere “fuori dai binari” (la traduzione letterale del brand), pensare e agire in modo totalmente diverso dalla massa, è una prerogativa essenziale per i due ideatori, con una serie di opportunità anche didattiche pensate per gli appassionati, ricche di contenuti educational, newsletter, eventi dal vivo, eno-tour e produzione di vini a tiratura limitata.

Due enologi in contatto diretto via chat con cui comunicare direttamente, a cui fare domande sui migliori abbinamenti cibo-vino, confrontandosi sulle tematiche più disparate, da seguire durante i corsi di degustazione online o incontrare anche dal vivo, durante gli eventi organizzati in provincia di Verona. Al momento gli enonauti di Fora Bina possono accedere ai contenuti gratuiti, una parte dei quali col tempo diventeranno riservati sottoscrivendo un abbonamento mensile.

Tra i servizi previsti:

  • Produzione di vini a tiratura limitata
  • Degustazioni virtuali
  • Chat dedicata con l’enologo
  • Video corsi e wine educational in esclusiva per i soci
  • Cena di degustazione tematiche con partner del territorio
  • Eventi di degustazione dal vivo
  • Tour guidato dall’enologo

Vini in edizione limitata, che rappresenteranno non solo l’annata, ma anche la scelta produttiva e la valorizzazione del vitigno, che si confermeranno ogni anno come una sorpresa per il winelover curioso, sia per la varietà che per la tipologia. Nel 2024 vengono presentate quattro etichette, un frizzante, un bianco, un rosato e un rosso, mentre nel 2026 l’offerta si arricchisce di un altro rosso da evoluzione, per un totale di circa 6400 bottiglie. 

Sostenibilità nella selezione della materia prima. Le uve vengono acquistate da viticoltori esperti e provenienti da vigneti che rispecchiano l’alta idea di viticoltura: in collina, vicino ad altre coltivazioni come ciliegi e olivi, o boschi. In zone con ecosistemi integri e ricchi di biodiversità, lontano dalle monocolture delle pianure, vigneti dove viene preferito il lavoro manuale e vengono ridotti i passaggi di trattori e mezzi meccanici.

Sostenibilità nella produzione del vino. Le uve selezionate vengono sottoposte ad accurate analisi che garantiscono sicurezza di salubrità. I prodotti utilizzati nelle vinificazioni sono di origine naturale e privi di allergeni. Non vengono utilizzati prodotti di sintesi o chimici (al di fuori del metabisolfito in dosaggi molto bassi). Tutti i vini prodotti sono non chiarificati e non filtrati.
La produzione, lo stoccaggio, il packaging sono effettuati con tecniche e materiali sostenibili volti a ridurre l’impatto ambientale.

Sostenibilità nella gestione aziendale. Per il trasporto delle uve dal campo alla cantina e per i vari spostamenti usiamo un furgone a metano.
La cantina è dotata di impianto fotovoltaico che consente di diminuire l’impatto ambientale ed abbattere i costi e i consumi energetici necessari per le operazioni di vendemmia. E’ stato predisposto un sistema di recupero della CO2 di fermentazione affinché venga riutilizzata per inertizzare le vasche durante i travasi ( operativo dal 2025).

La Degustazione dell’annata 2023

BIANCO:  si parte dalle basi varietali tipiche di Verona: Garganega e Trebbiano.

Un taglio classico per la zona, ma prodotto utilizzando tre differenti vigneti con caratteristiche molto diverse, tanto che vinificati separatamente hanno dato il massimo dalle uve. Un vino bianco fresco, fruttato e con una buona persistenza e struttura. Tre vigneti selezionati con cura, situati in pianura e su colline della provincia di Verona. Molto intrigante l’attacco di bocca, su note citrine ben coadiuvate da essenze officinali e salinità in chiusura. Si sente la verve della Garganega, con i suoi caratteri mediterranei tipici. Un appunto per il futuro potrebbe essere quello di cercare maggior evoluzione e carattere, anche per conferire quella lunghezza di bocca che manca ancora al vino.

ROSATO: nuova lettura del classico Chiaretto di Bardolino cambiandone la varietà. Si è deciso di puntare sul Corvinone come varietà principale al posto della Corvina (come previsto dal DOC Bardolino). Unico appezzamento posizionato ai piedi del monte Baldo, esposizione a sud con vista sul lago. Si tratta di un vigneto terrazzato circondato da pascoli e boschi, senza altre coltivazioni. Il più interessante dei tre campioni, succoso dall’inizio alla fine con quei rimandi ai piccoli frutti di bosco che ci si aspetta da un rosato a modo. Colpisce sia per dinamicità che persistenza iodata.

FRIZZANTE: vino bianco frizzante rifermentato in bottiglia, da Garganega e Trebbiano di Soave con il suo fondo, quindi il vino risulta torbido e con una bollicina molto fine ed elegante. Giocoso e stop. Qui l’acidità resta troppo vibrante, non riuscendo a legarsi a dovere con le nuance polpose regalate dalla particolare tecnica di vinificazione “Pét-Nat”. Un ringraziamento particolare alla comunicatrice Giordana Talamona per avermi fatto conoscere un altro aspetto appartenente all’infinito mondo del vino.

Sito: https://forabina.com/

I “vini subacquei” di Cantine Carputo

Narra la leggenda che Nicolò Pesce detto Colapesce, giovane napoletano originario di Santa Lucia,  trascorresse più tempo nelle profondità degli abissi alla ricerca di tesori sommersi che sulla terraferma. Quando la madre, stanca delle continue assenze del figlio, decise di punirlo con la maledizione “Potessi addiventà ‘nu pesce!”, il corpo del giovane si rivestì di squame consegnandosi definitivamente al mondo marino. Chissà se Colapesce, tra le sue scorribande subacquee, alcune delle quali commissionategli da Federico II di Svevia, avrebbe mai immaginato di trovare anche del vino, non reduce di un naufragio ma volontariamente sommerso.

