Un giorno in Costiera Amalfitana: divina poesia

“Ma come fanno i marinai” cantava il duo De Gregori – Dalla. Come fanno davvero a non restare allibiti dalla bellezza di un posto senza tempo, perso tra curve e fiordi, limoneti e vigne a strapiombo sulle acque blu?

La Costiera Amalfitana, per tutti la Divina, nasconde storie e tradizioni tramandate di generazione in generazione, quando anche in questo luogo si soffriva la fame di lavoro e l’unica alternativa possibile era l’emigrazione. Ancor più dolce il ritorno di chi aveva fatto fortuna, o semplicemente sentiva nostalgia, la saudade dei popoli di mare che mal sopportano freddo e polvere.

Tra i suoi borghi, il vento placido ti porta ad assaporare gusti che accomunano territori diversi delle coste campane. Il pescato è il principe della tavola, qui proposto sempre in versioni delicate e ben unite ai vini tipici a base di Falanghina, Biancolella e molte varietà semisconosciute ai registri ampelografici. Ripolo (o Ripoli), Ginestra, Biancazita, Pepella, sono solo alcuni dei nomi curiosi di varietà d’uva coltivate dalla notte dei tempi. Un patrimonio inestimabile conservato con cura da aziende storiche come le Cantine Marisa Cuomo di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo, sposati per amore di intenti e passione infinita verso il territorio.

Un calice di Furore Bianco, dalla profonda vena aromatica e minerale, quasi salmastra all’assaggio, o dell’emblema Fiorduva capolavoro concepito dalla mente brillante dell’enologo Luigi Moio, sono l’incipit ideale per un pranzo sulla terrazza panoramica dell’Hostaria Baccofurore dal 1930. Donna Erminia gestisce sia l’albergo che il ristorante assieme al figlio Domenico. Il nonno veniva chiamato “Bacco” perché latifondista che produceva vino e nel 1930 nasce la locanda per offrire ristoro alle maestranze locali durante i lavori per la strada collegamento Amalfi-Agerola.

I primi avventori 2 esterni furono il medico condotto Francesco Sirica e la moglie, entrambi di Sarno. Artisti di strada hanno affrescato le mura d’ingresso in onore all’ospitalità dei proprietari. Qui c’era solo terra e vigna e si mangiava pollo alla diavola, cannelloni, pasta al forno e minestre maritate. Adesso i gusti sono cambiati e la ricerca dell’eleganza di piatti e sapori è nelle mani dello chef Raffaele Afeltra.

Ad esempio: pane al pomodoro con burro aromatizzato e alici di cetara, il polpo scottato su insalata di fagiolini e patate e il risotto con crudo di gamberi uova di lompo e spuma al prezzemolo. Ricette efficaci, che partono da materie prime a km zero invidiate in tutto il mondo. Ma la vera emozione va ricercata nelle parole di Donna Erminia Cuomo, sorella di Marisa, che da un paesino della Bosnia Erzegovina si è spostata seguendo il cuore. E con il cuore si sbaglia difficilmente.

Si va a ritroso verso Salerno, arrivando nel piccolo borgo di Cetara. Negli occhi i colori ed i profumi dei limoni amalfitani, lo “Sfusato” ricco di essenze e adatto per la sua scorza coriacea ad infusi e liquori tra cui il celebre Limoncello.

La nostra attenzione viene catturata da un prodotto ittico che ha fatto la storia di queste terre: la colatura d’alici. Ce ne parla Giulio Giordano della ditta Nettuno, che parte dalle origini dei tempi romani, quando si produceva il “garum” una sorta di salsa condimento per gli alimenti dell’epoca.

Naturalmente le tecniche sono diverse rispetto ad allora, mantenendo comunque due componenti fondamentali nei secoli: la qualità delle alici, rigorosamente cetaresi e la manualità di chi esegue i vari procedimenti. Dalla “scapezzatura”, quando vengono tolte le teste e le viscere ai pesci prima di essere adagiati con il sale in un caratello di castagno, si perde circa il 70% dei liquidi non commestibili. Segue la “nzuscatura” con la pulizia delle alici e il reinserimento nelle piccole botti di legno con il metodo pancia-schiena a strati sovrapposti, per evitare spazi liberi e consentire al sale di estrarre il prezioso liquido che arriverà ad essere estratto, tramite percolazione, dopo ben 36 mesi.

Un colore ambrato, denso di personalità aromatica, che solo con poche gocce riesce a cambiare il volto delle pietanze donandone sapidità e persistenza. La Divina Costiera non finisce mai di stupire.

Tutti in treno con Irpinia Express

Non c’erano fazzoletti sventolanti al binario 2 di Avellino centrale, quando venerdì 30 agosto è partito il treno storico Irpinia Express, ma l’emozione, il fascino, le suggestioni e le attese generate da quel vecchio convoglio a trazione diesel erano evidenti tra le molte persone a bordo. E’ cominciato così, il lento viaggio lungo la via ferrata che dal capoluogo irpino raggiungeva, un tempo, il capolinea pugliese di Rocchetta Sant’Antonio.

In compagnia di Alessandro Graziano di Visit Irpinia e chef Mirko Balzano direttore artistico di Irpinia Mood, la comitiva di ospiti, giornalisti, blogger, ristoratori, fotoreporter, operatori della comunicazione hanno percorso la prima parte della tratta che da Avellino descrive il cosiddetto Cammino di San Guglielmo.

Da sinistra chef Mirko Balzano e il sindaco di Montella Rizieri Rino Buonopane

Un verde mosaico di vigneti, oliveti, boschi cedui e castagneti tra loro incastonati tra i quali fanno capolino i borghi di Salza Irpina, Montefalcione, Montemiletto, Lapio, Taurasi, Luogosano, Paternopoli, Castelvetere sul Calore, Castelfranci, Montemarano, Cassano Irpino fino alla tappa finale di Montella.

Lo storytelling degli albori della vecchia ferrovia, con l’intrigante correlata aneddotica, è stato tenuto dai volontari dell’Associazione InLocoMotivi che opera in supporto di Fondazione Ferrovie dello Stato mentre, insieme al caffè di benvenuto, venivano dispensate amorevoli coccole a base di pasticcini e croissant di Dolciarte, la rinomata pasticceria avellinese di Carmen Vecchione.

Il lento incedere del convoglio dagli allegri salottini cinabrici ha proiettato i partecipanti in una dimensione “sine tempore”, continuamente attratti da rapidi cambi di scenario, lunghe gallerie e numerosissimi ponti di intersezione dei binari con l’asta fluviale del Calore. Fino ai 35 metri di altezza del famoso ponte Principe, ardita costruzione in acciaio lunga oltre 280 metri, di realizzazione fine-ottocentesca su progetto ingegneristico della società Strade Ferrate del Mediterraneo.

L’arrivo a Montella, dopo oltre 90 minuti di viaggio per i pochissimi chilometri percorsi, ha evocato il fascino concettuale del “féstina lente”, apparente ossimoro latino: quell’affréttati lentamente del quale non siamo più capaci nel turbinio della nostra spasmodica quotidianità. Solo il tempo del trasbordo e dei ringraziamenti agli appassionati volontari di InLocoMotivi ed eccoci giunti, al cospetto di Gilberto Soriano (col suo fedelissimo e mansueto… attendente Dadà, l’asinello di casa) patron del bioparco di fattoria Rosabella che sorge a valle del Monte Accellica sviluppando lungo i rivoli sorgenti del fiume Calore.

