Nella rassegna Campania Stories 2022, non potevano mancare le nostre interviste alle migliori realtà vitivinicole campane. Vogliamo concentrarci sull’analisi, con i relativi video, di due esponenti della Doc Campi Flegrei. La scelta è capitata, non tanto per caso, su un binomio di aziende paragonabile alle facce della stessa medaglia: Cantine Astroni e Cantine dell’Averno. La prima autentica corazzata del Comprensorio, con uno spiegamento di mezzi, tecnologie e risorse tali da proiettarla nell’Olimpo del vino che conta. La seconda vive l’artigianalità dei fratelli Mirabella, che costruiscono giorno dopo giorno il proprio destino come si fa con i mattoncini della Lego. Ne renderemo conto a voi lettori di 20Italie con spirito critico disincantato, analizzando i (tanti) pregi e gli aspetti su cui invece migliorare. Conoscere un territorio significa non solo avere a che fare con un pool di cantine che lavorano in fotocopia, ma soprattutto scoprire un organico di attori collaborativi ognuno con il proprio stile. Lo scopo deve essere sempre quello di arricchire il panorama delle proposte incuriosendo l’assaggiatore finale. Che il viaggio tra i Campi Flegrei abbia dunque inizio.
Partiamo da Cantine Astroni in compagnia di Cristina Varchetta della storica famiglia, che già nel 1800 coltivava la vite in terre per troppo tempo lontane da palcoscenici illustri. Fino agli anni ’90 del secolo scorso qui si produceva solo vino sfuso o al limite imbottigliato per il pronto consumo a tavola. La storia antichissima, i terreni vulcanici, l’impegno nei terrazzamenti ardui da mantenere erano cose conosciute solo a chi si sporcava quotidianamente le mani con la terra. Il territorio visse nel dimenticatoio, preso d’assalto come si fa con la diligenza dagli “indiani” della criminalità spicciola. Produttori come i Varchetta hanno saputo resistere a qualsiasi avversità: economica, politica, sociale e non ultima quella climatica. Hanno creato un presidio di legalità, di tradizioni e di cultura sempre più apprezzate in campo italiano ed internazionale. La Falanghina, clone autoctono ben diverso da altre zone vocate, viene declinata in versioni differenti unite da un sottile filo d’Arianna chiamato longevità. Gli ettari sono 27, di cui 15 di proprietà, su due appezzamenti principali: la collina tufacea dei Camaldoli, più fresca dalla vista mozzafiato che guarda verso Napoli e le sue vigne metropolitane. Infine il Cratere degli Astroni, polmone verde della città, riserva faunistica famosa sin dai tempi borbonici.
Proprio da queste zone ebbe inizio la nouvelle vague aziendale con nuovi impianti ed una cantina di vinificazione ed affinamento interrata di grande impatto scenografico. Vasche d’acciaio per i bianchi, straordinari nella piacevolezza del sorso. Vini identitari nella continua alternanza tra richiami succosi e terragni e note più fini di erbe aromatiche, dal tocco finale minerale lungo e prospettico. Abbiamo degustato alcune etichette tra le quali spicca la Falanghina Colle Imperatrice 2015 che non dimostra avere già 7 anni di vita. Se esistesse ancora qualcuno che dubiti della resistenza di un bianco non oltre il tempo di un’estate è giunta davvero l’ora del pentimento. Anche i Campi Flegrei sono riconosciuti a livello mondiale per la serbevolezza dei loro prodotti. Per quante chiacchiere si possano fare, l’unica spiegazione possibile riguarda l’interazione tra ambiente pedoclimatico e l’indispensabile attività dell’uomo, ben diverso dal classico, abusato concetto di “terroir”.
Il secondo in ordine di importanza, il Piedirosso, tende a fare le bizze rispetto alla compaesana a bacca bianca. Più fragile, spesso si assopisce in fase fermentativa su toni di riduzione che sono il terrore dei vigneron. Soffre inoltre di malattie e marciume nelle annate interlocutorie, essendo una varietà tardiva. Cantine Astroni lo propone comunque nella sua leggerezza da tutto pasto, senza ammantarlo di vesti troppo ingombranti. Il futuro non può che essere promettente, a patto di mantenere la bussola della caparbietà e della qualità ad ogni costo.
Lo stupore dei luoghi continua giungendo nei pressi del Lago d’Averno, alle Cantine dell’Averno gestite dai fratelli Nicola ed Emilio Mirabella. Cosa spinga due persone a scegliere di stravolgere totalmente la vita alla fine del secolo scorso, per dedicarsi alla viticoltura, è una storia che vale il “prezzo” della visita. Loro conoscevano a memoria i terreni, giocando da piccoli tra i vecchi filari, mentre aspettavano il papà nel quotidiano lavoro da fattore. Immediato il ricordo alle madeleine di Proust e guardando gli occhi stanchi ma felici di Nicola si sente una stretta al cuore per un tempo che fu. L’enologo Carmine Valentino, vero maestro del settore, ha dato i giusti consigli per avviarli all’attività di imbottigliamento, abbandonando quella di conferitori d’uva. La cantina è delle dimensioni di un box doppio, con un’intelligente organizzazione degli spazi disponibili.
Parva sed apta mihi dicevano i Romani, che consideravano mitologicamente l’Averno una porta d’ingresso verso l’inferno. Biologici convinti (Nicola è anche professore alla Facoltà di Veterinaria all’Università Federico II°), producono vini schietti e sinceri, ampiamente sotto i prezzi che meritano. Per essi l’importante è la buona accoglienza dei turisti ed appassionati che arrivano in visita. Ecco l’idea dell’agriturismo, aperto solo su prenotazione nei fine settimana, dove vengono vendute quasi la metà delle 15 mila bottiglie annue. Quattro le etichette presenti non in tutte le annate. Di base gli immancabili Falanghina e Piedirosso a cui si aggiungono due super riserve nelle stagioni generose per quantità e qualità. La loro interpretazione della Falanghina 2021, assaggiata davanti ad un eccellente piatto di linguine alla pescatora preparate da Emilio, è commovente. Per un istante dovete chiudere gli occhi ed immaginare di stare in una distesa di ginestre, albicocche succose e macchia mediterranea. L’estrazione si sente, complice la sosta sulle fecce fini e relativo batonnage, tuttavia è un’estrazione saporita di quelle che “aggiungono e non tolgono”. Cala lievemente la vivacità nel finale, pur nella sua compostezza, come fa il sipario di un’opera lirica davanti ad un bravo tenore. Per 8 euro franco cantina davvero non si poteva fare di meglio.
Altra sorte il Piedirosso 2021 che dimostra evoluzione e sbuffi surmaturi. Ha sofferto l’annata impegnativa in termini di temperature torride e si muove con qualche zavorra sulle spalle. Il bello del fare vino alla vecchia maniera mai uguale alle vintage precedenti. Da segnalare infine le due Riserve, una per la Falanghina – Vigna del Canneto 2012 – attualmente in commercio e che ha ben digerito l’affinamento iniziale in legno, con nuance di cedro maturo e balsamicità. Il Pape Satan 2014 può rappresentare una nuova identità del Piedirosso, ma bisogna lavorarci ulteriormente per domare le parti verdi ed aumentarne la piacevolezza di beva. Setosi i tannini.
Ascoltiamo il racconto di Nicola Mirabella salutando l’edizione 2022 di Campania Stories.