Team Costa del Cilento: Gaetano Iannone fa della semplicità in cucina il suo timbro unico

Trovarsi tra le cucine di un grande villaggio turistico come il Mia Resort a Paestum potrebbe incutere timore anche al più esperto degli chef. Qui le presenze numeriche e i volumi estivi sono impressionanti; le esigenze diventano pressanti e accontentare gusti e sensazioni del pubblico eterogeneo non è semplice.

Gaetano Iannone, invece, ha sposato fin dagli inizi il progetto, con una filosofia di vita basata sui valori della semplicità e dell’eleganza, accompagnati dal rispetto per le materie prime e l’essenzialità dei sapori. Ai nostri microfoni si è lasciato andare guidato dall’emozione sana e pura, come quel bambino che da grande sognava di fare questo mestiere (e non il medico o l’astronauta).

L’antipasto di salmone con crema alla melannurca, pomodoro secco e mandorle rappresenta un obiettivo ambizioso: creare cultura gastronomica nella semplicità di pochi ingredienti ben amalgamati.

Pratica ed indispensabile la ricetta proposta in video: troccoli con zucchine, fiori di zucca e lupini di mare. Pratica per l’esecuzione replicabile anche nelle nostre case. Indispensabile perché valorizzare il lupino, delicato e ricco di sfumature di salsedine, con il fiore di zucca è un colpo di inventiva di grande impronta.

Il resto lo scoprirete direttamente sul posto. Il ristorante, infatti, prevederà l’apertura anche agli ospiti esterni con un rapporto qualità prezzo accessibile a tutte le tasche.

Eboli: una fermata di gusto

Arrivare ad Eboli, all’uscita dell’Autostrada A2 e che fare? Vi sarete chiesti in tanti, complice alcuni passi clou della narrativa italiana, perché menzionare proprio Eboli quale crocevia del Sud Italia. Una sorta di ombelico del mondo mediterraneo, posto equidistante tra le bellezze paesaggistiche della costiera e le porte d’ingresso sul Cilento e sul Vallo di Diano. Luogo intriso di storia e cultura, come testimoniano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nei secoli.

Un passaggio tra le vie cittadine, in direzione Ermice, a contatto con tradizioni e natura. La visita al ManEs – Museo Archeologico Nazionale di Eboli e della Media Valle del Sele – realizzata in collaborazione con il Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei Campania – testimonia quanto detto. Dal terrazzo ai piani superiori si può ammirare la magnificenza dei tetti colorati, dei campanili e delle chiese, che si spingono fino alla Piana del Sele e di lì, nella quiete agreste, al mar Tirreno.

La stele romana ritrovata di recente riporta la scritta Eburum, antica denominazione di Eboli, chiamata in dialetto locale “Jevule” derivato, con ogni probabilità, da Eu bòlos (ευ βώλος, “buona zolla“), o dal mitico fondatore Ebalo, figlio della ninfa Sebeti e di Telone, re di Capri, menzionato da Virgilio alla fine del settimo libro dell’Eneide.

Tanta storia e altrettanta modernità, grazie al fiorente sviluppo del settore enogastronomico. Terra di mozzarella di Bufala, forse il territorio che più di altri ne produce per quantità nel rispetto dei protocolli tesi a un formaggio a pasta filata unico nel suo genere, dal sapore inconfondibile. Il Caseificio Fattorie Di Guida, tramite le parole del fondatore Enzo Di Guida, espressione vulcanica di cosa significhi fare imprenditoria di qualità, ci racconta delle difficoltà iniziali, nonché dello stile produttivo e della mozzatura, la fase conclusiva di un processo nato nelle stalle dal latte genuino di razze selezionate e curate con amore.

La differenza, spiega Di Guida, la fa l’artigiano della mozzarella, colui che riesce a curare ogni minimo particolare, valutando i mangimi naturali di propria creazione per le bufale, le attrezzature per la mungitura e l’occhio dell’uomo, unica unità di misura di incredibile precisione nella scelta della pezzatura, tra bocconcini, mozzarelle e la “Mammellona di Eboli”, marchio registrato e garantito.

Non sarà l’unica parentesi gastronomica del nostro racconto, che prosegue con l’incanto e la pace spirituale del Convento dei Cappuccini di S. Pietro alli Armi, ritornando sulle alture ove si intravede lo skyline di Eboli. Ad accoglierci padre Modesto Fragetti, già parroco del Convento dell’Immacolata di Salerno, Padre provinciale, maestro di novizi, missionario in Congo. Una vita per la Chiesa (oltre 50 anni di sacerdozio) al servizio dei più poveri e bisognosi. Ci accoglie come un amico fraterno, condividendo la casa dei monaci dotata di un chiostro del ‘600 di tale bellezza da togliere il fiato.

