Il fiano di Lapio ha una nuova, splendida, realtà: Laura de Vito

Domenica sera, mi arriva un messaggio: “Tieniti libero domani, andiamo a provare un grande Fiano a Lapio: ci accompagna l’enologo. Ieri sera Isidoro Menduto mi ha fatto bere un vino eccellente, che non conoscevo” (LP) –  Concedetemi questa parentesi personale: ma dopo 25 anni che a vario titolo mi occupo di enogastronomia, oggi mi trovo a scriverne contenuti, per una Agenzia di Comunicazione, come “professione”,  una degustazione privata con il decano del giornalismo di settore, Luciano Pignataro ed un enologo di grandi eccellenze, Vincenzo Mercurio, è una lectio magistralis che non potevo perdere. Detto questo, allacciamo la cintura e partiamo. ***il post per i social

Durante il viaggio, ascolto in religioso silenzio la conversazione dei miei compagni di escursione.
Luciano, che ha organizzato velocemente, per approfondire quella sensazione che aveva avuto bevendolo, mi spiega che per scrivere di vino bisogna sporcarsi le scarpe, andare in vigna ed in cantina, solo cosi si può creare un racconto narrativo veritiero, che valga la pena di essere letto.
Intanto Vincenzo ci parla del progetto:  lavorare sulle microzone per i cru, nelle tre contrade, e fare poi con l’assemblaggio degli stessi,  una versione di sintesi, che racchiuda in sè il meglio di ognuno.  Era sua intenzione aspettare almeno un anno, se non due, prima di uscire con i vini, era certo che l’evoluzione in acciaio prima e poi in bottiglia avrebbero dato risultati eccellenti, poi la pandemia ha fatto il resto.


Arriviamo in poco tempo, Lapio non è lontana da Salerno. Il ricordo dei 32° della partenza è lontano. Ci siamo spostati a quasi 600mt SLM ed un leggero ma fresco venticello, ci corrobora.
Lapio è un territorio che esprime vini eccellenti, uno dei pochi comuni Italiani in cui ricadono due DOCG: Fiano di Avellino e Taurasi. Quella che all’epoca fu una devastante eruzione, quella del Vesuvio, oggi, grazie al vento che portò qui, importanti quantità di polvere piroclastica , è diventata un plus . ** La presenza di materiale vulcanico, particolarmente ricco di fosforo, magnesio e potassio conferisce al vino grande complessita e sapidità.


Passione, sensibilità, determinazione e tenacia, come poteva essere diversamente: tutti sostantivi femminili.  Dimenticavo di dire che la produttrice è una donna, Laura de Vito.
E’ lei che ci accoglie, ci accompagna in vigna, in cantina  ed infine prepara la doppia degustazione. Un bravo enologo fa grandi vini, quando esprimono anche le doti umane di chi li produce.
Vincenzo Mercurio è un grande enologo!  

Quella di Laura è una storia d’amore con il vino, vissuta intimamente, con dedizione e passione per oltre 10 anni, da quando incontrò l’enologo. Ci confida che se le avesse detto di no, probabilmente non si sarebbe lanciata in questa avventura.
Ha totale fiducia nel suo lavoro ma soprattuto nel progetto. Descrittori non convenzionali, che si potranno percepire al primo sorso,  sono appunto la *determinazione e la *tenacia, di una donna, che ha saputo e voluto aspettare il momento giusto. Preparati i calici, stappate le bottiglie, un sorso di acqua per idratare e pulire il palato e siamo pronti.
2018 e 2019, di alcune solo i campioni ancora non etichettati, perchè il 2019 uscirà sul mercato alla fine di giugno. I 3 cru, “arianiè, verzare e li sauruni”, raccontano perfettamente i 3 territori (Arianiello, Verzare e Saudoni);  Elle li sintetizza perchè è frutto del meglio dei 3.
Ognuno vive le cose che ama, in modo diverso.
Quando penso ad un vino lo immagino insieme ad un piatto, con chi lo mangio, ad un luogo o una stagione: alle cause esterne ma, complementari che lo rendono piacevole o meno.
Questi di Laura de Vito, li ho “sognati” cosi:

I primi caldi di giugno, la sera di un giorno di festa, voglia di qualcosa di buono, senza uscire dalla città, senza imbottigliarsi nel traffico.
Soli io e lei, per qualche ora. A bere, come ci piace fare.

Il pensiero porterebbe a chi ha rivelato questo vino, Isidoro. Lo penserò ad ogni sorso, ma da lui andremo un altro giorno. Ho prenotato al mood, in giardino! La certezza di trovare tutto quello che immagino e molto di più : un luna park del gusto.
Il Bulgaro Burbero, a suo modo mi vuole bene, ed io ne voglio a Lui, perchè ci ha sempre creduto, perchè ci ha saputo fare, perchè c’è riuscito: da un permesso di soggiorno alla cittadinanza onoraria (tra i meritevoli), che il comune di Salerno dovrebbe pensare di concedere.
Saluto Gianni e gli chiedo le emozioni che vorrei provare, poi mi siedo a tavola.

