Romagna: a Carnevale ogni ciambella e ciambellone vale

Siamo ancora nella stanza dell’inverno; le temperature rigide fino al mattino disegnano nuove forme, pizzi argentei appesi a rami spogli di alberi silenziosi. Osservare quell’atmosfera fuori dalla vetrata appannata crea emozioni rilassanti. Il caldo di una stufa a legna accesa nei periodi più freddi ha molteplici usi: per cucinare piatti a lunga cottura, spostando semplicemente il tegame in punti più o meno lontano dal fuoco più vivo.

Il forno è quello che più mi avvince, sempre pronto ad infornare cibi, sempre in temperatura! E allora preparare ciambelle e ciambelloni diventa una consuetudine. Le ricette sono quelle del popolo contadino, con quel poco che avevano creavano bontà, seppur semplici. Prodotti facilmente reperibili. I dolci sono immancabili in questo periodo di carnevale, specialmente i dolci fritti e come non gradire la loro fragranza, la loro friabilità. Dolcezza nel panorama delle castagnole, frappe, cenci, tortelli, tagliatelle… e una tira l’altra, non aspettando il domani perché non sarebbero altrettanto piacevoli. Così per Carnevale, nel forno sta cuocendo la ciambella romagnola che non deve mai mancare a fine pasto.

Ingredienti

500 gr di farina 0, 300 gr di zucchero semolato, n 3 uova medie, 100 gr di burro (a pomata) 100 gr strutto, scorza grattugiata di un limone non trattato (solo la parte gialla) un pizzico di sale, bustina di lievito per dolci.

Svolgimento

Si impastano tutti gli ingredienti partendo dalla farina, sulla spianatoia, al centro uova zucchero, burro, strutto, scorza di limone e lievito. Risulterà un impasto malleabile, aiutarsi con le mani si forma una ciambella allungata, da adagiare su carta da forno, una manciata di zuccherini bianchi sopra e si inforna. 180 gradi per 35 minuti. Sempre prova stecchino per capire la consistenza e la cottura.

Buona per giorni, a colazione o come base per la “zuppa inglese”, a merenda per essere intinta nel calice di vino. Un Romagna Doc sangiovese, preferito dai romagnoli, alle “azdore” Romagna docg albana versione amabile o passito, magari lo straordinario “Arrocco” di Fattoria Zerbina, con nuance intriganti date dalla muffa nobile.

Ciambellone romagnolo

Ingredienti: 300 gr farina 0, 200 gr zucchero semolato, 100 gr di strutto, 2 uova medie, 200 gr di latte intero, pz di sale, 1 bustina di lievito per dolci (sostituisce il cremor tartaro e bicarbonato). Si inizia sbattendo le uova con lo zucchero in una terrina, poi strutto, il pizzico di sale, farina e lievito. A questa base si può arricchire con ciò che piace, uvetta, canditi, noci, cioccolato; ogni volta un sapore diverso. Si unge bene uno stampo con al centro il buco, strutto e farina, versare l’impasto, livellare, infornate a 180 gradi per 10 minuti poi 170 gradi per 35 minuti.

Ogni qualvolta cerco una ricetta tra foglietti ingialliti, ritrovo sapori e persone che mi portano lontano. l’abbinamento? Romagna Doc spumante versione dolce.

Buon Carnevale!

Team Costa del Cilento: chef Alfonso Ferrigno presenta le sue ricette col pescato del Cilento

Coniugare cucina d’autore con l’esigenze di ristorante all’interno di un Resort di lusso a 5 stelle è un compito che richiede carattere e personalità. Quella riservata e pragmatica di Alfonso Ferrigno, Chef Executive dell’Ambrosia Stylish Restaurant de L’Araba Fenice ad Altavilla Silentina (SA), che in una location a dir poco “onirica”, quasi il mosaico di una scacchiera a marmi policromi bianchi e neri, dispensa colori e sapori nelle sue preparazioni.

