Team Costa del Cilento: appuntamento con lo chef Paolo Barrale di Aria Restaurant

Ricordo bene i sapori proposti da Paolo Barrale, attuale chef di Aria Restaurant a Napoli, una Stella Michelin. Ho avuto la fortuna di poterlo osservare in diverse occasioni quando è stato per lungo tempo a Sorbo Serpico tra le cucine dei Feudi di San Gregorio, dopo le esperienze a La Pergola sotto la guida di Heinz Beck. Di lui ho sempre apprezzato la chiarezza espositiva delle pietanze, fatta di grande sostanza e della giusta apparenza come richiesto dai canoni moderni di giudizio. Un lavoro certosino, scevro da particolari stravolgimenti delle materie prime, che punta dritto al cuore della pratica gastronomica: l’identità organolettica.

Nulla si crea, tutto si trasforma ed in questo bisogna ammettere che l’ostentazione forzata di tecniche e di voli pindarici a volte sfugge di mano alle regole principali di un buon piatto, valutato in primis dagli occhi, ma senza dimenticare il gusto fattore preponderante e vettore di catalogazione nella memoria a lungo termine. Matteo Sangiovanni, presidente dell’associazione Team Costa del Cilento ha voluto proprio chef Barrale ad istruire i corsisti presenti con ricette equilibrate tra tradizione e innovazione. Raccontiamo il percorso di giornata direttamente dalle parole emozionanti di quest’ultimo, siciliano di origine e già perfettamente adattato (ed adottato) dalla Campania.

Team Costa del Cilento Incontra lo Chef Terry Giacomello

Proseguono gli incontri didattici organizzati dal Team Costa del Cilento e finalizzati all’alta formazione per professionisti o semplici appassionati di cucina; un’occasione unica di poter apprendere le tecniche di alcuni tra gli Chef più importanti e famosi del panorama. È la volta di conoscere Terry Giacomello impressionante curriculum in termini di esperienze internazionali ed autentico istrione. Terry è un rivoluzionario della materia prima, ama scomporla e ricrearla ad immagine e somiglianza dei suoi artistici piatti. Tanto studio, passione ed amore per gli ingredienti, sempre nel rispetto del territorio e della stagionalità. 

Le sue preparazioni seguono quanto studiato in Spagna, dietro i fornelli di Ferran Adrià il “Re” della cucina molecolare. Eppure le vere origini di Chef Giacomello si sentono nel suo stile inconfondibile. La semplicità resta il faro luminoso su cui puntare, anche nelle preparazioni estreme, avendo ben chiaro il nostro “essere italiani” e con una sana invidia per quante eccellenze gastronomiche offra il Meridione. Proprio da qui parte il racconto video per 20Italie, grazie alla collaborazione con Matteo Sangiovanni presidente dell’associazione e chef executive del ristorante Le Radici a Battipaglia.

I corsi di cucina del team Costa del Cilento

Non ci stanchiamo mai, come 20Italie, di narrare le iniziative enogastronomiche volte a dar lustro a regioni e prodotti italiani, con uno sguardo approfondito verso la “nostra” amata Campania. Parliamo di una terra incantevole, scelta nel passato da numerosi imperatori e ritornata a quei fasti sontuosi grazie anche a valide iniziative turistiche. “Tutti uniti verso un unico obiettivo” recita il mantra dell’associazione senza scopo di lucro Team Costa del Cilento.

Composta da chef professionisti, si pone l’obiettivo di rappresentare la bellezza e le tradizioni gastronomiche di una terra millenaria come quella cilentana. Il Presidente Matteo Sangiovanni ci narra le varie iniziative proposte, con partnership privilegiate e sponsor che hanno già abbracciato il suo progetto: portare il Cilento in giro per il mondo e far conoscere al mondo le eccellenze di tale territorio.

Tra le tante novità, un corso di cucina segmentato nell’arco di 10 incontri con cadenza ravvicinata, per conoscere ed implementare le proprie tecniche ai fornelli. Non è rivolto soltanto agli oltre 70 chef associati, bensì è aperto a chiunque (tesserato) voglia cimentarsi in un’esperienza formativa di altissimo livello. Professori per un giorno saranno i colleghi titolari di ristoranti famosi, come Paolo Gramaglia una stella Michelin con il suo President a Pompei e gli chef resident più importanti nel panorama gastronomico campano. Abbiamo chiesto proprio a Paolo di ricordare la sua prima ricetta, quando ancora studiava a scuola, e di riviverla nei piatti proposti oggi. Ascoltate l’emozione palpitante di chi vive con passione il lavoro di una vita.

