Calici & Spicchi: il libro di Antonella Amodio per abbinare, con giusti consigli, pizza e vino

101 vini e 101 pizze proposti in 101 abbinamenti: questo è  il tema del libro Calici & Spicchi  della giornalista, sommelier e scrittrice casertana Antonella Amodio, presentato lo scorso 12 Aprile nella prima delle oltre cinquanta tappe previste dal “Calici & Spicchi Tour Experience”. Un vero e proprio circuito esperienziale in cui i protagonisti, oltre ad Antonella e alla sua pubblicazione, saranno molti dei pizzaioli citati con le loro creazioni.

Antonella Amodio

Siamo partiti da Ciro Grossi e dalla pizzeria La Campagnola, all’ingresso  di uno delle zone più popolari di Napoli, il Borgo dei Vergini nel quartiere Stella. Ambizione del tour experience è quella di avvicinare quante più persone possibili – non necessariamente addette ai lavori – al concetto che non solo l’abbinamento pizza e vino sia possibile, ma che sia anche il migliore, vista la crescente tendenza a elevare la pizza al rango di cibo gourmet. Dalla scelta delle farine a quella degli ingredienti per il condimento, mantenendo intatte le caratteristiche di immediatezza e semplicità che da sempre la caratterizzano, sembra quasi scontato abbinare al lievitato più desiderato al mondo una birra o una bibita gassata a tendenza dolce.

Antonella racconta che la pizza era storicamente abbinata al vino: nel 1800, epoca cui risalgono le prime pizzerie nella città partenopea, era consueto mangiarle accompagnate dal vino di Lettere o di Gragnano. Il motivo per cui si è andata affermando in epoca moderna l’abbinamento pizza/birra va addebitato invece alla fine degli anni Settanta e allo scandalo del metanolo, che molti allontanò dal consumo del vino.

<<Inoltre la birra, come la Coca Cola o l’aranciata, hanno un aspetto più accomodante e affabile verso il cliente. Ma bisogna fare attenzione perché sovente vanno a mortificare il lavoro che c’è dietro a una pizza, a partire dall’impasto fino ai topping e ai condimenti, dai più semplici ai più sofisticati>> continua la Amodio.

Un libro che nasce dall’esperienza giornalistica e dalla rubrica settimanale curata su Luciano Pignataro Wine & Food Blog. Ma soprattutto un libro che nasce dalla memoria dei sapori dell’infanzia, quelli del pane e della pizza cotti nel forno a legna di casa e del vino rosso del nonno. Partendo dal presupposto che ognuno di noi è libero di bere quello che vuole con quello che preferisce, Calici & Spicchi, nella parte introduttiva, si propone di dare pochi semplici suggerimenti, legati alle regole di abbinamento per concordanza o contrapposizione. Infine, una carrellata di pizze: dalle classiche margherita o marinara, fino a quelle più complesse e strutturate, ognuna accompagnata dalla propria ricetta e abbinata ad un vino campano, raccontato in poche righe.

Quando chiediamo all’autrice come sono state scelte combinazioni e abbinamenti tra le varie pizze e i vari vini, Antonella risponde: <<sul campo. Non sempre è però stato possibile reperire nelle pizzerie scelte i vini che desideravo per l’abbinamento. Per cui ho dovuto ricordare le sensazioni organolettiche della pizza e le ho abbinate col ricordo al vino>>. Una delle difficoltà maggiori a sdoganare l’abbinamento vino/pizza, nasce proprio dal fatto che non sempre le pizzerie hanno una carta dei vini. Dopo questa esperienza invece molti dei locali visitati hanno introdotto i vini abbinati alle loro pizze.

Ospiti della serata anche Concetta Bianchino e Armando La Resta, titolari di Tenute Bianchino, giovane realtà vinicola in Falciano del Massico (CE). Per toccare con mano il concetto di abbinamento pizza/vino di Calici & Spicchi, i vini di Concetta e Armando hanno accompagnato le proposte di Ciro Grossi.

Il Menù dell’evento

Montanara, crocchè di patate, fiore di zucca ripieno

Pizza con crema di carciofi, capocollo, provola e provolone del monaco

Marinara con pomodoro San Marzano, acciughe di Cetara  e aglio dell’Ufita

Pizza con salsiccia e friarielli, quella citata nel libro di Antonella

Pizza con pancetta e pesto di fave

I Vini proposti in abbinamento

Arianna Falerno del Massico doc bianco – Tenute Bianchino

Bacco Falerno del Massico doc primitivo – Tenute Bianchino

Riferimenti

Antonella Amodio

Calici & Spicchi

Cento modi per abbinare bene i vini alle pizze

Prefazione di Luciano Pignataro

Edizioni Malvarosa

La Campagnola Pizzeria

Via Fuori Porta S. Gennaro, 13

80137 Napoli

Tenute Bianchino

Via San Paolo – Località Ciaurro 81030 Falciano del Massico (CE)

Companatico racconta il Vallo di Diano, tra cibo e vino nella cornice di Palazzo Fiordelisi a Sala Consilina

Le carte erano già sul tavolo pronte ad essere utilizzate, come in un’abile mano di poker. Ma qui il ricco premio riguardava il gusto di poter assaporare alcune eccellenze del Vallo di Diano e della provincia di Salerno, sotto il patrocinio delle Istituzioni di Sala Consilina: l’attuale sindaco Francesco Cavallone e il vice sindaco Gelsomina Lombardi.

Una rappresentanza importante e dovuta, grazie anche alla gentile concessione di una location, da poco restituita ai fasti del passato, come Palazzo Fiordelisi. Ospiti numerosi per l’evento proposto da Companatico, associazione che raggruppa diverse personalità imprenditoriali del settore agroalimentare a “chilometro zero”.

Con il supporto di Talea, organizzazione no-profit, i protagonisti sono stati: Caseificio S. Antonio con il suo uovo di cacio, idea originalissima in versione con e senza tartufo. Il peperone “Sciuscillone” de I Segreti di Diano di cui abbiamo già parlato al link Il peperone “sciuscillone”, materia prima eccezionale che sospinge un territorio.

Infine, un gradito ospite esterno come il produttore Guido Lenza ed i suoi vini di Viticoltori Lenza: la storia di Guido Lenza e del suo sogno realizzato a pochi passi da Salerno.

