N.d.r. pubblichiamo con piacere l’articolo di Stefano Viscogliosi, su un territorio visitato di recente e pieno di magia e mistero come Isola del Liri (link Castello Viscogliosi presenta l’evento CastelWine e le due etichette prodotte in Toscana). La storia è sempre maestra di vita.
“Sollecitato dall’amico Luca Matarazzo a raccontare un episodio della mia famiglia risalente a cavallo del cambio di secolo tra il 1700 ed il 1800, mi sono accinto a scrivere delle brevi note su quanto accaduto in quegli anni difficili e tormentati e come reagirono coloro che ci hanno preceduti, lasciandoci una lezione di civiltà in un momento travagliato e violento, lezione che andrebbe ricordata e non dimenticata.
I fatti si svolsero nel paese di Isola del Liri, all’epoca denominata Isola di Sora, sita attualmente nel Lazio meridionale, ma al tempo facente parte del Regno di Napoli, (circa 3km dal confine con l’allora Stato Pontificio). Isola del Liri, come indicato dal nome, (d’ora in avanti semplicemente Isola, anche nel rispetto della lingua locale per la quale è indicata come L’Isera, cioè l’Isola) è un’isola fluviale, formata appunto dal fiume Liri (nella parte finale assume il nome di Garigliano). Quest’isola ha la particolarità di essere formata da due cascate di circa 30 metri di altezza; sulla biforcazione del fiume, prima del salto delle cascate, sorge una rocca, poi trasformata in palazzo e residenza dai Principi Boncompagni Ludovisi, feudatari del Ducato di Sora. E’ possibile avere un’idea del posto a quei tempi, prima che la crescita urbanistica nascondesse alcune particolarità, da quanto riportato nell’etichetta dei vini del castello, ove compare un particolare della pianta del paese alla fine del 1700, cioè proprio coeva al racconto.
Il luogo è di una bellezza ed interesse naturalistico notevole ed è stato più volte rappresentato in dipinti presenti in diversi musei, tra cui anche il Louvre, collocato sulla direttrice tra Roma e Napoli. Questa sua collocazione geografica e la particolarità del posto hanno fatto sì che più volte il paesaggio del castello sulle cascate fosse rappresentato nelle stampe dei viaggatori del Grand Tour di fine 1700 e metà 1800, proprio perché ne rappresentava una tappa in qualche modo obbligata dei viaggatori che da Roma si recavano a Napoli, passando poi per Montecassino, Capua ecc. (e viceversa). Un luogo dunque di “passaggio obbligato”, quale è la Valle del Liri, che ha purtroppo avuto anche conseguenze negative in periodi di avvenimenti bellici, l’ultimo dei quali legato al fronte di Cassino nel 1944.
Ma torniamo ai fatti: ci troviamo negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione francese; il 31 agosto del 1796 Il ducato di Sora, come entità feudale o (per meglio dire Stato feudale), aveva cessato di esistere, riunito alla diretta amministrazione dello stato centrale borbonico. Conseguentemente il Castello dei Principi Boncompagni Ludovisi era stato acquisito al Regio Demanio.
Il Sovrano del tempo, peraltro stretto parente della deposta dinastia borbonica francese[1], si schierò ovviamente, come tutte le monarchie del tempo, contro la Francia rivoluzionaria e ciò determinò una prima spedizione dell’esercito francese sia a Roma che poi a Napoli, con la proclamazione delle rispettive repubbliche liberali e filofrancesi. A seguito della formazione della seconda coalizione anti francese, tra Austria e Russia durante la campagna di Egitto, fu necessario richiamare al Nord Italia le armate presenti al Sud ed in particolare a Napoli, sia per necessità di avere forze sufficienti per difesa, sia per evitare che fossero tagliate fuori dagli eserciti della coalizione e colpite dai movimenti di resistenza filoborbonici, particolarmente agguerriti.
Fu così che in ambito generale di ripiegamento dell’esercito repubblicano francese, dopo brevi scaramucce con le avanguardie, conclusesi con successo da parte dei difensori della guardia civica locale, fortificatasi nel Castello e nell’isola, il giorno 12 maggio 1799 si presentò una colonna dell’esercito francese, formata da circa 13.000 uomini chiedendo il libero passaggio per lo Stato Pontificio. La guarigione locale, probabilmente esaltata dagli esiti positivi dei precedenti scontri, confidando nell’arrivo di rinforzi dalle guarnigioni dei paesi vicini ed evidentemente sottostimando le forze avversarie, si rifiutò di concedere il passaggio all’esercito francese, accogliendo a fucilate i messaggeri inviati.
Sembra che in tale contesto fosse rimasta ferita anche la moglie del generale francese Oliver che non prese bene tale accadimento, con la conseguente decisione di andare ben oltre le iniziali richieste. Piazzati i cannoni sulle alture circostanti iniziò un bombardamento cui non vi poteva essere opposta la fucileria della piccola guarnigione della milizia del posto; ancora oggi si possono vedere sulla torre del castello, dove era concentrata la resistenza, gli effetti delle cannonate francesi e sono anche conservate palle di cannone rinvenute nel corso dei successivi restauri.