Alcune considerazioni finali da parte di Matteo Sangiovanni, chef executive del Radici a Battipaglia. Promotore da sempre del territorio, ha partecipato anche a gare internazionali dove non sono mancati riconoscimenti e premi per il made in Italy che tutto il mondo ci invidia. Non manca un libro di ricette che cattura l’appetito del lettore. Ci lasciamo con la consapevolezza del grande fermento che il mondo della ristorazione sta vivendo, nonostante le attuali criticità.

Info su: www.teamcostadelcilento.com

“Rinascita” – il metodo classico firmato vini Contrada

Assistere alla nascita metaforica di un vino riesce ad emozionare quanto le nascite nei reparti di ospedale. Per un produttore ogni nuovo arrivo è un momento di gioia e di festa, che la famiglia Contrada ha voluto condividere con tanti amici e con noi della redazione di 20Italie. In realtà l’azienda dei fratelli Michele e Gerardo è abituata a scrivere pagine di storia irpina sin dagli inizi del ‘900. Siamo a Candida su terreni collinari ricchi di argille e calcare, dalle tipiche colorazioni biancastre dalle quali deriva l’etimologia del toponimo. Il Fiano di queste terre denota complessità organolettiche unite a doti di serbevolezza che lo rendono resistente allo scorrere del tempo. 

La gamma dei bianchi in versione “ferma” si completa con un’intrigante Falanghina per nulla declinata su scontate deviazioni opulenti di banana. Naturalmente il CRU Fiano di Avellino Selvecorte vintage 2017 da vigne di oltre 40 anni d’età è il vero protagonista nella perfetta espressione di una varietà unica nel panorama ampelografico italiano. Oggi però tralasciamo le digressioni sulle suddette tipologie e sullo splendido Taurasi 2015, finalmente il giusto premio all’impegno profuso nel gestire i difficili rapporti con l’Aglianico d’altura. 

Vogliamo lasciare invece la parola a Mattia figlio di Carmen e Gerardo, che a breve completerà i suoi studi agrari, ma già perfettamente inserito nel progetto vitivinicolo. Ci racconterà in video l’avvento del nuovo nato: il Metodo Classico “Rinascita”. Lo anticipano le parole orgogliose del padre, piene di speranza per il futuro e per il lavoro della giovane leva; i figli, si sa, “so piezz’ e core”. Al termine seguirà una breve analisi degustativa per raccontare il vino dal nostro consueto punto di vista tecnico.

Rinascita Metodo Classico Brut – al momento sosta 24 mesi sui lieviti prima della sboccatura, ma è in progetto anche ulteriore evoluzione fino a 60 mesi. Pochissime bottiglie prodotte che narrano del desiderio di ricominciare a vivere dopo i tempi bui degli inizi pandemia. Molto agrumato e piacevole, ciò che colpisce è la nota officinale soffusa tra salvia e fiori di lavanda, con un sorso finale salino di buona tensione. Gli abbinamenti variano tra i semplici momenti conviviali a quelli gastronomici con pietanze a base di pesce crudo e crostacei. Nessuno a casa Contrada teme la sfida aperta con il futuro.

Al Veritas Restaurant la Campania incontra la Toscana

Avvertenze per l’uso: questo non sarà il solito articolo descrittivo di un evento esclusivo a Napoli al Veritas Restaurant, ristorante da una stella Michelin. 

Abbinare cibo e vino con le culture di due territori profondamente diversi, rispettivamente Campania e Toscana, non può limitarsi ad un elogio edonistico fine a sé stesso. C’è molto di più dietro la facciata del fine dining,qualcosa di molto simile al concetto di arte. Lo chef Carlo Spina e David Landini, general manager di Villa Saletta, ci hanno accompagnato in un percorso intriso di commistioni gustative uniche ed irripetibili. Una sorta di fusione tra la bravura manuale del realizzare piatti capolavoro, come il soffritto di ricciola rivisitazione del soffritto napoletano, o come lo straordinario Saletta Riccardi 2016, vino dotato di una bellezza senza tempo, frutto di una selezione di uve Sangiovese in un appezzamento di 2 ettari. Villa Saletta è in grande ascesa, ben posta sulle morbide colline di Palaia (PI) in Località Montanelli. Un territorio vocato che sta percorrendo piano piano, e nel silenzio della critica a volte miope, i gradini dei vertici della qualità enologica italiana. Ben 1200 ettari in proprietà, grande passione non solo per l’autoctono a bacca rossa cardine dell’agricoltura toscana, ma anche per il Cabernet Franc del 980AD succoso e dalla durevole prospettiva. 

Zero note degustative oggi, ve lo promettiamo! Non vogliamo rubare la scena ai protagonisti, intervistati dal sottoscritto con l’aiuto dell’operatore video Roberto Imparato. Immancabile l’intervento di un autentico luminare del settore come il giornalista Luciano Pignataro, con un’analisi precisa e dettagliata della coinvolgente serata. Buon ascolto

Per cognizione di causa, non resta che riportare in chiusura di articolo il menu proposto.