Le telecamere di 20Italie erano lì, pronte a testimoniare un evento unico nel suo genere, che si ripeterà con altre iniziative utili allo scopo di creare cultura enogastronomica nel segno dei sapori autentici di un territorio tutto da scoprire.

A night in Montepulciano: tre gustose idee per una serata romantica

Tra le viuzze di Montepulciano, uno dei borghi incantevoli d’Italia, si può passeggiare restando estasiati da quanto la storia e la cultura siano da sempre radicate in questo luogo. Palazzi antichi, costruiti con la tipica pietra serena toscana, che riflette in maniera ovattata il sole del tramonto. Gli scorci paesaggistici, osservabili dalle cinta murarie, tolgono il fiato allo spettatore: vigne e biodiversità che narrano di un territorio dove l’equilibrio nel saper fare bene le cose sta portando ai tanto agognati risultati in termini di enoturismo di qualità.

Si può sorseggiare un calice di vino, magari un buon Nobile di Montepulciano, per accompagnarsi pian piano verso il calare delle notte, rilassarsi e godere appieno di quanto la Natura e l’opera umana possano viaggiare in totale armonia. Quando poi subentra l’appetito ci si può fermare a cena in una delle numerose strutture per assaporare le proposte gastronomiche.

Durante il tour di 20Italie, raccontato nell’articolo Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano: il tour di 20Italie alla ricerca della vera anima del territorio abbiamo approfondito la conoscenza di tre ristoratori, con le loro ricette aderenti alla tradizione, ma dotate di quel tocco d’inventiva e rivisitazione imposto dagli attuali canoni gourmet.

La Grotta

Location incantevole a due passi dal Tempio di San Biagio, uno dei capolavori del Cinquecento posto accanto ai campi coltivati, quasi a preservarne la loro fecondità. Gli interni de La Grotta sono legati al concetto di trattoria chic, con tovagliati di lino ed un servizio impeccabile del personale di sala.

Due i menù degustazione, uno dei quali è esclusivamente vegetariano. Ottimi i pici con datterini arrostiti, guanciale sauris e scamorza affumicata o gli gnudi di ricotta, piselli e tartufo bianchetto.

Il Teatro

A pochi metri da Piazza Grande, nel pieno centro di Montepulciano, Il Teatro offre pietanze a base di pasta fresca ed una selezione di carni preparate in base alle tendenze moderne, conservando succhi e sostanze tramite il concetto di cottura a bassa temperatura.

Gli gnocchi di patate, crema di rapa rossa, fonduta di Peconzola e noci sono squisiti nella loro semplicità, mentre il filetto di maialino su fondo al Cognac e patate all’olio colpisce per la delicatezza dei sapori.

Le Logge del Vignola

Classe, stile ed eleganza sono il primo impatto che un cliente riceve quando varca la porta del ristorante Le Logge del Vignola per una cena a lume di candela. La maestria dello chef dona quel tocco in più che fa la differenza, con piatti rielaborati di autentica veste gourmet.

Vale così per l’uovo Blu dell’azienda Buongiorno Bio, crema di asparago, guacamole, cetriolo e gelato all’acqua di tartufo la tagliatella alla rapa rossa, crema di zucca e aglione della Valdichiana, chips alla liquirizia.

Ottima, infine, la proposta a base di selvaggina e la carta dei dessert stuzzicante e fantasiosa. Montepulciano… val bene una cena.

L’Italian Sounding Food miete un’altra vittima illustre: il Pomodorino del Piennolo

Il reportage del collega Gaetano Cataldo ai margini di un fenomeno dilagante, che non risparmia neppure il comparto agricolo del Made in Italy.

Da bravi estimatori delle eccellenze della Campania, abbiamo scoperto che per avere contezza del giro di affari attorno all’Italian Sounding, ergo i prodotti farlocchi che imitano il made in Italy, basta ad esempio andare sui canali social, digitare l’hashtag #piennolo e scoprire basiti un mondo di pomodorini gialli e di ogni altro colore, che non sembra certo corrispondere ai canoni di quelli provenienti del Vesuvio. La vera sorpresa, però, arriva dall’esistenza di produzioni di origine europee, scandinave e statunitense, con improbabili dizioni in etichetta, spacciate per il famoso e squisito oro rosso campano.

Se gli organi di controllo non avessero idea di dove andare a pescare i prodotti taroccati, dovrebbero fare semplicemente amicizia con il web per scoprire l’oscuro business sul Pomodorino del Piennolo dop del Vesuvio. La sua origine, il colore, la tecnica del venire appeso per essere degustato anche a distanza di mesi dalla raccolta, è come svuotare il mare con un secchiello.

Parliamo del famoso Pomodorino Pizzutello tradizionalmente coltivato, come indicato nel Disciplinare di Produzione, nei territori dei comuni di Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa Di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase, oltre che parte del territorio del comune di Nola, delimitata perimetralmente dalla strada provinciale congiungente Piazzola di Nola al Rione Trieste, per il tratto che va sotto il nome di “Costantinopoli”, dal “Lagno Rosario”, dal limite del comune di Ottaviano e dal limite del comune di Somma Vesuviana.

Nulla di nuovo per i consumatori dell’area napoletana e di tutta la Campania, che da decenni conoscono ed apprezzano le indiscusse proprietà organolettiche del Pomodorino del Piennolo Dop, per non parlare dei tanti italiani che dimostrano un interesse sempre maggiore per la prelibatissima cultivar di Solanum Lycopersicum, il nome tecnico della varietà appartenente alla famiglia delle Solanacee.

Un momento decisamente delicato in cui la tutela dei produttori virtuosi e dei diritti dei consumatori deve poter essere garantita e blindata. Nel pomeriggio di giovedì 29 febbraio si è tenuta la terza edizione di “Piennolo Forum”, organizzata da Agros-Consulenti in Campo presso il Castello di Santa Caterina a Pollena Trocchia. Tema del convegno, come riportato anche da alcuni quotidiani, “frodi e contraffazioni, sfide e opportunità”. Sulla carta stampata si leggeva anche che “si tratta di tematiche che non saranno trattate solo ed esclusivamente come argomenti di soppressione di comportamenti errati, ma verranno letti in un’ottica propositiva, offrendo una veduta su strategia di marketing e comunicazione che possano far trasmettere i propri virtuosismi a quelle aziende rispettose delle regole”. Per quanto si evinca un tono alquanto buonista, il target dell’evento è la trattazione del drammatico fenomemo delle frodi e contraffazioni, per discutere insieme delle possibili soluzioni al problema e leproposte a vantaggio dei produttori virtuosi.

