La “Reginella” antico vitigno autoctono del golfo di Policastro

Uno degli aspetti più̀ singolari della viticoltura e dell’enologia della Campania sta nella sua ricchezza di varietà̀ di viti, di modi di coltivazione, di vini differenti sebbene prodotti in aree geografiche vicinissime. Un patrimonio ampelografico straordinario, formatosi e conservatosi in quasi tre millenni grazie, prima di tutto, alla posizione strategica della regione nel bacino mediterraneo.

In ogni zona del territorio campano è possibile imbattersi in decine di varietà, cloni, biotipi, diffusi solo localmente e magari conosciuti con termini dialettali. I vignaioli da sempre credono fermamente nel valore storico e qualitativo delle loro cultivar tradizionali, mantenendo decisamente marginale l’impianto degli “internazionali”.

Il Cilento, il territorio più a sud della Regione, di origine diversa rispetto ai più noti distretti campani, non si discosta da questa ricchezza ampelografica. Terra di contadini e patria della dieta mediterranea, ospita vari vitigni autoctoni da tempi remoti, sia a bacca bianca (Bianca A Cuore, Rodiana Bianca, Iuvina, Santa Sofia, Vesparedda, Chiapparone) che a bacca nera (Aglianichello, Aglianicone, Arenaccia, Armonera, Mangiaguerra, Moscatello, Nera Lasca, Primitivo, Rodiana Nera, Tintore, Uva Puzo).

Il suo suolo è noto come Flysch cilentano, alcalino e forte, perfetto per l’allevamento della vite. Si è formato dal mare, con rocce sedimentarie di limo e sabbia spesso venate da una rete di formazione minerale. Il terreno in superficie, uno strato sottile di argilla, assorbe la pioggia primaverile e la restituisce alle viti nelle estati secche. Il suolo cilentano integra l’acidità con una grande presenza salina, conferendo alle uve una personalità unica. Il clima mediterraneo poi mitiga il rigore dell’inverno ma anche le torride estati con una costante brezza marina favorendo maturazioni omogenee e anticipate. Queste caratteristiche uniche del suolo cilentano e del clima contribuiscono a creare vini di alta qualità con una personalità distintiva.

Ogni vino del Cilento racconta la propria storia, la storia di chi l’ha reso tale, una storia che rimanda a tradizioni antiche, tramandate da generazioni in generazioni. A questa tradizione, nel golfo di Policastro, appartiene un vitigno antichissimo, la “Reginella”, di recente tornato alla ribalta in quanto assieme alla “Racina Piccola” è stato finalmente iscritto al registro nazionale delle varietà̀ e dei cloni di vite dal Ministro dell’Agricoltura (GU n° 273 del 22 novembre 2023). Nella categoria dei vitigni ad uve da vino, la Reginella (o Buxentum) è registrato con il codice 996 (la Racina Piccola con il numero 997).

Le origini sono antichissime, si perdono nel tempo: risalgono a circa 2500 anni fa quando la vite vinifera chiamata “Aminea” fu introdotta la prima volta nel Golfo di Policastro dal popolo proveniente dall’Eolia (odierna Tessaglia). I custodi di tale vitigno, stabilitisi nei pressi del fiume Sele, si divisero: una parte di essi risalì verso Salerno, Benevento ed il Monte Massico, e un’altra andò a Sud del fiume, dando vita alla civiltà della Magna Grecia. I due gruppi portarono con loro costumi, usi e piante da coltivazione ed i loro vitigni: la Vitis Aminea. Alcune varietà di questi vitigni hanno dato poi origine nell’Ager Falernus, in epoca romana, al “vinum Falernum” già molto amato dagli antichi. A sud del Sele, gli Aminei trovarono il territorio dell’Enotria, terra di vino e dei piantatori di pali (per sostenere i tralci delle viti). Quì la vitis aminea fu ben ospitata e si diffuse fino all’agro bussentino, tramandata nei secoli, per propaggine o per talea, man mano adattandosi alle nuove condizioni pedoclimatiche. Nacque così il nuovo vitigno della Reginella.

Per dovere di cronaca occorre dire che esiste anche una teoria più recente, basata su studi di biologia molecolare, che abbraccia l’ipotesi dell’origine selvatica della pianta. La pianta, nei secoli, già nell’VIII secolo a.C. ai tempi dell’Enotria, sarebbe stata sottoposta dalle popolazioni indigene a fenomeni di domesticazione che hanno poi portato alla nascita di diversi vitigni, tra cui la Reginella che per le sue caratteristiche di vino forte e aspro era particolarmente apprezzato. E così il vitigno sarebbe sbarcato sulle coste greche, espandendosi poi verso il Medio Oriente e il Caucaso, compiendo storicamente il viaggio inverso di quello descritto dalla via classica del vino. In entrambi i casi, parliamo di un percorso lungo 2500 anni o più.

