Il Nihonshu (Sakè Giapponese) incontra l’arte in cucina di Giuseppe Molaro chef del Contaminazioni Restaurant a Somma Vesuviana

di Gaetano Cataldo

Ci sono indubbiamente artigiani della cucina che la fermentazione ce l’hanno nel sangue. Giuseppe Molaro, chef e titolare del Contaminazioni Restaurant di Somma Vesuviana, è uno di loro, tanto più che è tra le espressioni campane dell’avanguardismo culinario e delle fusioni di sapori.

L’impiego della fermentazione lattica in cucina, per quanto anticamente la sua conoscenza fosse già nota e praticata nel Mediterraneo ai fini di accrescere la durabilità dei cibi, ha il dono di imprimere una marcia in più dal punto di vista gustativo e una spiccata raffinatezza alle pietanze, per non parlare della biodisponibilità, componente indispensabile a rendere gli alimenti più assimilabili dal nostro organismo.

Nel panorama della ristorazione gourmet tra gli interpreti più giovani e di maggiore rilevanza vi è proprio Giuseppe Molaro: classe 1986, originario di Somma Vesuviana, un piccolo borgo della provincia di Napoli alle pendici del Vesuvio. Terra rigogliosa e dai sapori intensi, quasi vulcanici, nella quale è tornato dopo oltre un decennio di vita professionale spesa in giro per mezzo mondo… vita in cui non sono mancati i sacrifici e neanche il successo.

Il sorriso genuino e sincero, la sua modestia e la delicatezza nei modi celano in realtà una personalità della gastronomia del tutto singolare e dalle spalle decisamente larghe in quanto a profondità di studio, di pratica e di esperienza: diplomatosi presso l’Istituto Alberghiero “Lorenzo De’ Medici” di Ottaviano, dopo aver mosso i primi passi nell’attività familiare in Campania ed in diverse aree in Italia, ha viaggiato e lavorato in strutture di altissimo livello tra Irlanda, Portogallo, negli Emirati Arabi ed, in maniera particolarmente significativa, in Giappone. Ha collaborato col maestro Heinz Beck, partendo naturalmente proprio dal ristorante La Pergola a Roma, tre Stelle Michelin, nel settembre del 2010 e, via via, in tutti gli altri stellati del gruppo. Dopo innumerevoli riconoscimenti sarà proprio all’Heinz Beck Restaurant di Ōtemachi, nel distretto di Chiyoda a Tokyo, che Giuseppe maturerà l’ambitissima stella nel ruolo di Executive Chef.

Una vita in viaggio attraverso culture gastronomiche diverse, ritmi di lavoro impegnativi in ambienti ad altissima competitività che diventano, se possibile, ancora più estenuanti quando si vive lontano da casa. Ma i tratti della personalità di Giuseppe sono fatti anche di resilienza, audacia e sensibilità, quei tratti tipici del giocatore leale che coniuga il sorriso allo sforzo della partita e che alla fine vince col garbo e la gentilezza.

Non di meno la sua cucina è audace per sperimentazione, razionale nel paring di accostamenti desueti, delicata nella fusione dei sapori ed elegante nel food deisgn.

Rientrato in Italia con sua moglie Yuki Mitsuishi crea Contaminazioni Restaurant nella città che lo ha visto crescere, location di appena 20 coperti con una cucina a vista ubicata proprio all’ingresso, che costituisce l’anima del locale. Un’anima da cui traspare ogni singolo movimento e passaggio atto a creare estetica e sostanza, proprio dinanzi agli occhi degli ospiti che si riservano di ammirare Giuseppe in pieno svolgimento del servizio, da una postazione davvero speciale: lo chef’s table.

L’intuito, la creatività, la sperimentazione ponderata, il forte legame di Giuseppe con la sua terra di origine e il Giappone, Paese di adozione, sono stati i presupposti perché si instaurasse un piacevole dialogo sul nihonshu con una ricetta inedita abbinata specificamente allo Houraisen Junmai Ginjo Wa della Sekiya Brewery nella prefettura di Aichi, una delle aree che, durante i suoi viaggi più gli è rimasta impressa.

Con le variazioni cromatiche del colore arancio della salsa di carote in odore di timo, olio alla cipolla ed aceto di ciliegie, unitamente al rubino intenso della salsa di mirtilli latto-fermentati, si presenta la sua indivia cotta sottovuoto con sale e maggiorana, poi saltata ed arricchita con crumble di pane raffermo, arricchito da brodo di pesce e poi tostato in soffritto di cipolle, acciughe sott’olio, timo, con foglie di mizuna a guarnire il tutto. Elementi che da soli sarebbero potenti, in questo piatto si fondono in un delicato abbraccio gustativo e trovano nell’Houraisen Junmai Ginjo.

Ricercato e armonico, grazie alle suadenti note fruttate di pesca e banana, il floreale del gelsomino e la sensazione cerealicola di riso stagionato, che al sorso rivelano freschezza e rotondità con un pizzico di umami ed una persistenza che non prevarica affatto quella del piatto proposto.

Locanda San Cipriano ad Atena Lucana (SA): sapori e passione sono da sempre ingredienti giusti

di Luca Matarazzo

Mi son chiesto spesso, nei lunghi viaggi in giro per l’Italia a scoprire realtà enogastronomiche degne di nota, quale fosse il segreto della cucina tale da toccare le corde del cuore e lasciare un ricordo indelebile.

Si sente parlare ovunque del concetto di gourmet: se chiedessimo – in un sondaggio pubblico – cosa significhi esattamente, otterremmo migliaia di punti di vista differenti. E lo stesso accadrebbe, ne sono certo per esperienza vissuta, ad un consesso di esperti di settore individuati tra chef e giornalisti.

Ciò succede perché il termine gourmet nella ristorazione ricalca le medesime, ampie considerazioni di terroir per un vitivinicoltore. Materie prime, cura e attenzioni per i dettagli e, naturalmente, la mano dell’uomo nel compiere quel gesto di amore e coesione tra le varie componenti.

Proprio quanto avviene alla Locanda San Cipriano ad Atena Lucana (SA), da Antonio e Sandra, uniti nel lavoro e nella vita. Il modo giusto per segnare il passo nel vasto mondo della cucina a chilometro zero, ove abbonda, dobbiamo dirlo a malincuore, anche tanta improvvisazione.

Appena varcato la porta d’ingresso del loro locale, accogliente e familiare, la sensazione immediata è stata un’intimità rassicurante per gli aromi che provenivano dalle pietanze in preparazione. Un momento nel quale poter aprire la mente, veicolando all’interno le parti più belle dell’arte del cibo.