Com’è andata in effetti?

Dopo i saluti istituzionali durante la moderazione di Gianluca Iovine, CEO di Agros, arrivano gli interventi istituzionali e, a seguire, i premi istituzionali di “Patto per il Piennolo”: un riconoscimento all’impegno verso la protezione del patrimonio agricolo vesuviano. Raffaele De Luca, presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Salvatore Loffreda, di Coldiretti Napoli, Cristina Leardi, presidente del Consorzio di Tutela del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, Ciro Giordano, presidente del Consorzio di Tutela dei Vini del Vesuvio, e Gabriele Melluso di Assoutenti, sono stati tra i primi relatori, piuttosto allineati su un corale “frodi come opportunità e non un problema”.

Interessante l’intervento culturale della professoressa Paola Adamo, docente dell’Università Federico II di Napoli al Dipartimento di Agraria riguardante il progetto “tomato trace 4.0” utile ai fini della tracciabilità del prodotto. Ci si è occupati principalmente di tessitura del terreno, fornendo la georeferenziazione di tutta l’area inclusa nella Denominazione di Origine Protetta e delle aziende più rappresentative, con dati completi su quote altimetriche, versanti e natura dei suoli. La disanima ha potuto evidenziare quanto certi parametri abbiano un effetto maggiore rispetto al varietale, insomma il potere del terroir sulla cultivar, ed affrontare la differenza tra ciò che nel pomodorino del Piennolo è potenzialmente biodisponibile da ciò che è prontamente disponibile: una differenziazione fornita in base al modello multi-elementare, un modello capace di distinguere anche un pomodoro dop da un non dop al 100% o quasi.

Per poter ovviare a ciò la professoressa Adamo ha fatto presente che lo studio comparato è stato condotto fornendo ai produttori la varietà Principe Borghese, unitamente alle piante di Acampora, Cozzolino e Zizza di Vacca, ergo gli ecotipi del pomodorino vesuviano. Un lavoro complesso che ha potuto fornire ai produttori informazioni diversificate per terreni Dop e non Dop, grazie alla raccolta dei suoli per caratterizzazione, periodo, ambiente, clima e persino sulle principali varietà e sugli ecotipi, appunto.

Intervento evidentemente anticipato e benedetto dalla necessità di “certificare sempre di più” ed avere “strumenti più trasparenti sul mercato”, quello di Pino Coletti che ha evidenziato vecchi studi noti col nome di eyetracking, il tema della storicità del marchio, oltre che l’ovvia conseguenza dello spaccio di prodotti dop falsi comporti i sequestri e quindi la sfiducia nei brand, quindi di blockchain.

Certo il potenziale della certificazione blockchain è alto e i prodotti veicolati dallo stesso hanno un ottimo trend in fatto di penetrazione di mercato, ma sarebbe stato utile ribadire che si tratta pur sempre di una autocertificazione che il produttore di un bene, fuori da altri usi, può depositare in maniera incontrovertibile, certo, ma che non va a sostituire le certificazioni obbligatorie. Sussisterebbe poi uno strumento legale tale da tutelare i cittadini da una dichiarazione mendace, circa il contenuto, e che sanzioni rischierebbe il produttore che faccia uso distorto della blockchain?

Il discorso di Angelo Marciano, Colonnello dei Carabinieri alla guida del reparto dell’Arma deputato del Parco Nazionale del Vesuvio, ha fornito alcuni dati e spunti interessanti: intanto che l’Italian Sounding ha un valore odierno di 100 miliardi, con un’insospettabile crescita in Russia; il che vorrebbe dire che il falso Made in Italy ha un ottimo giro di affari anche durante l’embargo. <<Ha davvero senso, nel disciplinare, indicare i 250 quintali massimo per ettaro di resa, a fronte dei precedenti 150 che una produzione normale non riesce comunque ad esprimere?>>, ha chiesto al pubblico il Colonnello. Il militare ha proseguito dicendo che è importante evitare la perdita di suolo fertile, come accaduto dopo l’incendio sul Vesuvio del 2017, e che <<il rispetto della legalità non uccide l’economia, ma la salva>>.

A seguire Nicola Caputo, Assessore Regionale alle Politiche Agricole e Forestali della Regione Campania, ha richiamato tutti i presenti sulla necessità di una “Dop Economy campana” con aumento degli investimenti, in virtù del numero esiguo di aziende agricole e della bassa produzione. Caputo ha in pratica richiesto una migliore messa a sistema, facendo team work, per tutti i 18 comuni inclusi nel disciplinare, includendo possibilmente altri distretti agronomici, come quello della mela annurca e del pomodoro San Marzano, per un vicendevole sostegno. C’è bisogno di fare gioco di squadra con gli addetti alla ristorazione e trovare sinergie con gli operatori del turismo e dell’accoglienza, per un marketing ed una comunicazione più funzionali.

Al termine dei lavori l’intervento di Davide Parisi, amministratore delegato di Evja, azienda performante nella tecnologia e nell’intelligenza artificiale dedicate all’agricoltura: la sua realtà imprenditoriale ha saputo raccogliere oltre 150 milioni di dati microclimatici in tutto il mondo, grazie a dispositivi che raccolgono informazioni in tempo reale, fornenti anche elementi di geo-localizzazione. Nel discorso si è espresso che l‘esperienza sul campo non potrà mai essere sostituita dall’IA (Intelligenza Artificiale), ma che la stessa dovrà essere supportata per la misurazione dei parametri principali e la memoria dei raccolti, in correlazione tra sonde, stazioni meteorologiche e satelliti.

Presente in sala anche Pasquale Imperato, uno degli animi vesuviani che più fortemente ha voluto tutelare il pomodorino del Piennolo e che ha preteso venisse ancorato alla terra e quindi metterlo nelle mani degli agricoltori, per una maggiore tutela del bene orticolo, diversamente dal pomodoro San Marzano che vede invece la tutela del solo prodotto trasformato. Imperato, oggi fuori dal Consorzio per una scelta di coerenza, continua a produrre con immancabile passione il buonissimo pomodorino e si dice fiducioso circa le modifiche sui criteri per i disciplinari apportati dal Parlamento Europeo.