Li Sauruni 2019 : la pera, l’albicocca, il timo, vorrei mangiare una Tartare di manzo con peperoni arrosto burrata olive e biscotto ai capperi

Li Sauruni 2018 : La stessa frutta più matura, più opulenta mi fa pensare ad
Carpaccio di manzo affumicato in casa con datterino dry, bufala e pane di riso


Elle 2019 :erbe aromatiche intense, frutta secca, quasi balsamico, vado dritto ad un Uovo a 68°, piselli, provola e cipolla glassata

Arianiè 2019 : menta e nocciola tostata ci vado per affinità con Pasta mista con totanetti limone e melanzane affumicate.
Arianiè 2018 : per l’annata precedente, che mi dà sensazioni più rurali, vorrei dei Plin ripieni di patate in tortiera con salsa di provola
Elle 2018 :questo mi sembra perfetto, Gnocchi di pane in salsa di burro e acciughe con burrata e olive.

Verzere 2019 : quella nota finale per me si sposa con Baccalà in lenta cottura “Belladonna” con datterino, capperi e olive
Verzere 2018: e chiuderei con un Stracchino maturo di bufala alla lavanda .

Tutto discutibile, è solo il mio pensiero , intanto Lapio, ha un altro episodio da raccontare al mondo, sul suo Fiano: ancora una volta, la protagonista è una donna.

Caciotta stracchinata – Fattoria Savoia




“Il Frantoio” ad Assisi è il Miglior Ristorante dell’olio 2022


È umbro il Miglior ristorante dell’olio secondo l’Associazione Nazionale Città dell’olio nell’ambito del Concorso Nazionale Turismo dell’Olio volto a valorizzare prodotto e sue consistenze.

D’altronde il progetto del ristorante di Assisi (PG) è cristallino: l’olio evo è protagonista di ciascuna portata dello chef Lorenzo Cantoni, non a caso già Miglior Chef dell’anno AIRO 2021, impegnato a selezionare le migliori cultivar d’Italia da abbinare a ciascuna creazione fatta di quelle passione e creatività che trovano ispirazione nella materia prima del territorio umbro, nelle erbe spontanee, nei prodotti delle campagne, nelle carni identitarie della sua regione d’appartenenza. Ciascun piatto è dunque studiato per offrire un connubio perfetto con l’olio selezionato perfino in chiusura, con i dessert.

“Raccontare l’olio EVO attraverso i 5 sensi, creando un’esperienza immersiva che rievoca gli uliveti monumentali francescani situati ai piedi di Assisi e riscoprendo i sapori identitari e più ancestrali della tradizione culinaria dell’Umbria attraverso lo studio e l’utilizzo dell’olio extra vergine d’oliva”. È questa la motivazione che ha accompagnato il premio.

Elena Angeletti, titolare del Ristorante Il Frantoio, situato all’interno di un palazzo nobiliare del centro storico Assisi, ha voluto enfatizzare la vocazione di un ristorante in cui fare cultura dell’olio, consentendo agli ospiti di immergersi in un ambiente che appagasse tutti i sensi visto anche un importante intervento di restyling, curato della designer umbra Marta Toni, che è riuscita ad interpretare e a tradurre sotto forma di ambientazione, la filosofia di cucina dello chef, utilizzando colori, materiali, elementi di arredo e accessori per la tavola.

cantina i favati

Cantina I Favati: il segreto di un successo tutto made in Irpinia

Nel lontano 2008, all’alba della mia carriera da cronista, mi trovai con degli amici in un ristorante di Salerno purtroppo velocemente scomparso dai riflettori. All’epoca già masticavo di vino e mi incuriosiva una cantina irpina che non avevo ancora provato: I Favati. La scelta cadde proprio sul Fiano di Avellino, non tanto per la romantica etichetta con la vecchia foto di famiglia degli inizi del ‘900, quanto perché ero devoto a chi potesse evocare nel calice le mie stesse origini. 

Non avrei pensato, tempo dopo quell’assaggio strepitoso, quale fosse la storia celata dietro una opera eccellente e a dir poco pionieristica. Un periodo nel quale, invece, troppi vini erano ancora rustici o (peggio) appesantiti da lunghe macerazioni e affinamenti. Lo stesso tempo in cui si cercava testardamente il famoso sentore di nocciola tostata, dimenticandosi le altre incredibili espressioni aromatiche di una varietà unica nel suo genere. Chi avrebbe immaginato i sacrifici personali di Rosanna Petrozziello, del marito Giancarlo Favati e del cognato Piersabino nel realizzare una cantina gioiello nel piccolo comune di Cesinali, a pochi passi da Avellino?

Rosanna decide 25 anni fa di dedicare anima e corpo al progetto, tralasciando pian piano il precedente lavoro di dirigente bancario, ruolo estremamente prestigioso e remunerativo. Lo ha fatto per quel colpo di fulmine che talvolta si prova nell’avvicinarsi al mondo agricolo e per restare vicina alla famiglia, con un’attività che potesse giovare alla prole. Da tutto questo e dal restauro del vigneto “Pietramara” posto su terreni frammisti tra argille gialle, tufo e vene calcare sotterranee, nasce il segreto del successo di I Favati.

Indispensabile, infine, l’esperta consulenza enologica di Vincenzo Mercurio in particolare nella scelta dei contenitori e dei tempi di vinificazione micro parcellizzati. 

Ascoltate la video intervista rilasciata per 20Italie e poi analizzeremo in maniera dettagliata alcune delle etichette in commercio.

Partiamo con la degustazione del Terrantica Greco di Tufo Docg 2020, decisamente largo ed avvolgente sia al naso che al palato. Gli aromi richiamano i fiori gialli, con note melliflue e frutta matura a polpa bianca. Chiude al sorso su scie minerali che appagano e solleticano un nuovo assaggio.