Lungo la camminata per raggiungere la cascata della Madonnella Gilberto ha copiosamente dispensato preziose informazioni e curiosità su castagne e castagneti, biodiversità presente nel Parco, microclima e fauna dell’areale, servizi e funzioni del bioparco; al termine della piacevole escursione un ghiotto spuntino  a base di salumi e formaggi della casa accompagnati a un fresco bicchiere di Fiano o di corposo Aglianico irpini sono stati offerti come… amuse-bouche al pranzo che attendeva il gruppo di li a poco.

Solo il tempo di riprendere le navette con destinazione Casale del Monte ed ecco aprirsi un nuovo spettacolare panorama dal sagrato di Santa Maria della neve, un complesso monastico con annesso chiostro e romitorio realizzato, per successive stratificazioni storiche, a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Gli onori di casa, questa volta, sono toccati al Sindaco di Montella nonché Presidente della Provincia di Avellino, Rizieri Rino Buonopane che, unitosi al gruppo, ha accompagnato i suoi ospiti fino al rientro in stazione FS del paese.

La bellezza mistica ed austera dei luoghi non ha affatto precluso al gusto di un ricchissimo buffet a base di ricette e preparazioni della tradizione popolare, magistralmente curato dal montellese Ristorante Zia Carmela. Indimenticabili, tra gli altri manicaretti, la zuppa di ceci e funghi porcini all’olio extravergine di ravece e il cannolo alla ricotta farcito all’istante.

La susseguente visita al romitorio è davvero imperdibile. Un sapiente lavoro di restauro e recupero funzionale ha avuto il pregio di valorizzare i luoghi esterni ed interni e le loro originarie funzioni, come nel caso delle ampie cucine, del chiostro, delle ancestrali toilette ad uso dei monaci e del locale con tetto a camino ove venivano essiccate, tramite affumicatura, le famose castagne del prete montellesi.

Proprio la castagna – massima espressione del genius loci montellese – è stata protagonista dell’ultima tappa del viaggio presso la antica e rinomata azienda castanicola di proprietà della famiglia Malerba. Il piccolo museo contadino aziendale e l’illustrazione del processo produttivo della castagna, prima in campo, poi nelle lunghe fasi di stoccaggio, lavorazione, conservazione, trasformazione ed uso gastronomico ha fatto da preludio all’assaggio del dolce frutto nelle sue numerose (dolci e salate) “interpretazioni”, non ultime l’originale liquore e la sorprendente produzione brassicola della birra alla castagna.

La tirannia del tempo che scorre, troppo veloce al cospetto di così tante ipnotiche suggestioni, ha obbligato la compagnia a salutare i propri straordinari ospiti per far rientro a Borgo ferrovia in Avellino. Non senza foto di gruppo di prammatica.

TXAKOLI’ E PIXOS: identità dei Paesi Baschi

L’estate volge al termine, le vacanze sono ormai un ricordo ma le emozioni, i sapori, le risate, le scoperte sono ancora vividi. Ciò mi spinge a parlare di un Paese nel Paese con tradizioni culturali molto forti, paesaggi mozzafiato, una rinomata cucina e una lingua autoctona nata prima delle lingue romanze: I Paesi Baschi (in basco Euskadi; in spagnolo País Vasco), un mondo a sé nel nord della Spagna.

Fuori dalle rotte più gettonate, sono conosciuti per essere un territorio montuoso e selvaggio, con una costa frastagliata e un interno rigoglioso: spiagge incantevoli lungo la costa, montagne maestose, valli verdi e riserve naturali, che attirano gli amanti della natura e degli sport all’aria aperta (il surf la fa da padrone).

Un breve cenno, ci vorrebbero fiumi di parole per descriverle, sulle città basche che ho visitato: Bilbao, è la capitale culturale, una capitale mitteleuropea. Il Museo Guggenheim, la metro e il lungofiume sono esempi di una mirabile riqualificazione urbanistica che si contrappone alla città vecchia con le sue viuzze, i negozi variopinti, le piazze e le chiese, al mercato coperto de La Ribera con i banchi di pesce fresco, frutta e gastrobar dove gustare le prelibatezze locali.

Vitoria-Gasteiz ha puntato invece su una crescita compatibile con l’ambiente che l’ha fatta diventare nel 2012 capitale verde d’Europa, la città basca conserva un quartiere medievale in cui è possibile trovare innumerevoli luoghi dal sapore tradizionale.

San Sebastian una città elegante che vanta un’invidiabile posizione sulla baia de La Concha affacciata sul Mar Cantabrico, circondata da verdi montagne, con la romantica città vecchia ricca di angoli caratteristici e i tradizionali bar di pintxos da accompagnare con un bicchiere di Txakolì o di Sidra.

Ed è qui che volevo arrivare. Let’s start! Vi racconto dei Pintxos queste piccole prelibatezze, invitanti e gustosissime mini-porzioni (chiamate localmente raciones), stuzzichini costituiti da una fetta di pane (spesso baguette) accompagnata da uno o più ingredienti.

Il nome basco pintxo indica lo stuzzicadente che tiene insieme il tutto, non sempre usato però in tutte le pietanze servite. I pintxos sono assimilabili alle più famose tapas spagnole, ma differiscono da queste per l’elaborazione, la complessità nella realizzazione e l’utilizzo di una gran varietà di materie prime.

Tra gli ingredienti troviamo le acciughe che qui sono una vera prelibatezza, grosse e carnose, il pintxos Gilda è un classico, il primo a essere comparso sui banconi dei locali baschi: un peperone, un filetto di acciuga del Cantabrico e un’oliva manzanilla infilzati in uno stuzzicadenti. Il nome Gilda è stato dato in riferimento al personaggio principale del film Gilda, interpretato l’attrice Rita Hayworth nel 1946 poiché, come lei, era “salata, verde e un po’ piccante”.

Un’esperienza particolare è l’abbinamento con il Vermut De Grifo Zarro, elegante ed equilibrato che crea una combinazione perfetta con il gusto salato, ma raffinato delle acciughe. Ottimi pintxos anche quelli con i peperoni verdi più famosi dei Paesi Baschi (Pimientos de Gernika); quelli con il baccalà e quelli con il peperoncino di Ibarra (le piparras Ibarra) dalla pellicina sottile e dal sapore delicato. Se preferite invece sapori classici, il vostro palato sarà deliziato dai pixtos con lo jamón (proscitto) o con il queso (formaggio) ottimo se sciolto sulla fetta di pane.

A volte insieme a queste raciones vengono serviti anche piatti più tradizionali come la tortilla, una frittata di patate e cipolle che nella versione basca viene messa sulla fetta di pane, le crocchette ripiene di prosciutto e formaggio e diversi tipi di molluschi marinati o fritti.

Insomma è meraviglioso compartir la comida! (trad. condividere il cibo). Se poi al cibo abbiniamo il vino giusto, il gioco è fatto.

Un ottimo abbinamento è sicuramente un vino fortemente legato alla tradizione basca: il Txakolì (si pronucia Ciacolì), un vino leggero, fresco, leggermente frizzate e con una spiccata acidità dovuta al fatto che la vendemmia viene fatta quando gli acini sono ancora verdi. Un vino legato alla tradizione, a tempi lontani quando la produzione era prettamente casalinga, che sta facendo oggigiorno un grande salto di qualità grazie alle cantine che hanno investito in nuove tecnologie e al riconoscimento di tre Denominazioni di Origine: Álava, Getaria e Bizkaia. Le zone di coltivazione e produzione si trovano sia nell’entroterra che sulla costa nelle province di Vizcaya, Guipúzcoa e Álava, ciascuna associata a una delle tre denominazioni d’origine.