Il menu era, punto per punto, come nelle migliori attese. Una vasta scelta di baccalà in diverse cotture, quasi il ricordo dei pranzi delle feste a casa con i parenti, a cui non abbiamo potuto esimerci dall’assaggio. E ancora: la pasta fresca fatta a mano e la guancia di vitello brasata cotta a bassa temperatura che non conosce stagioni.

L’antipasto prevedeva del baccalà fritto delicatissimo, accompagnato da peperone crusco sbriciolato, tipico delle ricette lucane. Seguono fiori di zucca che in queste zone si mangiano al naturale, fritti senza ripieno di mozzarella o ricotta. Terminiamo gli antipasti caldi con un filetto di baccalà con uvetta sultanina e alloro, simbolo della tradizione di Antonio e Sandra.

Commoventi e originali anche le proposte dei primi, scelte tra i ravioli ripieni di baccalà o la carbonara di baccalà con i suoi ciccioli.

Su quest’ultima scelta, le lavorazioni sono state molteplici per calibrare la densità dell’uovo e la croccantezza del cicciolo di pesce. Originalità, passione, sapore, ingredienti perfetti in ogni campo.

Chiudiamo in dolcezza con i dessert e precisamente il maritozzo, scelto sia nella versione classica che ai frutti di bosco. Altra abilità dello chef Antonio Giordano nel ricreare le emozioni di un tempo, quando la vita non era solo una corsa infinita.

Buona la carta dei vini con etichette facilmente abbinabili alle scelte gastronomiche. Non solo Locanda, ma anche forno con corsi sui lievitati e una piccola acetaia certificata, vera rarità per il Sud Italia.

Sandra Pellegrino

Siamo ancora sicuri di cosa significhi davvero essere gourmet?

Locanda San Cipriano

Via Serrone – Atena Lucana (SA) 84030

info@locandasancipriano.it

0975 511447

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella dallo chef una Stella Michelin Peppe Guida

di Silvia De Vita

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella

Un incontro interregionale tra due fuoriclasse del mondo enogastronomico: il produttore vitivinicolo Roberto Pighin e lo chef una Stella Michelin, con l’Antica Osteria Nonna Rosa, Peppe Guida.

In una cornice del tutto originale con un panorama mozzafiato, inerpicandosi tra strade sinuose, strettissime e vertiginose della Costiera Sorrentina, ad Alberi (NA), si è svolta la prima tappa del Pighin Tour. Villa Rosa – La Casa di Lella è stata la location prescelta per la cena degustazione durante la quale si è compiuto un connubio insolito tra Friuli Venezia Giulia e Campania.

Da sinistra lo chef Peppe Guida e Roberto Pighin

Due eccellenze, Peppe Guida, la cui semplice e strepitosa cucina è fatta di prodotti stagionali dell’orto e del pescato del giorno, e Roberto Pighin, vice presidente e responsabile dell’Azienda Pighin, i cui vini sono frutto di un progetto e di un’esperienza lunghi ben 4 generazioni.

La réunion è stata possibile grazie all’impegno di Giuseppe Buonocore del Gambero Rosso e da Ab Comunicazione nel creare una serata unica e speciale. La sfida è stata lanciata, quella di ampliare gli orizzonti e sperimentare come vini friulani di qualità possano accompagnare con piacevolezza piatti gourmet di tutt’altra tradizione e radici, garantendo ai 5 sensi percorsi emotivi di grande spessore.

Ma chi sono i due protagonisti della nostra serata?

La cantina Pighin si trova a Risano, in provincia di Udine e con i suoi oltre duecento ettari vitati rientra nelle DOC Friuli Grave e Collio Doc. Dagli anni Sessanta è tra i più conosciuti produttori friulani. Roberto Pighin, attuale responsabile dell’azienda di famiglia, è un uomo ben radicato nel suo territorio, ma con lo sguardo attento ai mercati esigenti e preparati. La passione per la terra, per il vino, per il lavoro traspare dalle sue parole.  L’azienda lavora utilizzando vitigni autoctoni e internazionali, rigorosamente sottoposti a selezione massale. Le viti sono radicate su terreni di pianura, composti da ciottoli di origine alluvionale che conferiscono ai vini importanti doti minerali.  “La scelta – dice Roberto Pighin – è quella di prediligere freschezza e immediatezza di beva, senza essere mai banali…” Poi continua: “Il vino deve essere come un abito e va abbinato a ogni circostanza”

Scendiamo verso Sud, a casa nostra. Villa Rosa – La casa di Lella è il luogo dove Peppe Guida, nell’Antica Osteria Nonna Rosa, esprime la sua arte culinaria. Splendida la vista della Villa sul Vesuvio e sul Golfo di Napoli, un tutt’uno con l’orto su cui lo chef punta tanto. Peppe Guida è un autodidatta incallito, una voce fuori dal coro, un uomo dall’aspetto serio con uno sguardo intenso e di poche parole. “Per me la cucina di territorio è quella della penisola, stretta tra le braccia” dice lo chef, aggiungendo “Abbiamo un giacimento così prezioso di prodotti caseari, ortofrutticoli, di terra e di mare, tutto a portata di mano. Io mi concentro su questo valore. Non c’è scarto, tutto è materia”. Non c’è menu prefissato, si lavora su base stagionale, con verdure e pescato locale che fanno da canovaccio a una tela reinterpretata quotidianamente, seguendo un percorso che varia a seconda delle giornate.

La nostra cena degustativa ha inizio con aria fritta, una deliziosa montanara, leggerissima e ben fritta con una salsa di pomodoro sul fondo. La leggerezza dell’impasto denota un’alta percentuale di idratazione oltre che un processo di lievitazione ottenuto con i giusti tempi. In abbinamento al piatto è stato proposto il Pinot Grigio Friuli Grave DOC 2022 di Pighin. Vitigno coltivato su terreni ghiaiosi, ben esposti con sistema di allevamento a Guyot. Vinifica unicamente in vasche di acciaio inox. Nel calice si presenta giallo paglierino tenue, mentre al naso spiccano leggeri profumi di frutta bianca. La persistenza non è lunga e nell’abbinamento la memoria del vino viene persa a vantaggio del piatto. 

Arriva la carrellata degli antipasti con i quali lo chef dimostra la sua passione per le verdure. La selezione prevede: culatello con emulsione di mozzarella, caponata, Melanzane a barchetta, tonno con pomodorini, alici marinate, fritto, totano e patate, Pasta e fagioli ripassata. Tutto cucinato con cura e con attenzione ai sapori originali. Particolare menzione merita il tonno con pomodorini e la pasta e fagioli del giorno prima ripassata.