Meno accondiscente il Pietramara Fiano di Avellino Docg 2020 teso e verticale, declinato interamente tra agrumi e macchia mediterranea. Mineralità impressionante, che rivela una caratteristica del varietale spesso dimenticata dalle cronache. Al gusto continua coerente, promettendo lunga vita in bottiglia per raggiungere il plateau espressivo. Tanta vivacità e neanche l’ombra di evoluzioni al sapor di nocciola tostata (per fortuna). Il marcatore descrittivo comincia a ravvisarsi invece nella 2018 semplicemente perfetta, sfruttando anche la complicità climatica di una vintage non troppo afosa.

Chiudiamo con il Terzotratto Taurasi Docg 2012 per comprendere che I Favati hanno sicuramente un animo da bianchisti, ma sanno sorprendere anche con i rossi. L’Aglianico è esaltato dal lungo riposo tra contenitori di legno di diverse dimensioni e passaggi che ne amplificano le parti terziarie di cioccolata, sigaro sbriciolato e liquirizia. Petali di viola essiccati ed amarene sotto spirito completano il quadro di estrema piacevolezza del vino, che ben fa immaginare abbinamenti di sostanza con piatti della cucina campana.

Quanta bellezza in Irpinia!

The Black Monday

Pillola azzurra o pillola rossa?

(Estratto dal loro company profile)

“Il Bistrot di The Black Monday è figlio di una pandemia che ci ha lasciati fermi a casa, per più del tempo che potessimo sopportare.
Non poter viaggiare come eravamo abituati a fare sin da giovanissimi unito alla voglia di creare un posto che affondasse le proprie radici ovunque tranne che nella tradizione, ha dato vita a questo nuovo progetto.È chiara l’intenzione di volere ricreare una simbiosi tra un bistrot francese e un tapa bar iberico, basato sulla ricerca minuziosa della materia prima, su di un servizio agile e giovane, divertente che mira a tenere l’ospite al centro dell’attenzione, senza noiosi esercizi di stile. 
Il menù è internazionale, pensato ma non stucchevole. L’idea superabile di antipasto, primo e secondo è stata scalzata in favore di una divisione in cinque atti, come se fossimo ad uno spettacolo di teatro dove il pubblico, eterogeneo ma attento all’esperienza che sta per vivere, può decidere che genere di connotazione dare alla propria cena.I piatti ricalcano le orme delle principali cucine tradizionali del mondo, con una interpretazione personale di gusto e di intenzione, volta ad emulare le culture lontane e ad ispirare l’ospite con profumi ed ingredienti spesso poco conosciuti.La cantina, sebbene non estremamente profonda, strizza l’occhio ai trend del momento, ricercando con minuziosità piccoli produttori di Champagne, realtà nascenti di Paesi poco blasonati e, per garantire massimo confort, ai grandi vini di Francia.Per completare la proposta ad un pubblico che risulta essere esigente in termini di innovazione e novità, a breve, n carta si potranno trovare dei drink pensati realizzati in collaborazione con lo Speakeasy dello stesso gruppo.”
Così, si presentano! 


Ho voluto anteporre il copy del loro company profile, al mio pensiero, perché creare aspettative è un azzardo che non tutti si possono permettere ed è estremamente stimolante confrontarsi con giovani cosi determinati. Schiettezza e rispetto, senza piedistalli dettati dall’età o dall’esperienza. 
BM è in un vicolo del centro storico di Salerno, ma potrebbe essere in qualsiasi parte del mondo. 
A destra e sinistra della strada, due porte: una discreta, blindata che sembra nascondere qualche segreto; l’altra, di vetro, dove si percepisce il gusto, l’eleganza, atmosfera soft e luci soffuse. Passato e futuro. Pillola rossa o pillola azzurra? Non c’è Morpheus che ci chiede di scegliere, la storia non finisce in nessuno dei casi e non ti troverai neanche nella tana del bianconiglio (se non supererai di gran lunga il limite), sono due luoghi  complementari, prima uno e poi l’altro o uno o l’altro, in base al desiderio personale.
Pillola rossa: entri nel mondo dello speakeasy, un sogno fatto di moderno proibizionismo, fumo lento, gioco d’azzardo, “veleno” somministrato con grande sagacia e competenza; l’idea è chiara, rodata, definita. Daniele e il suo staff sono pressoché perfetti. Mi hanno fatto rimpiangere che nessuno abbia creato qualcosa del genere quando avevo forza e fisico, perché ci avrei trasferito la residenza.

Pillola azzurra “sei” in un presente parallelo, dove le consuete abitudini sono stereotipi stantii. Concept 6.0: contemporaneo, smart, veloce, funzionale, pratico.  Una cucina dinamica, che spinge in alto; giochi di equilibrio che qualche volta tendono più a stupire per colpire che il contrario.   Tecnica ed ”esperienze”, un viaggio intercontinentale dove la vecchia mappa del mondo piatto, diventa la base del piatto sul quale mettere le bandierine, magari per ricordare l’emozione vissuta in un luogo e il desiderio di riuscire a trasemtterla, o semplicemente perché quella è l’ispirazione.

La creatività non ha un percorso razionale, logico, anzi nel momento stesso in cui si prova a spiegarla, si corre il rischio di renderla evanescente.