Per quanto gran parte degli interventi siano stati quantomeno generalisti, va riconosciuta l’importanza di alcuni interventi tecnici e di alcune considerazioni che si sono distaccate da un dibattito decisamente fuori dal titolo che si è voluto dare alla manifestazione: è grazie al pomodorino del Piennolo se il Vesuvio non è “caduto” addosso al territorio di cui è progenitore e custode, costituendo il motivo per cui l’agricoltura è tornata alle pendici del vulcano, favorendo migliorie a partire dal semplice ripristino dei muretti a secco, ai campi coltivati con tante altre varietà orticole ed ai vigneti, grazie a cui si contrasta quotidianamente il dissesto idrogeologico e la disgregazione delle comunità rurali. Per poter avviare un’attività ed ottenere dei permessi, chiedere il parere ad enti di varia natura, talvolta ci si imbatte in lungaggini farraginose, punitive, superflue e limitanti. Così come è troppo frequente che i moduli di denuncia anonima delle frodi, eccellente strumento per contrastare gli illeciti e superare il muro dell’omertà, restino inutilizzati. Fatto sta che si è sentita la nostalgia di una disanima concisa sul nocciolo della questione, a causa di un costante ruotarvi attorno con discorsi certo importanti, ma sin troppo periferici.

Va altresì considerato che nel corso degli anni la forza lavoro deputata ai controlli è stata più che dimezzata, per non parlare della soppressione del Corpo Forestale dello Stato, entrambi sintomo di una evidente impossibilità a ricoprire qualsiasi territorio per qualsivoglia verifica finalizzata a scoraggiare i brogli. Con l’attuale ammanco di personale, chi potrà eseguire i necessari controlli di conformità? E non sarebbe il caso di chiedersi se sia opportuno istituire dei panel test di modo che assaggiatori competenti canonizzino le proprietà organolettiche dell’oro rosso vesuviano? E, perché no, immaginare se si possano qualificare controlli in base ai rapporti isotopici che si generano peculiarmente ogni anno nella relazione tra il suolo ed il prodotto stesso?

Ai posteri l’ardua sentenza.

A Cosenza il ristorante Simposio – Mare e Vini guarda al futuro con un occhio alla solidarietà

Nel cuore della città di Cosenza, esiste un luogo dove tre coraggiosi temerari sfidano quotidianamente le tendenze di mercato, proponendo un’alternativa di alto livello alla tradizionale cucina calabrese a base di carne. Questo luogo è il “Simposio – Mare e Vini”, un ambiente elegante orientato alla cucina di mare rivisitata, gourmet per la classe, ma con porzioni vicine alla tradizione. Il progetto nasce da tre sognatori appassionati, ma faticatori: Lo chef Ivan Carelli, il sommelier Francesco Gardi ed Ernesto Maletta supervisore di sala.

La cucina a vista

Il perno si appoggia su alcuni cardini fondamentali: lo show cooking che vede una cucina a vista, completamente aperta, con due coperti al banco di lavoro dello chef per chi vuole assistere in prima fila alle preparazioni e seguire le dettagliate spiegazioni; l’acquacoltura con una ricca selezione del pescato sempre fresco. Infine la cantina con oltre 200 etichette, gestita da Francesco con grande professionalità e attenzione. Inoltre, nel tardo pomeriggio “Simposio – Mare e Vini” apre agli aperitivi friendly con bollicine, coccole salate e cocktail alla moda.

La chiave di lettura di questo ristorante è l’impiego di materie prime di grande qualità e la cura di ogni dettaglio: dall’accoglienza del cliente, alla cura della sala; dal sottofondo musicale, alla presentazione dei piatti; dalla bontà dei cibi al sorso dei vini. Il team propone un servizio attento come in un’orchestra in cui ogni musicista suona il proprio strumento in una meravigliosa melodia.

Per iniziare, ecco un doppio stuzzichino come entrée composto da alice fritta con salsa maionese e caviale verde e da salsicce di tonno su frittatina alle erbe.

Le tre proposte firmate dal giovanissimo e talentuoso aiuto chef Cristiano Candido

  • I Maccabuoni (e la solidarietà è di casa Simposio)

La pasta cosentina preparata dalle abili mani di giovani ragazzi speciali. Un progetto realizzato in collaborazione con l’associazione “la Terra di Piero”. I Maccabuoni sono cucinati in ragù di totano, con gocce di burrata e croccante pistacchio.

  • Fritto esagerato:

Gamberoni Imperiali croccanti con pan ai 3 elementi, polpo dorato in tempura di Parmigiano 24 mesi, e varietà di paranza dorata abbinata a salsa di Maionese Nipponica, Salicornia e BBQ all’albicocca.

Una frittura squisita, leggera, con la sensazione del mare che accompagna delicatamente la degustazione. Per i soggetti allergici ai crostacei viene proposta la variante con fiore di zucca ripieno al baccalà.

  • Evoluzione

Un dolce realizzato in occasione della visita del Maestro pasticciere Iginio Massari. Composto al piatto sul momento, si articola di una sequenza precisa: piccoli coni di una namelaka ai fichi disposti circolarmente; al centro crema di noci, tra gli spazi conici una gelatina d’arancia e, sulla sommità, ghiaccia reale per pulire il palato e gelato artigianale all’alloro. Tocco finale una pioggia di miele di fichi.

L’intero pasto è stato accompagnato da due interessanti vini della regione: il silano Chione della cantina Immacolata Pedace (Chardonnay e Pinot Bianco -IGT Calabria – 2022), i cui vitigni, coltivati tra i più alti d’Europa a 1350 metri, si esprimono con spiccato carattere. Infine, lo straordinario e longevo Efeso di Librandi da uve Mantonico  (IGT Calabria – 2014). Al dolce il Liqueur Poire Williams & Cognac di François Peyrot.

Un percorso gustativo creativo, moderno e innovativo, basato su emozioni e sensazioni di vita vissuta.