Piccole delizie iniziali tra le quali spiccano delle delicatissime polpettine di seppia. Sono seguiti in successione:
“OSAKA ROMA” manzo tataki speziato, crema carbonara, caviale di fagiolini, salsa ponzu all’aceto balsamico abbinato ad un succoso Chianti Superiore 2017 dal forte richiamo tipico di ciliegia matura.
Spaghetti al brodetto di pesce alla curcuma, soffritto di ricciola e polvere di aglio nero, ben domato dal Chiave di Saletta 2016, blend in stile Supertuscan molto avvolgente. 
Pluma di maiale Iberico, purea di patata ratta, kefir di bufala e verza fermentata abbinato sia al Saletta Riccardi 2016 che al 980AD 2016. Noi preferiamo la prontezza del primo, pur evidenziando un sicuro riscatto del secondo con il passare del tempo e l’attenuarsi di alcune durezze espressive. 
Semifreddo allo yogurt, lampone fermentato, ananas marinato, gel cocco, coulis di mango e finger lime con petit patisserie, per non farci mancare le coccole finali di una serata ricca di charme e gusto. La Campania merita questo e tanto altro ancora.

Cucina multietnica che va dritta all’Anima

chef Hichame El Mahi.
Nei piatti, profumi, colori e combinazioni creative.
Piatti ricchi di colore e materie prime di montagna combinate con le spezie e i profumi delle terre africane. È la cucina multietnica e sensoriale dello chef Hichame El Mahi del fine dining “Anima” del Sensoria Dolomites all’Alpe di Siusi.

A creare questo dinamismo di proposte ricche di colori e di ingredienti oltre confine per la tipica cucina di montagna, è lo chef Hichame El Mahi del fine dining “Anima” del Sensoria Dolomites all’Alpe di Siusi, hotel quattro stelle superior in Alto Adige.
Le sue origini marocchine hanno oltrepassato le Alpi e contaminato il menu del ristorante con eccellenze gastronomiche di alto livello combinate con le spezie e i profumi delle terre africane. Sperimentazione di piaceri per il palato che coinvolge tutti i sensi.

Alpe di Siusi, 15 settembre 2022 – Tutti pazzi per le spezie, i sapori forti e i colori decisi abbinati nel piatto. La cucina del fine dining “Anima” del Sensoria Dolomites, quattro stelle superior a Siusi allo Sciliar in Alto Adige, si arricchisce di idee e di proposte del territorio dal gusto speziato, forte e decisamente pungente al palato, che accompagna l’ospite in un viaggio sensoriale verso tutti i continenti.

Tutto merito di Hichame El Mahi, chef di origini marocchine e con una lunga esperienza in ristoranti gourmet e stellati in Italia, in Emilia Romagna e Alto Adige, e internazionale in particolare in Francia. Infatti, “Anima”, aperto anche al pubblico esterno, propone una cucina dall’impronta internazionale, ma con forti contaminazioni italiane, per rispondere alle esigenze degli ospiti. Il menu è settimanale e non viene mai replicato; ogni giorno una proposta diversa a seconda della stagionalità dei prodotti, ma anche della creatività dello chef che propone degustazioni di otto portate e relativi abbinamenti vino.

IL MIX DI GUSTI IDEALE
Arrivato in Italia da ragazzo, Hichame El Mahi si è avvicinato al mondo della cucina solo attraverso le sue esperienze lavorative nazionali e internazionali. Poco alla volta si è fatto affascinare e ha iniziato a sperimentare, approcciando il mondo della ristorazione con un suo pensiero: promuovere le eccellenze di un territorio, quello altoatesino, ricordando sempre i profumi e i colori della sua terra d’origine, un crocevia di emozioni e di etnie, combinandola alla nouvelle cousine francese in particolare dalle tipiche creme e mousse che impreziosiscono il piatto.

Da 15 anni in Alto Adige, ha girato molte realtà approfondendo tecniche e conoscenze. Prima di arrivare nelle Dolomiti, ha lavorato in Emilia Romagna, ma anche in Francia a Colmar, dove ha colto le idee della cucina francese. Ha lavorato anche come private chef sugli yacht. «La mia formazione? Sul campo» spiega Hichame El Mahi. «Con la curiosità e la voglia di crescere in questo settore, ho appreso i segreti degli chef. Ho sperimentato combinazioni e nuove tecniche e, a tutto ciò, ho unito la passione e la fantasia».


Nella sua playlist, lo chef ama parlare di Vellutata di ortica servita con raviolo speck e mela Kanzi croccante e schuttelbrot.