Due ricette, due modi opposti di intendere il pescato del Cilento. Nella prima, la terrina di branzino pescato a lenza con zuppetta di crostacei, frutti di mare e alga wakame, rientra il concetto di fusion, di contaminazione tra materie prime d’estrazione eterogenea, legate dal fil rouge del ritorno al mare. L’idea di spingere quasi sui ricordi d’infanzia, quando preparare le terrine (di carne) era un momento di convivialità familiare nei momenti di festa.

Apparentemente più classica e tradizionale la ricetta del risotto con gambero rosso del Cilento, crema di peperoncino di fiume, yuzu e katsuobushi. Le sensazioni agrumate e sapide degli ingredienti orientali in realtà richiamano molto la nostra mentalità di mantecatura del riso, che deve fungere da perfetto amalgama tra le varie componenti del piatto.

Alfonso Ferrigno, associato al Team Costa del Cilento, pone la sua concentrazione proprio sull’equilibrio complessivo, stimolando vivacità e lunghezza al palato e raccontando, con bravura e tecnica, il territorio e le sue mille espressioni gastronomiche.

A Natale un brindisi a tutta Puglia

Piatti tipici e calici di vino che non possono mancare sulle vostre tavole

Natale è davvero alle porte e il tempo per stilare il perfetto menu per pranzo e cena, stringe. In Puglia – e chi vi scrive è piuttosto di parte – ci si sta già dando da fare per rispettare appieno le tradizioni senza alcuna sbavatura. Tra le variazioni sul classico plateau di crudo di mare o sul “sopratavola” fatto di cruditè di verdure, senza farsi mancare i dolcetti fritti o di pasta di mandorla in ogni declinazione, da Nord a Sud andiamo alla scoperta di tutta la tipicità del buon mangiare e di abbinamenti “enoici” 100% pugliesi per festeggiare davvero al meglio.

Fritto e bollicine

Che Natale è senza la frittura? Certamente non il tipico Natale pugliese! Sulle tavole del tacco d’Italia dall’8 dicembre fino all’Epifania non possono e non devono mai mancare le frittelle di pasta cresciuta. Focaccine, pettole, scorpelle, tutte gustose declinazioni che “aprono lo stomaco” prima di grandi battaglie a tavola. Le frittelle, rigorosamente vuote o al massimo aromatizzate al pomodoro o al rosmarino, sono perfette sempre e si accompagnano con una bollicina, magari a km zero. Tra le referenze che abbiamo amato di più e a cui non vogliamo rinunciare, c’è il metodo classico da Bombino Bianco.

Un vitigno autoctono, ben radicato in Capitanata foggiana e lavorato finemente a San Severo, dove la tradizione spumantistica è storica. Una referenza raffinata, che mette tutti d’accordo in tavola la firma D’Araprì – RN spumante da Bombino Bianco che nasce da una prima fermentazione in tonneaux, svolge una permanenza sur lie, senza farsi mancare ripetuti bâtonnage. L’affinamento sui lieviti  e bottiglia poi, va avanti per 36 mesi. Accompagna egregiamente un aperitivo festoso tutto pugliese, a cui si aggiunge sempre qualcosa in più prima di passare davvero al pezzo forte.

Quando si va di bianco

La natura contadina di Puglia è sempre ben nota, ma tra le ricette che non devono assolutamente mancare per il 26 dicembre, il detox day per intenderci, è la minestra di verdure o la cosiddetta fògghja mìsche. Uno sformato di verdure di stagione ripassate in forno, condito con brodo e con un po’ di carne sfilacciata, il tutto tenuto insieme da mozzarella e formaggio grattugiato. Una teglia che arriva in tavola trionfante e si accompagna con focaccine fritte da riempire semppre con la verdura o con un po’ di pane. Un piatto che simboleggia in pieno il detto “Natale al pomodoro, Santo Stefano in brodo”.

Il perché sta nella riscoperta della tradizione, o anche nell’illusione che mangiare verdura, in qualche modo, serva per alleggerirsi dai troppi sensi di colpa di precedenti pranzi. Ma cosa scegliere in abbinamento? La Falanghina in regione sta riscoprendo la sua stagione felice e quella Cortecampana di D’Alfonso del Sordo è un ottimo compromesso per chi cerca un vino di carattere, perfetto per reggere piatti di questa portata, frittura compresa.