Il primo nucleo fu eretto nel 1080 dai frati Benedettini, autentici protettori della cultura e delle tradizioni romane e medievali, amanti della vite e delle piante officinali, abili copisti e traduttori. Furono chiamati a salvaguardare e bonificare il territorio, nel principio ecumenico del Ora et Labora, prega e lavora. La Chiesa fu trasformata in stile barocco nel XVIII secolo e riportata ai fasti di una volta nel 1928 dopo il crollo parziale del tetto. Una tappa obbligatoria per chi cerca nella calma serafica, nella riflessione e nella preghiera, un antidoto vitale ai ritmi forsennati che ci si impone nella vita odierna.

Quando lo spirito è rilassato, non resta che gratificare il corpo, procedendo spediti verso il Ristorante Il Papavero, dove ad accoglierci è lo Chef Executive – una stella Michelin – Fabio Pesticcio e la pastry chef Benedetta Somma, figlia di Maurizio Somma, il founder dalla mente lucida e visionaria. Portare il riconoscimento prestigioso della Guida Michelin a Eboli è stato merito di un progetto iniziato ben prima del lontano 2011, anno della stella, e che prosegue con qualità e ricerca continua con uno staff giovane e preparato.

Straordinario il piatto firma di chef Pesticcio: pasta mista con ragù di polpo, spuma di patate e coulis di pomodoro affumicato con olive. Un trompe-l’oeil di chiara efficacia, che gioca all’esaltazione delle materie prime, perfettamente riconoscibili nella loro mescolanza.

Non può mancare l’arte dell’abbinamento cibo-vino con la proposta di una talentuosa produttrice autoctona doc: Rossella Cicalese. Sua l’idea di recuperare, poco più che ventenne, gli antichi poderi dell’infanzia, preservando e presidiando l’ambiente circostante. Tre gli ettari coltivati a Eboli e quasi 2 a Perdifumo per un totale di bottiglie oscillante fra le 12 e le 15 mila annue.

Il Rosato 2022 Ephýra, ad esempio, Aglianico in purezza, è un vino di carattere molto versatile con le proposte culinarie della Campania, su pietanze di terra e di mare.

Arte, storia, cultura enogastronomica e spiritualità: Eboli è davvero una fermata di gusto per l’anima.

Puglia: Pepenero, a Bisceglie il bistrot all’italiana nato “per amore di casa”

Raccontarsi liberamente attraverso la propria cucina si può. Siamo a Bisceglie da Pepenero, il bistrot
italiano, come lo definisce lo chef patron Daniele Antonelli.

Pepenero Bistrot Italiano a Bisceglie vuole discostarsi dalla miscellanea modaiola pugliese in cucina. Già osteria Slow Food dal 2020, nei suoi primi 10 anni di attività vuole mettere il punto sui traguardi raggiunti e far luce sul futuro all’insegna sempre dell’amore di “casa”.

Dal 2013, nel suo giardino urbano, ha scelto di riscrivere la tradizione nel piatto e sulla pizza. Location in pieno Apulian Style, piatti lavorati il giusto e belli da vedere, sono gli elementi che lo rendono un bistrot fuori da ciò che già ci aspettiamo. Tra gli ingredienti che scrivono il successo di Pepenero c’è sicuramente una gran voglia di raccontare la Puglia al piatto nobilitandola attraverso la semplicità di ogni ingrediente autoctono.

Dove siamo

Basta allontanarsi quel tanto che basta dal mare di Bisceglie – città nota per i suoi sospiri – per giungere da Pepenero. All’ingresso un elegante giardino urbano ci protegge dal caos cittadino. Verde e legno ci accompagnano verso l’interno del locale dove il dettaglio fa la differenza. Tinte chiare, legno alle pareti, vimini a soffitto e lavagne sempre pronte a scandire il tempo del bistrot e niente tovaglie, ma eleganti centrini che ricordano quelli intrecciati dalle nonne. Un omaggio shabby chic accoglierà le pietanze del locale, per niente scontate o ordinarie, in armonia con l’interno. Ad occuparsi dei particolari, sin dal 2013, è Marirosa Castriotta, moglie di Daniele Antonelli.