Tra i primi piatti i Ravioli ripieni di burrata alpina e confit di pomodorini.


Le carni sono un must, in particolare il Filetto di vitello speck e variazione di carote e porcini, con ingredienti provenienti dalle malghe della zona e verdure raccolte nell’orto, oltre al Manzo rosè servito con verdura ratatouille, profumata con perle di balsamico e fondo bruno.

Hanno un ruolo centrale anche le spezie come la cannella, coriandolo, cardamomo, curry e masala. Per un fine pasto scoppiettante, il dolce, dedicato al Sensoria Dolomites, ossia la Pera Sensoria una morbida proposta con polpa, succo di pera e limone con cannella. Il tutto impreziosito da un mantello di crema ganache di vaniglia del Madagascar montata. All’esterno cioccolato bianco Ivoire Valhrona, burro di cacao e polvere di vaniglia Bourbon, che replicano la vera pera. Lavorare gli alimenti e prima ancora produrli, per lo chef è importante.
La sua brigata realizza direttamente la pasta con impasti di verdure e di spezie. Ha a disposizione un orto da cui raccoglie erbe e piccole quantità di verdure. I suoi fornitori sono piccoli produttori del territorio, una scelta per garantire la qualità degli ingredienti e per conoscerne sempre la provenienza. Non ama definire la sua cucina a chilometro zero, ma “cucina del territorio” perché il rapporto con i produttori è legato alle tradizioni di un Alto Adige agreste, vivo di tradizioni e sempre attento a coltivazioni naturali e biologiche. I dolci sono un altro plus. Vengono proposti in combinata con il maestro pasticcere esplorando le usanze provenienti da tutto il mondo. La selezione di golosità propone anche delle marmellate freschissime e naturali, una piccola produzione fatta in un maso della Val Venosta.

LA SALA E IL PIACERE DI BERE IL MEGLIO


Se la cucina si conferma una sperimentazione, a completare la proposta la dettagliata selezione beverage. Un concetto di ospitalità che si traduce nella grande attenzione per l’ospite che deve essere assecondato in tutte le proprie esigenze. «Amiamo mettere a proprio agio i clienti cercando di comprendere le esigenze che, di volta in volta, si presentano» spiega Lea Oberhofer. «Con i commensali il personale cerca di instaurare un rapporto equilibrato per presentare il percorso gastronomico al fine di farlo vivere al meglio. Amiamo raccontare ogni cosa, ma senza invadere la privacy delle persone. La carta dei vini è sempre in linea con i piatti della cucina». La carta dei vini conta 200 etichette, con grande attenzione alle produzioni dell’Alto Adige. Viene proposta divisa per vitigni e per aziende produttrici. La selezione però è continuamente in movimento in quanto la scelta è quella di andare alla ricerca delle produzioni più blasonate del territorio.

Parlare di food & beverage al Sensoria Dolomites e nel suo fine dining “Anima” significa intraprendere un cammino verso la sperimentazione di piaceri per il palato e che coinvolge tutti i sensi.

Cene in cantina al Dolomiti Wellness Hotel Fanes.

Fino a fine ottobre appuntamenti enogastronomici alla scoperta dei più autentici sapori dell’Alto Adige. Vino e materie prime locali, questi i protagonisti indiscussi delle cene in cantina organizzate dal Dolomiti Wellness Hotel Fanes, in Alto Adige, da metà settembre a fine ottobre. Degustazioni guidate dal maître-sommelier Oriano Federa e creazioni gastronomiche dello chef Claudio de Marc del fine dining dell’hotel. Il 5 stelle di San Cassiano brilla sulla terrazza più soleggiata del paese ed è pronto ad accogliere gli ospiti nella sua raffinata cantina, che vanta 500 etichette e di cui 150 sono altoatesine, palcoscenico di un viaggio sensoriale e gustativo alla scoperta dei più autentici sapori della tradizione enologica e culinaria regionale altoatesina.