Bolgheri e Montalcino: i volti vincenti della Toscana nel mondo

Bolgheri e Montalcino: due volti di un’unica regione, si sono uniti per una sera a mostrare il filo rosso che li unisce: la capacità dei propri protagonisti di portare la Toscana in giro per il mondo. Location dell’evento il ristorante C’è posto per te a Castellammare di Stabia, che, nella consueta formula mensile ideata dal patron Pasquale Esposito, ha proposto una serata a tutta Toscana, non solo nei vini ma anche nei piatti eseguiti dalla resident chef Angela Esposito.

La conduzione di Luca Matarazzo, direttore della testata 20Italie e relatore AIS esperto di Toscana, ha accompagnato l’evento: partendo dall’assunto che bere è un atto d’amore, Luca ci ha portato alla scoperta di luoghi e personaggi di due territori iconici, permettendoci di riconoscerli nel bicchiere.

Iniziamo il racconto da Bolgheri, territorio rinomato e riconosciuto a livello internazionale, ma fino agli anni quaranta del secolo scorso zona paludosa di recente bonifica. Il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, riconobbe qualcosa che gli ricordava la Graves bordolese. Impiantò Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc e diede vita al vino bolgherese più noto, il Sassicaia. Un vino fatto in garage, amava scherzosamente definirlo, ma che ha fatto la storia dei grandi Supertascans, grazie all’enologo Giacomo Tachis proposto dal cugino Antinori.

Bolgheri è strettamente legata ai vitigni cosiddetti internazionali, che, per tipologia di terreni ed esposizione, trovano qui un habitat vocato. Vicino al mare (ma non troppo), è presente un paesaggio a mo’ di gradoni, tra le terre più antiche della Toscana, di circa un milione di anni. Si parte dalle colline metallifere e si arriva fino a terreni argillosi, molto simili al flysch cilentano, che donano sapidità e verticalità al vino. Un anfiteatro naturale all’interno del quale sono stati individuati ventisette tipi di terreni diversi, con diverse caratteristiche nei prodotti.

Il primo dei vini in degustazione, Noi 4 Bolgheri doc 2020 di Tenuta Sette Cieli, è il classico taglio bordolese da Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc impiantati a 400 metri d’altitudine. Nel calice sembra di sentire il soffio del mare, tra note officinali, speziate e mentolate che caratterizzano una bocca giovane e scattante.

Il Piastraia 2019 Bolgheri Superiore doc di Michele Satta, ottenuto da Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese prevede, invece, l’inserimento della varietà dominante in regione. La Famiglia Satta oltre a lavorare in questo territorio le quattro uve bordolesi, è meritevole di aver sperimentato anche il Syrah, il Teroldego e aver riportato in auge il Sangiovese stesso, quando la maggior parte dei vignaioli lo stava espiantando. Giacomo Satta, figlio di Michele, racconta la storia di una realtà vinicola da chi la vive nel quotidiano ed è emozionante cogliere quei piccoli particolari che sembra poi rivedere al sorso. Michele Satta, lombardo con origini sarde, adottato professionalmente a Bolgheri, si trasferisce sulla costa toscana negli anni Settanta del secolo scorso. Non sa nulla di vigna e vinificazione e quando decide di mettersi in proprio nel 1983, sceglie di fare vino perché a quei tempi i terreni coltivati a vigna costavano meno di qualsiasi altro tipo di terreno. Gli stessi momenti in cui Ludovico Antinori fonda Ornellaia, Piermario Meletti Cavallari Podere Grattamacco e, poco dopo, Eugenio Campolmi con Le Macchiole.

“Mio padre si introduce casualmente in una storia di vino, e lo racconta sempre per sottolineare come nella vita accadono cose speciali, da cui non si sfugge”. Il Piastraia 2019 è scuro e impenetrabile. All’inizio, necessita di tempo per rivelare la sua pienezza, ma al contempo riflette l’annata di cui è figlio: equilibrata per clima, piogge ed escursioni termiche. Un vino materico che ci parla di affetto per il territorio.

In abbinamento ai primi due vini, l’Antipasto Toscano con Finocchiona, bis di pecorini, pappa al pomodoro, fagioli all’uccelletto e bombetta al formaggio. Con i fusilli al ferretto al ragù di cinghiale, approdiamo nel secondo dei territori in esplorazione: Montalcino.

La nascita del Brunello di Montalcino è inscindibile dalla famiglia Biondi Santi, in particolare da Clemente, che nel 1820 iniziò a coltivare Sangiovese Grosso in un territorio dove si produceva prevalentemente Moscato Bianco nella tipologia dolce “Moscadello”. Il successo di questo vino è poi dovuto, come per Bolgheri, a giovani imprenditori che hanno creduto nelle potenzialità del territorio. In primis i fratelli Mariani che, coadiuvati dall’enologo Ezio Rivella, hanno dato vita all’azienda che ha portato il nome del Brunello di Montalcino prima negli Stati Uniti: Banfi.

Il primo Brunello di Montalcino in degustazione è Fattoi 2018.

Fattoi è un Brunello “tradizionalista”: prevede l’invecchiamento in botti di rovere da 40 Hl. Legno grande quindi, che mantiene integro il frutto del sangiovese, ancora pienamente godibile in questo bicchiere.

Caprili Brunello di Montalcino docg 2018 dell’Azienda Agricola Caprili è il secondo vino dell’areale. Anche questa una storia di famiglia riscattata dalla mezzadria; anche questo può considerarsi di fatto un Brunello tradizionalista che affina in botte grande. Al naso il frutto fragrante del sangiovese è controbilanciato da arancia essiccata, viola appassita, incenso. Il sorso è carezzevole grazie al tannino finissimo ma presente e risulta spiccatamente saporito. Sia Fattoi che Caprili si trovano su territori esposti ad ovest, un tempo più freschi, ma oggi, col cambiamento climatico in atto, espressione di un sangiovese equilibrato. I terreni prevalentemente argillosi danno nerbo e struttura al tannino. Esattamente ciò che sentiamo al sorso.

Il Peposo dell’Impruneta ci porta nella tradizione più autentica della cucina di Firenze, con uno stracotto che ha origini nel Medioevo e  deve il suo nome all’utilizzo abbondante di pepe in grani durante la cottura nei corposi vini toscani. La chef Angela lo propone insieme ad un piatto della tradizione campana, salsiccia e friarielli, per sperimentare un abbinamento non propriamente regionale – ma perfettamente riuscito – con i vini in degustazione.