Viene servito un Ribolla Gialla 2022 del Collio, meno declinato sui tipici sentori varietali. Coltivato nella zona del Collio Goriziano, terreno ricco della presenza di “ponca”, una roccia marnosa che sa conferire un carattere minerale ai prodotti del territorio. Al naso il vino regala profumi di frutta a polpa gialla in fase di iniziale maturazione e fiori di campo combinati a lievi cenni di pietra focaia e agrumi. Al sorso esprime freschezza e una nitida mineralità. Ottimo l’abbinamento sia con la pasta e fagioli ripassata che con il tonno. Degno di nota anche l’abbinamento con i fritti.

La pasta e patate con cozze e pecorino è la sorpresa che Peppe Guida ci riserva tra i primi. Un piatto estremamente equilibrato, con gli ingredienti risultano bene amalgamati tra di loro. Gradevole la trama dei sapori e delle consistenze. Il vino in accompagnamento è una Malvasia del Collio 2022. Riconosciamo l’espressività dei vitigni istriani. Il vigneto si trova a meno di 200 m sul livello del mare e cresce anch’esso sulla ponca. Nuance rivestite di giallo paglierino brillante, con note floreali di ginestra, camomilla ed erbe aromatiche e, a seguire, buccia d’arancia miste a sentori di frutta secca. Piacevole alla beva, arricchita da una grande freschezza e sapidità. Abbinamento riuscito alla perfezione!

La seconda sorpresa dello chef è un piatto di pesce: Pesce Musdea o Mostella le cui carni sono simili a quelle del merluzzo nordico, saporite e bianchissime, delicate e gustose. La mostella è servita con patate e scarolina tenera in una riduzione di limone, molto persistente e pregnante al palato. Il Collio Bianco Soreli ’20, di carattere, è ottenuto dal blend di tre bianchi autoctoni del Collio: il Friulano, la Malvasia Istriana e la Ribolla gialla. Naso da albicocca matura e vaniglia, e sorso fresco e longevo. Le uve vengono sottoposte a criomacerazione; Una parte del mosto ottenuto fermenta in vasche di acciaio sulle proprie fecce nobili. Una parte fermenta in “tonneaux” e in “barrique” di rovere Slavonia naturale e di media tostatura ove riposa fino all’assemblaggio.

Il fine pasto è affidato a una sfogliatella santa rosa scomposta con crema e amarene, degna rivisitazione della ricetta originale. In bocca è un’esplosione di sapori ed odori. Immancabile jolly è la zeppola fritta, che qui è una vera e propria istituzione da assaggiare.

Il Picolit ha un colore giallo ambrato, al naso è intenso, fine ed elegante. Ricorda l’albicocca e i fichi secchi. In bocca è dolce, caldo e armonico. Un vino passito, di grande concentrazione e persistenza. Ottimo chiusura di serata.

Un territorio cresce ogni qualvolta il confronto è cercato, condiviso e ragionato. Il connubio a Villa Rosa tra due grandi eccellenze del mondo enogastronomico ha sicuramente lasciato il segno. Il dialogo, la sperimentazione e l’apertura consentono sempre di migliorare e perfezionare le intese. Per il Pighin Tour 2023 possiamo concludere con la tipica espressione cinematografica “Buona la prima”!

Damijan Podversic incontra il Veritas Restaurant

Lunedì 12 giugno ore 20.30 a Napoli:

Damijan Podversic incontra il Veritas Restaurant

Dai Colli Goriziani, il produttore sloveno è uno dei nostri punti di riferimento per l’orange wine. Siamo felici di ospitarlo perché la sua storia è una di quelle storie che ci piacciono, di un produttore ribelle, che fa vino naturale da sempre, uno per cui essere convenzionale non è mai stato di moda.

Tavolo unico, 12 posti SOLD-OUT

OSAKA ROMA

manzo tataki speziato, crema carbonara , caviale di fagiolini, salsa ponzu all’aceto balsamico

POLPO ALLA PLANCIA, scarola, salsa di provola e nduja

TUBETTONI con brodetto di pesce alla curcuma, soffritto di ricciola e polvere di aglio nero

PLUMA di maiale Iberico, peperoni, papaccelle, peperoncino verde ripieno di animelle                                                     

FORMAGGI

in abbinamento

Nekaj 2012 (friulano)

Nekaj 2019

Kaplja 2012 (chardonnay malvasia friulano)

Kaplja 2019

Prelit 2019 (merlot, cabernet sauvignon)

Prelit 2015                                              

“TUTTOPIZZA” 2023: GIUNTO ALLA SESTA EDIZIONE SI RICONFERMA UN GRANDE SALONE INTERNAZIONALE

di Paolo Loffredo

Tre Padiglioni alla Mostra d’Oltremare di Napoli probabilmente iniziano ad essere pochi per il TUTTOPIZZA, evento fieristico che si propone di essere il primo vero riferimento nazionale per i professionisti del settore.

Oltre il 30% in più di espositori, con due grandi novità: un Padiglione allestito a mo’ di ring a cura di uno dei Main Sponsor della Fiera, il Gruppo Perrella Network, dove i Maestri Pizzaioli, da Valentino Tafuri a … si sono metaforicamente “sfidati” con tanto di guantoni fino all’ultimo impasto, a un intero settore dedicato alle birre artigianali, TUTTOBIRRA.

Oltre 40.000 visitatori registrati in 3 giorni e ben 180 marchi presenti. L’evento, a ingresso gratuito, solo per addetti lavori, ha riconfermato la sua capacità di intercettare correttamente domanda e offerta, mettendo in relazione il mondo dei pizzaioli il mondo imprenditoriale.

Grande spazio è stato lasciato anche alle associazioni di settore, con masterclass di rilievo e temi ben identificati, dal “Pizza Tradizionale Day” ai pairing, quindi tanta possibilità di formazione e aggiornamento, oltre che di relazioni. La vocazione del TUTTOPIZZA diventa sempre più internazionale, con uno sguardo rivolto e focalizzato al futuro di questo settore.

Slow Food: la storia del progetto “Salviamo i prati stabili e i pascoli”

di Ombretta Ferretto

“Salviamo i prati stabili e i pascoli” è un progetto Slow Food nato con l’obiettivo di portare l’attenzione sulla salvaguardia dei prati da pascolo e sull’enorme patrimonio di biodiversità di erbe da foraggio.

Prati stabili e pascoli, a serio rischio per l’estensione delle monocolture, sono alla base della produzione casearia del nostro paese oltre ad essere indispensabili per la vita di api e altri impollinatori. In occasione del prossimo Cheese 2023, che si svolgerà a Bra (CN) dal 15 al 18 settembre, Slow Food ha dunque lanciato l’iniziativa “Il gioco del piacere”, degustazione alla cieca di cinque formaggi (4 da prati stabili e 1 clandestino da scoprire), che lo scorso 19 Maggio ha contato sulla partecipazione di oltre ottocento persone, in collegamento telematico da tutte le Condotte d’Italia.