Acidità e dolcezze, estreme sapidità, acidificazioni, fermentazioni, possono trasformare “una finanziera” in un boccone epico, straordinario o in qualcosa di estremamente banale.

Bravissimo lo chef Michele Giammarino, ma ho bisogno di qualche incontro ancora per capire: le prime due volte mi sono fatto un’idea, certamente buona, ma vorrei conoscerlo meglio.

Non ho bisogno invece di altro tempo per capire quanta passione ci sia in un ragazzo di 26 anni, con una carriera di ingegnere meccanico già pronta, che invece decide di fare altro.

Ascoltarlo presentare un piatto o raccontare un vino è un’esperienza emozionante. E’ capace di portarti nei luoghi, di farti percepire suoni e profumi, come un libro ben scritto, che con trama forbita seppur leggera,  ti fa viaggiare con la fantasia.

GianMarco è, senza paura di essere smentito, il talento “più puro” che abbia incontrato negli ultimi anni. La sala funziona alla grande; ho qualche perplessità sulla cantina, escludere l’Italia, qualunque sia il motivo, non lo trovo funzionale, ma ho superato da un po i 50 e non mi lascio condizionare dai trend, forse sarà quello. 

I pionieri sono consapevoli che quando tracciano una nuova rotta, potrebbero trovare ostacoli in situazioni non previste, sarà la loro capacita di adattamento a trasformarli in opportunità o segni distintivi della propria offerta a determinare il destino di questo luogo, che per adesso raccoglie consensi favorevoli in maniera trasversale.

Cena del 10 marzo, degustazione guidata dalla chef

1. Spugna pomodoro e crema di peperone bbq; palamita marinata, rafano e bottarga di cefalo; pasta all’olio fritta ed erborinato di mucca
Tre amouse bouche, uno spoiler della cena: ottima partenza

2. Lingua di vitello, ostrica in crema e alla brace, chimichurri e fondo bruno
Piatto di spessore, coraggioso, ma decisamente ben riuscito

3. Gambero rosso, animella di agnello, puntarelle, maionese nocciole fermentate e chips di cacao
Interessante l’idea, esercizio di ossidoriduzioni ben riuscito, ma non lascia nessun ricordo particolare

4. Risone di pasta, latte di cocco, miso, polline e zuppa di cozze 
in questa versione, nonostante la perfetta esecuzione, mi è risultato piatto.
Se fosse stato inserito nelle alternanze, come si fa nella musica con le pause, avrebbe un senso compiuto

5. Anatra in 2 serve: coscia ripiena di loto fermentato, crema di castagne, cavolo nero scottato e gravy sauce; petto affumicato al cedro su cristallo di cavolo nero.
eccolo! questo è quello che intendo, quando penso a qualcosa che lasci un ricordo duraturo.
Il solo pensiero ha fatto ripartire la salivazione.

6. Carpaccio di Presa di patanegra, erbe aromatiche bruciate ed in polvere di olio, millefoglie di patate, bbq al whisky 
Maiale crudo: devi avere coraggio a servirlo e coraggio a mangiarlo. Averlo richiesto per la seconda cena (anche si in versione diversa) la dice lunga sulla qualità
7. Americano al cucchiaio
Ottima preparazione al dessert

8. Tarte au citron 
Ben riuscita
9. Hidden passion
Se il dolce deve lasciare un ricordo piacevole e chiudere la cena, assolve il compito.

Rapporto cena-prezzo: congruo

Cena 21 marzo

Ostrica alla brace 
Bella esecuzione, bella l’idea; decisa la percezione dell’affumicatura; peccato che la salinità e la sensazione di mare che l’ostrica dona, non fosse presente (credo per volontà).

Ceviche  
Bello e buono!

Mac & cheese 
A differenza del risone della prima sera, qui si centra l’obiettivo: bravissimo!

Salmone, caviale e mela verde 
Esercizio di stile ben eseguito

 Hidden passion
Riproposizione identica al primo assaggio

Rapporto cena-prezzo : pagato meno del giusto!

osteria arbustico

Dai monti al mare: un viaggio andata e ritorno

Nascita e formazione in altitudine, da Valva a Roccaraso. Una bella e lunga esperienza con Niko Romito, quando Reale era a Rivisondoli, poi un lungo giro in cui incontra Nino Di Costanzo, Valeria Piccini e Gennaro Esposito, prima del ritorno a Valva, dove nel 2011, insieme a suo fratello Tomas, nasce osteria Arbustico, proprio nella casa di famiglia.
Pochi anni e arriva l’ambito riconoscimento della Stella Michelin, che fa di questo piccolo borgo di montagna una meta di gourmet e appassionati, anche se il viaggio per raggiungerla, non è dei più comodi. Questo, oltre alla dimensione rurale iniziano a stare stretti, il desiderio di potersi aprire a un pubblico più ampio ha la meglio sulle ragioni del cuore.
Il nuovo corso di Osteria Arbustico parte dal mare, dalle porte del Cilento, dove la storia ha lasciato le tracce più vive della Magna Grecia, dove la storia moderna la stanno scrivendo proprio le stelle, quelle della ristorazione.
La cucina di Cristian è riconoscibile, essenziale, diretta. L’abitudine alla stagionalità è congenita. Terra e Mare in egual misura, senza mai eccedere nell’articolazione di un piatto, pochi elementi, ma sempre di “sostanza”: il perfetto riflesso del carattere dello chef.
Il rispetto delle persone, della loro attenzione e del tempo che dedicano alla sua cucina, deve essere ripagata con un’emozione che lasci un segno, nulla di banale, niente di convenzionale.
Oggi Arbustico ha una location d’eccezione, una sala importante, una cantina strutturata ma soprattutto una grande cucina, sia nelle dimensioni che nella tecnica. Il resto lo lasciamo alla chiacchierata che piacevolmente ci siamo fatti qualche giorno fa a Paestum. Se volete conoscerlo meglio, basta guardarla.

