“AGER FLUENS” di Tenute Bianchino: un nuovo modo di raccontare la storia dell’Ager Falernus

La Campania è stata sempre Felix? Forse la risposta migliore sarebbe: a tratti. In realtà, ripensando attentamente alle problematiche vissute in tempi non lontani (l’immediato dopoguerra tanto per intenderci), l’orizzonte dei vini locali è stato alquanto nebuloso. Foschie a parte, da qualche anno si assiste ad una sorta di riscatto nazionàl-popolare al quale non possiamo che rendere l’onore giornalistico delle penne affilate di una volta. Il luogo del primo sigillo di qualità, il “Pitaccium” di due millenni orsono, o del celebre vino Falerno rievocato sulle tavole delle antiche osterie, sembra finalmente tornato ai fasti dell’Impero Romano. Sarà vero? Anche qui preferiamo rispondere: a tratti! Di sicuro è stato notevole lo sforzo compiuto dal Consorzio VITICA, Consorzio Tutela Vini Caserta per le D.O.C. Aversa, Falerno del Massico e Galluccio delle I.G.T. Terre del Volturno e Roccamonfina. Parimenti fondamentale il lavoro di piccole realtà in crescita, come quella di Tenute Bianchino guidata da Concetta (“Titti” per gli amici) Bianchino e dal marito Armando. A completare il quadro l’interesse di figure professionali illustri come l’enologo Angelo Valentino, a dare supporto ed imparzialità per uno stile che rappresenti unitamente territorio e varietali.

Sin qui tutto bene si direbbe; eppure sembra, in colui che scrive, che manchi ancora quel quid per svoltare definitivamente il passato. I tempi dell’Ager Falernus devono essere necessariamente superati. Memoria sì, a patto che sia di breve termine e non un legaccio con tradizioni ormai scomparse. La realtà delle cose richiede maggiori investimenti in tecnologie e qualità. Fare vino può essere facile, ma chissà se avremmo davvero gradito una tazza di quello proveniente dai tempi di Ottaviano Augusto, dal sapore acidulo, misto a spezie e miele pure allungato con acqua di mare. Oggi per fortuna siamo lontanissimi da quei metodi, ma resta comunque il fatto che non ci si improvvisa viticoltori. Al di là degli affetti, ben 26 aziende imbottigliatrici in un areale composto appena da 5 Comuni danno l’idea di un numero alquanto sproporzionato. In mezzo le classiche lotte campanilistiche, che in Italia non mancano mai, e che impediscono alle nuove leve di unirsi e darsi forza l’un l’altro. Doppiamente bravi, quindi, Titti ed Armando a crederci dal 2010 dopo la bonifica dei poderi, valorizzando uno dei vitigni autoctoni che alberga in tali lande da almeno da un paio di secoli: il Primitivo. Lo fanno presentando il futuro, chiamato “Ager Fluens”, con un’etichetta dall’elegante veste grafica realizzata da Giuseppe Mascolo di Marasma Studio. Lo fanno con una cantina modernissima e tanta sostanza nel curare le uve di una sottile vigna singola per bottiglie quasi da collezione. Piante ultracentenarie cresciute su suoli sabbiosi adatti alla coltivazione pre-fillosserica a piede franco. La vicinanza al mare ed al vulcano spento di Roccamonfina hanno regalato una combinazione di elementi ed una tessitura tale da impedire la diffusione del temibile parassita.

“Ager Fluens” Campania Rosso I.G.T. Primitivo 2019 ha il carattere ed il fascino di un prodotto in vecchio stile, ma con le movenze delicate dell’era moderna. Frutta densa e scura tra visciole e mirtilli maturi ed un finale balsamico di erbe officinali e mirto. La scia minerale allunga il passo e veicola con sé una spezia profonda e piccante, dai riverberi di pepe verde. Nella trama tannica si ravvisa la sua gioventù dall’ottima prospettiva e fattura, che lo rende un vino godibile da subito ed adatto altresì all’invecchiamento. La presentazione alla stampa ha visto gli interventi, tra gli altri, del Presidente A.I.S. Campania Tommaso Luongo, del Delegato A.I.S. Caserta Pietro Iadicicco e della giornalista Antonella Amodio in veste di moderatrice.