Il vitigno protagonista è, quasi sempre, l’Hondarrabi Zuri, vitigno autoctono che deve rappresentare almeno l’80% del blend, a cui si aggiungono Gros Manseng, Petit Courbu e Chardonnay. Esiste anche una versione rossa, con l’Hondarrabi Beltza, e la versione rosé. La vendemmia normalmente si svolge a metà settembre e il vino può essere venduto, secondo la legge, già a gennaio. Solitamente però si aspetta marzo per mettere in commercio la nuova annata.

Alla degustazione presenta profumi di frutta esotica, mela verde, agrumi e fresche note erbacee. Al palato si riconosce un’acidità ben integrata e un finale salino a ricordare la brezza marina.

Nelle zone di Álava, Vizcaya e Getaria non si produce solo il Txakolì, ma qui si trovano anche le Sagartoteche (sidrerie), cantine dove il sidro della zona, prodotto da mele locali, viene fatto maturare e conservato dentro grandi botti. Il sidro basco, chiamato anche sidra, ha una gradazione alcolica relativamente bassa ma potente sulla distanza, molto beverino, leggero e profumato invita alla beva, ma fate attenzione!

La coltivazione delle mele nei Paesi Baschi risale al Medioevo, i pellegrini diretti a Santiago de Compostela che attraversavano la zona, citano la presenza di infiniti meleti e il grande consumo di sidro. In questi territori si trovano diverse varietà di mele, che arrivano a maturazione da fine settembre a metà di novembre. La lavorazione prevede una scrupolosa selezione, il lavaggio, la spremitura per estrarre il succo, regolari filtraggi per togliere i residui e concentrare il succo per poi lasciarlo fermentare lentamente (anche dai tre ai cinque mesi).

La Sidra Natural Traditional dei Paesi Baschi al primo sorso ti lascia spiazzato, confuso, non è accomodante e rotonda come il sidro francese. All’inizio si distingue una pungente acidità che poi fa largo ai profumi della mela e a una dolcezza appena percepita che bilancia acidità e amaro. Nella parte finale un retrogusto fresco a pulire la bocca. Ottimo abbinamento con i pinxtos.

Sono stati giorni di scoperte enogastronomiche interessanti, esperienze fondamentali per immergersi in questo territorio che ha una storia importante e travagliata, regione ricca e fieramente indipendente che difende la propria cultura, una terra dove il verde delle montagne incontra il blu dell’oceano.

White Summer 2024

Per il dodicesimo anno, Città del Gusto Napoli ha rinnovato l’appuntamento con “White Summer”. Una festa glamour dedicata al solstizio d’estate organizzata da Gambero Rosso presso “l’Hotel Resort Le Axidie” di Marina d’Aequa di Vico Equense.

Un luogo incantevole incastonato in uno splendido scorcio della Penisola Sorrentina, da dove è possibile ammirare il Vesuvio che domina il bellissimo, ed unico al mondo, golfo di Napoli. L’area delle Axidie ha fatto da cornice all’evento all’insegna del benessere; una terrazza che tra le sue varie piscine ha permesso un piacevole percorso enogastronomico.

Il protagonista assoluto, come abbiamo già rimarcato, è stato il bianco, sia da bere (come vino) sia da indossare: eravamo tutti rigorosamente vestiti di bianco.

Quest’anno, oltre a varie etichette di vini bianchi Campani messi a disposizione del pubblico, ce ne sono state alcune di altre zone d’Italia e soprattutto quelle fornite dal Consorzio Tutela Lugana DOC. Uno splendido territorio che ricade ai confini di Lombardia e Veneto, rispettivamente tra le provincie di Brescia (Sirmione, e parte di Pozzolengo, Desenzano e Lonato) e Verona (parte di Peschiera), affacciandosi sul Lago di Garda. Un’areale che conosciamo e apprezziamo da sempre, ma che dalle nostre parti non sempre troviamo nelle carte vini.

Un terroir per lo più pianeggiante formatosi dallo scioglimento dei ghiacciai della Valle dell’Adige i cui terreni di matrice argillosa, nella fascia collinare, si mescolano a percentuali di sabbia. Il microclima è influenzato dalle brezze mitigatrici del lago che rendono il clima di tipo mediterraneo. I vini prodotti con un minimo del 90% di Trebbiano di Soave, localmente detto Turbiana o Trebbiano di Lugana, esprimono profumi vigorosi, netti, tra la mandorla e l’agrume, con un’ossatura strutturale fresco sapida.

Tra le circa 20 aziende del Consorzio presenti, ho assaggiato varie tipologie: dallo spumante da metodo charmat come quello di Corte Sermana agli ottimi metodi classici di Olivini e Ca’ Maiol; vari fermi, anche nella versione superiore di Ca’ Maiol e riserva di Le Morette 2023.

Da altre parti d’Italia c’era la possibilità di assaggiare il Bellone di Casale del Giglio o il Verdicchio dei Castelli di Jesi di Umani Ronchi. I vini campani delle varie provincie erano rappresentati in parte: la Penisola Sorrentina DOP Sorrento di De Angelis; la Costa d’Amalfi con il Furore Bianco di Marisa Cuomo o il Bianco di Raffaele Palma; le Falanghine dei Campi Flegrei di Portolano, Cantine Astroni e Federiciane, del Beneventano di Cantina dei Monaci, o quella Irpina di Macchie santa Maria; non potevano certamente mancare i Fiano di Avellino e Greco di Tufo, rappresentati dai vari Borgodangelo, Montesole e Nardone. Se proprio devo fare un appunto, mi rammarico della mancanza di almeno un’azienda del Casertano con un asprinio d’Aversa, un pallagrello bianco o un Falerno del Massico. Sarà per la prossima volta.

Un plauso particolare ad Ais Campania che con i propri sommelier ha gestito in modo perfetto il servizio.

I banchi d’assaggio gastronomici di vari produttori ed artigiani del territorio, si alternavano armonicamente a quelli dei vini, in modo da sostenere le varie bevute e, perché no, stimolare il gioco degli abbinamenti. Sono partito da un maestro della panificazione come “Malafronte”, assaggiando il pane da lievito madre e i grissini stirati a mano, che mi hanno permesso di accompagnare anche le mozzarelle pugliesi della Murgia del caseificio “Gioiella” di Gioia del Colle. Da buon napoletano, sono stato poi piacevolmente attratto dal biscotto sbagliato di San Tarallo, e cioè i taralli gourmet della pasticceria “Celestina”, che li ha proposti anche al sacro ragù e alla benedetta genovese, come resistergli. Non poteva mancare qualche spicchio di pizza, quella di “Impasto Vivo”.

Mi sono poi avvicinato al tavolo dello Chef Executive De Luca delle Axidie, che con uno show cooking dal vivo, ci ha deliziato con dei primi piatti di pasta e riso.

Per completare il percorso, non mi sono certo perso le dolcezze di “Laurita Atelier di Pasticceria” e i gelati e sorbetti gourmet della gelateria “Ikigai”.

Una bellissima serata a cui non è mancata una selezione musicale di un bravissimo Dj che ci ha allietato gradevolmente per tutta la durata dell’evento. Una serata di cui il mondo enogastronomico ha sempre bisogno, per comunicare al meglio le proprie eccellenze anche in Campania.

Arrivederci all’anno prossimo!