Non ci spostiamo da Montalcino, degustando la superstar del 2023, il miglior vino del mondo, come lo ha definito Wine Spectator: Argiano Brunello di Montalcino docg 2018. Un vino italiano, toscano, salito sul podio a portare il vessillo del Made in Italy, cosa fino a qualche decennio fa impensabile.

Fine al naso, dai sentori di un frutto carnoso, e dal palato declinato su scie balsamiche, colpisce per l’equilibrio tra eleganza e potenza. Il sipario si chiude a Bolgheri con due pezzi autentici cavalli di razza.

Partiamo da Ornellaia L’essenza 2014 Bolgheri Doc Superiore, frutto di un’annata impegnativa che si esprime nel bicchiere comunque ad alti  livelli. La 2014 è composta nel blend bordolese con le seguenti proporzioni: 34% Cabernet Sauvignon, 32% Merlot, 20% Petit Verdot, 14% Cabernet Franc. Il naso è un pot-pourri di petali essiccati, spezia e salamoia. Il sorso è pieno, rotondo, con richiami di cioccolato ed una nota piccante nel finale, seguita da tannini morbidi e levigati.

Cavaliere Toscana IGT 2008 di Michele Satta, da Sangiovese in purezza è stato l’omaggio di Giacomo Satta a una serata dedicata alla convivialità. Naso di grande spessore, che spazia dalla moka, all’incenso, dall’arancia essiccata, alla felce e alla macchia mediterranea. Il sorso è progressivo e sferza il centro della lingua, chiudendo lungo e ampio su tostature di caffè.

C’è posto per te

Via Venezia 80053 Castellammare di Stabia

Tel: 081 870 1746

Chiuso il lunedì

Chianina & Syrah a Cortona: dove la “ciccia” si sposa alla perfezione con il vino

Esiste un luogo senza tempo, dove da 7 anni (non considerando lo stop forzato per la pandemia) si uniscono eccellenze enogastronomiche dai contorni tipicamente toscani. Per un attimo le lancette dell’orologio si sono fermate durante l’evento Chianina & Syrah, per non scandire il solito ritmo incalzante dello stress quotidiano.

La bellezza di un territorio come Cortona, patria del buongusto e del viver sano, con la sua storia, cultura, passione per il mondo agricolo e per l’accoglienza turistica da cui ne deriva, in gran parte, il benessere stesso dei cittadini.

Vittorio Camorri di Terretrusche e Stefano Amerighi, presidente del Consorzio di Tutela dei vini DOC Cortona, hanno saputo intercettare con maestria le sensibilità dei palati di avventori e specialisti del settore. Non è un evento da bosco e da riviera o una sagra godereccia, tutt’altro! La specializzazione gourmet si dimostra al calar della notte, nelle cene di gala, quando ci si ritrova al Teatro Signorelli, location incantevole come tanti altri teatri italiani, patrimonio della lirica e della musica classica.

L’occasione ideale per degustare, dopo una giornata spesa tra masterclass ed incontri con i produttori, le pietanze di chef stellati e attori primari della cucina nostrana accorsi dal richiamo irresistibile di Fausto Arrighi (già direttore della Guida Michelin per l’Italia) e di Annamaria Farina, splendidi nell’allestimento e nell’organizzazione di un servizio difficilissimo da eseguire visto il contesto speciale.

La Chianina proposta in ogni versione: dalla classica costata alla brace, all’hamburger, al bollito, per finire verso il quinto quarto tra trippa e lingua di cui siamo specialisti assoluti. E poi le salse ed i condimenti, l’utilizzo degli scarti nei brodi e sughi, per rivoluzionare il piatto e dare quel tocco di sapore alle materie prime più delicate.

Quest’anno è andato davvero tutto alla perfezione. Pochissime le “stecche” (trattandosi pur sempre di un palcoscenico). Molto snelle le varie fasi del programma, che potranno essere oggetto di ulteriori modifiche in futuro, ma già a buon punto di quadratura. Zero le pause morte, un ritmo serrato anche per noi giornalisti, divertiti e incuriositi da poter interagire con tanti viticoltori, con i colleghi Giampaolo Gravina, Leonardo Romanelli e Divina Vitale impegnati nelle degustazioni guidate sulle varie annate di Syrah, e sui territori vocati di Toscana, Sicilia e Cornas.

Approfondimenti utili a comprendere ulteriormente la magia di un vitigno migrante come la Syrah, che sa ben adattarsi ai luoghi dove viene coltivata e che necessita, in maniera imprescindibile, della mano umana per lasciarsi alle spalle nuance troppo rudi e rustiche e dirottarsi verso eleganze floreali, succose e speziate di grande longevità. L’Italia e Cortona stessa giocano un ruolo quasi alla pari con gli omologhi francesi. Il “quasi” è dovuto soltanto per la maggior esperienza dei cugini d’Oltralpe, che vantano ancora una piccola incollatura di vantaggio sui nostri.

Il Syrah toscano e siciliano, ad esempio, è molto mediterraneo, a tratti densamente materico, ancorato forse su retaggi di eccessiva maturazione del frutto, a discapito di agilità di beva e di toni più sinuosi che il varietale sa offrire. Le cose, però, sono nettamente diverse rispetto agli inizi del secondo millennio e già molti produttori hanno alleggerito il carico calorico e macerativo, prediligendo vinificazioni considerate “estreme”, a grappolo intero con presenza dei raspi.

Un metodo forse rischioso per altre varietà, ma amato dalla Syrah, a patto di farlo con dovuta saggezza e sempre padroni del proprio destino. In soldoni significa pulizia dei contenitori, scelta delle percentuali di uve da vinificare con tale tecnica e riposo in vetro per domare accenni erbacei o tannini robusti. Non esiste una formula uguale per tutti, ognuno ha già scritto o dovrà ancora scrivere la propria e proporsi all’esame insindacabile della critica e dei mercati.

Dalle valutazioni dell’Anteprima sarà Syrah segnaliamo alcuni assaggi davvero strepitosi, in un panorama in profonda crescita, complice annate equilibrate (su tutte 2021 e 2022) con acini integri e sani in cantina. Sono vini che hanno con sicurezza superato i 90/100. Lo faremo in ordine alfabetico come da scheda proposta dall’organizzazione.