La gentilezza salverà il mondo? Parola di Arianna Ligi e La Bottiglia Gentile

In un universo sempre più egocentrico, frenetico, superficiale, anche indifferente, se vogliamo, e distratto verso il prossimo, spesso si sente dire che “la bellezza salverà il mondo”. Una specie di mantra, una ricerca di speranza perpetua, di quel “gancio in mezzo al cielo” a cui sperare di potersi attaccare per sollevarsi verso qualcosa di bello e che ci elevi dalla mediocrità con cui spesso tutti noi ci dobbiamo confrontare e di cui, talvolta, siamo gli inconsapevoli diretti artefici.

Questo vale pressoché per ogni settore, ma noi parliamo di vino e, quindi, andiamo nello specifico perché anche questo amatissimo ambiente è fatto di incanto e disincanto, a tutti i livelli e in tutte le relazioni interpersonali, tra chi passeggia in questo straordinario pianeta vinicolo.

«In un mondo pieno di brutte notizie, ho cercato di concentrarmi sulla bellezza. Sulla gentilezza, appunto».

Esordisce così Arianna Ligi, professionista del brand development, della comunicazione e marketing del vino. Le sue origini sono come il blend di un buon vino che ha preso il meglio da ogni terra di provenienza della sua famiglia: Piemonte e Romagna. Arianna oggi vive a Torino, ma ha trascorso 5 anni lavorando nelle meravigliose Langhe. Grazie alla sua laurea in Lingue Straniere e al Master in Marketing Internazionale del Vino, ha vissuto e viaggiato in Europa e in Italia. Sommelier AIS, ha poi approfondito gli studi in materia vinicola con un approccio internazionale alla degustazione, frequentando un corso WSET (Wine & Spirit Education Trust).

Arianna Ligi

La Bottiglia Gentile è un podcast focalizzato su interviste a produttori di vino e professionisti del settore, che racconta l’adorato nettare di Bacco in un modo diverso: legare il vino al concetto di gentilezza che, attraverso questo, si traduce in diverse forme di espressione come la Solidarietà, la Sensibilità, la Sostenibilità. Queste tre “S” costituiscono le linee guida nella selezione delle aziende che Arianna intende intervistare. Il fil rouge del percorso che La Bottiglia Gentile vuole disegnare, riguarda il tema della sensibilità nei confronti della terra, della vigna, del lavoro artigianale che porta alla produzione di un grande vino e del suo gruppo di lavoro, delle persone che sono l’ anima di ogni attività.

Nata come progetto sperimentale (ha debuttato lo scorso 20 dicembre 2021 sulle principali piattaforme di streaming online), ha già un grande potenziale e punta verso una crescita rapida, ma gentile. “Presto e bene non sta insieme”, recita un vecchio proverbio e La Bottiglia Gentile vuole ampliarsi al massimo (ma rimanendo sempre fedele ai propri princìpi e alla propria mission) per dare voce ai produttori che si approcciano al proprio lavoro con gentilezza.

La Bottiglia Gentile

La scintilla che ha creato la genesi di questo podcast è stata molto spontanea: parlare di vino in modo diverso, da un nuovo punto di vista. L’obiettivo del progetto è quello di raccontare il lato più gentile e umano del vino, puntando i riflettori sugli aspetti più “inediti” che ruotano intorno a questo mondo. In che modo? Nella maniera più autentica possibile: i produttori si raccontano a cuore aperto senza interruzioni o alcun tipo di censura. Le puntate sono infatti realizzate in un’unica registrazione.

Arianna è estremamente motivata e determinata, crede davvero molto nella sua causa ed anche i protagonisti delle prime interviste la seguono con grande empatia nel suo progetto “gentile”.

Numerosi e di grande prestigio gli ospiti che si sono raccontati nei podcast finora registrati o che saranno presto di fronte al suo microfono: la giornalista Laura Donadoni, i produttori Federico Ceretto, Marta Rinaldi, Giulia Negri, Camillo Favaro e molti altri arriveranno nelle prossime puntate.

Gli intervistati fino ad oggi desideravano raccontare un nuovo aspetto del proprio lavoro e non si sono risparmiati ai microfoni di Arianna. Non solo produttori, ma anche chi dalla vigna fino al servizio di sala, ha un approccio gentile a questo prodotto, come ad esempio Marco Simonit e Vincenzo Donatiello.

Arianna durante la registrazione del podcast

Ma come hanno risposto alla fatidica domanda di Arianna: «Esiste ancora la gentilezza nel mondo del vino?». Vediamo alcune risposte da parte dei diretti intervistati.

Marta Rinaldi – Azienda Agricola Giuseppe Rinaldi- Barolo (CN)

«Ho la fortuna e il privilegio di appartenere a un mondo del vino dove esistono senso di appartenenza ed etica, dove si parla di spirito artigianale e di rispetto della genuinità».