Il Pomodorino Cannellino Flegreo unisce storia e gastronomia della Campania

Che cosa accomuna le rovine dell’antica Cuma e un pomodorino di forma oblunga e gusto versatile? Semplice: il territorio dei Campi Flegrei ricco di storia e cultura enogastronomica. Se poi parte delle coltivazioni del Pomodorino Cannellino Flegreo sono localizzate nella città bassa del Parco Archeologico di Cuma, la suggestione di trovarsi in un’area densa di cultura diventa una realtà tangibile e concreta.

La giornata del 22 Luglio, inizio della raccolta stagionale del Pomodorino Cannellino Flegreo, è stata anche quest’anno l’occasione per promuovere alla presenza di stampa locale e nazionale l’agricoltura di qualità, in concomitanza della visita agli scavi. Una bella iniziativa di promozione volta a rafforzare  il filo diretto che lega una delle storiche colonie della Magna Grecia (la fondazione di Κύμη risale all’VIII secolo avanti Cristo) con un ecotipo attestato sul territorio almeno dalla fine dell’Ottocento.

La manifestazione è stata organizzata dall’Azienda Cumadoro, in collaborazione con l’Associazione del Pomodoro Cannellino Flegreo e con il Patrocinio del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, l’Ente Regionale dei Campi Flegrei e il Comune di Pozzuoli.

Durante la serata Giovanni Tammaro, amministratore delegato di Cumadoro, ha raccontato un progetto nato nel 2018 con la creazione, insieme ad un pugno di giovani agricoltori-imprenditori locali, dell’Associazione del Pomodoro Cannellino Flegreo, ma che affonda le sue radici in un’epoca molto più lontana dato che questa tipologia di pomodoro è coltivato localmente da oltre un secolo. La famiglia Tammaro, con il suo vivaio, è custode del seme per la riproduzione, conservato anche nella banca semi della Regione Campania. Giovanni ha spiegato come un ricordo d’infanzia, quello del ragù preparato in famiglia proprio con questi pomodoroi, si è trasformato nella volontà di diffondere la conoscenza di questa coltivazione oltre che di creare opportunità di crescita e sviluppo per il territorio.

In questo senso il progetto è rientrato nel Monterusciello Agro City (MAC), finanziato nell’ambito dell’UIA (Urban Innovative Action), un’iniziativa dell’Unione Europea volta al recupero e alla valorizzazione delle aree urbane. Dal 2018 a oggi gli ettari totali coltivati a Pomodorino Cannellino Flegreo sono passati da 3 a 50, di cui 10 all’interno del Parco archeologico, e l’obiettivo rimane quello della crescita costante.

“Si deve cercare di fare sempre più sistema attraverso produzioni DOP e IGP”, ha commentato l’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania Nicola Caputo, intervenuto all’evento, “Gli agricoltori devono convincersi che bisogna stare insieme: vinciamo se vinciamo tutti”.

Il Pomodorino Cannellino Flegreo deve il suo nome alle canne a cui vengono legate le piante per sollevarle da terra e che caratterizzano il panorama dei campi coltivati. Si è adattato in maniera ideale ai terreni sabbioso-vulcanici dell’area flegrea; ha forma oblunga, con una lieve strozzatura al centro, e pesa 15-20 grammi; il gusto a tendenza dolce, unito a una buona sapidità, ne fa un prodotto versatile sia nelle preparazioni salate che dolci, mentre la buccia sottile lo rende particolarmente vocato a trasformazione in salse e conserve.

Dopo la visita agli scavi di Cuma con una guida d’eccezione – Fabio Pagano, direttore del Parco Archeologico – abbiamo avuto l’occasione di degustare il pomodorino, declinato in varie proposte gastronomiche, grazie alla partecipazione di numerosi professionisti locali della ristorazione.

Dallo Scialatiello 2.0 con pomodorino e burrata al cheesecake al Pomodoro Cannellino Flegreo, passando per il bocconcino di tonno in doppia consistenza di Pomodoro Cannellino Flegreo e crumble di fresella, abbiamo potuto constatare la grande versatilità di questo prodotto, sempre più richiesto sul mercato della ristorazione e da poco entrato in Rossopomodoro, catena di ristoranti e pizzerie napoletane diffuse in Italia e all’estero.

Rimane di questa serata un’immagine suggestiva: la città alta di Cuma si affaccia da un lato su quel braccio di mare in cui la nostra storia più antica affonda le sue radici, dall’altro sulla piana che, grazie a un’agricoltura sostenibile e di qualità, promette prospettive di crescita nel futuro del territorio.

Metti una sera a cena al Castello di Rocca Cilento

Esistono castelli e castelli: quello di Rocca Cilento, nel restauro proposto dalla famiglia Sgueglia e dal compianto Stefano, sfiora senza dubbio l’immaginario collettivo in tema di ricordi medievali.

Non manca davvero nulla, neppure il ponte che collega un’ala all’altra della dimora storica e che assomiglia ai ponti levatoi con tanto di fossati utilizzati nei kolossal del cinema americano, tra nobili cavalieri, disfide e tenzoni romantiche, panorami bucolici mozzafiato.

In tale contesto, sotto gli occhi ammirevoli dei presenti, è andato in onda (proprio il caso di dirlo) un evento unico nel suo genere, la cena a 4 mani tra due chef che stanno scrivendo pagine importanti nella ristorazione della Campania.

La parte del “padrone di casa” viene ben recitata da Matteo Sangiovanni, di recente approdato in questi magnifici luoghi dopo esperienze prestigiose. L’invitato di lusso è invece Vincenzo Cucolo di Aquadulcis, ristorante in capo alla famiglia Cobellis a Massa di Vallo della Lucania (SA).

Nell’attesa di avvicinarsi ai tavoli del Bistrot dei Sanseverino, che fa parte del resort con 6 stanze per gli ospiti, di cui 4 suite arredate in chiave luxury, viene servito un aperitivo in terrazza al tramonto, con le primizie proposte dagli assistenti di chef Sangiovanni ed i Franciacorta dell’azienda Montina, la giusta atmosfera per un momento di festa enogastronomica.

Potersi rilassare per un attimo al calar del sole estivo, osservando in lontananza il mare di Agropoli e le colline retrostanti in direzione del Monte Cervati e della diga di Alento, è un lusso che non ha prezzo.

Trascorso nella convivialità l’inizio di serata, arriva il clou con l’esibizione ai fornelli dei due chef, nella proposizione di un ricco menù.

Dal filetto di trota, pesto di prezzemolo, wasabi e pomodoro rosa di Cucolo ai ravioli con carpaccio di gamberi rossi di Acciaroli e fonduta di piselli, per terminare prima dei dessert con un tonno rosso scottato, salsa di Franciacorta “Montina” e fiori di zucca in tempura entrambi di Matteo Sangiovanni.

Coccole finali tra ricotta, rhum, pere, frolla e fondente del giovane talento di Aquadulcis e la piccola pasticceria realizzata da Federico Sorrentino pastry chef del Castello di Rocca Cilento.

Un “contest” in cui nessuno vince davvero, se non il palato di chi ha potuto assistere comodamente seduto tra miti, leggende e tanta concretezza culinaria.

A Palazzo Gentilcore si celebrano le eccellenze enogastronomiche del Cilento e Vallo di Diano

La splendida cornice di Palazzo Gentilcore, nel cuore del borgo antico di Castellabate, ha ospitato un evento straordinario dedicato alla celebrazione delle eccellenze del Cilento e Vallo di Diano. La manifestazione è stata fortemente voluta da Chiara Fontana e Giovanni Riccardi con la sapiente collaborazione di Marco Contursi e Assunta Niglio in rappresentaza della condotta Slow Food Gelbison.