Cantine Carputo, cantina con sede storica a Quarto (NA), è stata protagonista, lo scorso 24 ottobre, del primo cantinamento sommerso nel braccio di mare antistante Castel dell’Ovo. A occuparsi dell’operazione, partita del Molo San Vincenzo, è la società Megaride Cantine Sommerse di Francesco Lerro, dopo l’autorizzazione da parte del Demanio – nel gennaio 2024 –  ad una cantina sommersa di oltre un chilometro di superficie a 40 metri sotto il livello del mare.

La famiglia Carputo, ci ha spiegato Raffaele, CEO di Cantine Carputo, vuole in questo modo festeggiare il prossimo trentennale di fondazione della cantina che cadrà nel 2025, anno in cui sarà effettuata l’operazione di riemersione delle bottiglie. Sono in via di studio gli effetti che il cantinamento subacqueo ha sul vino: con una temperatura costante tra i 14 e i 15 gradi e l’assenza di luce, in concomitanza con la pressione esercitata dall’acqua sul tappo della bottiglie, sembra si ottenga un rallentamento dei processi ossidativi.

A godere dell’affinamento sottomarino per circa un anno saranno 2000 bottiglie di Falanghina Metodo Classico e 2380 di Rosso Riserva da Piedirosso e Aglianico, vitigni tradizionali dei Campi Flegrei, territorio cui Cantine Carputo è strettamente legata. Bottiglie celebrative per esprimere la doppia anima che da sempre contraddistingue le etichette aziendali: il Sole e la Luna, componenti maschili e femminili della famiglia Carputo, ma pure la dualità degli elementi fuoco – quello del territorio flegreo, la cui etimologia è direttamente legata al verbo greco φλέγω, ardo –  e acqua, quella del mare. L’evento di cantinamento ricade inoltre nell’anno di in un altro importante anniversario, il trentennale della DOP Campi Flegrei, istituita nel 1994.

Da sottolineare anche la valenza sociale dell’evento, svolta in collaborazione con Archeoclub Italia e l’Istituto Penale Minorile di Nisida. A fare da scorta infatti all’intera manifestazione, con un equipaggio di giovani e studenti di archeologia e subacquea, è stata la Motovela della Legalità e della Memoria Marenostrum – Dike, un clipper di 15 metri sequestrato ad attività illecite di traffico di immigrati sulle rotte egee e restituito alla collettività nella sezione Marenostrum di Archeoclub Italia, specializzata in recupero costieri e marittimi; mentre a documentare l’evento con riprese subacquee sono stati i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Nisida che, nel solco di un percorso di legalità e crescita, hanno conseguito brevetto da sub, con una formazione teorica sul patrimonio geologico, ambientale e storico. Una connessione fortemente voluta tra legalità e promozione del patrimonio vitivinicolo.

La degustazione

Al termine dell’evento, al parterre di giornalisti e ospiti presenti è stato possibile degustare i vini oggetto di cantinamento, direttamente nella sede di Cantine Carputo a Quarto. Scopo della degustazione tecnica è stato quello di rilevare le caratteristiche dei due vini prima dell’affinamento subacqueo per poter poi procedere a un successivo confronto alla riemersione, tra circa un anno.

A raccontare Cantine Carputo e i suoi vini sono stati Francesco Carputo, il fondatore, e Antonio Pesce, l’enologo; a condurre la degustazione tecnica, la referente dei Campi Flegrei di AIS Napoli Paola Licci; a moderare la discussione, la giornalista Chiara Giorleo.

Vino Spumante di Qualità Metodo Classico Falanghina Millesimato 2021

Da vendemmia precoce, dopo un affinamento di 4 mesi in acciaio e presa di spuma in bottiglia a gennaio 2022, ha sostato sulle fecce per 30 mesi, con una sboccatura nella prima decade di settembre 2024.

Si presenta con un perlage continuo e persistente, di media finezza. Il naso è delicato con sentori di agrumi, erbette mediterranee e fiori bianchi, attraversati da un lieve sbuffo sulfureo, mentre nuance gessose e di melannurca ritornano con il sorso; è verticale all’ingresso di bocca per poi rilasciarsi in una consistenza cremosa sostenuta da una buona sapidità e da una media persistenza.

Abbinabile a tutto pasto su cucina di mare grazie al residuo minimo post fermentativo e al dosaggio zero.

Rosso Riserva Campania IGT 2020

(60% aglianico – 40% piedirosso)

Blend in uvaggio, con piedirosso al massimo della maturazione; fermentazione per 25 giorni con due délestage; svinatura del solo mosto fiore (resa del 60%) e acciaio per i successivi sei mesi con lievi rimontaggi settimanali. Affinamento in tonneau per 36 mesi e imbottigliamento a giugno 2024.

Il colore rubino presenta ancora un orlo violaceo. Il naso è tipico di frutta matura (ciliegie e prugna), rosa rossa e pepe, con un ritorno di cacao amaro al sorso.Il sorso è pieno e opulento, con un tannino fitto dalle nuance ancora verdi. Chiusura amaricante, di nuovo su cacao in polvere.

Una curiosità: i nomi dei due vini, come pure le etichette, non sono stati svelati nel corso dell’evento. Dovremo avere la pazienza di aspettare i prossimi dodici mesi per saggiare le differenze rispetto allo stato attuale e dare una veste definitiva alle due bottiglie.