Migliori assaggi di Syrah di Cortona

Cortona Doc Syrah 2020 Crano – Baldetti

Cortona Doc Syrah 2021 Terrasolla – Cantina Canaio

Cortona Doc Syrah 2021 L’Usciolo – Fabrizio Doveri

Cortona Doc Syrah 2021 Polluce – Chiara Vinciarelli

Cortona Doc Syrah 2022 Linfa – Fabrizio Dionisio

Cortona Doc Syrah 2021 Campetone – Il Fitto

Cortona Doc Syrah 2021 – Stefano Amerighi

Cortona Doc Syrah Serine 2020 – stefano Amerighi

Cortona Doc Syrah 2021 Bocca di Selva – Tenuta Angelici

Migliori assaggi di Syrah d’Italia

Toscana Syrah IGT Arnuta 2021 – Buccelletti cantina

Costa Toscana Syrah IGP 202 Suisassi – Duemani

Toscana IGT Varramista 2017 – Fattoria Varramista

Costa Toscana Syrah IGP Rosso 2020 La Costa – Giardini di Ripaversilia

Toscana Syrah IGT 2021 Gruccione – Il Querciolo

Valle d’Aosta Syrah DOP 2020 Coteau La Tour – Les Cretes

Toscana Igt Syrah 2020 – Podere Bellosguardo

Syrah Igp 2019 Mascarin – San Valentino

Piemonte Doc Syrah 2022 – Scarzella

Syrah Igp Terre Siciliane Siriki 2015 – Spadafora

Toscana Igt Syrah La Sirah 2020 – Tenuta Lenzini

Gambero Rosso e Osteria Fernanda insieme per il Mandrarossa on tour

Osteria Fernanda e Gambero Rosso: degustazione esclusiva con “Mandrarossa on Tour” a Roma.

L’Osteria Fernanda a Roma ha aperto le porte a un’esperienza culinaria unica, grazie al progetto Mandrarossa on Tour, frutto della collaborazione con il Gambero Rosso. Tre le cene-degustazione, due delle quali si svolgeranno a Roma e una a Milano. Per 20italie ho avuto l’opportunità di degustare una selezione dei vini più distintivi della cantina di Menfi, abilmente abbinati ai piatti creati dallo Chef Davide Del Duca.

Filosofia culinaria raffinata e sempre sorprendente. Abilità nel bilanciare sapientemente i sapori e nel presentare piatti freschi e creativi. L’ambiente del ristorante è già invitante, con un’estetica moderna, dal taglio minimalista, che richiama la tradizione avvolgendo gli ospiti con discreta cura. I tavoli posizionati di fronte alla luminosa e ampia vetrata della cucina offrono una vista coinvolgente sul lavoro della brigata, durante la preparazione delle portate.

Gambero Rosso è riuscito nell’intento ad esaltare in modo appropriato i punti di forza sia del menù che dei vini. Insieme a Lorenzo Ruggeri e Giuseppe Bonocore, ci siamo confrontati sugli abbinamenti, giudicati in sintonia per la serata. Roberta Urso, responsabile pubbliche relazioni e comunicazione di Mandrarossa, racconta la storia della cantina, una Cooperativa vitivinicola di qualità che raccoglie 160 conferitori selezionati tra i 2000 della famiglia maggiore Cantine Settesoli, con i suoi 500 ettari vitati. Studio approfondito dei terreni, basse rese e tutto il meglio della Sicilia raccolto vinificato con cura nelle bottiglie che avevo già provato in occasione dello scorso Vinitaly. Non mi resta che andare a Menfi e visitare di persona questa interessante cantina siciliana, da raccontare ancora su 20italie.

MENU E VINI IN ABBINAMENTO

  • Entrée
Selezione di finger food: Cioccolato bianco ripieno di arachidi con gel di crodino, sedano rapa con anacardi e fegatino di pollo.
  • Spuma di burro di Normandia e pane a lievitazione naturale appena sfornato.

Piccole esplosioni di sapore che stimolano l’acquolina in bocca.

Vini in abbinamento:

Calamossa Bianco Mandrarossa 2023

Metodo Charmat floreale fresco e piacevole, nota aromatica data dallo Zibibbo che bilancia

  • Antipasto
: Ostrica, topinambur fermentato olio di Perrillo e limone nero

Le note vegetali dell’olio e delle parti verdi coprivano un pochino l’ostrica

  • Calamaro, beurre blanc, cime di rapa, colatura e yuzu

Un piatto molto interessante con un trionfino di sapori giustamente dosati e bilanciati.

Vino in abbinamento:

Sicilia Urra di Mare Mandrarossa 2023 – Floreale gelsomino nella freschezza con finale sapido

  • Primo piatto: 
Tagliolino di spirulina, bottarga di tonno, finocchio e cerfoglio.

Vino in abbinamento:

Sicilia Bertolino Soprano Mandrarossa 2022


  • Secondo piatto: 
Manzo, mela cotogna, succo di pepe Sancho e olio al carbone d’erbe

Un piatto meraviglioso.

Vino in abbinamento:
 Sicilia Mandrarossa Cartagho 2020

Bella struttura, morbidezza e terziari. Forse troppo percepibile la nuance del legno.

  • Dolce: Cremino ai tre cioccolati Valrhona, latte salato e caffè.
  • Piccola pasticceria

Dolcezza bilanciata, non eccessiva ma di gran gusto. La giusta conclusione di una cena che ha sorpreso per qualità e la finezza.

Vino in abbinamento:
 Passito di Pantelleria Serapias Mandrarossa 2020.

Un passito che non stanca e invoglia alla beva, grazie alla spinta acida.

Campania: “‘A capa è ‘na sfoglia ‘e cipolla” ramata di Montoro

L’abbiamo sempre vista come il cibo dei poveri, quel “pane e cipolla” che mangiavano le persone quando non potevano permettersi altro. Lo stesso compositore Giacomo Puccini, ai tempi della povertà più nera, quando le sue opere liriche erano solo un abbozzo nella mente, ne faceva uso smodato per sfamarsi. Le popolazioni dei piccoli borghi e delle campagne si nutrivano da sempre con i bulbi di questa pianta ancestrale, che ha un ciclo vegetativo biennale, fragile e generosa al contempo.