Vigilia al sugo

La vigilia è pesce, certo, ma un piatto di pasta bisogna pure mangiarlo, meglio se al sugo. Allora ecco trionfare il baccalà al pomodoro da servire con le amate lagane, un tipo di pasta che ben si presta a trattenere il saporito sugo di pesce. Da Nord a Sud questo è un piatto trasversale, che piace a tutti ed è piuttosto semplice da preparare. Bastano un po’ di sponsali, pomodori, baccalà già spinato e una padella pronta a fare faville. In qualche minuto il sugo è già pronto per tuffarci dentro le lagane da risottare e da portare a tavola.

Si presta bene per terminare quest’impresa un rosato da Bombino Nero e con quel po’ di Nero di Troia quanto basta. Direttamente da Castel del Monte è indicato per i suoi sentori non scontati, freschi e fragranti, con dei ricordi di frutta di bosco. Fiore di Ribes di Cantina Santa Lucia è un’espressione di Puglia di cui proprio non si può fare a meno, nemmeno per le feste.

Non è Natale senza dolcetti

Il periodo che precede il 25 Dicembre in Puglia è tutto un fabbricare dolci di ogni misura e gusto, per i più piccoli, ma anche per gli adulti golosi. Tra i grandi classici a base di mandorle spiccano i sasamelli. Tipici della piccola Gravina in Puglia, hanno saputo conquistare proprio tutti per il sapore inconfondibile che ci fa dire subito “Ora è Natale”. Preparati con mandorle tritate, rigorosamente di Toritto, farina, cacao amaro, cannella vin cotto, chiodi di garofano e olio evo, chiudono in bellezza il pranzo delle feste.

Per accompagnarli il Primitivo di Manduria Dolce Naturale è la giusta scelta e fa sempre bella figura. Il suo livello di zucchero non è mai troppo invadente o stucchevole, in grande equilibrio con tannicità e acidità. Il Chicca di Varvaglione 1921, sposa perfettamente l’atmosfera avvolgente del Natale con tutti i suoi profumi.

Mai dire no al panettone

Se il panettone non è figlio della tradizione di Puglia, bisogna dire che molte cose sono cambiate e le tavole di casa, ormai, si sono aperte alle declinazioni più fantasiose del gran lievitato milanese. Sono molti i mastri panificatori che in questi anni si sono cimentati a trovare la ricetta del panettone pugliese per eccellenza, ma Eustachio Sapone ha trovato la formula perfetta con il suo Pugliettone. Realizzato interamente con ingredienti regionali, omaggia la regione così, arrivando in tavola con un concept ben definito. “Arancia candita del Golfo di Taranto, finocchietto selvatico e odori della Murgia, Burro di Turi, fichi dottati del Salento e la tipica glassa realizzata con le mandorle di Toritto.

Una cottura in contenitore d’argilla con dei fori praticati per liberare il vapore in eccesso durante la cottura”. Una formula semplice, però di sostanza. Inutile dire che è un’armonia di sapori che piacerà anche agli haters del candito. Il Moscato di Trani è la scelta per eccellenza, con le sue inconfondibili note fruttate che ricordano gli agrumi canditi e che vanno a intersecarsi perfettamente con le arance tarantine e la mandorla di Toritto utilizzata per il topping del Pugliettone. Un abbinamento ben riuscito, quello del Moscato di Trani di Villa Schinosa, in ogni singolo dettaglio.

Buone Feste a tutti e che Natale pugliese sia!

Buona Zuppetta a tutti! In Puglia a San Severo il Natale inizia così…

Natale sta arrivando ed è il momento di mettersi comodi per studiare a puntino il menu da proporre. Se ai grandi classici delle feste ormai triti e ritriti, preferiamo puntare su qualcosa di veramente insolito, dal gusto caratteristico e storico, dobbiamo scavare nelle nostre radici. Oggi, vi portiamo con 20Italie ai piedi del maestoso Gargano, precisamente a San Severo in provincia di Foggia.