Cantine Carputo

Via Viticella, 93

80010 Quarto (NA)

Un viaggio nel cuore del Trentino: la Val di Cembra celebra il Müller-Thurgau

Quando si pensa al Trentino, spesso la mente corre immediatamente alle maestose Dolomiti, ai laghi cristallini e alle piste da sci. Ma c’è un angolo di questa regione che sta emergendo come una vera e propria gemma enologica: la Val di Cembra. E quest’estate, dal 28 al 30 giugno, i riflettori sono stati puntati su questa affascinante vallata per la 37ª Rassegna dedicata al Müller Thurgau. Quest’anno, l’evento è presieduto da Sara Pedri, presidente del Comitato Mostra Valle di Cembra che ha portato energia propositiva all’organizzazione. Al suo fianco, Stefania Casagranda che si occupa, invece, della comunicazione e dell’ufficio stampa

Non sono certo il primo, né sarò l’ultimo, a visitare la Val di Cembra, ma ciò che vorrei trasmettere in questo articolo sono le emozioni uniche che ho provato durante il mio viaggio. Non è sempre facile comunicare ciò che si prova, ma posso affermare con certezza che la Val di Cembra è stata per me un’esperienza ricca di meraviglie, di incontri con persone straordinarie e di paesaggi mozzafiato. E, naturalmente, di vini che stanno crescendo in qualità e reputazione, pronti a lasciare il segno nel panorama enologico italiano e internazionale.

Il cuore pulsante di questa valle sono i suoi abitanti, i Cembrani. Persone autentiche, genuine e accoglienti, che ti fanno sentire subito a casa. Sono loro i custodi di una terra difficile ma generosa, una terra che richiede sacrifici ma che ripaga con frutti preziosi. Mi hanno raccontato storie di fatica e dedizione, di generazioni che hanno modellato il paesaggio con le proprie mani, creando quei 708 chilometri di muretti a secco in porfido che oggi caratterizzano il profilo della vallata.

Questi muretti a secco (oltre 700 km di Patrimonio Unesco) non sono solo un elemento paesaggistico: sono la testimonianza tangibile di come l’uomo abbia saputo adattarsi e plasmare un territorio impervio. La Val di Cembra, infatti, è stata disegnata nei millenni dalle ere glaciali e dal corso sinuoso del fiume Avisio che nasce dal ghiacciaio della Marmolada. Ma è stato l’intervento umano a conferire grazia e armonia ai monti, trasformando pendii scoscesi in terrazzamenti fertili, ideali per la coltivazione della vite.

Ed è proprio qui che entra in scena il protagonista indiscusso di questa rassegna: il Müller-Thurgau, creato alla fine dell’800 dal ricercatore svizzero Hermann Müller, originario del cantone di Thurgau, risultato dall’incrocio tra il Riesling Renano e il Madeleine Royal. Un’uva che trova nei terrazzamenti della Val di Cembra il suo habitat ideale, grazie ai terreni porfirici e alle forti escursioni termiche che caratterizzano la zona.

Ma ciò che mi ha colpito particolarmente è il gruppo di volontari che collabora alle attività del comitato, dedite anche ad attività sociali di inclusione per persone con fragilità. È un esempio tangibile di come il vino possa essere non solo un prodotto da degustare, ma anche un veicolo di valori sociali e di comunità.

Cembra Lisignago si è trasformata in un vero e proprio paradiso per gli amanti del vino. Le eleganti sale di Palazzo Maffei si sono aperte per ospitare degustazioni, masterclass e iniziative volte alla scoperta della valle. È stata un’occasione unica per immergersi completamente nella cultura e nelle tradizioni di questo territorio.

Uno dei momenti più attesi è stata la proclamazione dei vincitori del 21° Concorso Internazionale vini Müller Thurgau. Quest’anno, come nelle edizioni precedenti, l’onore di presiedere la giuria è affidato ad Andrea Amadei. Sommelier professionista, speaker radiofonico di Decanter, volto noto della trasmissione televisiva “È sempre mezzogiorno” di Rai1 e direttore editoriale della rivista “The art of wine”, Amadei è un grande esperto e un affezionato della Val di Cembra.

Ma cosa rende il Müller-Thurgau così speciale? Anzitutto la sua versatilità: fresco e profumato, è il vino ideale per aperitivi e cene estive. In un momento storico in cui l’apprezzamento per i vini bianchi sta crescendo in tutto il mondo, il Müller-Thurgau si presenta come un’opzione particolarmente attraente. Il suo bouquet aromatico, che spazia dai sentori floreali a quelli fruttati, con note di pesca e albicocca, lo rende particolarmente apprezzato dai palati più raffinati.

La produzione in Val di Cembra è un esempio perfetto di come la tradizione possa sposarsi con l’innovazione. I viticoltori locali hanno saputo sfruttare al meglio le caratteristiche uniche del territorio per produrre un vino di montagna di altissima qualità. L’altitudine elevata, che varia dai 400 ai 750 metri sul livello del mare, conferisce al Müller-Thurgau una freschezza e una mineralità uniche. Le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte contribuiscono a sviluppare il bouquet aromatico caratteristico di questo vino.

Ma la rassegna non è solo un’occasione per degustare ottimi vini. È anche un’opportunità per scoprire la ricchezza culturale e paesaggistica della Val di Cembra. Ho avuto il piacere di partecipare a escursioni guidate tra i vigneti, sia di trekking che in e-bike, con iniziative come il trekking “Heroes” tra i vigneti, le passeggiate a ritmo lento con gli alpaca e il tour in e-bike “Cantine in sella”, ma anche provare una delle Esperienze di Gusto proposte dalla Strada del Vino e dei Sapori del Trentino.

Qui ho incontrato Moreno Nardin della Cantina Corvée che mi hanno raccontato la storia della Val di Cembra portandomi tra i filari dei vigneti che sono allevati sulle pendici dei monti, con pendenze da brivido, dove la definizione “viticoltura eroica” calza a pennello. Abbiamo notato le differenze morfologiche del terreno e soprattutto della scelta particolare di allevamento della vite a pergola trentina, in relazione alla quota che varia dai 450 agli 850 metri di altitudine con uno scarto di 400 metri.