Enrico Rivetto – Azienda Agricola Rivetto – Serralunga d’Alba (CN)

«La gentilezza esiste, ma spesso e volentieri è mascherata dal “si è sempre fatto così”. Bisogna invece riuscire a tirarla fuori».

Giulia Negri – Serradenari Società Agricola – La Morra (CN)

«È forse uno dei mondi in cui ce n’è di più! Il vino richiama alla gentilezza e alla convivialità, alla gioia e alla parte bella dell’umanità. Avvicina alla sensibilità verso la terra e dobbiamo provare a preservare madre natura come meglio possiamo».

Laura Donadoni – Giornalista, scrittrice

«Gentile vuol dire inclusivo, aperto e accogliente. Penso che ce ne sia tanta di gentilezza nel mondo del vino ma a volte non viene comunicata e talvolta il linguaggio diventa non inclusivo. La gentilezza c’è e va sempre messa in risalto».

Camillo Favaro –Azienda Agricola Favaro Benito – Piverone (TO)

«Assolutamente sì! Mi sono innamorato di questo lavoro perché esiste ancora il valore della stretta di mano, dei rapporti umani».

Federico Ceretto – Ceretto Aziende Vitivinicole S.r.l. – Alba (CN)

«Sì, esiste ancora perché tu lo fai per lasciare qualcosa alla prossima generazione. Anche l’azienda più “brandizzata” si rende conto che è la terra che sta lasciando ai propri figli, a chi verrà dopo di noi. La gentilezza è una scintilla».

«Ho una grande grinta e voglia di collaborare, di trovare persone entusiaste come me sul tema, desiderose di mettersi in gioco e di investire sul binomio vino e gentilezza», racconta Arianna. Ma dietro al progetto gentilezza, c’è un obiettivo molto ancora più nobile da perseguire: «Se andrà in porto, come mi auguro – prosegue – dato che dal settore vedo già tanto entusiasmo dopo le prime puntate, la mia idea sarebbe quella di devolvere il ricavato degli ascolti a favore della ricerca sull’Alzheimer o ad associazioni che aiutano le famiglie con i parenti affetti da questa malattia».

Una causa benefica davvero importante che fungerà sicuramente da leva ulteriore per coinvolgere tanti altri protagonisti del podcast. Tutte le puntate de “La Bottiglia Gentile” sono disponibili a questo link: https://www.spreaker.com/user/15102523

Per qualsiasi approfondimento potete contattare Arianna Ligi attraverso i suoi canali social Linkedin, Facebook o IG @arianna_wine_online o inviando un’email a ariannawineonline@gmail.com

paestum wine fest 2022

Dal 18 al 20 marzo, torna il Paestum Wine Fest 2022

Dal 18 al 20 marzo 2022, a Capaccio-Paestum, torna il Paestum Wine Fest. Giunto ormai alla decima edizione, quest’anno il Festival del vino si terrà presso l’ex Tabacchificio SAIM di Borgo Cafasso. All’interno del sito, esempio di archeologia industriale, su una superficie di circa 8 mila metri quadrati, si incontreranno appassionati di vino e gastronomia, eccellenze vitivinicole e della gastronomia nazionale.

Il Paestum Wine Fest 2022 è organizzato da Angelo Zarra e Luca Gardini: «La ricerca è stata continua e improntata alla qualità – ha spiegato Zarra – per garantire agli esperti e agli appassionati un notevole percorso enogastronomico interessante, coinvolgente e istruttivo». Tra gli ospiti di questa edizione, si segnala la presenza del caporedattore centrale del Corriere della Sera, nonché curatore della rubrica DiVini, Luciano Ferrara. A questi, poi, si aggiungerà il giornalista e scrittore gastronomico Luciano Pignataro, l’ex sommelier della rubrica Gusto di TG5, Paolo Lauciani, e l’opinion leader del mondo enologico italiano Cristiana Lauro.

Il Paestum Wine Festival, sin dalla sua fondazione, ha voluto imporsi come uno degli eventi più importanti del settore enologico, registrando sin dalla prima edizione un record di accessi. Edizione dopo edizione, poi, i numeri sono cresciuti progressivamente. Anche grazie a questo, la manifestazione ha raccolto il patrocinio della Regione Campania e del Comune di Capaccio.

Cos’altro fare, una volta terminata la visita al Paestum Wine Fest? Ecco qualche consiglio per voi.

vin de la neu

Il resistente “Vin de la Neu” di Nicola Biasi

Mille bottiglie in totale per un vino che ha scalato tutte le classifiche, quelle della critica di settore come quelle dei prezzi e frutto di viticoltura eroica per le condizioni climatiche. Siamo a Coredo, in Trentino Alto Adige, paesino meno noto per la viticoltura, a quasi 1000 m s.l.m. D’altronde, il nome Vin del la Neu lascia facilmente immaginare episodi nevosi e, nello specifico, ci si riferisce alla prima raccolta delle uve che avvenne sotto la neve.

Nicola Biasi, dopo numerose esperienze anche all’estero, resta consulente di prestigiose realtà senza rinunciare a investire in un ambizioso progetto, solo suo, e nonostante le perplessità dello stesso genitore. Un solo vino, Vin del Neu appunto, da uve resistenti Johanniter. Agli scettici dei Piwi, ossia le nuove varietà di vite resistenti alle malattie fungine, risponde con decisione che in passato sono state troppo spesso lavorate male o piantate nei posti sbagliati ma restano “i vini del futuro” in ottica di concreta sostenibilità dimostrando, coi fatti, che il binomio alta qualità e sostenibilità esiste.