Taverna Mafalda, osteria contemporanea a Castellammare di Stabia, che ricerca le sue materie prime tra piccoli produttori locali, in collaborazione con Slow Food Costiera Sorrentina e Capri Aps, ha ospitato l’iniziativa e la successiva cena, a tema “pastorizia”. La degustazione online è stata moderata da Antonio Puzzi di Slow Food Italia e condotta da Giampiero Lombardi del Dipartimento di Scienze Agrarie e forestali dell’Università di Torino, Giampaolo Gaiarin, tecnico caseario di Slow Food e vicepresidente ONAF, Maria Luisa Zoratti, esperta di analisi sensoriale del miele e referente del Presidio dei mieli di alta montagna alpina del Friuli Venezia Giulia.

Protagonisti della degustazione visiva e gusto-olfativa un pecorino toscano, un pecorino d’Alta Baronia, un Caciocavallo da mucche di razza modicana, un Parmigiano Reggiano e un Trentingrana. L’intruso, ovvero il pecorino toscano, è stato individuato da oltre l’80 % dei partecipanti al gioco, anche grazie all’approfondita degustazione sensoriale condotta da Giampaolo Gaiarin. Il gioco si è concluso con la degustazione del miele di alta montagna Valgrana dalla provincia di Cuneo, anche in abbinamento ai cinque formaggi.

Lo Chef Andrea Di Martino di Taverna Mafalda, in occasione della serata gioco, ha studiato il Menù del Pastore, utilizzando prodotti locali, come la ricotta di Gesinella della Fattoria Zero di Castellammare di Stabia, abbinando vini di piccole realtà vinicole della Campania. La pizza al padellino con mousse di ricotta Gesinella, unita a pomodori secchi e zest di limone, ha aperto la cena in abbinamento con la Falanghina del Fois IGP Campania 2021 di Società Agricola Cautiero a Frasso Telesino (BN).

La ricotta, ottenuta esclusivamente con latte di mucche agerolesi, si sposava in maniera interessante con il pomodoro secco e la zest di limone, ma l’abbinamento con Fois, vinificato in acciaio con lieviti indigeni, non chiarificato e non filtrato, evidenziava il carattere agrumato e minerale della Falanghina allungandola in un finale a tratti amaricante.

Evocativo della più classica merenda del pastore (fave, pecorino e pancetta) il piatto successivo: risotto alla gricia con fave.

Abbinamento con il Respinto IGT 2020 della Cantina Bambinuto di Santa Paolina (AV). Provocatorio nel nome perché respinto in sede di Commissione Greco di Tufo Docg, si distingue per profumi d’acacia e zenzero, oltre alla piacevole freschezza del sorso.

Con l’ultima pietanza lo chef Di Martino ha voluto omaggiare la Shepherd’s pie irlandese, come
espressione delle svariate esperienze avute all’estero. La Torta del pastore è uno stufato di agnello e piselli, servito in una terrina di coccio e sigillato da una cremosa purea di patate, croccante in superficie.

Il Taurasi DOCG 2014 Padre de La Cantina di Enza in Montemarano (AV) si è mostrato complesso nei riconoscimenti olfattivi, che spaziavano dalle more di rovo al pepe, dalla prugna alle tostature di caffè, e grazie al sorso intrigantemente fresco e al tannino ben integrato, sosteneva perfettamente la struttura della preparazione.

La cena si è chiusa con il più classico dei dolci al formaggio, la cheesecake con marmellata ai frutti rossi, cotta al forno. Ospite della cena, oltre ai partecipanti del gioco del piacere Slow Food, anche la Presidente di Fattoria Zero, Carolina Esposito.

La sua ricotta Gesinella, degustata durante la serata, è frutto di un progetto sociale che vede il coinvolgimento di ex-tossicodipendenti e ragazzi con problemi psichici. Dove c’è cultura enogastronomica, ci sono sempre grandi valori di riferimento.

Filippo Bizzarri e il suo “Pirata Suino”

di Alberto Chiarenza

La nostra visita da Filippo Bizzarri, esperienza nel mondo delle cave estrattive e uno dei titolari dell’azienda Pirata Suino, inizia proprio dal casale con La Bottega dei Sapori, un’ex stalla riattata ove il nonno già allevava bovini da latte ed oggi locale di vendita al pubblico di carne e prodotti tipici.

Da sinistra Catia Minghi, Filippo Bizzarri, Antonino De Gennaro, Carlo Zucchetti

Il padre di Filippo trasformò la stalla in cantina, con tanto di tini d’acciaio e botti in castagno da 20 ettolitri per fare vino. Purtroppo non ebbe il successo sperato e Filippo decise, invece, di invertire la rotta e ritornare sulle impronte lasciate dal nonno.

Un vero e proprio punto vendita dei lavorati a marchio Pirata Suino, attività nata da una sorta di scommessa a tutela del territorio. Ci troviamo, infatti, fuori dalla capitale Roma sul tratto di strada che da Via della Pisana (zona Pontegaleria-Pisana), conduce verso Fiumicino-Maccarese.

La grande richiesta di sabbia e ghiaia necessaria alla produzione di calcestruzzo nel dopoguerra, ha lasciato in questa “area di preda” numerose voragini, rovinando l’ambiente circostante anche per le generazioni avvenire. Da qui il progetto, condiviso con altri soci, per sanare le ferite del passato.

Nel 2013 Bizzarri inizia quasi per caso ad avvicinarsi al mondo dei bovini, dopo aver conosciuto alcuni allevatori tra cui Alessandro Fantini, veterinario e direttore responsabile di Ruminantia. Apprese come una spugna le tecniche per un allevamento a regola d’arte, arrivando nel 2019 all’acquisto dei primi bovini.

Lo scopo è stato quello di creare una sinergia tra tre elementi naturali: il terreno di recupero da altre attività, il materiale di sfalcio e potature e il letame proveniente degli animali. Elementi messi insieme e riposizionati per ridare equilibrio e consentire, in un circolo virtuoso, di coltivare foraggio destinato agli allevamenti suini e bovini, portando così nuova vita a terreni destinati all’abbandono. Un progetto importante per la salvaguardia territoriale che si è tramutato in mano d’opera e tanti posti di lavoro, nel pieno rispetto della sfida alla sostenibilità.

La visita della azienda, organizzata dal giornalista enogastronomico Carlo Zucchetti e dall’esperta Catia Minghi, ha consentito di toccare con mano questo impegno e di osservare gli animali al pascolo. Si possono notare pure i maiali di razza Cinta Senese allo stato brado e gli ovini e, prossimamente, altre attività nell’ambito della ristorazione e produzione di prelibatezze culinarie.