Acqua e semola si incontrano per dare vita ad un’eccellenza

Pasta Caterina ha una storia che affonda nelle radici lucane, ma non vuole fermarsi al proprio territorio. La tecnologia al servizio dell’esperienza. Tradizioni antiche tramandate, ma studio e innovazione per conservarle e tutelarle per le generazioni future. La scelta dei grani: selezionati fra i migliori offerti da Basilicata e Puglia, alla molitura artigianale; l’acqua, che arriva direttamente dalla sorgente naturale del Monte Sirino; trafile, rigorosamente in bronzo; ventilazione ed essiccazione seguite alle giuste temperature per lasciare inalterate le proprietà organolettiche della materia prima. Questa filosofia ha consentito a Pietro Labanca, giovanissimo maestro Pastaio, nonchè titolare del pastificio, di posizionare la pasta Caterina, tra le migliori artigianali d’Italia.
Un imprenditore 3.0 che non ha problema a cambiarsi d’abito e passare dalla scrivania al laboratorio. Agli impasti di calcestruzzo, attività di famiglia, ha preferito seguire la passione tramandata dalla Nonna, che lo lasciava giocare, mentre preparava la pasta.

Quell’amore e quella passione verso la “propria creatura”, ed il profondo rispetto per la scelta del nome, aumentano le responsabilità. Un’attenzione e una cura maniacale, dall’impianto di produzione, che si è fatto costruire “su misura”, al prodotto finale che segue e produce personalmente, in ogni passaggio, fino al confezionamento.
Si presenta sul mercato con oltre 30 formati diversi tra pasta corta, lunga, piccola, trafile speciali ed integrale. Porosità, tempi veloci di cottura e mantenimento, le caratteristiche più apprezzate sia nella ristorazione che nell’uso domestico, senza trascurare la competitività del prezzo che diventa valore aggiunto. Grazie alla visione intuitiva ed intelligente, non ha trascurato il mercato digitale, ha fatto sviluppare un proprio e-commerce, riuscendo cosi a passare indenne il periodo della pandemia, che anzi, gli ha permesso di entrare ancora di più, nelle case di tanti, fidelizzando poi un rapporto che ancora oggi è solido e produttivo.

Siamo andati a Lagonegro, nel suo laboratorio e ci ha fatto da Cicerone, quello che segue è un breve racconto di quanto Pietro Labanca ami il proprio lavoro

Sede Altamura Op

Altamura OP: dove le radici dell’agricoltura germogliano futuro

Quella che leggerete non è solo la storia di un’eccellenza italiana. È la storia di un’intera famiglia che ha saputo tramandare, di generazione in generazione, amore e passione per la terra, la stessa terra da cui raccoglie quei prodotti che oggi – e ormai da quasi cento anni – portano la sua firma.

Il marchio Altamura, in Italia come all’estero, è sinonimo di qualità, avanguardia e innovazione tecnologica nel campo dell’agricoltura e dal 2018 è passato dall’identificare un’azienda a rappresentare un’intera organizzazione di produttori. Per comprendere meglio una realtà così proiettata al futuro, è bene partire dal suo passato.

credit Altamura Op

Un legame con la terra solido come radici

Quella dell’attuale Presidente, Alfonso Altamura, è la quarta generazione che si sussegue alla guida dell’azienda agricola omonima. Chi avviò questo straordinario progetto imprenditoriale, poco meno di cento anni fa, lo ha fatto nell’era dell’agricoltura 1.0. Oggi siamo nel pieno della 4.0, che per qualcuno sta addirittura per lasciare spazio alla 5.0. Fondamentalmente, vuol dire aver attraversato ogni grande epoca evolutiva dell’agricoltura moderna, averne fatto parte e aver contribuito allo scatto verso quella successiva.

In una recente intervista il Presidente ha dichiarato che la storia della sua azienda «si è evoluta in simbiosi con l’evoluzione della terra a cui appartiene». Continua dicendo che «La Piana del Sele – dove è nata e tutt’oggi produce l’azienda Altamura – è un luogo unico, per certi aspetti magico, estremamente generoso nell’essere in grado di prestarsi ad ogni tipo di agricoltura ortofrutticola». Lo stesso luogo che ancora oggi ospita i vari siti produttivi dell’impresa e «che noi, con il nostro lavoro quotidiano, cerchiamo di rispettare ogni giorno» sempre le parole del Presidente.