La terrazza elegante e accogliente della Locanda Pancrazio ha fornito il palcoscenico ideale per questo viaggio culinario, con la partecipazione di appassionati di gastronomia e professionisti del settore, tutti accomunati dall’obiettivo di valorizzare e promuovere le risorse uniche del territorio.

Giovanni e Chiara, dopo aver trasformato l’edificio storico del XI secolo “Palazzo Gentilcore” in un’incantevole Art boutique hotel con annesso ristorante “Locanda Pancrazio”, hanno saputo coniugare il rispetto per la tradizione culinaria cilentana con una visione innovativa, sempre alla continua ricerca di nuovi stimoli sul territorio.

Marco Contursi, da sempre attivo sul territorio, ha concentrato il suo impegno nella valorizzazione delle eccellenze gastronomiche locali e nella promozione di una cucina che rispetti i ritmi della natura e le culture del luogo.

L’evento ha celebrato i sapori e i saperi della tradizione culinaria a chilometro zero: un vero e proprio omaggio alla ricchezza culturale, gastronomica e imprenditoriale del Cilento e Vallo di Diano: un’immersione totale nella sapienza dei popoli del Mediterraneo, che mette in risalto anche l’importanza della sostenibilità e del rispetto per le tradizioni locali.

Durante la serata uno degli aspetti più apprezzati è stato il percorso che ha offerto ai partecipanti la possibilità di degustare una vasta gamma di prodotti tipici. Dai formaggi ai salumi, dai vini agli oli, dai fagioli alla cipolla, dalle farine antiche ai magnifici prodotti della pesca locale, ogni assaggio è stato un viaggio nei sapori autentici di questa terra straordinaria.

Stazionando tra i vari stand, guidati dai sorrisi e dalle parole dei diversi produttori e dei padroni di casa, si è potuto raggiungere gustativamente i luoghi più affascinanti e significativi del territorio, percorrendo questo meraviglioso e selvaggio parco naturale in lungo ed in largo, dal mare alla montagna.

I vini autoctoni e biologici dell’alto e basso Cilento (Paestum, Perdifumo, Licusati, Prignano Cilento, Sant’Angelo a Fasanella, Giungano, Castellabate, Punta Licosa, Torchiara, Rutino), la soppressata di Gioi, lo struffolone e le olive ammaccate di Salento, le Alici di Menaica di Pisciotta, le ricotte e le mozzarelle di Paestum, l’Amaro del Tumusso di Padula, i salumi e i formaggi del Vallo di Diano, i panettoni di Agropoli, il fico, la genziana e il rosmarino distillati di Casalvelino, la cipolla di Vatolla, i taralli dai grani antichi di Sala Consilina, i tartufi di Colliano, la pasta fresca di Palomonte, i fagioli di Controne sono solo alcune delle tappe del lungo e suggestivo viaggio.

Ad allietare ulteriormente i presenti sono stati i piatti preparati con maestria dalla cucina di Locanda Pancrazio, coadiuvata purtroppo a distanza dallo chef Pietro Parisi. L’evento è iniziato con un aperitivo che ha introdotto gli ospiti ai sapori freschi e autentici della Campania, con antipasti creativi e sfiziosità che esaltavano ingredienti quali: pomodori, mozzarella di bufala, basilico e olio extravergine d’oliva. L’associazione “Pescatori di Castellabate” ha poi proposto la tradizionale “cunzatura” e un delizioso e delicato pacchero con scorfano e aragosta.

Gugliucciello Tartufi ha elaborato una profumatissima polenta al tartufo scorzone. Il pastificio “La sfoglia d’oro” ha fatto assaporare un intrigante raviolo allo zenzifero con tartufo. La cucina della “Locanda Pancrazio” ha invece preparato un appetitoso fusillo al ragù di fichi, armonioso e succulento.

Una cucina genuina e dedita al rispetto delle tradizioni con l’abbinamento ad alcuni vini coraggiosi e unici, tipicamente cilentani, delle cantine presenti all’evento. Particolare menzione meritano l’attraente e strutturato Antece 2022, il fiano della DOC Cilento, macerato in anfora, dei Viticoltori De Conciliis; l’elegante e fresco Rosato Ronnorà 2023, PAESTUM IGP ROSATO 2023 della cantina Donna Clara; il ramato e luminoso Ephyra 2023, IGP Campania di Rossella Cicalese; il biologico e fruttato Phasis 2023, Fiano Paestum I.G.P- Tenute del Fasanella; l’aromatico Iscadoro 2022, IGT Paestum della Cantina Casebianche. Nel post-dinner, hanno deliziato i palati i ricercati liquori e gli affascinanti distillati dell’Alchimista incantatore Giuseppe Pastore (Cilento, I Sapori della Terra) e l’artigianale Amaro del Tumusso, affinato in anfora, la cui miscela di genziana, alloro, carciofo, elicrisio, rafano e altre erbe autoctone segrete lo rende aromatico, avvolgente e morbido.

Un banchetto per il palato. Un momento di celebrazione, ma anche un’opportunità per riflettere sul futuro dell’areale. Gli ambasciatori del gusto presenti hanno tutti ribadito l’importanza di sostenere le eccellenze del territorio attraverso eventi che ne promuovano l’eccellenza, politiche di sviluppo sostenibile e progetti di valorizzazione che coinvolgano l’intera comunità.

Chiara Fontana, Giovanni Riccardi e Marco Contursi hanno condiviso con gli ospiti il loro impegno per la promozione della sostenibilità e della qualità degli ingredienti locali, evidenziando come la cucina possa essere un veicolo per preservare le tradizioni e sostenere l’ambiente.

L’evento “Pensieri Divini” sul Moscato di Scanzo: al Le Radici Lounge emozioni dalla Lombardia alla Campania

In uno spazio surreale, un incanto di vigne e colline dove il sole bacia la terra e il vento sussurra tra i filari, due donne, una lombarda e l’altra campana, si incontrano, animate da una grande passione comune: il profondo amore per il vino, nettare che unisce e racconta storie di terre e di popoli. Le chiameremo scherzosamente “Le Moscatine”. La lombarda, con il cuore colmo dei profumi delle Alpi e dei laghi, porta con sé il segreto del Moscato di Scanzo, un tesoro liquido della Cantina Pagnoncelli, custodito con cura e devozione. La campana, cresciuta in costiera amalfitana, conosce ogni sfumatura dei vini eroici, vulcanici, ogni nota fruttata e minerale che rende unica la sua terra.

Decidono di unirsi, non solo come amiche, ma come ambasciatrici delle eccellenze enogastronomiche delle loro regioni. Insieme, tracciano un cammino che va dalle colline bergamasche fino ai vigneti campani, intrecciando tradizioni e innovazioni, storia e futuro. Il loro progetto non è solo una celebrazione del vino, ma un inno alla cultura, alla dedizione, alla passione che si respira in ogni grappolo d’uva.