In Alto Adige, incastonato nel paesaggio delle Dolomiti Patrimonio dell’UNESCO, il Dolomiti Wellness Hotel Fanes di San Cassiano propone una serie di esclusivi appuntamenti enogastronomici nella sua raffinata e accogliente cantina in legno, alla quale si accede dopo aver percorso un lungo corridoio contornato da botti e illuminato da candele. Occasioni imperidbili, queste, per gustare piatti della tradizione abbinati a nobili vini del territorio e che vedono sommelier e chef lavorare ancor più fianco a fianco per offrire ai propri ospiti un’esperienza alla conoscenza delle eccellenze enogastronomiche dell’Alto Adige.
Conosciuto per i suoi paesaggi senza eguali, l’Alto Adige è meta d’eccellenza dal punto di vista turistico e anche enogastronomico e, proprio per celebrarne la genuinità dei sapori e per farla conoscere ai suoi visitatori, il Dolomiti Wellness Hotel Fanes dà il via alle sue raffinate cene in cantina a partire da metà settembre fino a fine ottobre. A guidare il servizio il maître-sommelier Oriano Federa che abbina sapientemente a ogni piatto il giusto calice di etichette rigorosamente altoatesine; piatti ideati dall’executive-chef Claudio De Marc del 5 stelle di San Cassiano che, utilizzando materia prima locale reperita da produttori della zona e nell’orto della stuttura, rivisita la tradizione proponendo pietanze ricche di gusto e leggerezza. «L’idea delle cene in cantina nasce dalla volontà di esaltare il nostro territorio e farlo conoscere anche per le sue peculiarità vitivinicole e gastronomiche» afferma Oriano Federa. «Chi viene da noi per un soggiorno può godere di paesaggi magnifici, ma anche di piatti e vini eccezionali: l’Alto Adige offre infatti una selezione di vini di assoluta qualità che spesso celano storie interessanti e meritevoli di essere raccontati». Lo chef De Marc aggiunge: «Nella mia cucina non mancano mai prodotti di prima qualità; acquisto sempre formaggi, selvaggina, ultimamente anche molto pesce e valorizzo tutto al meglio, ispirandomi alla tradizione cui sono indubbiamente legato e fondendola a uno stile più moderno. Cosa c’è, poi, meglio di un calice di vino per completare l’esperienza? Per questo io e Oriano desideriamo stupire i nostri ospiti con un menù diverso di volta in volta e di cui non diamo anticipazioni ma dove, assicuriamo, la raffinatezza e la qualità non mancano mai». Le cene in cantina sono un’ottima occasione per trascorrere del tempo con famiglia o amici, radunati attorno a un unico tavolo e immersi nella pace offerta da questo luogo custode di tante ecellenze, illuminato solo dalle luci tenui di qualche candela.
Le cene in cantina si svolgono con un minimo di sei e un massimo di dodici persone una volta alla settimana, da metà settembre fino alla fine di ottobre; sono appuntamenti riservati esclusivamente agli ospiti del Dolomiti Wellness Hotel Fanes i quali, per partecipare, devono effettuare la prenotazione rivolgendosi al team di reception. Sempre alla reception, inoltre, gli ospiti possono informarsi sul giorno in cui si tiene l’appuntamento enogastronomico della corrente settimana. La cena non prevede alcun costo mentre è richiesto un contributo per i vini che varia di volta in volta sulla base delle etichette selezionate.

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lecci e brocchi

Riserva ”il Chiorba” ed il loro progetto per il futuro

Lecci e Brocchi: verticale del Chianti Classico Riserva.

Ricordo ancora negli anni ’90 l’estro di Dejan Savicevic, calciatore del Milan soprannominato “genio e sregolatezza”. Se c’è una regola sacra che ho imparato nella vita è di non parlare mai di calcio e politica, men che meno in Italia. Perché, però, un simile paragone rintuzza da qualche giorno nella mia mente, dopo aver visitato l’azienda Lecci e Brocchi nel press tour organizzato nell’areale di Castelnuovo Berardenga (SI)

Partiamo anzitutto dal territorio: siamo a Villa a Sesta, nei poderi comprati nel 1970 da Vasco Lastrucci detto “Il Chiorba”. All’epoca la Toscana ed il Chianti Classico non vivevano lo splendore dei giorni d’oggi. Le famiglie, superata la mezzadria, fuggivano dalle terre lasciandole ai grandi proprietari, o abbandonandole incolte destinate al massimo alla pastorizia. Qualcuno con la vista lunga rilevava poderi da chi partiva per la città, oppure da enti ecclesiastici ed istituzioni che non sapevano che farsene. Sembra incredibile soltanto a pensarci, ma la situazione non sarebbe migliorata fino alla consacrazione dei Supertuscan che rivitalizzarono l’intero comparto produttivo salvandolo dall’oblio. E il Chiorba in tutto questo avrebbe preferito non svenarsi, scegliendo un terreno fuori dalla storica denominazione, se non fosse stato per la caparbietà della moglie decisa a far di tutto per restare all’interno dei confini del Chianti Classico.

Ecco la saggia scelta di una landa di terra modellata del trascinamento a valle di sedimenti franosi, ricchi in ferro, provenienti da una ex cava. Lì crescevano solo i lecci si diceva, con miopia di chi non aveva notato la composizione particolarmente complessa dei suoli, fatti di galestro, arenarie, argille ed alberese. Il nome della cantina era per metà già fatto, mancava solo “Brocchi” che derivava da una particella non lontana, nei pressi di una fonte di acqua sotterranea, con suoli di impasto da sabbie marine e calcare.