Sono molte le testimoniane della presenza di un vino bussentino in epoche antiche. Nel II-III sec., nei suoi scritti Ateneo racconta del vino del Buxentum (l’odierna Policastro Bussentino) come di “un vino aspro e digestivo simile al vino Albano”. Al tempo dei Romani, i nobili solevano pasteggiare con il “Vinum Buxentinum”.

Nel IV-V secolo Il cilentano Flavio Libio Severo, imperatore dell’impero Romano d’Occidente,ne era un accanito consumatore: la leggenda narra che sia stato avvelenato da una massiccia dose di veleno introdotta in una coppa del suo amato vino. Nel 1478, Ferdinando I d’Aragona diede ordine di acquistare 100 botti di vino di Policastro. Inoltre, sembra che, il papa Paolo IV Carafa, il papa irpino che perseguitò nel 1500 ebrei ed eretici, negli ultimi mesi di vita, vagasse per S. Pietro in preda al suo rimorso bevendo gran quantità di Reginella.

Nel luglio del 1843 la Chiesa estraeva dal Cilento e quindi anche da Policastro 100 botti di vino. A quei tempi, il vino cilentano era un vino aristocratico. A seguito dell’avvento della fillossera, il vitigno del golfo di Policastro divenne invece un vitigno del popolo.

E così è arrivato ai nostri giorni. Il Cilento più volte nella storia enologica ha giocato un ruolo da protagonista. A Moio della Civitella, un piccolo comune dell’interno, è ancora presente oggi una forma di allevamento della vite l’alberello cilentano a tutore secco, assimilata alla vitis pedata descritta da Plinio il Vecchio.

È noto che il Cilento, a partire dall’VIII secolo, è stato percorso da monaci basiliani di origine greco-bizantina ai quali si attribuisce la fondazione di monasteri, divenuti centri di ripopolamento e di messa a coltura di vaste aeree.

In una relazione sulla provincia di Salerno “La Statistica del Regno di Napoli del 1811” viene riportato un giudizio sul vino molto lusinghiero: “in generale la qualità dei vini è si buona, ma quelli del Cilento e con precisione quelli di Pisciotta e San Nicola sono gli ottimi della provincia…”. L’autore conclude con una riflessione, sul “miracolo” di produrre buoni vini, nonostante la mancanza di cure: “[…] È portentoso come vengano buoni mentre non si usa a migliorarli”. Una storia che affascina chiunque ne venga a conoscenza e che fa apprezzare ancora di più il gusto esemplare di un vino tipico cilentano.

Ad oggi, il vitigno è presente maggiormente nel territorio di Policastro dove ha trovato le migliori condizioni pedoclimatiche. Non è molto diffuso. Si ritiene che probabilmente lo stesso clone è impiantato in altri territori cilentani come a Marina di Camerota. E’ opportuno procedere alla sua identificazione nei vari areali.

La pianta della Reginella (nota anche come Buxentinum) non è mai stata innestata su portainnesto americano. È un vitigno piccolo dai tralci esili e flessibili adatti all’allevamento a Guyot (semplice, doppio o a cordone speronato) con gemme non troppo fitte ed un apparato fogliare modesto.

Predilige suoli limosi-sabbiosi leggermente alcalini, ricchi di macronutrienti (azoto, fosforo e potassio). Le radici, non troppo profonde, sembrano non soffrire l’abbondanza di acqua, specialmente nelle stagioni piovose, anzi traggono vantaggio da leggeri allagamenti. La fillossera non ha attecchito le radici del vitigno, che è rimasto a piede franco grazie al ristagno d’acqua di cui la pianta necessita e a cui l’insetto non resiste e grazie alla granulosità presente nei terreni. Il grappolo è spargolo, ramificato e a forma conica. Gli acini sono piccoli e tondi, non troppo distanziati tra loro; ciò consente il passaggio di luce e aria prevenendo la formazione di muffe e miosi e anticipando la maturazione.

La buccia è poco spessa, quasi setosa e ricca di pruina; la polpa non è abbondante ma è molto zuccherina con due vinaccioli responsabili della quota tannica, buona e non molto astringente. La resa in vino è circa del 55% del peso dell’uva. Le gemme germogliano verso fine marzo/inizio aprile; la fioritura avviene nella seconda/terza decade di maggio e l’invaiatura verso fine luglio. La maturazione si completa a settembre inoltrato, momento più adatto alla vendemmia e alla vinificazione.

La cromaticità del succo d’uva Reginella fermentato è un vivace rosso rubino grazie all’abbondante presenza di antociani quali Malvidina, Peonidina, Cianidina, che dopo un periodo di maturazione di almeno 3 anni, vira sulle tonalità del granato. La buccia inoltre ospita un’abbondante varietà di sostanze odorose che regalano al vino sensazioni floreali, minerali e di spezie che si liberano in fase fermentativa. Ha nel suo corredo aromatico il Geraniolo con profumo di rosa e l’Eugeniolo con profumo di chiodi di garofano, e molti altri che riportano anche note fruttate e ad erbe aromatiche.

