Via Roma 15, Barolo (CN)
Bartolo Mascarello, tra le cantine pilastro di sua Maestà Barolo, si trova proprio dietro il portone di una casa qualsiasi. Una di quelle case in cui si nasce e si muore, in cui si conservano fatti e memorie, una di quelle case che ti fanno chiudere gli occhi per immaginare cosa doveva esserci qui intorno un centinaio di anni fa, molto prima che le piole diventassero osterie glamour, quando le colline di Langa erano percorse a piedi solo da contadini e non da turisti alla ricerca di un selfie scenico tra filari di vite.
La Storia
Al tempo in cui Giulio Mascarello rientrò dalla Grande Guerra: “Nel 1919 mi congedano. Arrivo ad Alba con due soldi, mi faccio portare da un break fino a Gallo, poi proseguo a piedi verso Barolo. A sentire quel profumo di fieno rinasco. Entro in casa, stanno scodellando un minestrone delizioso. Mi dico: “Barolo è ancora il posto migliore che esiste al mondo”. Decido di restare a Barolo per sempre, divento un produttore di vini” (tratto dal libro “Il mondo dei vinti” di Nuto Revelli edizioni Einaudi).
Nasce la Cantina Mascarello, quella che oggi porta il nome del figlio di Giulio, Bartolo, e Maria Teresa; la nipote prosegue l’opera rimanendo fedele a un’idea di Barolo radicata in questa casa, come il piede di vite che ci accoglie nella corte: saldamente piantato a terra, aggrappato alla ringhiera del balcone, ramificato verso il cielo.
Sarebbe riduttivo parlare di questa minuscola realtà produttiva – e in particolare della figura di Bartolo – solo in relazione alla rivoluzione dei Barolo Boys che una quarantina di anni fa scosse dalle fondamenta la cattedrale di tutti i vini italiani. La barrique venne preferita alla tradizionale botte grande, con tempi di macerazione più brevi e maggior concentrazione di sapori e profumi. L’essenza della cantina Bartolo Mascarello si traduce, invece, nell’espressione usata da Emanuele Jorio, “Fieramente piccoli, fieramente tradizionalisti”, caposaldo indiscusso di un certo modo di pensare il vino, non quale sterile resistenza a qualsivoglia innovazione.
È proprio Emanuele Jorio, collaboratore da sempre della famiglia, a guidare la nostra visita in cantina, che inizia da un tour virtuale dei 5 ettari di proprietà: solo uno in più rispetto ai 4 originari, acquisito dopo gli anni ‘30 del secolo scorso, quando Giulio non era ormai più da tempo un semplice conferitore di uve, ma un produttore di vini. I cinque ettari sono divisi tra cinque diverse MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive), quattro nel comune di Barolo, una nel comune di La Morra: San Lorenzo – Ruè – Cannubi – Monrobiolo di Bussia – Rocche dell’Annunziata. Una produzione totale che non supera le trentacinquemila bottiglie annue, delle quali diciottomila di Barolo, le restanti suddivise tra Langhe Nebbiolo, Dolcetto, Barbera, Freisa.
“Facciamo un solo Barolo, da 104 anni”, ci racconta Emanuele. Niente Cru, niente esaltazioni di singole vigne, ma blend di uve provenienti da più MGA. “Il Barolo storicamente era concepito come un incontro di vini”. Caratteristica che in epoca di cambiamenti climatici rappresenta un punto di forza: “Settant’anni fa si conosceva benissimo quali erano le posizioni delle vigne, senza bisogno delle MGA e si usava la filosofia di far incontrare più vini per ottenere equilibrio”. Solo in questo modo è possibile esprimere coralmente il territorio. A questo proposito, la cantina opera la co-fermentazione delle uve, resa possibile dal fatto che le varie parcelle di vigna, trovandosi in posizioni abbastanza vicine le une alle altre, giungono a maturazione quasi contemporaneamente. Questa pratica prevede il riempimento graduale delle vasche di fermentazione con uva quanto più possibile integra (in cantina successivamente alla selezione si usa solo la diraspatrice), man mano che le singole vigne vengono vendemmiate. Il successivo blend fa in modo che i diversi caratteri dei vigneti singoli si integrino al meglio, valorizzandosi l’un l’altro.
Entriamo quindi nei locali di fermentazione: prima dell’affiancamento di Bartolo a Giulio nella conduzione dell’azienda, avvenuto subito dopo la guerra, qui c’era una stalla. La trasformazione nei locali dove avviene la fermentazione delle uve è stato l’ultimo intervento strutturale rispetto alla conformazione originaria della casa-cantina, contestuale all’acquisto delle cinque vasche in cemento ancora in uso. L’impiego dell’acciaio non è contemplato, se non per brevissimi passaggi delle masse di vino, durante le varie fasi della vinificazione. Dolcetto, Langhe Nebbiolo, Freisa e Barbera, fermentano in cemento, per il nebbiolo da Barolo invece si utilizzano sia tini in legno che vasche in cemento. Durante questa fase si operano esclusivamente rimontaggi e a fine fermentazione il nebbiolo da Barolo subisce un’ulteriore fase di macerazione post fermentativa, a cappello sommerso o a rimontaggi, di durata variabile.