Squadra che vince non si cambia

Al timone di Pepenero c’è Daniele Antonelli, cresciuto tra la pasticceria e un diploma da geometra messo subito nel cassetto. La cucina è sempre stato il suo rifugio; tra esperienze italiane ed estere ha saputo prendere tutto il buono che è venuto. Londra con chef Patrice Loni, ma anche Belgio e Francia, le palestre che lo hanno forgiato fino al suo ritorno a casa, a Bisceglie. Nel 2013 inizia la storia di un bistrot non convenzionale “Un po’ per caso, un po’ per amore di casa” dirà lo chef. Un progetto cresciuto con senso di appartenenza e voglia di proporre novità da mangiare in una città come
Bisceglie ancorata alle tradizioni culinarie, alle volte, più agée.

A fargli compagnia animando la brigata di cucina c’è chef Antonio Modugno, esperienza da sous chef. Entra in cucina dieci anni fa e il suo mood ha sposato subito quello di Antonelli “Creo i miei piatti partendo dall’ingrediente, sviluppando l’idea attraverso tecnica, ricordi e associazioni affettive. Sottovuoto, marinatura e osmosi sono le mie tecniche di riferimento. Da lì nasce una nuova ricetta, che trae forza dal territorio e si arricchisce di una profonda attenzione estetica”.

La degustazione e la carta

PepeNero ha una cucina fluida che attraversa le stagioni. Il territorio fa la parte del leone, ma le tecniche del zero spreco impongono l’utilizzo di tutto ciò che arriva in cucina. Pesce, carne, vegetali, in diverse ed esaltanti forme. Materie prime che caratterizzano “casa” eticamente in accordo con la filosofia del chilometro zero “La materia prima per noi preziosa può essere la cima di rapa di Minervino Murge, la triglia di giornata, i calamaretti e lo sgombro. Mettiamo in carta anche le aragoste, solo se sono dell’Adriatico e quando sono disponibili”.

E se un semplice uovo esce dall’ovvio per essere arricchito da una frittura leggera e cicorie crude croccanti, anche una semplice triglia arriva in carta come un piatto di punta pronto a conquistarci con la sua croccantezza. La proposta di chef Antonelli si esalta quando gli si da carta bianca; un percorso
degustazione “A occhi chiusi” in grado di raccontare, dall’antipasto al dolce, la sua cucina. Non mancano mai i risotti e la pasta ripiena, punto di forza in ogni sua declinazione estiva o invernale.

Da bere c’è un’agile proposta al calice che accompagna ogni portata del percorso, oppure per chi vuole mettersi alla prova con una bottiglia, da Pepenero potrà scegliere tra circa 200 referenze. Rossi, rosati, bianchi, orange, racconteranno l’Italia del vino.

Dedicata ai golosi c’è un’esperienza interattiva tra territorio e buone idee da far diventare dessert. Dalle lavorazioni con frutta fresca, rigorosamente stagionale e territoriale, prendono forma rivisitazioni dei grandi classici, come il castagnaccio. Servito con un rinfrescante gelato all’alloro e ginito con un giro di olio extravergine di oliva dalla cultivar autoctona Coratina, mette un punto fermo sulle potenzialità della terra di Puglia.

La pizza un capitolo a parte

I lievitati da Pepenero sono ciò che hanno fatto e fanno la storia mainstream del locale. Pane, focaccia e naturalmente pizza. Quest’ultima vive di luce propria, è un biglietto da visita e non un prodotto qualunque. Partiamo dall’impasto frutto di uno studio in continua evoluzione. Farina tipo 0 con germe di grano e tipo 1 variabile in base allo scouting periodico, semola di grano duro Korasan, idratazione al 72%, blend di oli da Coratina e Ogliarola, sale lievito madre e quel tanto che basta di lievito di birra. Se puristi del lievito madre state storcendo il naso, attenzione perché c’è una spiegazione tecnica a riguardo e ce lo spiega chef Antonelli “Non bisogna rinunciare sempre e comunque a ciò che la tecnica ci mette a disposizione. Basta saper dominare al meglio le proporzioni per avere un impasto assolutamente digeribile e senza nessuna defaillance”. Il risultato è una pizza contemporanea, con la giusta consistenza dal bordo non troppo alto fino alla base che regge perfettamente gli ingredienti, anche quelli in apparenza più “ingombranti”.

Un’estate fa… il ricordo di una cena incantevole al Ristorante La Serra dell’Hotel Le Agavi di Positano

Faccio il mestiere più bello del mondo e lo capisco proprio in occasioni simili, quando ti trovi a cena in uno scampolo di fine estate al Ristorante La Serra dell’Hotel Le Agavi di Positano. E non si tratta solo del panorama incantevole che si gode nelle tepide serate.