In breve, le truppe francesi dopo aver abbattuto a colpi di cannone le porte di accesso, invasero l’abitato, dal quale i cittadini non potevano più allontanarsi, avendo i difensori precedentemente demolito i ponti di attraversamento del fiume Liri[2]; restava loro un unico rifugio convenzionalmente ritenuto inviolabile, quali erano le chiese, dentro le quali vigeva una sorta di diritto di asilo e di impunità, risalente al medioevo. L’esercito rivoluzionario francese, nemico giurato della nobiltà e del clero, evidentemente non ritenne di rispettare l’antica regola e sterminò tutti coloro che si erano rifugiati nella chiesa di San Lorenzo, compresi donne e bambini, in un numero di 350 . Altre uccisioni vi furono nelle abitazioni, in quanto tutto l’abitato, comprensivo degli edifici religiosi, fu sottoposto a saccheggio e devastazione per due giorni. Dalle cronache del tempo si ha notizia di uccisioni di 600 cittadini su di una popolazione censita di un migliaio di abitanti. Dopo alcuni mesi i superstiti ritornarono ad Isola e iniziarono la ricostruzione dopo aver dato sepoltura alle vittime e riconsacrato gli edifici di culto.
Passarono gli anni e la Francia vide il passaggio dal regime giacobino a quello imperiale di Napoleone, il quale in una successiva campagna d’Italia riconquistò nuovamente l’Italia ed il Regno di Napoli, dove non fu più insediata una forma repubblicana di governo locale, ma semplicemente insediate delle monarchie di stampo borghese, affidate ai familiari dell’imperatore e come tali filofrancesi. In tale contesto nel 1809 divenne Re di Napoli il cognato di Napoleone, nella persona di Gioacchino Murat, il quale, seppure fosse principalmente un valente generale e pertanto interessato più a questioni militari che di amministrazione, volle prendersi cura del suo nuovo regno , sottraendolo al ruolo di stato vassallo della Francia, come sarebbe stato nelle intenzioni di Napoleone, dotandolo di una sua autonomia economica. I territori dell’ex ducato di Sora rappresentavano uno dei siti di produzione dei tessuti del Regno di Napoli, in particolare delle lane (provenienti dai monti del vicino Abruzzo – all’epoca indicati come Abruzzi), lavorate mediante telai manuali nella vicina città di Arpino. Murat volle ammodernare e potenziare la produzione industriale del suo Regno e per realizzare le sue intenzioni, volle chiamare dalla Francia imprenditori del settore che affinché introducessero le innovazioni tecnologiche necessarie.
Limitando il racconto agli avvenimenti “isolani” va detto che in quello che una volta era chiamato il “Delfinato” cioè l’odierna zona a sud di Lione, era fiorente l’industria tessile, con l’adozione dei telai denominati Jacquard. Diversi imprenditori francesi furono invitati dal Murat ad installarsi nel Regno di Napoli per dare impulso alle nuove iniziative imprenditoriali, godendo di importanti benefici statali, resi possibili anche dalle abolizioni dei privilegi ecclesiastici[3]. Con decreto del settembre 1809 Gioacchino Murat concesse in comodato decennale il castello dell’Isola (di Sora) all’imprenditore Charles Lambert affinchè vi impiantasse una fabbrica di panni “ad uso di Francia”.
Unitamente al Lambert, mio antenato, arrivarono diversi imprenditori francesi nel circondario, attratti sia dai benefici agevolativi del Murat, ma anche dalle prospettive di produzione offerte dal sito. Infatti la presenza del fiume Liri, alimentato dalle nevi dei vicini monti dell’Abruzzo, nonché la conformazione orografica (con frequenti “salti” o cascatelle) offriva una prospettiva di utilizzo di energia idraulica gratuita, necessaria al funzionamento dei macchinari installati, con sostituzione della pregressa energia manuale. In quello che convenzionalmente è indicato come “decennio francese” corrispondente alla dominazione francese nel Regno di Napoli della famiglia Bonaparte (venuto meno nel 1815), furono impiantate da parte di imprenditori francesi diverse attività industriali sia nel campo della tessitura che nel campo della produzione cartaria, produzione questa che poi prese in sopravvento nel territorio di cui parliamo.
Sappiamo tutti che la caduta definitiva del sistema napoleonico e con gli assetti disposti dal congresso di Vienna, furono ristabiliti gli antichi regimi monarchici preesistenti e pertanto vi fu il ritorno della monarchia borbonica nel Regno di Napoli. Alla luce di quanto successo nel 1799 e di quelle che sono le conoscenze generali “di come va il mondo”, ci si sarebbe aspettato che la popolazione ed i nuovi governanti, individuassero negli “stranieri” francesi i soggetti sui quali muovere azioni di rivincita, di vendetta ed anche esperire azioni di arricchimento ai danni dei “nemici”.