Le due donne artefici del progetto sono Alessandra Napolitano e Sabrina Pecis. “Pensieri Divini” è il loro ambizioso progetto, è un inno al gusto e alla convivialità. Il Moscato di Scanzo diventa il simbolo del loro sodalizio. Con le sue note dolci e speziate, con il suo colore rubino che brilla come un gioiello al tramonto, questo vino incarna la bellezza e la raffinatezza della Lombardia. Ogni calice racconta di giornate assolate, di mani che lavorano con amore, di una cantina che è molto più di un luogo, ma un vero e proprio tempio del gusto. Con determinazione e grazia, queste due donne si fanno portavoce di un’arte antica e sempre nuova, diffondendo nel mondo le eccellenze delle loro terre, una bottiglia alla volta.

Gli ospiti sono stati accolti nel Le Radici Lounge di Battipaglia (SA) con garbo e grande ospitalità creando un’atmosfera conviviale. La selezione dei prodotti della cantina Pagnoncelli (birre e vini) è stata magistralmente abbinata a una serie di piatti gourmet, ideati per esaltare le caratteristiche uniche di ogni etichetta. L’enologa Francesca Marano e iI sommelier Gianmarco Memoli hanno guidato i presenti attraverso un viaggio sensoriale, descrivendo con passione e competenza ogni prodotto, dalla freschezza delle birre bianchi alla complessità dei vini.

La degustazione è stato un viaggio con crescente complessità partendo dalla profumata Birra Sirio ottenuta con aggiunta di Moscato Giallo, con note fruttate di uva, mango, pesca e richiami ad un leggero pepato. La gasatura è delicata e fine e in bocca l’attacco è fresco, non molto strutturata persistente con aromi di spezie e vegetali. Intrigante l’abbinamento fatto con prodezza con una bruschetta al burro e alice salata.

L’ambrata IGA Persis al Moscato di Scanzo presenta una grana fine e persistente. Il naso è reso suadente da profumi tipici del Moscato di Scanzo con la frutta rossa, miele di castagno, liquirizia e leggera speziatura pepata. L’abbinamento è stato sapientemente studiato servendo una bruschetta a base di lardo di colonnata. L’attacco amaro, l’effervescenza della birra e l’aromaticità hanno equilibrato la bocca in maniera armoniosa.

Piacevolissima sorpresa è stato il vino da tavola Ombra Rossa, inizialmente prodotto solo per consumo familiare, ma che ha riscosso talmente tanto successo da indurre la cantina Pagnoncelli ad aumentarne la produzione. Il suo uvaggio vede Merlot al 90% e Moscato di Scanzo al 10%. Colore rubino carico. Limpido e consistente, con profumi di rosa, viola, frutti rossi. Caldo, persistente, di grande corpo.

La morbidezza e l’aromaticità del vino lo hanno reso perfetto per accompagnare anche i cibi proposti dalla pregiatissima cucina del Radici Lounge: mortadella su focaccia, bruschette al pomodoro con origano e olio evo e tagliere di formaggi di varia stagionatura.

L’ultimo atto lo ha giocato la perla, il Moscato di Scanzo, un vino passito dolce e avvolgente, perfetto per accompagnare momenti di meditazione e contemplazione, un nettare di colore rosso rubino intenso e vivace che invita a rallentare il ritmo frenetico della quotidianità e a riscoprire la bellezza dei piccoli piaceri della vita.

Profumo intenso ed equilibrato rende il naso ampio ed elegante con i suoi sentori di rosa passita, frutta rossa in surmaturazione, in particolare marasca, prugna, spezie come cannella, garofano, pepe. Si completa e persiste con richiami al tabacco, cioccolato e nette note balsamiche. Anche al palato il passito risulta elegante e straordinariamente persistente, con un lungo finale sulle note balsamiche e dolciastre.

Storicamente il Passito di Moscato di Scanzo si degusta a fine pasto, preferibilmente da solo o accompagnato da pasticceria secca, come proposto dal Radici Lounge con cantucci e gelée variamente speziate, ma può sicuramente deliziosamente accompagnare anche a piatti salati come i formaggi erborinati o stagionati.

Una particolare menzione merita il profumatissimo e fresco cocktail a base di Passito di Moscato di Scanzo che con estrema bravura Giovanni Curcio, in arte Johnny, il bartender del Le Radici Lounge, ha preparato per l’occasione.

L’intera squadra delle “Moscatine”, con il loro spirito indomito e il loro sguardo rivolto al futuro, mettendo a frutto la loro passione e missione, organizzano eventi, degustazioni, percorsi sensoriali che avvicinano le persone alla magia del vino. La Lombardia e la Campania si fondono in un abbraccio enologico, dimostrando che la bellezza delle differenze può creare armonie straordinarie.

Alla Téa del Kosmo a Livigno brillano le giovani stelle della cucina italiana

Gli Chef Talarico e Siega si esibiscono in un menu a 4 mani eccelso, sotto gli occhi del Maestro, Norbert Niederkofler

Inizia la stagione estiva alla Téa del Kosmo. A Livigno, !”il piccolo Tibet”, una enclave stupenda incastonata tra le Alpi a oltre 1800 metri, è sempre un piacere tornare. La neve si è ormai diradata e le bici prendono il posto degli sci al Mottolino: in cucina l’executive Chef Michele Talarico ci regala un’esperienza inedita, fondendo per una sera la sua cucina e quella dello Chef Mauro Siega, Executive dell’Atelier Moessmer Norbert Niederkofler, sotto gli occhi proprio del loro Maestro.

La Téa del Kosmo nasce esattamente un anno fa, a compimento di un progetto di valorizzazione del territorio realizzato da Siria Fedrigucci, cuore e anima di questo luogo e suo marito Marco Rocca, ora affiancato dalla next-generation Valentina e Ian. Il pilastro su cui si erge tutto questo è il Mottolino Fun Mountain, che con le migliorie apportate negli ultimi anni si candida ad essere uno degli Ski & Bike Resort più completi a livello internazionale, con innovazioni e coccole per l’utente finale, frutto delle esperienze mondiali accumulate da Ian idolo del territorio e Campione Europeo Freeski 2018. Un edificio quindi simbolo della zona, pronto a splendere nelle prossime Olimpiadi Invernali 2026, di cui sarà Headquarter e luogo di investitura di ben 78 medaglie Olimpiche.

La filosofia del Kosmo

Talarico applica al Kosmo Taste the Mountain la filosofia della cucina di montagna appresa dal suo fondatore, lo Chef Norbert Niederkofler; no waste, no all’alloctono, no agrumi, no all’olio d’oliva sostituito dall’olio di vinacciolo. La ricerca è in altitudine e latitudine, una filosofia complessa nella quale lo Chef si erge a custode del territorio, cerca e difende la qualità intorno a sé, nel rispetto della stagionalità e delle dinamiche naturali, senza eccezioni. In questi contesti e con questi dogmi trovare i produttori diventa una sfida e dietro ogni ingrediente si cela un racconto di vita, un produttore “Eroico”.

Le fragole provengono da un coltivatore locale che ha sostituito i diserbanti con insetti competitivi, le uova da galline libere di scorrazzare per i boschi, che le depongono negli incavi degli alberi. Infiniti esempi come il grano saraceno, cereale principe del territorio, arriva al Kosmo grazie a una collaborazione con la Cooperativa So.la.re.s  di Bormio impegnata nell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate che nelle sue colture annovera Grano Saraceno Locale, non solo più buono dal punto di vista organolettico ma anche più completo per qualità nutrizionali. Piccoli tasselli che han portato il Kosmo a ottenere la Certificazione Ufficiale CARE’s Ethical Restaurant.