Si resta colpiti da quanto la cucina gourmet (qualsiasi significato gli si voglia attribuire), possa diventare arte al servizio del cliente. Vista, olfatto e gusto, ma a ben cercare tutti i 5 sensi vengono coinvolti da un’esperienza che poco ha a che fare con le chiacchiere da palcoscenico.

Concretezza, da parte dello chef da una Stella Michelin Luigi Tramontano; eleganza da Nicoletta Gargiulo, una vita nell’Associazione Italiana Sommelier con incarichi apicali, moglie di Luigi e splendida direttrice di sala che sa accoglierti come un lontano amico di casa.

In mezzo i piatti, preparazioni oniriche di Tramontano e della sua brigata di cucina. Creazioni in chiave fusion, con contaminazioni tra il dolce e il salato, le ricette europee e quelle del mondo orientale. Perché, in fondo, mescolare usanze e tradizioni è il segreto di un concept quanto mai moderno di fare ristorazione.

La Costiera Amalfitana è una soglia principesca, ciononostante qui si è scelto di poterla varcare senza dover richiedere la stipula di un mutuo. Sono scelte, ognuno fa i conti e le politiche commerciali che meglio crede. Personalmente trovo molto sensato poter consentire la presenza con prezzi accessibili ad un pubblico più folto, altrimenti si rischia che l’enogastronomia resti un discorso per pochi (in qualche caso persino un triste monologo).

L’eclissi lunare di Kandinsky ed il Gioco del sette e mezzo aprono e chiudono i sipari su una cena che resterà impressa per sempre nella mente del sottoscritto. E chi mi conosce bene sa che raramente dispenso lodi e complimenti simili.

Il pesce, materia prima su cui Luigi Tramontano dimostra competenze e rispetto unici, viene trattato alla perfezione, sia nelle crudités che nelle versioni in cottura. Tre i menù degustazione che possono variare per numero di portate e gusti. Raccontare nel complesso le sensazioni provate all’assaggio è poca cosa, come un maldestro tentativo di spoiler che nulla aggiunge al giudizio eccellente finale.

Segnalo, però, di giocare sulla curiosità personale come successo con il Tataki di Bufala o con il risotto carnaroli al bergamotto, ricciola, capperi e liquirizia amarelli. E buon divertimento, quando il sole dell’estate tornerà finalmente a splendere.

Villa Saletta Tour al nastro di partenza con il tema “pizze d’autore”

La prima tappa del Villa Saletta tour con il tema “Pizze d’autore” si è svolta presso la pizzeria Il Vecchio e il Mare di Firenze. La prima di 5 tappe, organizzata e condotta,  rispettivamente dai giornalisti Roberta Perna e Leonardo Romanelli con la presenza del direttore tecnico dell’azienda David Landini.

Villa Saletta si trova in località Montanelli a Palaia in provincia di Pisa, un antico borgo che affonda le sue origini nell’anno 980. Appartenuto ad importanti famiglie, oggi grazie agli inglesi Hands, imprenditori nel mondo dell’hotellerie di lusso e dopo una attenta restaurazione ha ritrovato nuova vita. La tenuta è immersa nei 1400 ettari di proprietà tra oliveti, vigneti, boschi e coltivazioni varie. I vitigni coltivati sono Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. In futuro verranno messe a dimora anche barbatelle di Chardonnay.

Moderna e funzionale la cantina costruita per dare origine a vini espressivi e di elevata qualità con timbro bordolese, ma animo marcatamente toscano. La gestione della Tenuta è stata affidata all’esperto enologo David Landini. A breve gli ettari vitati supereranno gli 80. Villa Saletta mette a disposizione anche casolari immersi nel verde della campagna e tre ville per l’ospitalità.

Il Vecchio e Il Mare si trova a Firenze in via Gioberti, all’interno di una corte, un angolo tranquillo con ampi spazi sia all’aperto sia al coperto. La cucina di mare è curata dallo chef Daniele Di Sacco e la pizza da Mario Cipriano con versioni napoletane sia classiche che rivisitate. Pizze con farine selezionate e impasti calibrati. Tre spicchi conferiti dal Gambero Rosso per ben quattro volte. Il titolare è il dinamico Pasquale Naccari.

Il menù con abbinamenti

Montanarina con trippa di ricciola come benvenuto

Padellino crema di fiordilatte affumicato, porchetta di mare, patate del Casentino sfogliate – abbinato
Villa Saletta Rosé 2021 – Sangiovese, Merlot,  Cabernet Sauvignon e Franc – dai riverberi rosa cerasuolo e nuances olfattive di ribes rosso, lampone, melagrana e fragolina di bosco, sorso fresco e sapido, suadente e persistente.