Per Moreno il vitigno è lo strumento con il quale suonare la musica e la musica è scritta nel territorio, ovvero il tipo di terreno che cambia quota per quota. E se il vitigno è uno strumento, lui è un musicista bravissimo perché i suoi vini suonano veramente bene. In basso si trovano le piante come l’olivo o il leccio, mentre in alto le conifere e questa diversità dimostra che ogni quota è adatta alla pianta che più si adatta ad essa. Così qui troviamo più in basso il Pinot Nero, nella fascia media intorno ai 500 metri, lo Chardonnay e dai 600 in su fino agli 850 metri il Müller Thurgau, il re della Val di Cembra. I suoi vini sono la perfetta riproduzione di questo territorio e rappresentano un trekking virtuale tra i 15 ettari di viti salendo dai 400 ai 560 metri con i vini Rosbatù, Cór, Àgole, Passocroce, Quaràs e Corvàia, a base di Lagrein, Pinot Nero, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Chardonnay. La linea 500 – 600 metri è rappresentata dai vini Metodo Classico Trento DOC Brut, Nature e Rosé.

A seguire la cena al Ristorante Cá dei Vòlti preparata dai ragazzi della Associazione Il Grillo, comunità ristorante che ha come obiettivo la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro di ragazzi con fragilità. Un buffet vario e gustoso con degustazione di piatti tipici e dei vini dei produttori cembrani. Anche se l’acqua in genere non viene considerata nelle degustazioni, riveste però un ruolo molto importante per pulire la bocca e prepararla a nuovi assaggi. Anche le acque hanno proprietà minerali e organolettiche differenti in base alla sorgente da cui provengono.

Uno degli aspetti interessanti nel mondo della enogastronomia è quello dell’acqua dalle qualità straordinarie, l’acqua minerale della Sorgente Cedea, l’unica con un ph di 8,1, che la rende un’acqua vellutata e leggera. La serata è proseguita con degustazioni libere di vini e serata musicale “Vinyl Selection” con Dj MAX T con bella musica e ballando fino a tarda sera.

Il mattino seguente, per smaltire la serata brava, ci siamo cimentati in una delle attività più attese cioè il trekking enogastronomico “HEROES”, che ci ha portato attraverso i vigneti alle piramidi di Segonzano, culminando in un pranzo tipico presso il Chiosco Alle Piramidi. Durante il percorso oltre ad aver ammirato le famose piramidi, che non sono quelle egizie ma bensì delle formazioni naturali che solo in rari casi possono manifestarsi, a seguito di fenomeni geologici tipici dei sedimenti porfirici, abbiamo potuto degustare alcuni vini cembrani e prodotti locali, con una sosta alla Cantina Barone a Prato con la degustazione dei loro vini.

E poi, infine, lo spazio “Fuori di Taste”, dove nelle serate di venerdì e sabato ci siamo divertiti alla follia, complici i calici di vino, con tanto di accompagnamento musicale, la cena lungo il viale, arricchita da uno spettacolo di danza a cura della scuola Ritmomisto, e il corner dedicato agli amanti dei distillati e del bere miscelato, dove il bartender Leonardo Veronesi ha proposto inediti cocktail con la grappa protagonista.

Qui merita un approfondimento la distilleria di Bruno Pilzer Vicepresidente Istituto Tutela della Grappa del Trentino,che produce distillati molto interessanti. Una distilleria a conduzione familiare con il padre che inizia nel 1957 con molte difficoltà fino a quando la conduzione è passata a Bruno che con l’aiuto del fratello ha messo su una azienda che sta riscuotendo un grande successo. L’impianto è rappresentato da due alambicchi discontinui a bagno maria, che dal 2001 ad oggi ha subito alcuni cambiamenti. Le tecniche di distillazione provengono dagli studi fatti dall’Università di Padova e quella del bagno maria rappresenta per Bruno, una metodica più versatile che rispetta la materia prima e consente di avere un ottimo prodotto finale conservando gli aromi tipici delle vinacce utilizzate. Liquori e grappe di grande finezza ed eleganza con una varietà che va dalle grappe morbide, alle invecchiate in barrique, al Gin, Rum e Brandy. Tutti rigorosamente conservati in bottiglia di grande stile e bellezza.

E-bike tour “Cantine in sella”: Un viaggio tra vigneti, vini e tradizione nella Valle di Cembra

Una giornata tra natura, storia e sapori unici, tutto questo è stato “Cantine in sella”, l’e-bike tour che ha portato appassionati e curiosi a scoprire tre cantine della meravigliosa Valle di Cembra, pedalando tra vigneti e paesaggi mozzafiato.

Al mattino, dopo una breve preparazione, il gruppo era pronto per partire. La prima tappa è stata Cantina Villa Corniole, forse la più suggestiva della valle. Situata tra le montagne, i suoi locali sono scavati nella roccia viva, regalando una visita che va oltre il semplice assaggio di vini: è un’esperienza sensoriale e culturale. Il tour è iniziato con il Salìsa, un Trento DOC Dosaggio Zero, per poi proseguire con il Müller Thurgau Kròz Bianco e concludere in bellezza con il Sagum Pinot Nero. Tre vini che hanno catturato le caratteristiche uniche di questo territorio, valorizzandone il terroir.

Da lì, la pedalata è continuata giù per la vallata, attraversando pittoreschi paesini con le tipiche chiesette trentine dai campanili a guglia e case adornate da balconi fioriti. Il verde dei vigneti e le ripide salite e discese ci hanno accompagnato fino alla seconda tappa: la Cantina MOS a Lisignago, gestita da Luca e Federico, giovani produttori che rappresentano una realtà artigianale quasi da “vigneron de garage”. Qui, su un ettaro e mezzo di terreno, coltivano cinque diverse varietà di uva: Chardonnay, Riesling Renano, Schiava, Müller Thurgau e Pinot Grigio. Tra i vini proposti, il Murpiani Bianco 2023 un blend di Pinot Grigio e Müller Thurgau, ha conquistato per freschezza e vivacità, mentre il Para Se, un rosato leggero ottenuto da Schiava, ha sorpreso con la sua straordinaria bevibilità e piacevolezza.