Una terra da sempre legata all’agricoltura e al latifondismo, la San Severo del Natale si racconta a tavola con la Zuppetta. Un piatto all’apparenza semplice, eppure cruccio di tutti i veri cultori della gastronomia. Il piatto – ad alto contenuto di lattosio va detto per gli intolleranti – è una sorta di carta d’identità dell’essere figli di questi luoghi. Con Alfredo Mennelli, volto della gastronomia cittadina “Da Alfredo”, abbiamo scoperto tutti i segreti che si celano dietro la preparazione di questo maestoso piatto. Non mancherà, per i wine lovers, uno speciale abbinamento a base di bollicine, tutto festoso.

La storia

In principio era il pancotto. Si, perché la paga di un contadino, nella migliore delle ipotesi, era pane e verdure, che mescolate insieme riuscivano a mandare avanti una famiglia anche per più giorni. Ma i caporali, i cosiddetti capoccia, cosa mangiavano? Grado maggiore vuol dire ricompensa maggiore, allora il loro pancotto si arricchiva di proteine come formaggio e carne. Ed è così che nasce la Zuppetta di San Severo, da una ricca ricompensa. “Unendo il formaggio ecco la zuppetta, il pancotto dei ricchi. Una ricetta all’apparenza facile che mette insieme il pane di grani antichi, scamorza, caciocavallo podolico e tacchino, tutto ciò che i contadini potevano solo sognare”. A dircelo è proprio Alfredo.

La Zuppetta, con gli anni, si è guadagnata il titolo di piatto tipico natalizio perché c’è bisogno di tempo nella preparazione e perché è un piatto che mette a dura prova le massaie. Ma nessuno può farne a meno sulle grandi tavole addobbate a festa. Alfredo, che ha condotto una ricetta proprio analitica sul piatto, ha scoperto ogni suo segreto in modo da creare, assieme ad altri sanseveresi una sorta di disciplinare etico da rispettare. Le fonti, quelle dirette e autentiche, provengono dalla saggezza e dai ricordi degli anziani del paese. “Il tacchino deve essere necessariamente nostrano, grasso e allevato in masseria, perché altrimenti la resa in termini di sapore è diversa. Con le parti migliori, ossa e pelle comprese, bisogna preparare il brodo da cuocere lentamente almeno per tre ore. Chiodi di garofano, alloro, sedano carote, zucchine, tutti sapori semplici ma autentici. Questo composto unito alla carne successivamente sfilacciata, saranno la preziosa essenza del sapore della zuppetta. A ciò dobbiamo aggiungere il caciocavallo podolico garganico, scamorza stagionata e il pane tagliato a fette spesse e bruscato, strato per strato” – continua Alfredo – “Per completare la ricetta ci deve essere anche una punta di cannella, che resta comunque facoltativa in base ai propri gusti”.

La tradizione della Zuppetta resta e si tramanda da generazione in generazione. Custodirla al meglio però, si può ed è per questo che è necessario preservarne la ricetta originale. Ma quale futuro c’è per questo piatto ce lo dice Alfredo Mennelli “Da tanti anni si sta ragionando sulla creazione di un gruppo che ne preservi l’integrità del piatto. Proprio in questi giorni è tornata l’idea di formare una sorta di Confraternita della Zuppetta con un gruppo di sanseveresi innamorati del piatto. Non manca anche la possibilità di inserire il piatto tra i presidi Slow Food”.

La preparazione

La Zuppetta può definirsi una lasagna d’altri tempi perché è tutta una questione di strati. Si inizia dalle fette di pane, adagiate in una comoda teglia rettangolare con un fondo di brodo di tacchino. Cospargere, quindi, con carne, scamorza, mozzarella sfilacciata caciocavallo a fette e ripetiamo, fino a riempire la teglia in altezza. Una volta completato il tutto si va dritti in forno per mezz’ora a 180 gradi per rendere lo sformato filante e dorato e se la parte superiore sembra seccarsi nessun problema, aggiungendo il brodo tutto si inumidirà come da tradizione.