Impasto classico con Fiordilatte campano, crema di zucca fresca Toscana, salsiccia di cinta senese presidio Slow Food e funghi porcini spadellati – abbinato a Chiave di Saletta 2018 – Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc- rubino luminoso con note balsamiche e speziate, polvere di cacao, rosa appassita e tabacco. Sorso avvolgente con tannini nobili, pieno e coerente.

Impasto classico margherita – in abbinamento a Saletta Giulia 2018 – Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon – rubino intenso sprigiona sentori di corbezzolo, rosa canina, spezie, liquirizia e tostature. Al palato risulta delicato e rotondo al tempo stesso.

Pizza alla pala con provola affumicata campana, gorgonzola mascarponato, speck Sauris e tarallo napoletano sbriciolato – con Chianti Superiore 2018 – Sangiovese in purezza – dalle sfumature di violetta, amarena, prugna, pepe nero e arancia sanguinella. Tannino setosi, sapidi ed equilibrati.

Pizza e vino si conferma sempre di più una garanzia in fatto di abbinamento.

Estro Beef-Bar a San Giorgio a Cremano: nella città che ha dato i natali a Massimo Troisi si punta alla ristorazione di alta qualità

Scusate il ritardo. La frase non è il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, nativo di San Giorgio a Cremano (NA). E non ha neppure valenza di gioco con doppio fine, per evidenziare qualcosa di accattivante nella scelta gastronomica. Il ritardo è, per una volta, quello del sottoscritto nell’aver dimenticato di visitare, da troppo tempo, un luogo del cuore che mi lega ai ricordi dell’essere campano e “uomo del Sud”. Quanto è mancato colmare questo vuoto, maledetta nostalgia degli anni che scorrono inesorabili. Poi arriva finalmente il giorno desiderato, con la visita al ristorante Estro Beef-Bar in uno dei continui viaggi alla ricerca di ciò che conta nel mondo della ristorazione.

Nel traffico dell’ora di pranzo scorgo un grazioso dehor esterno, di pertinenza del locale, grato della fortuna di aver trovato posto con la macchina proprio di fronte ad esso. La giornata sembra iniziare per il verso giusto e prosegue accolto dal direttore di sala Fabio Petricelli, esperienze pluriennali in giro per il mondo, coadiuvato dal maître Alfonso Improta.

La bassa età anagrafica dello staff è il sottile filo rosso, con lo chef Francesco Sorrentino poco più che trentenne dal curriculum già ampio. Suoi i piatti, selezionati tra una lunga lista, che soddisfa appieno le tendenze delle clientela. Si passa dagli assaggi in stile street food, per andare verso antipasti e primi ricchi di tradizione rivisitata in chiave moderna. La ricerca è incessante, a volte anche eccessiva, ma per nulla scontata.

I sapori si riconoscono nella propria essenza, sia per quantità che qualità di ingredienti. E la materia prima fa da sempre la parte del leone. Come a riguardo delle carni, provenienti da allevamenti facenti capo ad Antonino Grillo, il titolare dell’Estro Beef-Bar. La carta dei vini è in profonda trasformazione, giunta alle attuali 300 referenze, un numero comunque ritenuto adeguato per la tipologia. Le frollature vengono effettuate su indicazioni di Antonino, evitando di arrivare alle punte estreme degli oltre 60 giorni, già sufficienti nella filosofia del locale a proporre il miglior taglio possibile alla giusta maturazione. Presente nel menu anche una mini degustazione utile a capire l’importanza del procedimento di preparazione e cottura.

Tanta sostanza, tanta praticità, pochi fuochi d’artificio. Esattamente ciò che a noi di 20Italie piace raccontare. L’antipasto è una tartare di scottona, con arachidi tostate e sotto forma di salsa, burro e perlage di aperol spritz, con granelli di sale. Divino è dir poco.

Segue la rivisitazione del peperone imbottito dalla forma di ciambella, su cremoso di peperone e spuma di parmigiano dove le consistenze perfette si amalgamano senza slegature o distorsioni.

Il risotto cacio e pepe con framboises, lamponi ice e zest di limone è un piatto su cui ci si può lavorare a patto di non avere eccessivi riverberi dolci nel fine bocca.

E poi lei, la regina, la carne presentata cruda in un cofanetto a mo’ di scrigno delle delizie e cotta alla brace, tenera e saporita. Perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Ci scuserete per il ritardo, ma le cose buone valgono la pena d’essere attese.