Il “genio” di Vasco si ferma qui, la “sregolatezza” inizia con la figlia Sabrina ed il marito Giancarlo, che ad ogni costo, anche contro la visione paterna, decidono di creare una produzione di vino in proprio con le prime etichette nel 2010. Sabrina, moglie, madre di Giovanni e manager di successo, si accolla un’impresa non facile, cominciare da zero una nuova vita da vigneron senza le basi enologiche per stare al passo con i concorrenti. Scelte ardue da compiere a partire dal rapporto con i professionisti, per proseguire in cantina con spazi e contenitori adatti a dare un tocco di equilibrio. 

In mezzo a tale baillamme l’arrivo di persone competenti e coerenti come Luano Benzi alla direzione enoica e, successivamente, Fabio Burroni a quella agronomica. Le due cose dovevano andare di pari passo se si volevano raggiungere risultati degni di nota. Gente concreta, che lavora nel silenzio, senza clamore, senza lustrini, senza adagiarsi sugli allori. Il cambio di passo è stato notevole, a partire dalla vintage 2017 che rispecchia maggiormente l’identità di Castelnuovo Berardenga espressa negli ultimi tempi. Manca quella parte “rustica” di una volta, rispetto ad espressioni tecnicamente perfette ed eleganti, ma il vino va anche venduto ed uno sguardo ai gusti del mercato bisogna porselo se non si vuol diventare una mosca bianca con le gambe all’aria.

Adesso abbiamo gli strumenti giusti per iniziare la degustazione delle annate del Chianti Classico Riserva Il Chiorba partendo dalle più agée verso quelle recenti.

2010: sfortunati. Due bottiglie entrambe con piccoli difetti dati dal cedimento dei tappi. Il frutto sembra comunque delineato, ma gli elementi in nostro possesso sono pochi per esprimere un giudizio valido.

2011: ancora espressiva. Ricordi di scorza d’arancia amara, tocchi balsamici e flebili tannini. Basta riposo, è il momento di degustarla al massimo della potenzialità.

2012: nota alcolica in evidenza. Come stupirsi da un’annata torrida e siccitosa, preludio del futuro imminente? Si avvia verso prugna cotta, calando nel finale di bocca.

2013: annata straordinaria per Lecci e Brocchi. Vino ematico, lievemente surmaturo nelle nuance di ciliege succose e vibranti. 

2014: nelle vintage fresche si vedono i campioni di razza, basta sapersi accontentare. Non possiamo pretendere lustri di vita, ma la danza tra note salmastre/iodate e fiori viola delicati lascia di stucco.

2016: l’ultima ad essere affinata in botti di castagno da 15 ettolitri. Conferma l’annata a due facce, per alcuni memorabile, per altri ancora indecifrabile. Prepondera un finale amaro troppo incisivo, da rivedere nel tempo.

2017: botti di rovere austriaco e nuova filosofia stilistica. Si ricordano molti vini senza spinta acida per colpa del caldo pazzo estivo, ma che non si avverte in questo assoluto campione di eleganza e tipicità. Lo sbuffo polveroso del Sangiovese non stanca mai, seguito in successione da amarene mature ed emazie.

2018: crudo ed ancorato a sensazioni di sovraestrazione. Necessita molto riposo, pur con un’apprezzabile trama tannica saporita che intriga. Scommetterci? Why not.

Ed ora alcune considerazioni sulle altre tipologie aziendali, cominciando dalla Gran Selezione 2015, attualmente in commercio. Continua quel pizzico di lucida follia nel proporre un vino che normalmente viene immesso in commercio molto prima. Scelta rischiosa, ma condivisibile quella di Sabrina, Giancarlo e Giovanni, che ha consentito ai tannini poderosi del Sangiovese di raggiungere una fase perfetta. Strepitoso nella 2013 ormai esaurita, con quel richiamo a tutto ciò che possa esprimere il varietale: frutto, balsamicità, sapidita.

Al rosato “Meticcio” 2021 non si deve necessariamente chiedere una perfezione tecnica da primo della classe, anzi. Bello avere quel tocco di leggerezza e quell’essere selvaggio, non accomodante e non mellifluo. Le due espressioni ancora in conflitto tra ciò che è ancorato al passato e ciò che guarda il domani: una dicotomia con la quale Lecci e Brocchi dovrà necessariamente far i conti per ambire ai migliori palcoscenici del settore.