La proposta vino

Il momento fatidico è arrivato: cosa abbinare ad una ricetta di ottima complessità organolettica? Sicuramente ciò che serve è potenza e pulizia al palato, ma per i più romantici anche quella nota di territorio con un prodotto local a chilometro zero non può mancare. Ecco perché questo piatto – che per i sanseveresi è quasi una religione – va abbinato a qualcosa che parli di “casa”. In una terra in cui le bollicine sono il biglietto da visita per finezza e unicità, la nostra scelta va sull’azienda Pisan Battel. L’etichetta nata dal pensiero di Antonio Pisante e Leonardo Battello, è un omaggio all’autoctono, ma anche all’evoluzione della bollicina sanseverese, biglietto da visita di questa città e di questa terra quasi di confine. Per la Zuppetta abbiamo scelto il Metodo Classico Brut da Bombino Bianco da 24 mesi sui lieviti: gli aromi raffinati al naso e un palato audace reggono alla grande la succulenza e untuosità della Zuppetta. Morso dopo morso, sorso dopo sorso, senza troppi pensieri. Perché in fondo, la tavola delle feste deve essere armoniosa, leggera, frizzante. Proprio come ciò che ci aspetta al calice.

Buona Zuppetta di San Severo a tutti voi!


La mia idea di sfoglia a mano ed i suoi molteplici usi in cucina

La Romagna è una terra di mezzo, ed è inevitabile attraversarla e fermarsi. Chi non ha mai assaggiato un piatto di pasta fresca fatta in casa o sentito e letto di Pellegrino Artusi?
Lui, romagnolo doc nato a Forlimpopoli, letterato e gastronomo, autore del libro “la scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. La sfoglia, regina della cucina romagnola, in passato era una certezza di un pasto caldo, forse l’unico tipico di ogni famiglia.

Saperla tirare a mano, può sembrare strano, era una buona dote di ogni futura sposa. Compito della ‘zdora, la donna più anziana della casa, tramandare quest’arte alle fanciulle. La zuppa preparata con quel che c’era ha lasciato poi il posto alle minestre: da noi, in bassa Romagna per minestre si intendono sia paste in brodo che asciutte. Come si sa questa terra è piena di campanili ed ognuno ha il suo suono, così come le ricette di casa, aggiustate di sapore, utilizzando il meglio disponibile.

Ma con il boom economico avviene il passaggio a piatti più ricchi, quali paste asciutte con ragù importanti di carne o pesce. Quella parte di anima romagnola che è in me continua grazie alla mia nonna paterna, che quotidianamente, china sul tagliere, impastava farina e uova, ricavandone un disco sottile, giallo, rotondo come il sole. Sapientemente tagliato nascevano tagliatelle, tagliolini, pappardelle, quadretti, maltagliati, reginelle, pestini e monfettini. Le mani pizzicavano la pasta che si trasformava in farfalle, garganelli, strichetti o cappelletti finti. Quando era possibile avere ricotta fresca, parmigiano reggiano, patate e zucca o spinaci, si preparavano vere prelibatezze: tortelli, cappelletti, sfoja lorda e le immancabili tagliatelle.

Artusi cita il detto “conti corti e tagliatelle lunghe” a dimostrare che la padrona di casa aveva saputo impastare una massa importante di uova e farina per una grande sfoglia. Il mio impastare è un rito antico carico di ricordi. Dopo aver impastato si lascia riposare la massa omogenea per rilassare la maglia del glutine. Poi si tira la pasta che non vuol significare lanciarla come a volte mi sono sentita dire scherzando… Lo strumento da utilizzare è il mattarello (forse dal latino mateola ovvero mazza) che serve per distendere e assottigliare l’impasto. Era lo scettro dell’azdora, regina del focolare, colonna portante della famiglia che aveva a cuore il buon andamento, anche economico, del parentado.

Oggi la cucina non è solo nutrimento o tradizione; è arte, fantasia, oltre alla ricerca della materia prima, ed è soprattutto accostamento di sapori in armonia. Insomma il piacere del gusto! Un piccolo segreto del mestiere? Provate ad aggiungere all’impasto finale delle erbe aromatiche, dei fiori eduli, spezie e quel che serve a dare colore. Anche l’occhio vuole la sua parte.