credit Altamura Op

Pionieri dell’agricoltura digitale

Il digitale, per Altamura OP, non è l’ultimo trend da seguire. Al contrario, è proseguire su una strada già tracciata da tempo. In effetti l’azienda, già da diversi anni, ha investito sempre più in tecnologia, infrastrutture e marketing, perfezionando giorno dopo giorno il suo processo produttivo ed arrivando alla vasta varietà di linee che commercializza oggi. Se, passeggiando sui suoi campi, ci si accosta ad un suo operatore intento a supervisionare la raccolta, lo si troverà quasi sicuramente con un tablet in mano, collegato ad un cloud al quale invia dati e dal quale riceve i più disparati report e alert. Anche i trattori adoperati tutti i giorni sono dotati di kit 4.0 per la diagnostica in tempo reale di malfunzionamenti, guasti e consumi. Le sue serre sono un prodigio della tecnologia, attrezzate con centraline e sensori per la rilevazione del microclima e di indicatori di stress. Ma Altamura OP non si limita solo alla tecnologia “da campo”. Infatti, ha in corso una partnership con l’Università di Salerno per lo sviluppo di progetti di agricoltura digitale nei quali sono coinvolti direttamente studenti e tesisti dell’ateneo.

credit Altamura Op

L’impegno per la sostenibilità e la sensibilizzazione.

Ovviamente un’azienda così avanguardista in un settore come quello agricolo non può non essere attenta alla sostenibilità ambientale. Il suo dipartimento Ricerca e Sviluppo studia costantemente ogni ultimo ritrovato nel campo dei materiali da imballaggio, cercando di usare sempre meno plastica ed esplorando altre possibilità come film biodegradabili o compostabili. Nel recente passato Altamura OP ha investito massicciamente nel fotovoltaico, con il sogno (per ora solo tale in attesa che la tecnologia progredisca ulteriormente) di diventare presto completamente autonoma nella produzione dell’energia elettrica necessaria ad animare i suoi processi operativi, anche nelle ore notturne. L’impegno dell’azienda, però, non si limita ad un miglioramento interno ai confini dei suoi stabilimenti. Altamura OP è attiva anche sul tema della sensibilizzazione del consumatore finale, promuovendo i valori della sana alimentazione che si ritrovano tanto nelle sue linee quanto nei progetti esterni che decide di sostenere. Ha recentemente comunicato di aver siglato un accordo di partnership con 50 Top Italy, la rassegna che premia le eccellenze gastronomiche italiane che si sono distinte per gusto, qualità e sostenibilità dei processi e rispetto delle materie prime. Di tutti i suoi progetti presenti e futuri e delle tematiche di settore nella quale è impegnata Altamura OP discuterà alla prossima edizione della fiera Fruit Logistica, in scena a Berlino dal 5 al 7 aprile 2022.

vincenzo michele sellitto

Vincenzo Michele Sellitto e il suo suolo “vivo”

Gli scienziati si dividono in due categorie: quelli che studiano la propria materia da ogni angolazione, con professionalità e meticolosità, e quelli che vanno oltre, scavano fino all’essenza stessa della materia, si mettono a sua disposizione e ricercano con essa un rapporto di scambio reciproco, simbiotico, quasi intimo. Vincenzo Michele Sellitto, agronomo italiano di riconosciuta fama internazionale, appartiene senz’altro a quest’ultima.

Oltre a insegnare come professore associato nella Universitatea de Stiinte Agricole si Medicina Veterinara in Romania, ricoprire il ruolo di Project Leader presso Biolchim spa, ottenere premi e riconoscimenti di alto livello, essere co-autore di un brevetto e firmare numerose pubblicazioni, nel tempo si è distinto in campo nazionale e internazionale per i suoi studi relativi al Suolo e alle Tecnologie per lo sviluppo e l’innovazione sostenibile in agricoltura, divenendo una vera e propria eccellenza italiana nel mondo.

Parlare con il professor Sellitto del suolo e della cruciale importanza che ricopre nella sostenibilità è a dir poco affascinante. Lo descrive come un essere vivente a tutti gli effetti, capace di respirare ed evolvere, ma anche di soffrire e ammalarsi, proprio come noi. Per Sellitto il suolo è, appunto, vivo.

Più che mai convinto del ruolo fondamentale che la cura del suolo ricopra nella sopravvivenza del nostro pianeta, Vincenzo Michele Sellitto è impegnato in moltissime attività di sensibilizzazione, rivolgendo le sue riflessioni sia ad un pubblico di esperti operatori del settore che, più in generale, a chi è desideroso di fare la sua parte nella tutela dell’ambiente. A questo proposito, oltre ai frequenti webinar che organizza sul territorio, ha pubblicato due libri: I microrganismi utili in agricoltura (2020) e Microalghe (e cianobatteri). I microrganismi fotosintetici in agricoltura (2021).