Estro Beef-Bar

Via Alessandro Manzoni, 102

80046 San Giorgio a Cremano (NA)

Tel 081 18367365

Resort Agriturismo Maliandi: chef Tony Granieri spiazza tutti nel reinterpretare la tradizione in chiave fusion

Chi se lo aspettava! In un posto immerso nella natura incontaminata del Vallo di Diano, territorio meraviglioso ancora in parte inesplorato, chef Tony Granieri crea, anzi contamina all’interno delle mura del Resort Agriturismo Maliandi a San Pietro al Tanagro (SA).

Non si tratta di contaminazioni pericolose, anzi. Il giovane Granieri, poco più che trentenne, sa smarcarsi dalla inerzia della vita quotidiana, sempre in cerca di nuovi stimoli, complice l’esperienza con il padre Giovanni in cucina, alla quale succedono diverse iniziative personali di Tony, anche nell’ambito del food truck.

A destra chef Tony Granieri

Arrivare sulle colline che guardano la pianura circostante, ricche di oliveti e di tranquillità bucolica, rappresenta già un ottimo viatico per sostare alla ricerca dei sapori della tradizione. Bisogna reggersi alla sedia, perché il viaggio condurrà invece in diversi angoli del mondo. “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione”, come indicava lo scrittore L.F. Céline nel capolavoro Viaggio al termine della notte.

La tartare

Poco importa se carne o pesce; qui assume valore, come non mai, la gestione della materia prima. Non invadere il campo alla proposizione di colori, aromi e consistenze significa mantenere integra la tela del piatto, prima dell’avvento delle posate. Capita così, di osservare una tartare di scottona proposta alla moda francese, condita al punto giusto ed esaltata da porcini freschissimi, tuorlo affumicato e mayo di aglio e mandorle.

Il baccalà

O come il baccalà al panko con cavolfiore arrosto e salsa xo, leggermente agrodolce, dove forse una piccantezza ulteriore non avrebbe guastato.

Tra i primi spicanno le lumachine del Pastificio Felicetti con porro, miso, olio di alloro e croccante di pescato frollato e il miglior assaggio di giornata, tra i migliori di sempre per il sottoscritto: plin di genovese, jus di manzo e amaro lucano con provolone del Monaco e caffè.

Una breve sosta nella scelta del secondo, capitata questa volta sul petto d’anatra, funghi alla senape e bietoline scottate, di una delicatezza senza tempo.

Si chiudono i sipari, infine, con l’assoluto di nocciola in stile parfait, realizzato con sapienza come per gli altri dessert, dalla brigata di Tony Granieri.

Interessante e in via di ulteriore ampliamento la carta dei vini, con alcune chicche selezionate tra piccoli produttori italiani.

Una visita nel Vallo di Diano merita di sicuro la sosta gastronomica da Agriturismo Resort Maliandi.

Resort Agriturismo Maliandi

Via Tempa Dietro Difesa

84030 San Pietro al Tanagro (SA)

Tel: +393478032569

E-mail: info@maliandi.it

www.maliandi.it

Emilia Romagna: ristorante “Al Vèdel” una storia di famiglia

Una storia di famiglia: così si presenta il ristorante Al Vèdel agli ospiti che varcano la sua soglia.

Ma anche di territorio e tipicità, aggiungiamo noi, raccontate con passione da ben sei generazioni. Era infatti il 1780 quando a Vedole, piccola frazione alle porte di Colorno immersa nella tranquillità della campagna parmense, aprì le porte una bottega con punto di ristoro. Ed è sempre qui, che a distanza di oltre duecento anni, ritroviamo quel casolare, ora trasformato in un elegante e raffinato locale, guidato dallo chef patron Enrico Bergonzi e dalla moglie Edgarda Meldi, assieme alla sorella Monica ed al marito e sommelier Marco Pizzigoni. E poi i rispettivi figli, che potremmo dire nati e cresciuti fra queste mura: Giulia e Carlo e la giovanissima Elisa che già nel weekend fa capolino fra i tavoli.

La famiglia del ristorante “Al Vèdel”

Al Vèdel non ci passi soltanto, ma ci vieni per trovare quel clima accogliente che sa di famiglia, tipico della gente emiliana. Ci vieni per assaporare il gusto della tradizione autentica, tra paste fresche fatte in casa, come gli immancabili tortelli d’erbetta e anolini in brodo, o ancora i prelibati “tortel dols” (antica pasta ripiena tipica di questo lembo di terra, la cui farcia si caratterizza per il gusto agrodolce conferito dalla mostarda di frutti antichi unita al mosto cotto), per arrivare ai secondi di carne, come la punta di vitello ripiena oppure nel periodo invernale i bolliti, senza dimenticare le lumache (da una piccola azienda locale).