La terza e ultima tappa ci ha portati a Cembra, presso la Cantina Sociale CEMBRA, dove siamo stati accolti con una selezione di prelibatezze locali accompagnate da due vini d’eccezione: un Riesling e un Müller Thurgau, entrambi dell’annata 2021. Tra degustazioni, attività all’aperto e momenti di intrattenimento, la manifestazione promette di offrire un’esperienza indimenticabile a tutti i partecipanti. Che siate esperti del settore o semplici appassionati, non perdete l’opportunità di scoprire i tesori enogastronomici di questa splendida valle.

Roma, tutto pronto per l’evento dedicato al Pinot Nero in programma al Belstay Hotel domenica 27 e lunedì 28 ottobre

Due giorni di degustazioni, masterclass, approfondimenti e tanta convivialità: mancano pochi giorni all’inizio dell’evento “L’Italia del Pinot Nero” organizzato dalla testata giornalistica “Vinodabere”.

Conoscere ed esplorare la ricchezza del Pinot Nero italiano, raccontare le peculiarità dei diversi territori che lo valorizzano in un viaggio tra le regioni d’Italia, è l’obiettivo della due giorni in programma a Roma i prossimi domenica 27 e lunedì 28 ottobre. Considerato il più nobile tra i vitigni a bacca rossa a livello mondiale, rappresenta da sempre una sfida per i viticoltori ma anche una grande ricompensa per gli intenditori: conosciuto per la sua complessità e delicatezza, si adatta e si modella al terroir che lo ospita. Dalle morbide colline dell’Oltrepò fino alle montagne dell’Alto Adige e del Trentino, passando per il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte, la Valle d’Aosta, il Veneto, la Toscana, le Marche, l’Umbria e perfino l’Abruzzo, il Lazio, la Campania, fino a giungere alla Sicilia: “L’Italia del Pinot Nero è non solo una celebrazione del vino, ma anche una vetrina per il nostro patrimonio enologico – precisano gli organizzatori di Vinodabere – Questo evento vuole essere un’occasione per scoprire, approfondire le sfumature di questo affascinante vitigno, ed il legame ormai creatosi con i territori dove è stato messo a dimora, confrontandosi con esperti, produttori e appassionati”. La Capitale si prepara a celebrare questa antica varietà con la prima edizione de “L’Italia del Pinot Nero” che andrà in scena al Belstay Hotel (Via Bogliasco, 27, 00165 Roma RM): l’evento organizzato dalla testata giornalistica “Vinodabere” che nei mesi scorsi ha pubblicato anche la Guida ai Migliori Pinot Nero d’Italia 2024 (disponibile qui) si svolgerà in due giornate che vedranno protagonisti 40 produttori, che presenteranno i loro vini (non solo il Pinot Nero) ad operatori del settore (ristoratori, enotecari, agenti etc.), giornalisti, wine lovers, appassionati e sommelier. Si inizia domenica 27 ottobre alle 10:30 con la degustazione tecnica con alcuni posti riservati alla stampa, dal titolo “Il giro d’Italia attraverso il Pinot Nero” e guidata dai giornalisti di Vinodabere Antonio Paolini e Maurizio Valeriani e dal critico enogastronomico Dario Cappelloni (DoctorWine). Si proseguirà nel pomeriggio con l’apertura dei banchi di assaggio riservati alla stampa, operatori e sommelier (dalle 14 alle 16) e poi dalle 16 alle 20 aperti al pubblico. Il lunedì 28 ottobre si riprenderà dalle 10 alle 18:30 con un’altra giornata di assaggi dedicati al Pinot Noir ed alle altre referenze che i produttori porteranno in degustazione. I biglietti sono acquistabili qui.

40 le cantine presenti provenienti da 14 regioni italiane diverse e poi Sudafrica e Argentina: Kellerei Bozen – Cantina Bolzano (Alto Adige), Brunnenhof Mazzon (Alto Adige), Ebner – Tenuta (Alto Adige), Erste+Neue (Alto Adige), Kellerei Kaltern – Cantina Caldaro (Alto Adige), Klosterhof – Weingut (Alto Adige), Marinushof (Alto Adige), Plonerhof – Weingut (Alto Adige), Romen – Tenuta (Alto Adige), Schloss Englar (Alto Adige), Widum Baumann 1048 (Alto Adige), Borgo dei Posseri (Trentino), La Cadalora (Trentino), Castelsimoni (Abruzzo), San Salvatore 1988 (Campania), Komjanc (Friuli Venezia Giulia), Tenuta Luisa (Friuli Venezia Giulia), Paolo e Noemia d’Amico (Lazio), La Genisia (Lombardia), Tenuta Quvestra Ballerio (Lombardia), Coppacchioli Tattini (Marche), Fattoria Mancini (Marche), Bricco Maiolica (Piemonte), Colle Manora (Piemonte), Colombo Cascina Pastori (Piemonte), Isolabella della Croce (Piemonte), Gulfi (Sicilia), Fontodi (Toscana), La Poggiciola (Toscana), Ornina-Agricola (Toscana), Panizzi (Toscana), Nuova Tenuta Paradiso (Umbria), La Palazzola di Stefano Grilli (Umbria), Grosjean (Valle d’Aosta) e Opificio del Pinot Nero di Marco Buvoli (Veneto). Presente anche la Distribuzione AfriWines con i vini delle aziende Diemersdal (Sudafrica), Spier (Sudafrica), Oak Valley (Sudafrica), Whalehaven (Sudafrica) e Familia Schroeder (Argentina).

Tutti gli altri dettagli sono disponibili sul sito del magazine enogastronomico (qui).

