Esiste sempre un prima e un dopo. Ancor di più pensando alla famiglia Mastroberardino (dal lontano 1800 ad oggi, nessuno escluso). Esiste infatti un’Irpinia con o senza di loro. Da nativo avellinese non posso che pensare ai due cugini, Piero e Paolo, rispettivamente figli di Antonio e Walter, con dolcezza e particolare affetto, per motivazioni e ricordi eterogenei.
Ho sempre visto il primo un degno erede nel ruolo di studioso e propagatore commerciale di vini che hanno reso celebre questo piccolo angolo campano, dalle pronunciate pendenze, ricco di boschi e di natura a tratti ancora incontaminata. Un’Istituzione per chiunque abbia nelle vene tracce di Fiano, Greco, Coda di Volpe e Aglianico clone Taurasi. Il secondo invece, preparatissimo nella gestione agronomica della vigna, la spontaneità fatta persona nel bene e nel male, dato che non te le manda a dire quando sente “castronerie”. E per fortuna! Entrambi i rami di questa meravigliosa famiglia, ormai separata da strade diverse da oltre un trentennio, hanno contribuito e contribuiscono in maniera decisiva alla salvaguardia delle varietà d’uva autoctone irpine, uniti da un sottile filo rosso fatto di cultura, passione, veracità.
A loro andrebbe l’eterna gratitudine di un territorio che cerca da sempre un faro guida, schiacciato tra individualismi, dispettucci puerili e posizioni estreme inutili e dannose. Le nuove leve, abituate ad un contesto comunicativo completamente diverso dai genitori, apportano già linfa vitale e lunga prospettiva, a patto di riuscire a mantenere saldo il “capo in mano”, senza l’intervento invasivo e la stretta sorveglianza dei grandi vecchi. La saggezza non sempre si lega al pragmatismo.
Annosa questione che in Irpinia, dove non mancano certo spirito imprenditoriale e possibilità economiche, non ti aspetteresti: il problema del corretto passaggio di poteri generazionale. Infine, last but not least, la presenza influente dei grandi imbottigliatori, attenti unicamente ai bilanci societari in attivo, e di aziende nate sotto altri profili lanciatesi poi nel complicato settore vitivinicolo, dove non basta una bella etichetta a fare il monaco (e neanche il vino). Risultato? Potenziale tutt’ora parzialmente inespresso, confusione di stili e prezzi ampiamente sotto il valore reale per molti prodotti di qualità.
In tale scenario contemporaneo, intitolare una piazza del comune di Taurasi ad Antonio Mastroberardino, Cavaliere al Merito del Lavoro, alla presenza delle Autorità, è un segnale di speranza e fiducia per il prossimo futuro. Ci si aspettava, e lo dico da cronista appassionato, un’attenzione differente da alcuni operatori del settore. Non certo dagli organi della stampa accorsi in massa all’evento, testimoni di un passato difficile dove negli scarsi numeri si trovava comunque unità, rispetto e condivisione d’intenti.
Piero Mastroberardino non nasconde le emozioni palpitanti ai microfoni di 20Italie, complice anche il riconoscimento del suo Taurasi Riserva 2016 Radici nella top five wines of the world di Wine Spectator. Francamente facciamo fatica anche noi a farlo; il resto sono polemiche sterili e parole al vento, comprese quelle del sottoscritto, che nulla aggiungono al quadro d’insieme. I fatti contano e allora mi chiedo: perché non tramutare anche in Irpinia l’assunto del Gattopardo “se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi” nella splendida aria conclusiva del Guglielmo Tell di Rossini “tutto cangia il ciel s’abella”?