Il suo bianco deriva da vigneti ad alta densità per massimizzare la qualità facendo attenzione a produrre una quantità sufficiente per provvedere a una fermentazione tecnica vera e propria in contenitori che non sarebbero disponibili in caso di masse eccessivamente esigue. Nonostante questo tutti i macchinari sono realizzati su misura per gestire una produzione ridotta con la massima professionalità.

Così, a seguito di accurate cure come la gestione fogliare, volta alla massima esposizione al sole e l’irrigazione – non tanto per rischio di siccità ma affinché l’apporto sia regolare – si procede alla raccolta delle uve, intorno a metà ottobre. In cantina la vinificazione parte con piccola aggiunta di lieviti: voluta e controllata la malolattica per ammorbidire il sorso.

Il suo vino sfiora, di anno in anno, i 12,5 gradi alcool e grazie a questa gradazione limitata la maturazione in legno non comporta eccessive estrazioni che, quindi, non snaturano in alcun modo il carattere rinfrescante e sobriamente salino del calice (e nonostante il legno utilizzato sia per il 50% nuovo). Sarà poi rilasciato sul mercato dopo almeno un anno e mezzo in bottiglia.

Ho degustato di recente l’annata 2018, un vino esclusivo dai profumi sottili di agrumi e un ricordo di polvere vanigliata che, intrisi di sensazioni rocciose, anticipano un sorso teso e austero per un vino che promette di accompagnarci per diversi anni. Intrigante anche la sensazione tattile setosa che contribuisce a delinearne un profilo dinamico. Un vino di montagna penetrante che acquisisce note di spezie, frutta secca e mela golden vagamente ossidata con l’età per una beva, che anche nell’annata 2015, resta verticale e sapida, è dunque perfetto a tavola.

Terredora, un’autentica tradizione che anima il presente

Quando incontro Paolo Mastroberardino di Terredora è come un ritorno in famiglia. Il figliol prodigo in questione sarebbe il sottoscritto, assetato di ascoltare dalle parole del Maestro i segreti del suol natio: l’Irpinia.

Non è la prima volta che mi reco a Montefusco, ma oggi il viaggio è doppiamente soddisfacente in compagnia dei colleghi Francesco Costantino e Roberto Imparato per 20Italie, tutti desiderosi di dar voce a territori e produttori della nostra amata Campania.

Un giro in cantina, bottaia inclusa, rende l’idea delle dimensioni del progetto Terredora: a dispetto di grandi numeri qui si respira ancora un’aria da artigiani del vino. In questo luogo magico Doriana, figlia di Paolo, che da anni collabora nella consulenza enologica, ci racconta di una sperimentazione appena introdotta in Italia: la tecnologia Cleanwood per rigenerare e disinfettare le barriques di rovere in processi da 4 a 5 minuti.
Il trattamento disinfetta al 100% l’interno della barriques garantendo il controllo della salute e della qualità dei prodotti grazie ad onde ad alta frequenza. Il risultato è un netto risparmio di acqua, energia, additivi, elementi chimici e, soprattutto, l’acquisto di nuove botti, perfetto per il concetto di sostenibilità ambientale e preservazione delle materie prime.

Le innovazioni non finiscono qui, proseguendo negli spazi dedicati alla fermentazione alcolica del mosto con tini cilindrici orizzontali per assottigliare e controllare meglio il cappello di fecce superficiali che si viene a creare in questa delicatissima fase. D’altro canto l’improvvisazione non fa parte dei Mastroberardino, già dal lontano 1994 quando per una separazione familiare mossero i primi passi del loro sogno. Papà Walter con i figli Paolo ed il compianto Lucio, scomparso prematuramente nel 2013, avevano soltanto le vigne di proprietà e si dovettero adoperare per costruire a tempo di record una cantina funzionale senza affidare a terzi la prima annata del nuovo corso.

La video intervista a Paolo Mastroberardino, verrà suddivisa in 3 parti distinte, per arginare il fiume in piena di aneddoti ed informazioni tecniche. Un’autentica masterclass che parte proprio da qui, dalla storia dell’azienda e dal ricordo commosso di Lucio, con l’etichetta commemorativa del Taurasi Riserva vintage 2007.

La seconda parte concerne la narrazione di quel terroir ricco di tradizione e cultura dove risiede la famiglia di Paolo: l’Irpinia. Un luogo caratterizzato da asprezze climatiche che crescono in parallelo alle altitudini dei suoi versanti. Il bosco la fa da padrone assieme alle escursioni termiche, al vento ed alla neve, ancora presente seppur meno copiosa di qualche decennio fa. L’influenza del Vesuvio con le sue eruzioni è il vero segreto della morfologia dei terreni, stratificati da argille di medio impasto per vini di colore, struttura e carattere.

Last but not least, prima di dedicarci anima e core alla degustazione dei campioni in assaggio, non poteva mancare un’ampia carrellata sulle varietà principe della zona. Dal Greco di Tufo dei vigneti di Santa Paolina, frutto di una vera e propria selezione massale su 102 cloni/biotipi alllevati in due campi collezione per individuare le “piante madri”, fino al Re dei vitigni campani: l’Aglianico (biotipo Taurasi). Esso viene declinato in 3 versioni: Fatica Contadina, Pago dei Fusi e CampoRe, oltre alla prima uscita della special edition Riserva “Lucio” vintage 2007, fatta in rarissimi esemplari.