Da CRU Salumeria Alcolica una serata con i Crémant du Jura di Brut Dargent – Maison du Vigneron

Come arrivare in Campania, precisamente ad Angri, passando prima dalla Francia? Il comitato di benvenuto a questa serata speciale, organizzata da Fontanella Distribuzione e GCF Group (Grands Chais de France) – Wines & Spirits, ha preparato la dovuta accoglienza con l’eleganza che si richiedeva per l’occasione.

Da CRU Salumeria Alcolica, raffinato locale nato per abbinare a preparazioni gastronomiche invitanti vini e bolle italiane o d’Oltralpe, sono state presentate al pubblico appassionato ed agli operatori del settore del canale Ho.Re.Ca., ben 3 etichette dell’azienda Brut Dargent – Maison du Vigneron – produttrice di interessanti Crémant du Jura.

Un ringraziamento particolare a Francesca Marano e Alessandro Naccarato in rappresentanza di Fontanella Distribuzione. Non solo Champagne dunque; i francesi sono bravi anche nel segmento delle bevute più facili dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, che non significa però qualità inferiore. Certo la presa di spuma dura volutamente qualcosa in meno rispetto al Méthode Champenois tradizionale. I territori non godono di quella vocazione storica rispetto ai distretti blasonati; eppure assaggiare oggi un Crémant, che sia d’Alsace, de Bourgogne, de Limoux, du Jura, de Bordeaux, de Loire e de Die dalla Clairette, richiede l’attenzione che si rispetta per un prodotto dotato di eleganza e gusto.

Alcune norme tecniche concernono l’espressione stessa di Crémant, oggi è ammessa solo per i vini spumanti di qualità, bianchi o rosati, DOP o IGP prodotti in un paese comunitario a condizione che: il termine venga indicato in etichetta con il nome dell’unità geografica che è alla base della zona delimitata di produzione della DOP o della IGP del paese di produzione; le uve siano vendemmiate a mano; il vino sia prodotto con mosto ottenuto dalla pressatura di grappoli interi o diraspati e la quantità di mosto ottenuto non deve superare 100/150 kg di uva; il tenore massimo di anidride solforosa non sia superiore a 150 mg/l ed il tenore di zuccheri sia inferiore a 50 g/l.

La degustazione

Cominciamo dal Blanc de Blancs – Chardonnay – dalla buona cremosità e scia minerale che accompagna il sorso dall’inizio alla fine. Sensazioni agrumate di pompelmo e mela golden scivolano dolcemente su erbe officinali e sfumature saline nel finale.

Il Rosé da Pinot Noir in purezza ha carattere, con le tipiche note selvatiche del varietale, unite a litchi, ribes rosso e garriga mediterranea. Non lunghissimo e meno stuzzicante del campione precedente.

Terminiamo il percorso con “ICE” Demi-Sec dove ritorna la vibrazione dello Chardonnay, quasi citrina e gessosa con una chiusura su miele di millefiori ed idrocarburo. La dolcezza è un concetto fuori dagli schemi per i “cugini” francesi, così come la ricerca spasmodica tutta nostrana della massima secchezza di bocca, proposta a qualsiasi latitudine e con qualsiasi uva.

Con i Méthode Tradittionelle la concentrazione del produttore è incentrata, invece, unicamente sul concetto della perfetta piacevolezza, mista tra avvolgenze e tensioni verticali. Praticità efficace… senza troppi turbamenti.

Arillo in Terrabianca, sogno di Toscana di Urs e Adriana Burkard

È un anno importante questo 2024, per la storia del Chianti Classico, poiché ricorre il centenario del Consorzio più antico d’Italia.

Nel cammino di tanta produzione vitivinicola, si inserisce dal 2019 la famiglia Burkard e il desiderio di Urs e Adriana di dar nuova vita e nuova relazione a tre anime distinte della Toscana. Arillo in Terrabianca è infatti un teorema vocazionale per tre tenute colme d’identità: il Chianti Classico a Radda con Terrabianca, la Maremma con Il Tesoro e la sua ispirazione avanguardistica, la Val d’Orcia a Colle Brezza con il percorso biologico e minimalista improntato a produzioni “boutique” e alla sostenibilità ambientale.

All’Hotel Rome Hilton Cavalieri di Roma, questi concetti sono stati celebrati in una serata dedicata alla presentazione di Arillo in Terrabianca e del suo “Teorema Toscano” che anima quest’azienda fortemente innovativa. L’introduzione e le parole di Daniela Scrobogna – FIS Fondazione Italiana Sommelier – hanno accompagnato una folta schiera di partecipanti alle degustazioni verticali di due vini epigoni dell’azienda e della sua rivitalizzazione: “Poggio Croce” Chianti Classico Riserva, e “Campaccio”, il Supertuscan di casa, tutti declinati nei vent’anni dal 2001 al 2021.

Fortissime le motivazioni organizzative e progettuali di Alberto Fusi, CEO dell’azienda e di Luano Benzi enologo di lungo corso di Arillo in Terrabianca. Introdotti alla sala da Dario Pettinelli, responsabile della comunicazione aziendale, hanno raccontato a corredo delle degustazioni ben 30 anni di territori, di evoluzioni dei vini, di ripensamento della viticultura in funzione di un intero ecosistema a garantire piena identità e, persino, modernità dei loro vini.

Da un’origine attenta ai vivai e i giusti cloni, improntata a estrazione, alcolicità e potenza, i vini di Arillo in Terrabianca hanno virato verso analisi minuziose della geologia delle tenute, assieme a una sempre più parca e attenta amministrazione delle acque. Fusi ha infatti illustrato come sia stata la centralità dell’agronomia, di concerto con la progressiva maggiore disponibilità di acque ben preservate, a determinare un intero salto quantico verso vini migliori e biologie dinamiche, con determinata attenzione alla Certificazione Equalitas.