Flos Olei 2022, Mennella primo tra i best del mondo

L’uomo che sussurra alle olive, è il caso di dirlo, è Mennella che quest’anno conquista il primato per la guida Flos Olei, strumento di divulgazione delle eccellenti realtà produttive dell’olio extravergine di oliva, in tutto il mondo.

La zona compresa tra gli Alburni e il Calore è un’intera macchia verde: chiunque provasse a censire il numero degli ulivi si sentirebbe come un folle che prova a contare i granelli di sabbia, anche su una sola mano. Ci troviamo in un panorama suggestivo, dove si incontrano i venti, dove lo Scirocco lambisce gli Alburni e, tornando indietro, si unisce alle correnti fredde dell’Irpinia.

Le pale eoliche sono diventate di certo futuristiche, sembrano dei robot che dall’alto controllano tutto e che si ergono su un gigante buono, una piccola chiesa. Piccola solo di dimensioni, in realtà alimenta lo spirito di chiunque si fermi misticamente a contemplarla: ospita la statua lignea di una Madonna, quella dell’Ulivo. Da qui ha inizio un progetto interessante. Antonino Mennella e la compagna di vita Annamaria ogni anno fanno un piccolo miracolo, trasformando piccole Drupe in oro verde.

Compiti ben divisi: il braccio e la mente. Annamaria è il braccio e Antonino è l’anima, così come lo definisce proprio lei. Antonino Mennella è del resto ben noto per il suo attento lavoro, tutto l’anno gira tra le sue creature, come il medico condotto di un tempo girava tra i suoi pazienti per controllare lo stato di salute. Parla con le piante, ne riconosce le voci e solo quando l’equilibrio naturale lo consente, comincia l’attività nel suo piccolo laboratorio: un frantoio a due fasi. La Signora delle Drupe si occuperà di questa preparazione, un lavoro di squadra artigianale che sembra una danza. Seleziona le olive, con attenta analisi, scartando ancora manualmente tutte quelle che potrebbero compromettere il risultato. È un ritratto di amore: scrutano dal piccolo oblò le olive frante che girano lente nella gramolatrice, fino a raggiungere il separatore.

Così come un sacerdote tira fuori dal Tabernacolo le ostie per il sacramento della Comunione, ripetendo il miracolo di Cristo, così da quel piccolo incavo si manifesta un miracolo naturalistico, l’oro verde acquista luce. Questa è solo una piccola parte di un racconto più ampio, che avremo il piacere in seguito di raccontare in tutte le sue fasi. È la passione ad animarlo ed è il vero motivo per cui quest’anno Mennella vanta l’ennesimo riconoscimento, tra una selezione di 500 oli eccellenti provenienti da tutti i continenti. L’Itran’s di Mennella è l’olio dell’anno per la Flos Olei.

Pomodama: dove il pomodoro è protagonista

La Campania è una regione ricca di unicità, soprattutto nel settore agroalimentare. Sono molte le zone divenute famose anche grazie a prodotti tipici che riescono a proliferare per merito delle proprietà della terra su cui crescono. Non fa eccezione il pomodoro lampadina, un’esclusiva dell’area di Castellammare di Stabia, coltivato dall’Ottocento e ancora oggi come tradizione vuole dalla famiglia D’Auria, proprietaria dell’azienda agricola Dama.

Il profondo rispetto per questo prodotto, divenuto un’eccellenza italiana, ha radici lontane: una tradizione che si tramanda da generazioni, che rimane viva nei ricordi di chi da bambino giocava ad aiutare gli adulti nel processo produttivo e che, oggi, quel processo lo segue in prima persona e con lo stesso amore. Le rotazioni colturali, la concimazione naturale, l’autoriproduzione dei semi, la raccolta a mano e la totale assenza di correzioni con acido citrico fanno del “lampadina” un pomodoro unico, 100% bio e dal sapore inconfondibile.

Nella tenuta Dama il tempo sembra scorrere più lento, volutamente. Come scandito dal ritmo con cui maturano i pomodori. Perché la bontà non può nascere dalla frenesia, ma richiede attesa e pazienza. Una filosofia che la famiglia D’Auria raccomanda anche a tavola, perché utilizzare prodotti naturali e di qualità fa bene alla salute. In fin dei conti, siamo ciò che mangiamo.