Nel lontano 2008, all’alba della mia carriera da cronista, mi trovai con degli amici in un ristorante di Salerno purtroppo velocemente scomparso dai riflettori. All’epoca già masticavo di vino e mi incuriosiva una cantina irpina che non avevo ancora provato: I Favati. La scelta cadde proprio sul Fiano di Avellino, non tanto per la romantica etichetta con la vecchia foto di famiglia degli inizi del ‘900, quanto perché ero devoto a chi potesse evocare nel calice le mie stesse origini.
Non avrei pensato, tempo dopo quell’assaggio strepitoso, quale fosse la storia celata dietro una opera eccellente e a dir poco pionieristica. Un periodo nel quale, invece, troppi vini erano ancora rustici o (peggio) appesantiti da lunghe macerazioni e affinamenti. Lo stesso tempo in cui si cercava testardamente il famoso sentore di nocciola tostata, dimenticandosi le altre incredibili espressioni aromatiche di una varietà unica nel suo genere. Chi avrebbe immaginato i sacrifici personali di Rosanna Petrozziello, del marito Giancarlo Favati e del cognato Piersabino nel realizzare una cantina gioiello nel piccolo comune di Cesinali, a pochi passi da Avellino?
Rosanna decide 25 anni fa di dedicare anima e corpo al progetto, tralasciando pian piano il precedente lavoro di dirigente bancario, ruolo estremamente prestigioso e remunerativo. Lo ha fatto per quel colpo di fulmine che talvolta si prova nell’avvicinarsi al mondo agricolo e per restare vicina alla famiglia, con un’attività che potesse giovare alla prole. Da tutto questo e dal restauro del vigneto “Pietramara” posto su terreni frammisti tra argille gialle, tufo e vene calcare sotterranee, nasce il segreto del successo di I Favati.
Indispensabile, infine, l’esperta consulenza enologica di Vincenzo Mercurio in particolare nella scelta dei contenitori e dei tempi di vinificazione micro parcellizzati.
Ascoltate la video intervista rilasciata per 20Italie e poi analizzeremo in maniera dettagliata alcune delle etichette in commercio.
Partiamo con la degustazione del Terrantica Greco di Tufo Docg 2020, decisamente largo ed avvolgente sia al naso che al palato. Gli aromi richiamano i fiori gialli, con note melliflue e frutta matura a polpa bianca. Chiude al sorso su scie minerali che appagano e solleticano un nuovo assaggio.
Meno accondiscente il Pietramara Fiano di Avellino Docg 2020 teso e verticale, declinato interamente tra agrumi e macchia mediterranea. Mineralità impressionante, che rivela una caratteristica del varietale spesso dimenticata dalle cronache. Al gusto continua coerente, promettendo lunga vita in bottiglia per raggiungere il plateau espressivo. Tanta vivacità e neanche l’ombra di evoluzioni al sapor di nocciola tostata (per fortuna). Il marcatore descrittivo comincia a ravvisarsi invece nella 2018 semplicemente perfetta, sfruttando anche la complicità climatica di una vintage non troppo afosa.
Chiudiamo con il Terzotratto Taurasi Docg 2012 per comprendere che I Favati hanno sicuramente un animo da bianchisti, ma sanno sorprendere anche con i rossi. L’Aglianico è esaltato dal lungo riposo tra contenitori di legno di diverse dimensioni e passaggi che ne amplificano le parti terziarie di cioccolata, sigaro sbriciolato e liquirizia. Petali di viola essiccati ed amarene sotto spirito completano il quadro di estrema piacevolezza del vino, che ben fa immaginare abbinamenti di sostanza con piatti della cucina campana.
Quanta bellezza in Irpinia!
1 commento su “Cantina I Favati: il segreto di un successo tutto made in Irpinia”
Mi piacerebbe conoscere dove si possono acquistare questi vini, a parte online, e conoscerne i prezzi!