Le lumache

Ma al Vèdel ci vieni anche se sei un appassionato di vino, con oltre 1800 etichette inserite in carta, una vera “Bengodi” anche per il collezionista più esperto. E poi i culatelli. Proprio così, al Vèdel ci vieni per farti guidare alla scoperta del Caveau dei Culatelli, la cantina naturale del Podere Cadassa (il salumificio storico di famiglia, annesso al ristorante), dove nel periodo di massimo splendore, stagionano appesi fino a 7.000 culatelli, oltre a fiocchi, salami, pancette, coppe e la rara spalla cruda di Palasone. Un tempio della norcineria, dove regna ancora la regola del fatto a mano, con abili norcini che trasformano un pezzo di carne in una vera eccellenza della salumeria italiana.

Qui vige l’imperativo della qualità senza compromessi e della naturalezza dei salumi. Solo carne, sale, pepe e poi il tempo, per regalare quell’aroma unico di lenta stagionatura, che solo le mura di una cantina naturale sanno regalare. No areazione artificiale, ma apertura e chiusura delle finestre in base alla temperatura e all’umidità del periodo, proprio come si faceva una volta. Nessuno segreto, solo tanta passione e professionalità.

I salumi

Ed è proprio dai salumi che occorre iniziare quando ci si siede alle tavole del Vèdel. In menù troviamo la degustazione classica dei salumi di loro produzione a marchio Podere Cadassa, compresa la Spalla Cotta di San Secondo servita tiepida, un’altra tipicità che contraddistingue la Bassa parmense. Oppure la degustazione delle tre stagionature di Culatello, valutando così le diversità gustative conferite dalla permanenza in cantina. Per arrivare al Gran Nero, ovvero la speciale produzione di salumi di maiale nero, provenienti da allevamenti locali, dove ritrovare il gusto deciso degli insaccati artigianali, caratterizzati da una percentuale maggiore di grasso che conferiscono alle fette un’estrema dolcezza e scioglievolezza all’assaggio.

I “tortel dols”

Parlando di Culatello, occorre precisare che quello presente nella degustazione del ristorante è quello marchiato Terre di Nebbie, che individua una produzione ancora più rigida per questo insaccato, prestando particolarmente attenzione alla filiera della carne, con la scelta di allevamenti sostenibili che tutelano il benessere animale, innalzando così, ancora di più l’asticella della qualità. Ma il Vèdel non vuole dire solo tradizione, la cucina propone infatti anche piatti creativi, dove ritroviamo il pesce, compreso un sontuoso crudo di mare e carni pregiate, come il cervo o la pernice. E quando è periodo immancabile è l’assaggio di tartufo bianco, da gustare al meglio nel risotto alla parmigiana.

Venite… e assaporate.

Al Vèdel

Via Vedole 68

43052 Colorno (PR)

email: info@alvedel.it

Team Costa del Cilento: da Franca Feola dove il pescato del giorno è sempre il protagonista

Franca Feola decide di immergersi tra i fornelli non da subito. Ci vuole prima qualche anno di esperienza e maturazione per concepire finalmente la sua Locanda Le Tre Sorelle a Casal Velino. Tradizione di famiglia nell’amore per il pescato del giorno sempre fresco, sempre di altissima qualità da coniugare ai sapori genuini di un tempo.

Quelli delle primizie dell’orto, magari amplificati da tecniche di cottura solo all’apparenza semplici, eppure tremendamente gustose. Il concetto di cucina boutique, buona solo per gli occhi, per fortuna non appartiene a Franca, che realizza piatti concreti, identitari. Procedere all’interno di un territorio come il Cilento richiede visione creativa, senza smarrire per un secondo l’aderenza a quanto di meglio proposto dall’ambiente circostante.

Contaminazioni sì, ma al giusto prezzo: quello di rimarcare (urge quanto mai) cosa sia la Dieta Mediterranea, tra pomodori colorati e ricchi di sostanze benefiche, pesce azzurro, pasta fatta a mano sfidando il concetto di omologazione. Per il Team Costa del Cilento, l’associazione presieduta da Matteo Sangiovanni, abbiamo qui il racconto di due creazioni di Chef Feola.

La prima riguarda un tagliolino con riccio di mare ed estratto di gambero rosso in olio extravergine di oliva aromatizzato alla rucola. Eleganza e sapore, ben amalgamati dalla sapidità del riccio e dalla delicatezza morbida del gambero.

Il mezzo pacchero con ricciola, pomodorini dell’orto ed erbette aromatiche viene descritto in video da Franca in persona. Compostezza ed equilibrio fanno il resto. La location è suggestiva ed ha possibilità di ospitare gli avventori in comode camere, nel silenzio della collina cilentana, dove la natura regna ancora selvaggia e incontrastata.