Poi solo botte grande
Le botti di rovere di slavonia di diverso passaggio vanno dai 20 ai 50 ettolitri. Lo stile del Barolo di Mascarello non ricerca dal legno aromi particolari, ma soltanto la micro ossigenazione necessaria al vino per il suo armonico sviluppo. Il nebbiolo atto a diventare Barolo riposa qui per non meno di 34 mesi e prima di terminare il suo affinamento in bottiglia, dove rimane un anno, viene nuovamente ricostituito in un’unica massa in vasca di cemento.
Anche gli altri i vini della cantina Mascarello, dopo la fermentazione, prevedono un periodo di sosta in legno grande non inferiore ai 9-10 mesi, compreso il redivivo Dolcetto. Questo varietà autoctona piemontese, che talora ha smarrito la propria identità, viene troppo spesso relegato in porzioni di vigna meno favorevoli per far spazio al blasonato Nebbiolo. Chi ha scelto questa strada è stato dunque costretto a interventi drastici in cantina – come l’utilizzo esclusivo dell’acciaio e l’imbottigliamento a cinque mesi dalla vendemmia – che a lungo andare ne hanno snaturato il carattere. Ma non qui, dove le viti hanno mantenuto la loro posizione originaria e la vinificazione avviene secondo tecniche tradizionali.
Terminiamo la nostra visita in cantina nella riserva di famiglia, dove vengono conservate le annate storiche a partire dagli anni quaranta, comprese le bottiglie con le etichette disegnate a mano da Bartolo, quando la malattia lo aveva definitivamente costretto lontano dalla vigna. “Questa cantina è parte integrante della casa”, conclude Emanuele “quando abbiamo fatto i locali nuovi, avremmo potuto trasferirla, ma non l’abbiamo fatto: 104 vendemmie sono passate di qua. Non so spiegarlo in maniera razionale, ma anche questo fa parte della nostra idea di vino”.
E come avrebbe potuto essere diversamente? Ci troviamo sotto il corpo principale della casa dove sono nati Giulio e Bartolo, proprio dove affonda le radici quel piede di vite che ci ha accolto al nostro arrivo.
Perché il vino è la radice di questa casa e questa casa è la radice del vino.
La Degustazione
Freisa 2021
La Freisa è probabilmente originaria delle colline torinesi. Nelle langhe del Barolo è vinificata da una decina di cantine storiche per un totale di 22 ettari su 2800 complessivi vitati. Esiste una parentela col nebbiolo sotto il profilo dell’acidità e del tannino, mentre dal punto di vista olfattivo è più rustica.
La 2021 è stata imbottigliata nell’estate 2022 dopo 9 mesi di legno e un anno di bottiglia.
Il naso urla immediatamente frutta! Lampone, ciliegia e arancia, che ritornano come caramella gelée dopo il sorso. In bocca è una lama affilata, rinfresca quasi fino a bruciare le gengive, diventando immediatamente pieno e saporito. Infine asciuga in maniera indiscutibile. Al coup de nez ritorna la prugna.
Barbera 2021
La vecchia vigna di Barbera del Cru San Lorenzo è stata espiantata nel 2020 a causa della flavescenza dorata. Maria Teresa l’ha reimpiantata nel 2022, ma nel frattempo, e fino al 2026, le uve per ottenere questo vino sono acquisite da produttori nella zona di Barbaresco, con cui c’è condivisione di idee di conduzione e pratiche biologiche in vigna. La Barbera di casa Mascarello può fare macerazione sulle bucce a fine fermentazione. Bassa in tannino, tra le sue caratteristiche annovera la freschezza vivace, elemento portante per un vitigno che ama il caldo.
Il naso è scuro di more di rovo; seguono prugna, arancia bionda e un accenno di spezie dolci.
Al sorso la freschezza è un nerbo vibrante, che evidenzia immediatamente il contrasto tra naso e bocca, per poi distendersi fino a diventare succosa.
Barolo 2019
La 2019 è stata un’annata fresca o per lo meno più regolare, senza picchi di calore estremo, rispetto alle quattro successive. Ultima annata in cui manca la vigna San Lorenzo, la vendemmia è stata fatta nella seconda settimana di ottobre, con macerazione post fermentativa per rimontaggi.
Elegante sin dal colore rubino scarico tipico del Nebbiolo, al naso è un susseguirsi dinamico di rimandi olfattivi, che partono dalla salamoia salata, al goudron, alle note viniliche per poi aprirsi maestoso sui fiori scuri, arancia dolce, anice stellato e accenni di polvere di cacao.
In bocca entra in punta di piedi per poi distendersi completamente sulla scia di un tannino delicato ma presente e chiudere su un finale di zenzero e arancia. Bello sin da ora, sicuramente destinato ad una lunghissima evoluzione.
Bartolo Mascarello
Via Roma, 15
Barolo (CN)