Téa del Kosmo

Téa (Nome antico dato qui alle baite) è lo Spin-Off da 5 tavoli con cui Kosmo vuole presentare questa filosofia in maniera ancora più radicale. Entrando in entrambi i luoghi si comprende subito la differenza. Se nel Kosmo lo sfondo della vetrina apre meravigliosamente sulle Alpi, come un quadro vivente di Caspar David Friedrich, nella Téa il momento è intimo, caldo, il legno ci abbraccia, i colori ci rassicurano, il focolare pone l’accento e ci riporta idealmente tra le mura domestiche.

Qui la padrona di casa è Siria che cura meticolosamente ogni dettaglio, lo Chef può alzare ancora di più l’asticella amplificando il no waste, “Lo spreco è il fallimento dell’immaginazione”: ecco perchè ogni ingrediente va usato interamente e va a comporre un piatto, al quale poi si troverà un abbinamento grazie alla maestria della Sommelier Giada Rosa, che propone una carta vini armonizzata con la filosofia dando ampio respiro alle piccole realtà montane ed eroiche.

La notte stellata e l’Abbraccio della Montagna

Proprio Téa del Kosmo, per una sera, è stata il palcoscenico di un iconico Abbraccio della Montagna, tra Valtellina e Val Pusteria, tra la brigate del Kosmo e quella del tre stelle Michelin e Stella Verde per la sostenibilità Atelier Moessmer Norbert Niederkofler, unite per pensiero, ideali, dinamismo e soprattutto gioventù. Sinergia perfetta tra le voci: i piatti si alternano tra le due brigate, ma si muovono all’interno di uno spartito e una splendida sinfonia. Gli Chef e le brigate duettano abilmente riuscendo inoltre a far sentire i loro timbri caratteristici nei rispettivi piatti. dinamiche complesse vengono sintetizzate in piatti all’apparenza semplici, ma che dietro nascondono sapiente uso della tecnica, il tutto sotto uno sguardo attento e un filo compiaciuto del proprio Maestro.

Iniziamo con un calice in Cantina  Castel Noarno – Blanc de Blancs  Trento DOC 2017, Chardonnay di piena maturazione, cremoso, dal buon frutto giallo pieno e scorza di cedro candito e salgemma. E poi zagara, pepe bianco e burro, piccola pasticceria in sottofondo. E’ prodotto sulle alte colline della Vallagarina, che oltre alla piena maturazione riescono a donare ai vini ricche connotazioni dinamiche e minerali al naso e al sorso a questo vino. Un passe-partout di bella eleganza che si muove vivacemente tra gli amuse-bouche, piccoli morsi di territorio: La Tradizione (Rivisitazione di Pizzoccheri). Il Ricordo (Tarassaco in varie consistenze giocato magistralmente per dare la sensazione olfattiva, gustativa e palatale di un olio d’oliva). Biscotto di Mais con formaggio Zoncolan (a pasta semidura). Waffle con lardo di Persico.

Il percorso continua nella Téa, ogni piatto è un’esperienza e Siria insieme al suo staff sono il trait-d ’union tra piatti apparentemente semplici per i nostri sensi che nascondono invece esecuzioni complesse e storie e dinamiche di territorio da scoprire.

La Carota è uno dei piatti che stupisce per questo. Quella che appare come una semplice verdura in agrodolce nasconde molteplici cotture, tra cui la salsa, nata proprio da una stracottura, sfruttando anche il carbone della stessa. Una elevazione a potenza dell’ingrediente.

L’abbinamento proposto è un Etza -Radoar 2021 Müller Thurgau intrigante, da viticoltura eroica, maturazione in parte legno e soli lieviti indigeni. Al naso melone giallo, mela cotogna in gelee aprono ed in un attimo risvegliano sentori di banana matura e uva passa, fieno e caffè estratto a freddo. Saporito e di spiccata freschezza, con la sua lunghezza rappresenta un matrimonio perfetto col piatto.

Segue un piatto di semplice perfezione: Il Pane e il Burro, elevato da companatico a protagonista, eseguito con lievito madre e una miscela di farine locali poco raffinate e il burro mantecato con 2% di sale e servito al cucchiaio.

Poi Chicche di patate ed ortica, con crema di latticello e spalmabile di capra, piatto dai sentori erbacei, bella aromaticità e speziatura, l’abbinamento gioca in perfetta concordanza VIGNETI DELLE DOLOMITI IGT SAUVIGNON “FUME” 2020 – WEINGUT ABRAHAM. La fermentazione in botti di rovere, l’uso di lieviti naturali, il prolungato contatto sulle bucce di parte della massa ampliano molto il raggio di questo Sauvignon e la desinenza fumé enuncia già parte del mondo che troveremo nel bicchiere. Pietra focaia e note burrose giocano con note floreali e vegetali varietali, il sorso è ricco, avvolgente definito da una vibrante e lunga scia salina.

La Trota della Valmalenco gioca con le cotture e con gli scarti di questo ingrediente per proporci un piatto singolarmente complesso. La scelta di abbinamento è stata un Pinot Nero – Le Anfore 2014 di Marcel Zanolari un naso piacevolmente floreale, succo di mirtillo, violetta, ginepro e cuoio, sottobosco,  un leggero finale smaltato, all’assaggio la freschezza e l’agilità del pinot nero giocano bene con una surmaturazione del frutto in pianta che lo rende decisamente più succoso e per questo molto adatto in questa versione evoluta a completare il servizio di questa ricetta che tra i suoi ingredienti annovera anche il gaurum di trota.

La Capra. Brasato di Capra servito sopra un panbread, succulento, aromatico, appagante. L’abbinamento è la Vigneto la Purscela 2015 di Involt Agnelot, una vigna storica piantata come da vecchia tradizione con Chiavennasca (in Valtellina significa Nebbiolo) e piccole percentuali di Brugnola e Pignola. La vinificazione prevede acciaio e terracotta, cosa che esalta le note di piccoli frutti al naso, la viola e una leggera liquirizia. In bocca i tannini sono setosi, fruttati e ben legati alla massa di buona freschezza e sapidità, in abbinamento si completano.

Il dolce è una bellissima Insalatina Primaverile, composizione dall’abile gioco di consistenze costruite sapientemente e sapori, che cela più di una sorpresa all’assaggio. In abbinamento un vino altrettanto poliedrico, Moscato Rosa 2021 – Franz Haas , fresco, vivace, dal bouquet aromatico intenso, tra cui spiccano rosa, cannella, buccia d’arancia. Stupisce al palato per spiccata acidità, dolcezza ma soprattutto tannino, perché questo vino nasce da una vinificazione in rosso la cui fermentazione è interrotta con l’uso del freddo.

Un album musicale a due voci di eccellente fattura che narra le storie del territorio, delle sue usanze e dei suoi uomini che suona le sue ultime note sul pass con le ultime creazioni, gelee e altre piccole coccole, come il Kosmocciolino e una moka fatta al momento sulla brace.

Bonus Track …e invece. Tra gli ultimi complimenti a Siria, a tutta la famiglia Rocca, alla sommelier Giada, scatta un invito genuino agli Chef da parte di alcuni di noi, figlio di bei rapporti che ogni tanto per fortuna si creano. Chef perché non ci si vede dopo da noi per una Aglio e Olio notturna? Michele e Mauro si guardano, la lampadina si era accesa, pochi secondi dopo al Kosmo le padelle tornavano a saltare. Una dimostrazione di sinergia, estro e di aderenza al proprio ruolo e al proprio credo, Olio e Aglio diventano Burro e Pesteda, terminate con un crumble finale. Apprezzato come l’ultimo singolo che la band decide di regalare ai fan rientrando dopo essere uscita, il finale perfetto di un gran bel concerto di giovani talenti.