Ho volutamente lasciato il Sangiò 2020 a chiudere i sipari per ricollegarmi ai concetti di genio e sregolatezza espressi all’inizio. Sangiovese in purezza vinificato in bianco da solo mosto fiore senza contatto con le bucce in territorio di Chianti Classico. Pochissimi esemplari ed uno sforzo enorme richiesto ad un’uva ricca delle migliori componenti proprio nella sua pelle, in un posto dove il guadagno maggiore lo si fa creando vini rossi da capolavoro. Non discutiamo il prodotto finale che va sicuramente oltre i 90 punti per tecniche ed eleganza complessiva; non discutiamo neppure la volontà legittima del produttore di compiere scelte che molti riterrebbero azzardate. Lasciamo piuttosto la domanda aperta, aspettando una risposta definitiva solo dal tempo e dal mercato.

TerrAntica: una carta dei vini, decisamente interessante.

Uno di quegli indirizzi da segnare per tutte le occasioni ed in tutte le stagioni.
Facilmente raggiungibile, all’uscita di Baronissi sulla A/3, con un parcheggio comodo, giardino privato, veranda e sale interne dal sapore antico.
La proposta della brace negli anni si è evoluta: oggi propone carni di diverse provenienze, soprattutto internazionali, importate direttamente dai paesi di origine.
La sorpresa è la carta dei vini, completa e con grande dovizia di particolari, frutto della grande passione di Alessandro Pecoraro.
L’attenzione dedicata alla Campania è quasi maniacale. È la prima volta e sinceramente ho molto apprezzato, vedere la divisione per territori delle singole denominazioni.
Oltre a denotare competenza, manifesta sensibilità per le peculiarità, che all’interno di uno stesso areale, possono variare sia per filosofia dei produttori che per caratteristiche pedoclimatiche.

La cena è in compagnia del mio mentore, quindi oltre all’aspetto conviviale, c’è un confronto stimolante, sempre costruttivo.
Partiamo dal vino e lascio la decisione a Lui, e come sempre accade, fa centro!
La scelta ricade su una delle ultime annate di Taurasi, curate dall’ormai leggendario Antoine Gaita.
Un testamento lasciato ai posteri.


Libero Pensiero riserva 2008, è un Taurasi che parla francese. I tannini, che restano ancora un limite per tanti produttori di questa DOCG, sono perfettamente addomesticati.
Il rosso granato carico, preannuncia la grande intensità, ed in effetti al naso si manifestano descrittori che in alcuni casi sorprendono: se la frutta sotto spirito è quasi scontata, il sottobosco, quello fresco, stupisce.
Note speziate decise e terziari che raccontano l’evoluzione del tempo e il tipo di affinamento.
La chiusura sul cacao è intensa seppur gentile.
In bocca mostra i muscoli, non quelli ottenuti da anabolizzanti, ma quelli definiti e fluidi di un maratoneta.
Un sorso lunghissimo, persistente all’inverosimile, ma con una freschezza inaspettata dopo 14 anni.

Qualsiasi cosa passerebbe in secondo piano, ma il lavoro dello chef Gaetano Barba è stato apprezzabile e va raccontato, cosi come i riferimenti ai suoi colleghi, che onora nel menù.


La partenza con la “Pizza in white“, seppur poco celata, è una dedica allo stellato Vitantonio Lombardo :ricotta di bufala mantecata al parmigiano vacche rosse, tartara di gambero rosso al lime, pizzetta fritta e caviale di salmone.
Fritto discreto, sicuramente asciutto, magari poco crispy, cosa che avrebbe esaltato la ricotta mantecata ed il crudo, anche perchè il piatto nel complesso era ben bilanciato: la sapidità del caviale di salmone riportava equilibrio alla decisa tendenza dolce, presente in tutti gli altri elementi.

Baccalà e melanzana, ricorda molto, ma solo nella presentazione, la melanzana vanitosa di Gianni Mellone, ma per consistenza e preparazione e contenuto, decisamente diversa.
Piacevolissimo l’amarognolo della buccia che ne racconta la natura e rimanda al ricordo della parmigiana. Buono anche il ripieno di baccalà fritto al panko.

Lo Sfusato amalfitano sulla genovese, mi ha stupito, ma poi convinto.
Toccare uno dei piatti “Istituzionali” della tradizione campana è sempre un azzardo.
Ma in effetti, non la snatura. E’ come le due gocce di Chanel n°5 su un corpo nudo, magari non quello di Marilyn, ma di una bella donna mora
.

Buona la carne, di più la cottura: Filetto di Black Angus USA.
Felice l’intuizione dell’affumicatura della patata, che prepara ed accompagna ogni morso, tenendo fissato nel palato, il profumo della brace.

Notevole la punta di petto di Wagyu Full Blood Australia Jeck’s Creek.
Piatto studiato a tavolino. Il richiamo al blasone, anche se per un taglio secondario, diventa leva, e con una narrazione non didascalica, ma attenta e competente, come quella di Alessandro, giustifica il prezzo.