Dopo tanto parlare partiamo finalmente dalla note degustative cominciando dai bianchi:

Irpinia Falanghina Doc 2020 “Corte di Giso”

Falaghina d’altura, cresciuta a circa 600 mt per ben due dei tre siti di provenienza, fra i più elevati di tutta la regione. Forza espressiva ed armonia rievocano i madrigali di Carlo Gesualdo, principe dei musici, vissuto tra il ‘500-‘600 a cui si ispira il suggestivo nome. Figlia di una annata molto difficile, dagli equilibri altalenanti come l’inizio della lotta alla tremenda pandemia. Il frutto è meno marcato rispetto ad altre zone, più fresco ed agrumato. La bocca è salina, dalle movenze floreali di glicine e ginestra. Un pizzico di maggior lunghezza avrebbe reso il quadro davvero perfetto.

Greco di Tufo 2020 Docg “Terre degli Angeli”

Dedicato ad Angelo, lo zio di Paolo morto a fine anni ’70. Il vino giova degli studi clonali e di zonazione effettuati per oltre due lustri. In questi terreni a Santa Paolina sarebbe partita la rinascita della viticultura irpina. Superbo per nulla timido né all’olfatto né tantomeno al palato. A differenza della Falanghina ama un clima maggiormente fresco che esalta al meglio la sua matrice minerale, fino a sfiorare richiami di salsedine. Persistente, elegante, un vestito di seta che ben aderisce a numerose pietanze regionali dal pesce alla carne.

Fiano Docg 2016 “CampoRe”

I Borboni gradivano bere il vino proveniente dalle campagne di Lapio, al punto tale da diventare il Campo del Re. Zona particolarmente vocata per questo vitigno storico che trova la sua dimora sin dall’antichità, quando era conosciuto semplicemente come Apianum. La particolare tecnica utilizzata nel far fermentare il mosto in barrique con successivo affinamento, richiede l’immissione in commercio dopo oltre 5 anni giusto tempo per esprimere al top le proprie potenzialità. Un corredo di frutta secca e tostata, tipico marcatore del Fiano. Il finale chiosa su balsamicità di macchia mediterranea e pera succosa. Un gigante elevato da una vintage memorabile.

Irpinia Aglianico Doc 2015 “Il principio”

Etichetta di particolare effetto..ed affetto, che commemora gli inizi di Terredora. Corretto mix tra sosta in legno e bottiglia che nobilita l’Aglianico, con un passo felino fatto di violetta macerata e ciliegia matura. Declina sulla piacevolezza di beva e non chiede altro che farsi apprezzare in una chiacchierata tra amici a camino acceso. 

Taurasi Docg 2014 “Fatica Contadina”

Sono molto legato a questa etichetta. Non soltanto per l’espressione di un Taurasi agevole (se così si può dire) nell’impatto del tannino. L’annata racconta delle lacrime di Paolo, che si occupava della vigna, nel raccogliere l’eredità enologica lasciata da Lucio, per giunta in un’annata climaticamente al limite dell’impossibile. Il lavoro svolto ha trasmesso le emozioni ed il vino non fa altro che riproporcele come il riverbero di un microfono. Delicato, non esile, floreale ed equilibrato dal sorso di arancia sanguinella e ribes rosso. Averne.

Taurasi Docg 2012 “Pago dei Fusi”

Ecco l’evoluzione del Taurasi! Pensate che la 2012 è quella attualmente in commercio, indice di un lungo sonno del vino in bottiglia interrotto dopo ben 10 anni. Ovviamente le note terziarie entrano dalla porta principale e raccontano di tabacco essiccato, confettura di mirtillo, pepe nero, liquirizia. Il finale è da cioccolato fondente, cuoio, sanguigno e salino. Trama tannica potente e perfettamente integrata. Buono subito o tra qualche anno.

Chiudiamo la nostra visita parlando del Concorso Enologico dedicato a Lucio Mastroberardino che si spera possa riprendere in questa stagione. Nasce inizialmente su pressione di alcuni produttori che erano grati all’immenso lavoro svolto dal fratello di Paolo riconosciuto ai massimi vertici delle organizzazioni di settore. Da 30 cantine siamo passati ad oltre 140 con la creazione di un movimento che da lustro all’intero comparto enologico campano. Le ultime parole dell’intervista sono di ringraziamento per l’impegno profuso dalle figlie Doriana e Giulia Mastroberardino nel continuare la tradizione di famiglia iniziata con nonno Walter ancora alacremente al lavoro all’alba delle 89 candeline.

giovanni mellone

Il Mood di Giovanni Mellone è la grande novità salernitana

Una cantina importante con etichette incredibili. Materia prima spettacolare ed eccellenze di tutto il mondo affidate alle abili e sapienti mani di Giovanni Mellone. Un incontro ravvicinato, un ritratto della persona. Come nascono le idee dei piatti; come si arriva a forme e geometrie insolite. Il piacere di conversare con una persona umile e determinata. Un’aziendalista, che ha deciso di non esaltare il proprio ego, spostando il focus della soddisfazione del cliente. Questo che segue è la sintesi del nostro incontro.