Un biologo per professione, Vincenzo Latriglia, ma contadino per nascita e passione come lui si definisce, figlio del territorio regno dell’uva regina, per vocazione, per una promessa fatta al padre, per un dovere verso le future generazioni ha intrapreso un lavoro di impianto, moltiplicazione e diffusione delle barbatelle di Reginella. “A rriginella”, come la chiamava il papà di Vincenzo, potrà così essere maggiormente diffusa, impiantata, coltivata e vinificata. È un micromondo di storie, di vigne e di pensieri. È una terra di testarde attese e di cuori resilienti.

L’incontro nel calice della grande Reginella è un momento che difficilmente si dimentica. La degustazione, organizzata dal brigante contadino Mario Notaroberto, che sta aiutando Vincenzo Latriglia nell’individuare la migliore via di maturazione ed affinamento, ha previsto 3 assaggi diversi:

  • Vendemmia 2023 – Blend di Reginella e Malvasia unite ad un blend di Aglianico con Merlot.
    • Un vivace e limpido rosso rubino anticipa il sentore di piccoli frutti rossi, come il lampone, e di rosa canina. Un secondo vortice del bicchiere porta al naso la prugna, la mineralità e un ricordo di pietra bagnata, sentori ulteriormente presenti nelle vie retronasali. Al palato l’impatto del vino è equilibrato, grazie al calore e alla morbidezza che bilanciano verticalità e sapidità elementi essenziali per una lunga maturazione.
  • Vendemmia 2019 – Blend di Reginella maturata per due anni in acciaio mescolata nel 2022 ad un Aglianico del 2021: il Blend è rimasto per 12 mesi in barrique.
    • Il bicchiere accoglie un vino limpido dal bel colore granato con riflessi violacei, i cui sentori di prugna, viola, mora e miele si manifestano alle prime olfazioni. Le vie retronasali amplificano il corredo aromatico con note di caffè, cuoio e tabacco. Al palato il sorso è caldo e morbido, fresco e sapido, ma nel finale denota un tannino che deve ulteriormente levigarsi. L’aglianico sembra emergere sulla Reginella.
  • Vendemmia 2022 – Reginella in purezza:
    • Vitalità è la prima percezione che si manifesta alla vista a cui segue l’incantevole rosso rubino con affascinanti riflessi della luce ogni qualvolta si compie la rotazione del bicchiere. Un’importante consistenza anticipa la struttura complessa del vino.

Dal complesso bouquet si sprigiona un ventaglio di fragranti profumi di frutta di prugna, arancia sanguinella, pesca rossa, amarena sotto spirito, fusi a note di rosa e piccoli fiori rossi, con delicate presenze di pepe nero, cuoio e miele di acacia che lasciano spazio nel finale ad un aroma ematico retronasale.

Appagante al palato, il sorso è pieno, avvolgente e strutturato, quasi masticabile. Si sviluppa un equilibrio perfetto con freschezza e mineralità ben supportate dalla voce calorica e dalla morbidezza. Il tannino presente accompagna il sorso con eleganza verso un finale che ricorda la brezza marina e macchia mediterranea.

Il vino Reginella ha carattere, è attraente, è espressione del territorio. Si distingue nella qualità complessiva e merita di essere tutelato e portato alla conoscenza degli appassionati bevitori. Qualcuno azzarda a definirlo “l’Amarone del Cilento”. Sarebbe un peccato, dopo il riconoscimento ministeriale, interrompere questa tradizione e questo lungo lavoro. Il Cilento, nella veste dei suoi amministratori e del Parco Nazionale, dovrebbe avere maggiormente a cuore il futuro di questo vitigno e giocare un ruolo più incisivo nell’impegno per la sua salvaguardia e diffusione. Intanto si attende nell’immediatezza l’ulteriore passaggio burocratico che prevede l’inserimento di quest’uva nelle liste dei vitigni autoctoni approvati dalla provincia di Salerno.

Questo porterebbe all’inclusione del vitigno nella DOC Cilento ed una sua maggiore tutela. E chissà, le strade potrebbero aprirsi verso l’identificazione di una DOC oppure di una sottozona all’interno della DOC Cilento già presente.

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Silvia De Vita

Persona curiosa e attenta al particolare, i 5 sensi sono sempre stati i miei primi filtri con cui osservo la realtà e raccolgo informazioni sul mondo che mi circonda. Dopo la laurea in CTF, vengo prestata al Food & Beverage per la diagnostica alimentare, esperienza che mi ha consentito di conoscere il mondo lattiero-caseario ed enologico a livello internazionale. È grazie al mio lavoro che ho sviluppato la passione per i viaggi, il vino e la fotografia. Mi piace, attraverso le immagini e le parole, rievocare emozioni, momenti, esperienze che la memoria dei sensi rivive poi nella degustazione. Oggi sono una docente di Tecnologia e un Sommelier, in continua discussione e sempre alla ricerca di viaggi emozionali... di-vini!

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