Locanda Le Tre Sorelle

Via Roma

84040 Casal Velino (SA)

Tel: 0974 1848143

Email: info@locandaletresorelle.it

www.locandaletresorelle.it

“Al Convento” a Cetara (SA) l’enogastronomia campana e pugliese si mescolano brindando al presente

Costiera Amalfitana e Murge, Cetara e Manduria.

Poco in comune verrebbe da pensare. L’una, patria di pescatori – incastonata tra le rocce che degradano verso il mare del monte Falerio – e l’altra, invece,  contrasto tra la quintessenza del Mediterraneo, ma foriera di terra brulicante e sabbiosa, patria di uve a bacca rossa, dove è il Primitivo a sventolare.

Difficile che le due realtà possano, allora, incontrarsi anche a tavola. Perché pensi Manduria e dici Primitivo. Pensi Cetara e dici alici e le sue variazioni. Eppure (per fortuna) gli stereotipi sono stati costruiti solo per essere abbattuti da chi è curioso.

E così ne viene fuori che in una piovosa serata settembrina, al ristorante Al Convento di Cetara, l’istrionico patron Pasquale Torrente – simbolo di una ristorazione cetarese resistente alle mode e fortino di cultura gastronomica stretta tanto quanto le maglie delle reti da pesca delle sue amate alici – trova il modo per abbatterli.

Lo fa attraverso quelle splendide ceramiche vietresi, trasformati in piatti colorati e finemente decorati, che suggellano l’appartenenza locale di ogni portata. Nulla che non sia di quella terra, nulla che non sia pescato in quel mare. Nulla che non possa non avvicinarsi a 300 km di distanza passando per le Murge e arrivando a stazionarsi nei dintorni di Manduria.

Cantine San Marzano, azienda vitivinicola nata nel 1962 dall’unione di 19 vignaioli in un piccolo comune della provincia tarantina come San Marzano di San Giuseppe. Oggi, a distanza di oltre 60 anni, la Cooperativa è diventata una delle grandi espressioni enologiche pugliesi.

Al suo presidente, Francesco Cavallo, e soprattutto agli attuali 1.200  viticoltori associati, il merito di aver saputo unire tradizione e innovazione in quei 1500 ettari di vigneti pugliesi costituiti principalmente da negroamaro, primitivo, susumaniello, malvasia e verdeca.  

Ed è stato allora in quell’antico chiostro del ’600 – immagine da cartolina per i numerosi turisti in visita a Cetara e oggi sede del ristorante Al Convento – che i piatti creati da Gaetano, figlio di Pasquale Torrente, sono stati capaci di stregare tutti e di dimostrare che, tra le tante qualità dei vini pugliesi, c’è senza dubbio anche quello di sposarsi con la buona tavola.

Il Calce Rosè – metodo classico a base di chardonnay e negroamaro, con sosta sui lieviti per oltre 36 mesi, sembra giocare divinamente con l’iconica bruschetta burro e alici, grazie alla sferzata di freschezza regalata dal sorso.

La pacatezza di “Tramari” Salento Igp Rosè a base di primitivo, sa ben gestire la cheviche di ricciola che, a tratti, sprigiona l’irriverenza di piccantezze sapientemente dosate.

Una frittura sotto forma di frittatina di pasta e di crocchette di patata e bottarga – la cui alta menzione va all’olio utilizzato, studiato appositamente da Gaetano e Pasquale, per garantire il massimo della leggerezza – si lascia accompagnare dal Salento Igp “Edda” (“lei” in dialetto salentino). Chardonnay (con una minoritaria percentuale di bacche bianche autoctone), carico di materia e ricco di influenze marine, con acidità e struttura in grado di non aggiungere nulla di più e di non sottrarre nulla di meno alla complessità del cibo.

Mentre un saporitissimo tubetto con zuppa di pesce trova nel Primitivo Salento Igp “Sessantanni”, il cui numero ricorda il sessantesimo compleanno di Cantine San Marzano, il perfetto complementare in un sorso di assoluto equilibrio gusto-olfattivo e di lunga persistenza. E se di tradizione si parla non poteva mancare un omaggio alla “pippiata” napoletana con il ragù che diventa quasi un’istigazione a finire il piatto in scarpetta, senza nessun senso di colpa.

L’abbinamento è con il re dei vitigni pugliesi, e trova il suo culmine nel Primitivo di Manduria Dop “Sessantanni”. Intenso, dalla leggera tostatura e dalla bocca di grande lunghezza gustativa.