Al termine la consueta degustazione con i prodotti proprio di Pirata Suino, preparati dall’estro dello Chef premiatissimo Marco Ceccobelli, del Agriristorante Il Casaletto a Grotte di Santo Stefano (VT), in abbinamento con i vini di Castello di Torre in Pietra illustrati dall’enologo interno della cantina Antonino De Gennaro.

“A Sud dell’Anima”: l’elogio della cucina delle Murge

di Serena Leo

Proviamo a immaginare una terrazza che guarda dritto verso le Murge, quelle autentiche. Siamo in Puglia, precisamente a Minervino Murge, luogo incantevole per silenzio e profumi pronti, come un gioco d’avventura, a rapire i sensi… senza passare dal via. Se al bello ci aggiungiamo anche il buono della cucina territoriale, raccontare la quintessenza della regione diventa ancor più semplice. Ad arricchire questa storia che parla di cibo, tra diverse consistenze, ci sono Nadia Tamburrano e Ivan d’Introna, mente e cuore del ristorante pugliese A Sud dell’Anima. Una vera e propria destinazione gourmet per gli appassionati della cucina “casereccia” rivisitata in chiave fine dining.

Nadia Tamburrano e Ivan d’Introna

Come arrivare

Minervino Murge è tra i gioielli più belli dell’alta Puglia, diversi dai classici racconti a cui siamo stati abituati. Qui il vero mare non sembra fatto d’acqua, bensì di distese infinite di campi dove si respira ancora l’atmosfera rurale di un tempo. La cittadina vive una nuova primavera e non mancano scorci in cui anche solo un “basso” oppure vicoli e strade che si sviluppano in altezza, diventano location artistiche degne di set cinematografici, come già successo per I Basilischi di Lina Wertmuller.

La splendida terrazza

A Sud dell’Anima ricalca la tradizione locale in ogni dettaglio: dalla sala in pietra che assorbe e rilascia un profumo di casa, per finire con stampe alle pareti dai colori ben definiti. Un’atmosfera delicata – o meglio soffusa – che concede la possibilità agli avventori di concentrarsi su piatti che parlano di radici, che raccontano storie antiche e sigillano passioni. Nadia e Ivan hanno saputo rivoluzionare la cucina tipica proiettandola ai giorni nostri, strizzando l’occhio a quel fine dining non solo da canali social, ma bensì ricco di sostanza e qualità.

Da dove sono partiti?

Come nasce A Sud dell’Anima ce lo dice Nadia, ideatrice del menu ragionato e chef per vocazione. Da autodidatta si è formata osservando tutto ciò che le capitasse attorno: <<ho imparato le basi della cucina guardando mia mamma, una campionessa delle cotture lente e tradizionali. Sin da piccola l’ho affiancata ripetendo ogni suo gesto, dall’assaggio di ogni preparazione in poi. Amavo restare in cucina perché per me era quasi un divertimento perdermi tra i profumi delle orecchiette rigorosamente fatte a mano, delle verdure ed erbette fresche di campagna che, con i miei nonni, amavamo raccogliere.>>

Le Tapas

E le mani in pasta, metaforicamente parlando, Nadia ha iniziato a metterle presto: <<a 8 anni ero libera di preparare dolci, essenzialmente quelli di Natale, con l’aiuto della famiglia. Un momento che coinvolgeva proprio tutti, dai più piccoli ai più grandi. A misurarmi con la cucina ad alta intensità, invece, ho iniziato a 15 anni in un altro ristorante del paese. Una vera palestra.>> Quella di Nadia è una storia che si ripete in tanti ragazzi della zona.

Dalla Sardegna a mete ambite nel settore luxury, i ragazzi hanno avuto modo di misurarsi con diverse realtà del settore food e wine, sviluppando una precisa idea da convogliare in Puglia: creare, grazie alle ricette del territorio, pietanze bilanciate, gustose e addirittura sperimentali. Hanno accettato la sfida della strada più difficile: quella di non essere profeti in patria, però con delle abilità in più. Una su tutte, l’intraprendenza!

Il pane fresco

Il menu degustazione di A Sud dell’Anima è ragionato, esula dal concetto dell’arcaica carrellata di antipasti, nello stile attrattivo-turistico della cucina pugliese. Si tratta, infatti, di un percorso che passa da tutti e cinque i sensi, senza distinzione di sorta, toccando nel profondo dell’anima. Un cambio di passo, secondo Ivan e Nadia, fatto per apprezzare ogni singolo dettaglio a tavola: <<Vogliamo che la gente assaggi i piatti della nostra tradizione, che parlino al 100% del territorio minervinese e murgiano in ogni particolare. Proponiamo dei pairing con profumi selvatici o erbe spontanee poco usate o dimenticate, ma anche un fusion ragionato. Tendiamo ad eliminare il superfluo e, allo stesso tempo, non sacrifichiamo in alcun modo la complessità del piatto che tanto piace ai curiosi della tavola. Rivisitiamo i must della tradizione locale raccontando a tavola aneddoti correlati”.>>

Il cavallo tonnato

Anche a tavola si può imparare tanto. Tra i piatti da non perdere assolutamente ci sono le tapas pugliesi, servite seguendo la stagionalità delle materie prime, variabili dal classico calzone servito a mo’ di mattonella, alla riproduzione della mitica “chianca” per lavare i panni, con lampascione fritto, leggero e croccante. Il tutto da abbinare a una bollicina territoriale magari da uve Bombino Bianco, come Lucy dell’Azienda Agricola Mazzone, una chicca dal corpo immenso, un evergreen di longevità. A seguire il cavallo tonnato cotto a bassa temperatura, verdurine croccanti e finocchietto selvatico delle Murge. Un piatto fresco che ritrae, in chiave innovativa, uno dei tanti volti del territorio. Il carciofo fritto con uovo mimosa, spuma di caciocavallo e finocchietto, è il piatto che può conquistare anche i più scettici a caccia di novità e di fritti leggeri. A Sud dell’Anima si reinventa la cucina casalinga senza snaturarla, anzi “attualizzandola” attraverso buone idee in grado di risvegliare i ricordi d’infanzia.