In più, un’estensione perfino architettonica di questi concetti ha generato una cantina stato dell’arte disegnata dall’architetto Mario Botta, archistar svizzero tanto caro ai coniugi Burkard per aver sviluppato tridimensionalmente la loro visione di produzione e accoglienza verso i clienti.

I vini degustati hanno nettamente espresso questo cammino e questa visione. Al netto delle stagionalità e relative temperature e precipitazioni, ogni annata ha sempre più espresso in maniera riconoscibile nel tempo quella identità di territorio e quella leggerezza del Sangiovese rinvenibile tanto nel Chianti Classico quanto nel Supertuscan di casa.

Non solo un cambio della forma di allevamento, da cordone speronato a guyot, caratterizza la svolta della nuova proprietà e della sua squadra, ma il passaggio a rese minori in vigna e, in cantina, alla ricerca di maggior impatto aromatico, evitando la prevalenza del legno ma impiegando botti più piccole. I due vini degustati nelle annate dalla 2020 in entrambi i casi rivelano più eleganza, finezza e meno concentrazione.

La longevità è parimenti garantita, ma il transito da estrazioni muscolari e presenze eteree e austere, quasi marsalate, a bouquet di frutta e sottobosco, a tannini armonici e nobili rivolti al raggiungimento di quell’equilibrio di note che rende grande un vino in maniera internazionale.

È in particolare la trasformazione di Campaccio, da concetto austero e antico, informato di china e tabacco e sentori ferrosi, a un blend che include anche il Merlot dopo Cabernet Sauvignon e Sangiovese sempre dominante: non più concentrazioni difficili al food pairing, ma equilibrio e modernità distinti, dolcezze di gusto e spunti muscolari più suadenti.

Il cambio di direzione nel cammino è quindi evidente e manifesto. Arillo in Terrabianca guarda a produzioni, in purezza come in blend,  fatte di ricca mineralità in equilibrio con floreale e fruttato boschivo unici nel loro genere. Dal colore al finale, tanto Poggio Croce quanto Campaccio si ergono ad araldi della personalità e della rinnovata, più profonda e più innovativa identità.

I coniugi Burkard hanno realizzato una generazione di vini strutturati e profondi, ricchi di profumi e sfumature sensoriali, che contribuisce a spingere la Toscana al centro del panorama vinicolo internazionale.

La storia delle Viti a Piede Franco narrata dal Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco

Correva l’anno 1863 quando un insetto originario delle Americhe fece la sua comparsa in Europa a Pujaut, piccolo paese francese nel Gard, in Occitania. Nel giro di qualche decennio la Fillossera mise in ginocchio l’80% del patrimonio vinicolo europeo, cambiando di fatto non solo il panorama agricolo, ma anche l’assetto sociale del Vecchio Continente.

Molti furono i tentativi per debellare questo insetto, ma solo grazie al fondamentale contributo di Pierre Viala, si giunse alla soluzione che ancora oggi è alla base della moderna viticoltura: l’innesto della Vitis Vinifera europea su un ceppo di Vitis Berlandieri di provenienza americana. Parlare di viti a piede franco significa dunque parlare di viti che tuttora mantengono il piede originario della Vitis Vinifera europea e si riproducono per propagazione o talea.

Il Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco, costituitosi pochi mesi fa e presto destinato a tramutarsi in associazione, si pone come obiettivo la salvaguardia del patrimonio viticolo a piede franco nel nostro Paese. Lo scorso 23 settembre, presso la sala cinese della Reggia di Portici, nel primo convegno La salvaguardia delle viti a piede franco organizzato con il patrocinio del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e introdotto da Identità Mediterranea, il Comitato ha presentato il proprio programma di lavoro, che si sostanzia in nove punti principali.

Da creare un elenco nazionale dei vigneti a piede franco a raccogliere fondi per la ricerca genetica viti a piede franco; da pensare ad itinerari turistico nazionali a creare una piattaforma internet che riunisca tutte le piccole realtà, individuando tutte le viti a piede Franco e numerandole, Infine, avviare le pratiche ministeriali per inserire in etichetta la dicitura Vino prodotto da vitigni a piede franco, organizzare manifestazioni/convegni a livello nazionale, formare un consiglio nazionale stabile con la creazione di un museo telematico sul piede franco.

Al convegno, oltre al Presidente del Comitato Silvano Ceolin e al Delegato del Comitato per la Campania Cosimo Orlacchio, sono intervenuti svariati professionisti del settore che hanno contribuito in maniera diversificata al dibattito: Giulio Caccaviello, agronomo; Ciro Verde, enologo; Riccardo Aversano, Professore di Genetica Agraria; Teresa Del Giudice, Professoressa di Economia Agraria Alimentare ed Estimo Rurale; Giovanna Sangiuolo, Giurista di diritto vitivinicolo.

“Non c’è alcun approccio critico nei confronti dei vini prodotti da viti a piede franco piuttosto che innestate”, ha commentato Ceolin nell’introduzione ai lavori, “l’intento è solo quello di salvaguardare un patrimonio storico”. Lo stesso Ceolin ha infatti definito le viti a piede franco come reduci di guerra, ognuna delle quali può raccontare una storia.

La scelta di organizzare il primo convegno del Comitato in Campania è dovuta al fatto che questa regione nel 1930, al picco dell’infestazione in Italia, insieme alle provincie di Frosinone e Rieti, risultava quella meno inficiata. Ancora oggi la Campania è tra le regioni che conservano il maggior numero di viti a piede franco. Tra le condizioni che hanno preservato il piede franco oltre a terreni sabbiosi e all’altitudine, ci sono anche i suoli di origine vulcanica, di cui la Campania – con il Vesuvio, i Campi Flegrei, il vulcano di Roccamonfina e Ischia – è ricca , ha spiegato Cosimo Orlacchio.