Livigno si sta preparando molto bene per queste Olimpiadi e la Téa del Kosmo sta portando un nuovo messaggio di Fine Dining, ergendosi insieme a tutta la struttura del Mottolino a fondamentale rappresentanza del territorio stringendosi nell’abbraccio della montagna.

“…E così, tra i suoi dirupi e le sue creste,

L’anima errante trova pace e rifugio,

Nell’abbraccio severo della montagna,Dove il tempo si dissolve e il cuore ritrova il suo equilibrio.”

L’IGP Olio di Puglia conquista Roma: una serata di gusto e tradizione con il Gambero Rosso

Ehi, amici degli ulivi! Avete mai pensato che un lunedì sera potesse trasformarsi in un viaggio sensoriale attraverso i sapori della Puglia? Beh, è esattamente quello che è successo il 22 luglio nei Giardini di Palazzo Brancaccio a Roma.

L’IGP Olio di Puglia ha fatto il suo ingresso trionfale nella Città Eterna. Immaginate la scena: un palazzo storico, giardini mozzafiato e l’aroma inconfondibile dell’olio extravergine d’oliva che fluttua nell’aria. Non stiamo parlando di un olio qualsiasi, ma del re degli oli. E sapete una cosa? La Puglia non scherza quando si parla di olio: pensate che produce il 65% dell’olio di tutta l’Italia.

Non è solo una questione di quantità. La Puglia ha dimostrato di poter giocare alla grande anche quando si parla di qualità. Le sue olive sono come una squadra di calcio di Serie A: abbiamo la Peranzana, star del centrocampo, la Coratina, il difensore roccioso, l’Ogliarola, il regista tuttofare, e la Cellina di Nardò, l’attaccante veloce. E come se non bastasse, hanno pure i nuovi acquisti: la Favolosa e il Leccino.

Maria Francesca Di Martino, la capitana di questa squadra d’oro (o meglio, d’olio), nonché Presidente del Consorzio IGP Olio di Puglia, non poteva essere più felice: “Ragazzi, più del 40% dell’olio buono che mangiate e che pensate venga da chissà dove, in realtà è made in Puglia!” E dove meglio per dirlo se non nella cornice da sogno di Palazzo Brancaccio?

Ma la serata non è stata solo un “guarda e annusa”. Prima del grande evento, c’è stata una masterclass per veri intenditori. Immaginate di essere a scuola ed invece dei libri avete bottiglie d’olio e invece della lavagna c’è Stefano Polacchi, il guru degli oli del Gambero Rosso, che vi spiega tutti i segreti dell’oro verde.

Il focus della masterclass è stato la resilienza e la rinascita del settore olivicolo pugliese, in particolare alla luce delle sfide poste dalla Xylella, un batterio, noto per i suoi effetti devastanti sulle coltivazioni agricole, che ha avuto un impatto economico significativo sugli uliveti della regione.

Nonostante queste difficoltà, la Puglia mantiene un ruolo di primo piano nella produzione olivicola nazionale. Con il 65% della produzione italiana, che ammonta a 366 mila tonnellate annue, la regione si conferma leader del settore. Tuttavia, questa produzione non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno interno: il consumo medio pro-capite annuale in Italia si attesta intorno alle 700 mila tonnellate, rendendo necessaria l’importazione di olio da altri paesi del Mediterraneo, principalmente Spagna e Tunisia.

Durante la degustazione guidata è emersa la necessità di una maggiore consapevolezza sull’importanza dell’Olio Extravergine di Oliva. Nonostante sia un ingrediente fondamentale della dieta mediterranea, riconosciuta per i suoi benefici sulla salute, l’olio EVO rimane spesso sottovalutato nel dibattito pubblico e nella percezione dei consumatori.

Serve una presa di coscienza collettiva sul ruolo cruciale che l’olio extravergine di oliva riveste non solo come condimento, ma come alimento quotidiano essenziale per l’intero comparto alimentare italiano. La sua valorizzazione potrebbe avere ricadute positive non solo sulla salute pubblica, ma anche sull’economia del settore agricolo e sulla promozione del Made in Italy nel mondo.

La masterclass si è conclusa con un appello a una maggiore educazione del consumatore e a politiche di sostegno per il settore olivicolo, in particolare per quelle realtà che, come la Puglia, stanno dimostrando una straordinaria capacità di rinascita e innovazione di fronte alle sfide ambientali ed economiche.

Gli oli proposti in degustazione sono stati dieci di cui si elencano le caratteristiche organolettiche

  1. IGP Olio di Puglia Monocultivar Leccino – AGRICOLA TAURINO: Sentori di mandorla e nocciola.
  2. IGP Olio di Puglia (blend di Ogliarola Barese e Leccino Peranzana) – ASSOCIAZIONE FRANTOIANI DI PUGLIA: Profumi e sapori dierba, carciofo, cicoria, con sensazioni amaricanti.
  3.  IGP Olio di Puglia (blend di Coratina, Ogliarola Barese, Leccino Peranzana) – DE CARLO: erba tagliata, rucola, mandorla e carciofo. Sapore decisamente amaro.
  4. IGP Olio di Puglia (blend di Coratina e Olgiarola Barese) – OLIO CICCOLELLA: Sentori tipici della Coratina con evidenza di erba tagliata e nota speziata finale.
  5. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina 4 CONTRADE: Maggiore morbidezza con sentori di mandorla e erba tagliata. Finale amaricante.
  6. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina PANTALEO: Più delicato rispetto ai campioni precedenti, con sentori di mandorla e erbe amare.
  7. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina OLIO GUGLIELMI: Un olio pulito ed elegante con sentori di mandorla e carciofo.
  8. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina AZIENDE AGRICOLE DI MARTINO: note erbacee, mandorla, erba tagliata, finale amaricante.
  9. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina LE FERRE: Nota amara marcata, più potenza che eleganza,erbe amare e carciofo.
  10. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina COOPERATIVA MADONNA DEL ROSARIO: mela gialla, sentori di frutta secca, erbe amare.

Per chi pensa che l’olio sia solo per condire l’insalata, preparatevi a ricredervi. Lo chef Marco Brioschi della Gambero Rosso Academy ha tirato fuori dal cilindro piatti da far venire l’acquolina in bocca solo a sentirli: Acquasale, pasta con cozze, cacioricotta e taralli (praticamente la Puglia in un piatto), e le mitiche bombette pugliesi. Il tutto, ovviamente, impreziosito dall’olio IGP di Puglia.

Tra un assaggio e l’altro, potevate incontrare i big dell’olio pugliese come l’azienda Agricola Taurino, De Carlo, Olio Ciccolella, Pantaleo. Ognuno con il suo olio speciale, alcuni puri come un diamante (i monocultivar), altri mix sofisticati da far invidia a un cocktail di un barman stellato.

Ovviamente non potevano mancare i vini pugliesi e tanti produttori delle eccellenze gastronomiche. Tra questi abbiamo intervistato i coniugi Lombardi della Pasticceria L’Arte di Luciano che ad Apricena in provincia di Foggia hanno il laboratorio di produzione dolciaria. Infine i formaggi di Capra Garganica, Panificio Di Biase e La Bella Contadina.

Insomma, amici, l’olio pugliese non è solo buono, è un vero e proprio protagonista della dieta mediterranea, un supereroe del gusto che fa bene alla salute e al palato.

“L’olio nostro è come l’ammore: fa bene al core!”