Tagliatelle all’Aglianico

Come si esprime Minervino al piatto ce lo dicono sempre Nadia e Ivan: <<tenendo la barra dritta sui grandi classici, lavorando sulle cotture, riappropriandoci del tempo lento, senza sacrificare impiattamento ed essenza. Il nostro punto di forza sta nel concetto di fusion ragionato, frutto delle nostre esperienze fuori, unite all’accuratezza che ci mettiamo nello studiare un piatto semplice come può essere lo gnocchetto con le cime di rape e alici.>>

Gnocchetto cime di rapa e alici

Nel menu estivo vige d’obbligo qualche incursione di mare che è a pochi chilometri di distanza. Si inizia dal tortello di riso con pecorino, mascarpone e ricotta – dove ogni ingrediente bilancia l’altro – saltato al burro, vin cotto e tartare di gambero rosa. Occhio alla terrina di agnello con erbette murgiane, verdure a vapore e salsa demi-glace. Un’opera d’arte che richiede impegno per la preparazione e la lentissima cottura. Un secondo interessante che si unisce alla star del locale: la guancia di vitello, regina incontrastata nei cuori degli abituèe.

Terrina di agnello

Vino, birra e distillati

Ad occuparsi della sala e della cantina è Ivan, appassionato di realtà vitivinicole italiane e internazionali. Tra i migliori abbinamenti cibo-vino che dalla Puglia ci fanno viaggiare per il mondo, lui racconta: <<cerco di privilegiare i vini del territorio lavorando sulle eccellenze come il Nero di Troia, espressioni interessanti di Cantina Santa Lucia e Giancarlo Ceci. Mi piace anche giocare con vitigni extraregionali che sanno tenere testa alla cucina di Nadia, fatta di cotture delicate e di fritture saporite. Non manca una nicchia estera con etichette slovene, tedesche, americane e francesi. La carta è costruita in modo tale da dare ai clienti una possibilità di scelta e di scegliere, per ogni portata, un vino differente”.

Molto presto alla carta del locale verrà aggiunta una rara novità: una IGA da Nero di Troia, denominata Elèna. Per Ivan sarà il completamento della carta e anche la prima di una trilogia di birre studiate ad hoc per il ristorante: <<Elèna è interessante sui nostri piatti perché richiama tanto le Murge con i suoi sentori erbacei e speziati, che tendiamo ad utilizzare per profumare con delicatezza i piatti. La birra si sposa bene con un nostro aperitivo e gli antipasti. Un modo diverso di pasteggiare assaporando la nuova essenza della Puglia da mangiare e bere.>>

Sul dolce si può anche degustare con un quasi introvabile Eiswine. E perché no un soft drink da inizio o fine pasto, fino a giungere ai distillati mai banali, in completo relax sulla bellissima terrazza.

Tortello fatto in casa

L’essenza della ristorazione del futuro è scritta nelle sue radici?

Secondo Ivan e Nadia il futuro dell’enogastronomia è scritto proprio qui, nella tradizione. La ristorazione che verrà sarà una sorta di “ritorno al futuro” in grado di suscitare ricordi attraverso la vista, l’olfatto, la consistenza e il gusto. Se il nostro desiderio è quello di tornare un po’ bambini e un po’ innamorati dell’antica cucina, allora A Sud dell’Anima, ristorante gourmet e popular al tempo stesso, sarà la nostra (e vostra) destinazione ideale.

A Sud dell’Anima

Via Chiuso Cancello 3

Minervino Murge

Tel: 0883691175

Mail: asuddellanima@libero.it

“San Marzano on Tour” al ristorante Quattro Passi di Massa Lubrense (NA)

di Ombretta Ferretto

Quando il vino diventa protagonista è capace di cavalcare le migliori tavole del Paese, come una celebrità sa cavalcare le vie del palcoscenico. L’evento “San Marzano On Tour”, dedicato all’omonima cantina pugliese San Marzano è nato in collaborazione con Gambero Rosso. Una tournée enogastronomica che tocca alcune località del Belpaese con i loro ristoranti gourmet.

L’avvincente sfida porta la Puglia fuori dai propri confini per abbinare i vini San Marzano con piatti delle tradizioni regionali italiane: i menu vengono approntati tappa per tappa in modo da poter offrire la miglior esperienza sensoriale nell’abbinamento cibo-vino.

Cantine San Marzano è una Cooperativa vitivinicola fondata da diciannove soci in località San Marzano di San Giuseppe (TA) nel 1962 e si estende su 1500 ettari complessivi. Protagonista del tour enologico che ha già toccato il SanBrite di Cortina d’Ampezzo e Da Gabrisa a Positano. Entusiasmo, dunque, per la terza tappa on the road, che vede protagonista assieme vini dell’azienda, il ristorante Quattro Passi della famiglia Mellino, due stelle Michelin.

Siamo a Nerano, piccolo borgo di pescatori, incastonato sulla punta estrema di quella lingua di terra che a nord culla in un grande abbraccio il Golfo di Napoli, e a sud si frastaglia tra fiordi e insenature della Costiera Amalfitana. Ospiti nella splendida location Luca Conversano, sales area manager di San Marzano, Angelo Cotugno export manager, Maria Cavallo, proprietaria, e Lorenzo Ruggeri, vice curatore della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso. Ad accoglierci lo chef Fabrizio Mellino, responsabile del ristorante di famiglia, e suo padre Antonio, chef patron e fondatore del locale giunto al quarantesimo anno di attività.

Atmosfera rilassante nella sala al primo piano: il camino scoppiettante fa da piacevole compagnia, complice una primavera insolitamente fredda. Il richiamo al mare, a pochi metri di distanza, è presente in ogni particolare dell’arredamento stile coastal e delle decorazioni. Dalle sedute in vimini bianche, rosse e blu, alle sculture di spugne, coralli e grandi pesci bianchi, che sembrano letteralmente guizzare fuori dal soffitto per poi rituffarsi nello stesso mare immaginifico posto sopra le teste dei presenti.

Non mancano a tavola i panificati creati da Fabrizio: i grissini di pasta di tarallo, il bis di panini alla camomilla e ai cinque cereali, le croccanti sfoglie a base di Provolone del Monaco Dop modellate nella forma di quelle vele che d’estate solcano la baia sottostante. Aprono le danze gastronomiche gli amuse-bouche che riportano alle origini stesse del ristorante, nato come pizzeria nel 1983: due montanare ripiene e una polpettina di melanzane. Un piccolo involucro in carta racchiude la pizzetta fritta e richiama nella forma un forno a legna, su cui è impresso il simbolo dei quattro passi.

Al calice la prima proposta è Calce Rosé Spumante Metodo Classico Brut 2017, da uve Chardonnay e Negramaro, che sosta sui lieviti per trentasei mesi. Il nome vuole essere un omaggio ai borghi della Valle dell’Itria, dipinti in calce bianca per rifrangere i feroci raggi del sole nei caldi mesi estivi. Colpiscono immediatamente i sentori agrumati e di piccoli frutti rossi, in perfetta corrispondenza con il sorso fresco e lungo. Il Metodo Classico accompagna anche la prima portata del menù, la spuma di patate con uova di salmone affumicate all’incenso e olio al rosmarino: le sfumature color buccia di cipolla, ancora brillano nel bicchiere, quasi a richiamare la tonalità rosata delle uova di salmone, completandone sapidità e aromaticità.