La chiusura dolce, per rispetto alla pasticciera e meno per la glicemia è stata all’altezza.
Quando si parla di Pavlova, mi brillano sempre gli occhi e parte la salivazione, in questo caso è un riferimento, una rivisitazione, che ha un suo carattere con una chiusura fresca che pulisce la bocca.
Il mio commensale sceglie la Millefoglie di Fillo.
Ben fatte sia la crema chantilly al cioccolato bianco, che la crema alla vaniglia, cosi come è buona l’idea del topping al caramello salato abbinato all’aroma tropicale del frutto della passione.

In sintesi, una proposta contemporanea, in linea con le esigenze di un pubblico sempre più attento.
Servizio attento e puntuale, competente e cordiale.
Il valore aggiunto è sicuramente la proposta vino, che lo posiziona tra i luoghi più interessanti della provincia, per chi ama bere bene.
Complimenti a tutta la squadra di Onofrio e mi perdoneranno quelli non citati

“Verso”,la nuova ed esclusiva linea delle Cantine La Fortezza.

Enzo Rillo, un grande imprenditore che non ha dimenticato le proprie origini

C’è un’azienda nel Sannio, a Torrecuso, che continua a studiare per diventare grande.
Intanto c’è una struttura per l’ospitalità e per gli eventi di notevole impatto; ci sono le vigne; c’è una grande e bella cantina, ma sopratutto c’è una visione chiara del futuro.
Antonella Porto, direttore commerciale dei vini “la fortezza”, è una forza della natura.
Arrivata dalle Americhe, dal freddo del Canada, ha “portato” con sè la determinazione e la fiducia che i sogni possono trasformarsi in realta. In più ci ha messo la concretezza Sannita, perchè senza il lavoro duro, nessuno ti regala nulla.
Gentile e cortese, con un sorriso sincero, che conquista immediatamente.
Instancabile, sempre presente, attenta, non lesina energie per raggiungere il risultato.
Nell’ultimo anno ci siamo incontrati spesso. Da lei ho mutuato anche delle idee, sull’ospitalità in vigna, portate poi in altre realtà rurali campane.
La fortezza disponeva di una gamma di vini già ampia, che racconta il territorio nella sua interezza, ma era grande il desiderio di osare, “verso” (il nome della nuova linea) orizzonti più lontani, incoraggiati enologo, Vittorio Festa,  a cui non manca il coraggio.

L’occasione è vitignoitalia, un fuori salone (come mi auguro ce ne siano tanti nelle prossime edizioni), quello di Wine & the city, a pochi passi da Castel dell’Ovo, a via Chiatamone.
La location, il My Seacret.: un piccolo scrigno della gastronomia, per pochi intimi.
Ad organizzare e coinvolgere appassionati e professionisti è il giornalista più autorevole di settore, Luciano Pignataro.

 Il progetto si chiama appunto Verso, si posiziona su una fascia premium.
4 prodotti (due metodo classico, due fermi) di assoluta eccellenza, frutto di combinazioni di uve a bacca bianca e rossa, un progetto di sintesi; bordolese a spalla alta, per i fermi, Borgognotta per i metodo classico;
I nomi, sono stati scelti attraverso una ricerca che trova significato nei vocaboli dialettali:
Ussiè sta per sentire, ascoltare;
40% Fiano, 60% Aglianico
Vino Spumante di Qualità Rosato – Metodo Classico Millesimato 2020 Pas Dosè

Tremien sta per guardare con attenzione;
40% Fiano, 20% Falanghina, 40% Aglianico
Vino Spumante di Qualità Bianco – Metodo Classico Millesimato 2020 Pas Dosè
Suare‘ è il nome di un’antica danza;
30% Fiano, 40% Greco, 30% Aglianico
strutturato,corposo con un leggero passaggio in legno.
giallo paglierino, cristallino, luminoso
frutta a pasta gialla, tanto tropicale e leggera nota erbacea.
Bella mineralità e sapidità.
Truman è la virilità.
40% Aglianico, 30% Piedirosso, 30% Camaiola (Barbera del Sannio)
Rosso Rubino, fascinoso. Buona consistenza bella complessità
Elegante, avvolgente, sicuro.
Frutta rossa, lamponi e amarena, tabacco e spezie dolci.
Orientato verso le morbidezze con un tannino ben levigato anche dal leggero passaggio in legno che completa l’affinamento precedente in acciaio.



Il racconto si completa nelle etichette, 4 poesie che parlano di una storia vera, quella di un bambino, che diventato uomo, ritorna alle sue radici.
Radici che affondano in una terra che sa ricambiare i sacrifici dell’uomo.