Accadde invece che il popolo isolano inviò al sovrano borbonico delle suppliche per non allontanare questi nuovi imprenditori dal territorio, suppliche che furono ben accolte dal sovrano che emise apposito decreto con il quale metteva sotto la protezione reale i cittadini francesi ed i loro beni. Non mi risulta che a seguito della caduta del regno murattiano si siano registrati rientri in patria della “colonia” francese[4], peraltro probabilmente malvista in patria in quanto costituita da “bonapartisti” (Dumas racconta nei suoi romanzi l’ostilità dell’ancien régime francese contro i bonapartisti come si può leggere nel “Conte di Montecristo”) e pertanto le industrie nate dai decreti del Murat, prosperarono e si ingrandirono nel tempo, anche con il crescente contributo dell’imprenditoria locale che nel tempo si è prima affiancata e poi anche in parte sostituita a quella inziale francese, così come accadde anche nel caso della mia famiglia.
La storia ci ha abituato a racconti che vedono i vinti cacciati e soggetti a sopraffazioni dovendo in qualche modo ripagare quanto altri prima di loro hanno compiuto contro la popolazione locale; siamo stati abituati a vedere la monarchia borbonica, di evidente stampo assolutista, come retrograda e sorda ad ogni iniziativa di progresso, mentre quanto vi ho raccontato evidenzia l’intelligenza di un popolo, la sua capacità di accoglienza e di condivisione di culture e usi, dandoci una lezione di civiltà, di intelligenza e collaborazione che sembra appartenere più ad un futuro immaginario che ad un passato lontano.
Vorrei chiudere questa piccola testimonianza con un passo di un libro scritto dal celebre compositore francese Hector Berlioz nelle sue “memorie” di un viaggio in Italia del 1830 , nel quale racconta ed indirettamente conferma il contenuto di questo mio scritto: “ Una marcia forzata da San Germano (Cassino) ci fece arrivare in un giorno a Isola di Sora, , un villaggio[5] situato sulla frontiera del Regno di Napoli, che vale la pena di visitare per il suo piccolo fiume che dopo aver messo in funzione parecchi stabilimenti industriali, viene a formare una bellissima cascata… la nostra prima parola, entrando in città, fu per chiedere di una locanda. “ E …locanda.. non c’è né “ ci rispondevano i contadini con un’aria di canzonatoria pietà. “Ma la notte dove si và?” “ E … chi lo sa?” Chiedemmo di passare la notte in una brutta rimessa; non c’era un filo di paglia ed il proprietario si rifiutava… Avevo già trascorso a Isola di Sora una giornata; per fortuna ricordavo il nome di Courrier, francese, proprietario di una cartiera. Ci viene indicato tra un gruppo di persone suo fratello; espongo a costui il nostro problema, e, dopo un istante di riflessione, mi risponde in tutta tranquillità in francese, anzi, visto l’accento, potrei anche dire in dialetto del Delfinato: “Perdio! Vi si troverà una sistemazione per dormire bene”. “Ah ! siamo salvi, Courrier è del Delfinato, io sono del Delfinato, e tra gente del Delfinato, come dice Charlet, l’affare si può arrrangiare”. In effetti, il cartaio, che mi riconobbe , si comportò con noi con la più sincera ospitalità. Dopo una cena più che confortevole, un letto gigantesco, come non ne ho visti che in Italia, ci accolse tutti e tre; vi riposammo assai comodamente, riflettendo sul fatto che sarebbe stato meglio, per il resto del nostro viaggio, sapere quali fossero i villaggi con almeno una locanda, per non correre il rischio al quale eravamo appena sfuggiti…”
[1] Va ricordato che Maria Antonietta, Regina di Francia, ghigliottinata sulla Place della Concorde era la sorella della Regina di Napoli.
[2] Sembra peraltro che il fiume fosse particolarmente “gonfio” perle piogge cadute nei giorni precedenti.
[3] Molte iniziative industriali vennero ubicate in ex conventi o chiese sottratte agli enti ecclesiali.
[4] In francese si utilizza il termine di resortissant, cioè di cittadino francese residente all’estero.
[5] La traduzione villaggio è tipica di un francesismo, dove village, indica una piccola città (ville); mentre noi utilizziamo più il termine di paese.
2 commenti su “Isola del Liri: cosa ci insegna la storia?”
Molto interessante il recupero del passato. Conosco Alessandro Viscogliosi, di cui ho stima grandissima, che ha Permesso ai Soci del Giardino Romano visitare il Castello ed il magnifico affaccio rumoreggiante sulla cascata . Sono pronipote di Giustiniano Nicolucci, antropologo archeologo e medico la cui casa e’ attaccata al Castello, Isola Liri e’ nel mio background‼️
Grazie mille per l’interessante interazione. Un luogo davvero incantevole