La tradizione diventa evoluzione nella portata successiva che fa da eco all’antipasto tipico della costiera sorrentina, l’insalata di calamari. È quasi un peccato spezzarne l’armonia cromatica disegnata dalle tagliatelle di calamaro con limone di Massa Lubrense e bottarga. La pasta è ridisegnata non solo nel nome e nella forma, ma pure nella consistenza, e si abbina a regola d’arte con il secondo vino in degustazione, Timo Vermentino Salento IGP 2022 da Vermentino in purezza. L’abbinamento più riuscito della serata con le fragranze classiche del varietale, ancora giovani, che si completano al palato in sentori di arancia tarocca e macchia mediterranea.

Le linguine alla Nerano, pietanza conosciuta in tutto il mondo, sono qui servite nella personale
interpretazione dello chef, che affianca alle zucchine anche i loro fiori, e predilige come formaggio un Parmigiano Reggiano stagionato 12 mesi. Anche il formato scelto (la linguina e non lo spaghetto) è voluto per esaltare al meglio i sapori dell’intingolo. Viene subito servito Edda Bianco Salento IGP 2021, vino dall’anima femminile (Edda in dialetto salentino significa “Lei”), blend di Chardonnay e una percentuale variabile – tra il 30% e il 35% – di autoctoni quali Moscatello e Fiano Minutolo. Elevato in barrique di rovere francese per circa quattro mesi. Olfatto delicatamente floreale e vegetale, arricchito da tenui sentori di vaniglia. L’abbinamento non risulta, forse, il migliore, con il retrogusto della zucchina che si allunga nel sorso verso una chiusura di bocca amaricante.

La temperatura in tarda serata si mitiga e invita i partecipanti a godere degli spazi esterni, come la terrazza del cocktail bar, proprio fuori dalla sala. Un vero giardino pensile affacciato sul mare, dove
il bianco e il blu dominano anche nei disegni esagonali delle ceramiche vietresi. Affacciandosi possiamo quasi immaginare i turisti che d’estate scendono dalle imbarcazioni private e salgono al locale, passando direttamente dalla cantina vini, per gustare un cocktail o una cena in questo angolo di Paradiso.

Proseguiamo la cena con un vitigno autoctono riscoperto da una quindicina d’anni: il Susumaniello, il cui nome deriva da un’espressione dialettale che significa caricarsi come un somaro. Molto produttivo in gioventù, diventa sempre più avaro di frutti con l’ravanzare del tempo. Ed è proprio nel momento in cui avviene questa riduzione della resa che il Susumaniello offre risultati sorprendenti!
Amai Susumaniello Rosé Salento IGP 2021 è un vino che ammalia già alla vista, nel suo tenue
color rosa antico, ottenuto dalla permanenza sulle bucce inferiore a due ore. Erbe officinali, maggiorana in prima battuta, e speziature di pepe rosa dominano su tutti, con il palato avvolto da nuance saporite che non stancano mai. Un vino che porta le note del mare”, come ha voluto sottolineare Luca Conversano, grazie a freschezza e sapidità bilanciate dal leggero calore finale.

Erbe aromatiche protagoniste anche nel trancio di spigola in salsa acetosella, dalle delicate presenze acidule che si sposano con Amai. Il pre-dessert di Fabrizio Mellino, invece, è un guizzo di velluto, un sorbetto al lime con kiwi, su spuma di latte e menta, che accompagna alla chiusura dei sipari in maniera elegante.

Dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo, arriva il momento del Primitivo, declinato nella versione Dolce Naturale: 11 Filari Primitivo di Manduria DOCG Dolce Naturale 2019. Il nome deriva dal numero di filari originariamente selezionati per ottenere tale prodotto. Viti ad alberello su cui appassiscono naturalmente i grappoli d’uva. Dopo la fermentazione, l’affinamento è in barrique di rovere francese e americano per dodici mesi. Prima ancora del colore rubino impenetrabile, impreziosito da sfumature granate, incantano le sinuosità delle movenze nel bevante, che preannunciano una bella struttura. Il naso spazia dai fichi secchi alla ciliegia in confettura, dal mallo di noce a note balsamiche di menta. La bocca è incredibilmente fresca, pulita, accarezzata da un tannino delicato, tanto da ipotizzarlo non soltanto con i dessert.

Lo chef affida la chiusura del menù al Babà guarnito con albicocca pellecchiella del Vesuvio e crema chantilly. Il richiamo alla tradizione culinaria della Terra delle Sirene non manca neppure nella petit patisserie in accompagnamento ai caffè: la Sfogliatella Santa Rosa, che leggenda vuole sia nata in un monastero della Costiera, e i cioccolattini ripieni di crema di melanzane e decorati con un granello di sale grosso, reminiscenza della ricetta della parmigiana dolce sorrentina.

La serata si conclude con una visita alla cantina interna del ristorante Quattro Passi, una piccola cattedrale enologica scavata nella roccia, le cui nicchie accolgono l’ampia selezione di vini italiani ed esteri, oltre a magnum di pregio e rare verticali di etichette celebri.

Qoco 2023: si traccia la via per l’Olio Extravergine di Oliva che verrà

di Serena Leo

Quanto può un semplice ingrediente caratterizzare il territorio? Su questa domanda e su buone prospettive di crescita, si è svolto l’evento Qoco 2023, il Festival dedicato all’Olio Extravergine di Oliva che torna dopo una lunga pausa. Tanti i cambiamenti in fatto di cucina e società, pronti a far parlare di buona Puglia in casa ed in tutto il mondo.

Una tre giorni di condivisione e di scambi culturali, questo è Qoco 2023 che ha messo l’Olio Extravergine di Oliva nelle condizioni di diventare, ufficialmente, pietanza classica e non soltanto uno degli ingredienti delle ricette mediterranee. A dimostrare la forza dell’oro verde di Puglia sono le sinergie che sul suolo andriese hanno evidenziato la capacità di innovare e rinnovare, creando un concetto di cucina del futuro.

Cosa sta cambiando in questo settore? Quali sono le riflessioni fatte e quali gli scenari ancora da scrivere? Ne abbiamo parlato con gli addetti ai lavori attraverso dei temi chiave.

Consapevolezza e trasparenza

Per raccontare una storia servono idee, ma anche la conoscenza di ciò che è stato. Spesso si è sacrificata una buona fetta di informazione a discapito della velocità, della mancanza di cultura, di condivisione e dell’ineluttabile guerra al ribasso. Ora, però, c’è un’inversione di tendenza basata sulla consapevolezza. Ripartire dall’olivo, dai suoi frutti prelibati fino alla bottiglia, per raccontare ciò che significa l’Olio Extravergine di Oliva per la Regione e per l’Italia intera.