In Campania esiste un piccolo polo produttivo che è riuscito a selezionare, con abilità e sacrificio, una forma particolare di ortaggio: la cipolla ramata di Montoro. L’aggettivo lo si deve al particolare colore della sfoglia, che presuppone la presenza di quercitina e flavonoidi, utili nella nutraceutica come antiossidanti naturali. Non soltanto: l’Università di Salerno – Dipartimento di Ingegneria Alimentare – in collaborazione con il CNR, ne ha dimostrato la maggior dolcezza rispetto alle altre tipologie, pur con un basso indice glicemico e un ridotto contenuto di solfuri.

I catafilli carnosi e succulenti consentono la cottura della cipolla ramata di Montoro “nella propria acqua” (parafrasando un proverbio locale), come nella lunga stufatura della Genovese napoletana. La Gb Agricola di Nicola Barbato ha creduto fortemente nel prodotto e nella sua duttilità d’uso. Tante le preparazioni ideate dalla famiglia e dallo chef Rinaldo Ippolito, pensate per essere degustate sia seduti comodi tra i tavoli dell’agriturismo, sia tra i fornelli di casa in confezioni facili da impiegare.

Ciò che trovate nel piatto nasce però 2 anni prima, dai fiori impollinati e dal bulbo che cresce sottostante. Il fiore è importante per dare origine ai semi, senza i quali non si potrebbe replicare l’intero processo produttivo. La successiva raccolta ed essiccatura delle cipolle in celle frigo richiede tempi biblici, utili ad addolcire le note odorose più pungenti e rendere il sapore equilibrato. La selezione viene fatta rigorosamente a mano da personale esperto, formatosi sulle antiche tradizioni contadine delle donne anziane del paese. Tutto si recupera e ricicla, comprese le tuniche per l’estrazione dei colori da utilizzare come inchiostro industriale.

La tracciabilità, infine, è l’elemento essenziale di qualità e garanzia: ogni passaggio viene registrato e sottoposto a verifiche quotidiane per offrire al consumatore finale il meglio di Natura. Quanto dovrebbe costare un prodotto che necessita di una catena operaia coordinata, con tecnologie all’avanguardia e controllo costante delle procedure? In realtà il discorso è identico per tante realtà d’eccellenza dell’enogastronomia italiana. Il riconoscimento economico, infatti, non segue sempre lo sforzo realizzativo.

L’immaginario collettivo non è ancora pronto ad accettare ciò che è veramente buono e salutistico da ciò che è semplicemente “fuffa artefatta”. I passi in avanti ci sono grazie anche all’impegno dei Barbato e di tanti come loro che portano alto il vessillo del km zero. Mille gli utilizzi possibili, dalla parmigiana, alla frittura, per passare ai sughi ed alle conserve e, perché no, concepire un dessert a base di cipolla ramata di Montoro.

Per chi voglia saperne di più, qui il Disciplinare di Produzione.

La nostra intervista al produttore 👇🏻

Personalità, sapore, basso impatto calorico e facile digeribilità, la ricetta perfetta per vivere bene.

Gb Agricola – casa Barbato Agriturismo e Agripizzeria

Via Padula – Montoro Inferiore (AV)
Telefono  0825 1728592
Whatsapp 349 860 0929
e-mail: info@gbagricola.it

Officina 83 a Sala Consilina: un viaggio in moto custom nello stile american fast food e braceria selezionata

Marco Marrocco è una forza della natura, con i suoi 40 anni vissuti intensamente e le mille idee ancora da realizzare. Officina 83 è solo l’ultimo dei suoi nati, un locale in stile drive in anni ’60, con tanto di camioncino delivery all’esterno e Harley-Davidson da collezione all’interno.

Perché Marco ha la passione smodata per i cavalli a motore, il vento del mare e la buona cucina, magari con una valida proposta vini in abbinamento. Ho sempre ammirato la concretezza di chi svolge da anni l’attività di ristoratore. Agli inizi (nel 2011) non esisteva che un unico bancone dove i clienti potevano selezionare gli ingredienti di qualità per la composizione del piatto, potendo usufruire di uno spazio limitato per sedersi comodi.

Da allora le cose sono ben diverse, mentre il luogo, Sala Consilina, è rimasto quello di una volta, ancora bisognoso di aprire le menti verso le novità e le sirene provenienti dalle grandi metropoli. Marrocco cerca quotidianamente di essere avanti anni luce con i tempi: tra i primi a portare l’esterofilia del concept e del gusto nei propri locali, inclusa una ricca selezione di carni servite tra tartare, bun con hamburger, tagliate e costate di “varie metrature”.

E poi la ripartenza nei mesi della pandemia con un servizio impeccabile di consegne porta a porta. Tutto facile? Non sembra a giudicare dall’impegno continuo che lo vede coinvolto nell’ampliare la gamma delle pietanze e la carta dei vini giunta ad oltre 50 referenze italiane ed internazionali.

Marco Marrocco

In cucina il giovanissimo chef Giovanni Rocco, appena ventenne, sa coniugare energia e talento anche nell’impiattamento. Proveniente dall’Istituto Alberghiero ha davanti a sé un brillante futuro che ne smusserà alcuni angoli ancora acerbi; d’altro canto quando la mela è buona vale la pena coglierla direttamente dall’albero piuttosto che sceglierla dal cesto.

Il piatto firma di Officina 83, la tartare di manzo ai frutti di bosco è semplicemente perfetta. Realizzata alla moda francese, con quei richiami di senape anche nelle salse in accompagnamento ai bordi, resta ancorata nei ricordi dei miei migliori assaggi.

La picanha di Swamy, lavorata e frollata dallo staff a partire dalla mezzena, cosa rara solo in carta alle migliori steak house, ha subito un’affumicatura ai trucioli di Jack Daniel’s Tennessee Whiskey. Un carpaccio sottile e saporito con 3 diverse varietà di pepe in grani, burrata e scaglie di tartufo nero.

In ultimo, la classica tagliata di Angus U.S.A. con cardoncelli e parmigiano e la guancia di maialino cotta a bassa temperatura, servita con misticanza e broccoli saltati. Tenera al taglio, non eccessiva nelle componenti gelatinose e grasse che possono talora stancare il palato. Un viaggio tra sapori semplici, essenziali, senza trucco e senza inganno, nel cuore del Vallo di Diano.