Al centro del dibattito è stato il tema della salvaguardia non solo delle viti a piede franco quale patrimonio storico ma anche quale patrimonio genetico al quale attingere per la ricerca in un’epoca in cui i cambiamenti climatici rappresentano forse la minaccia più importante per la moderna agricoltura, come ribadito sia da Giulio Caccaviello che da Riccardo Aversano.

Ciro Verde ha inoltre sottolineato come, vinificando col minor impatto enologico possibile da viti a piede franco radicate da decenni in un determinato suolo, è possibile restituire un prodotto totalmente identificativo del territorio.

Da sinistra il Presidente Silvano Ceolin e Gaetano Cataldo

Il Comitato, associato alla francese Franc de pieds, la più grande associazione che raggruppa viticoltori di viti a piede franco a livello mondiale, è stato incaricato di organizzare il prossimo convegno mondiale sulla viticoltura a piede franco, che si terrà a Napoli dal 22 al 24 gennaio 2025.

Al termine del convegno è seguita una degustazione di vini da viti a piede franco provenienti da diverse regioni italiane.

I VINI IN DEGUSTAZIONE

Piccà metodo ancestrale – 100% pecorino – Agriarquata

Surpicanum Marche IGT bianco 2021 – Agriarquata

Harmonia Falanghina Campi Flegrei DOC 2021 – Il IV miglio

Le Ghiarelle Lambrusco dell’Emilia IGT 2016 – Poderi Fiorini

Raije Carignano del Sulcis DOC 2021 – Azienda Agricola La Scogliera

Groppello di Revò IGT 2022 – Azienda Agricola El Zeremia

Vigna Le Nicchie 2018 – Prephilloxera tempranillo  IGT Toscana – Società Agricola Pietro Beconcini

Bruno Paillard presenta lo Champagne Extra-Brut Millesimé assemblage 2015, dégorgement 2022

Martedì primo ottobre è partito da Napoli il roadshow di presentazione del nuovo assemblaggio della maison Bruno Paillard: Champagne Extra-Brut Millesimé assemblage 2015, dégorgement 2022. 
Il ristorante una stella Michelin Aria Restaurant ha accolto la degustazione che è stata presentata e raccontata da Luca Cuzziol della Cuzziol grandi vini e da Alice Paillard figlia del fondatore della Maison che continua nello sviluppo del progetto originale. 

 La Maison Bruno Paillard è nata dal desiderio del suo fondatore di creare uno champagne molto differente dagli altri, uno champagne molto puro, uno champagne che sia prima di tutto un vino di assemblaggio, un assemblaggio anzitutto dei cru, delle uve, ma anche dei millesimi… con la costante volontà di cogliere la quintessenza della finezza e dell’eleganza all’interno del calice, “quando lo Champagne è servito con amore”.  

Situata a Reims, la Maison diChampagne Bruno Paillard veglia su un vigneto d’eccezione, esteso su 32 ettari di viti, divisi in 15 cru, di cui 12 classificati “Grand Cru”. Il vigneto riunisce i grandi terroir di Oger, Le Mesnil sur Oger, Cumières, Verzenay, nonché l’eccezionale Cru des Riceys situato a sud della Champagne. 

Ogni terroir è il frutto di una riflessione costante, che mira a selezionare solo l’uva migliore. Lo stile Bruno Paillard si basa su questa continua ricerca dell’eccellenza, perseguita attraverso una selezione intransigente. Per l’elaborazione dei suoi champagne, la Maison utilizza solo i succhi più puri della prima spremitura, infatti, si distingue per la grande varietà dei vini di riserva, che permettono di realizzare assemblaggi estremamente precisi di anno in anno.  

La Maison realizza invecchiamenti da due a quattro volte più lunghi di quanto richiesto dal disciplinare della denominazione. La Maison di Champagne Bruno Paillard è la prima nella sua regione ad indicare su ogni bottiglia la data della sboccatura rispettiva, garantendo così una massima trasparenza quanto all’origine e all’evoluzione del vino. 

L’Extra-Brut Millesimé assemblage 2015 è ottenuto esclusivamente dalla prima spremitura, la più pura, dei prestigiosi gran cru e premier cru di Pinot Noir (48%) e Chardonnay (42%), di cui il 25% sono vinificati in piccole botti di rovere antico a cui seguono 84 mesi di affinamento in cantina, compreso un minimo di 18 mesi di riposo dopo il dégorgement e un dosaggio finale di soli 4,5 g/l – così da sviluppare una sensazione di delicatezza e concentrazione servita da una persistente freschezza salina. 

Lo Champagne Assemblage Millesimé 2015 si presenta alla vista di un colore oro profondo, luccicante, effervescenza sostenuta. Al naso i primi aromi di fragole e fragoline di bosco, evolvono in cassis. L’arancia rossa e il pompelmo rosa si impongono progressivamente. All’areazione si dipanano note spinte di elicrisio e liquirizia, pepe di sichuan, accompagnate a sensazioni intense e concentrate. Al palato l’attacco vivo, a sua volta fruttato e salino. Sapori di scorza d’arancia candita, di frutta nera matura, portati da una trama potente. Il finale è lungo ed evolve verso la polvere di cacao e frutta secca. EMOZIONALE!

Extra-Brut Millesimé Assemblage 2015 dégorgement novembre 2022 Bruno Paillard  La presentazione è stata anche l’occasione per unire l’eleganza dello Champagne della Maison con l’eleganza e la perfezione dei piatti dello chef, una Stella Michelin, Paolo Barrale.

ARIA-NCINA  Ragù di manzo, spuma allo zafferano, riso soffiato con Extra-Brut Première Cuvée Bruno Paillard. 

UNA PASTA E PATATE AL MARE  Bottoni farciti di patate, provola, bisque d’astice con Extra-Brut Millesimé Assemblage 2015 dégorgement novembre 2022 Bruno Paillard.