Marcello Longo, Presidente Slow Food Puglia, propone la chiave della trasparenza tramite un’etichetta narrante interattiva, per informare a dovere il consumatore “Acquistare una bottiglia d’Olio Extravergine di Oliva significa acquistare un prodotto dalla filiera chiara e lineare, dall’albero alla bottiglia, e ciò deve essere comunicato al consumatore finale. Noi di Slow Food, con il progetto etichetta narrante, raccontiamo tutte le fasi produttive: dalla scelta della cultivar, a chi l’ha raccolta, al frantoio, alla conservazione e tutto ciò che stabilisce la qualità. Tra i messaggi essenziali di Qoco c’è proprio la trasparenza”.

Insieme a questo traguardo Slow Food Puglia sta cercando di preservare nel miglior modo possibile non solo un patrimonio culinario ma anche paesaggistico, ecco quindi come l’attuale Presidio degli olivi secolari di Puglia, che annovera ben 19 esemplari, è destinato ad aumentare anno dopo anno.

Formazione continua

Farsi forza sull’Olio Extravergine di Oliva si può? Certamente, ma serve un’imprescindibile formazione. Le riflessioni di Nino Di Costanzo, chef di Danì Maison, due stelle Michelin a Ischia, in giuria per la competition di Qoco 2023: la sua idea a riguardo è estremamente chiara, compresi gli strumenti da utilizzare.

Bisogna iniziare a introdurre il concetto di cultura alimentare nelle scuole, parlando anche di olio extravergine di oliva, un alimento che in cucina è essenziale. La buona formazione è utile per evitare l’utilizzo di prodotti non autoctoni e di trattare con cura le materie prime. Il Sud esprime qualcosa di straordinario da trasmettere ai giovani. Nelle scuola c’è ancora tanta ignoranza in materia. Una buona conoscenza serve per utilizzare al meglio ogni alimento. Per una regione che si affaccia sul mare e annovera tra i suoi patti forti il pesce, tale condimento è perfetto per esaltare i sapori. Nel caso pugliese la regione ha ancora un potenziale inespresso”.

Sulla base di questo si può e si deve fare innovazione. “Dell’Olio Extravergine di Oliva bisogna avere rispetto e tentare di lavorarlo il meno possibile. Se i produttori fanno un grande lavoro per portare sulle nostre tavole un alimento tecnicamente perfetto, anche dal punto di vista organolettico, il nostro compito è cercare di mantenerne l’integrità. Ad esempio io cerco di non trasformarlo, mantenendolo quasi sempre a crudo per renderlo protagonista a tavola”.

Idee in cucina

Tante volte in cucina si parla la lingua della semplicità. Tra gli ambassador del buon mangiare c’è Chef Felice Sgarra, di Casa Sgarra a Trani, una Stella Michelin e fiero pugliese. Nel suo compito di giurato per la competitionQoco 2023 – Un filo nel piatto” sposa e promuove il concetto della “cucina di una volta”, però con attenzione. Proprio come accade nel suo ristorante, la tradizione si eleva a un livello superiore, premiando le eccellenze territoriali, lavorando sul chilometro zero ragionato e, grazie alle esperienze nazionali e internazionali  dei suoi fratelli, sulla fusione di culture diverse. Il risultato? Piatti che ci fanno sentire a casa, ma in modo diverso.

L’Olio Extravergine di Oliva da noi è sempre stato di uso comune, un prodotto disponibile in casa non per ricchezza, ma per abbondanza. In Puglia, in tutte le famiglie c’è sempre una buona scorta. In cucina è un protagonista assoluto e sta a noi farne un uso coerente assieme a tutti gli altri ingredienti che la biodiversità territoriale ci offre, prodotti che tutto il mondo ci invidia”. Riguardo a una nuova visione Sgarra tiene la barra dritta: “l’innovazione si può fare ed è nell’indole degli chef. Per innovare bisogna sbagliare, accettare e migliorarsi sempre. Si parte riadattando il nostro essere, senza guardare esclusivamente fuori dai confini. Sfido chiunque a fare un piatto sbagliato con dell’Olio Extravergine di Oliva, anche una semplicissima pasta in bianco. Con aggiunta di esso hai già fatto l’amore a tavola”.

L’Olio Extravergine di Oliva può essere un viatico per rilanciare la Puglia gastronomica? “Come tutti i prodotti artigianali anch’esso contribuisce al rilancio della Puglia dal punto di vista economico e di immagine. Una buona campagna olearia significa ricchezza, abbondanza. Puntare sull’oro verde è la strada giusta.”

Il vincitore

Impegno istituzionale

L’Olio Extravergine di Oliva necessita non solo di una fortunata annata produttiva, ma anche di un costante impegno istituzionale pronto ad attuare un sistema di successo. Secondo Giovanna Bruno, sindaco di Andria, che assieme alla sua squadra ha voluto fortemente Qoco 2023 “Bisogna unirsi evitando le fazioni. Quando si fa ricerca dell’eccellenza è essenziale fare rete in modo da dare, anche nel caso dell’olio extravergine di oliva, l’importanza che merita”. Per il sindaco serve un’innovazione ragionata e l’ausilio dell’esperienza in modo da soddisfare le esigenze del nuovo consumatore alla ricerca di un cibo dallo storytelling forte e salutare.

Vince la creatività

Nella competition “Qoco 2023 – Un filo nel piatto”, la giuria presieduta da Alfonso ed Ernesto Iaccarino ha proclamato vincitore lo chef Rafael Arroyo Martinez che dall’Andalusia ha portato un piatto dal gusto mediterraneo, ma per nulla scontato: crema calda all’Olio Extravergine di Oliva, vongole e branzino del mediterraneo, il tutto condito da una monocultivar Coratina.

Un lavoro di ricerca fatto sui semi di ulivo in cui si dimostra la versatilità di un caposaldo della tradizione italiana e pugliese. Secondo Alfonso Iaccarino, patron del ristorante stellato “Don Alfonso 1890” a Sant’Agata sui Due Golfi, “è stato lo chef che più di tutti ha esaltato il tema del concorso valorizzando le peculiarità dell’extravergine, coniugandole nel segno della modernità e della mediterraneità magistralmente interpretate”.

Al secondo e terzo posto, rispettivamente, si attestano Martin Zupanc, chef sloveno con il suo Fish and Cheese e Andrea Valentinetti che propone un dessert chiamato Mela e Olio.

Con la creatività e nuove energie si può far sempre meglio per la Puglia e per la buona cucina: Qoco 2023 ne è stata la piena dimostrazione.