Quando incontro Paolo Mastroberardino di Terredora è come un ritorno in famiglia. Il figliol prodigo in questione sarebbe il sottoscritto, assetato di ascoltare dalle parole del Maestro i segreti del suol natio: l’Irpinia.
Non è la prima volta che mi reco a Montefusco, ma oggi il viaggio è doppiamente soddisfacente in compagnia dei colleghi Francesco Costantino e Roberto Imparato per 20Italie, tutti desiderosi di dar voce a territori e produttori della nostra amata Campania.
Un giro in cantina, bottaia inclusa, rende l’idea delle dimensioni del progetto Terredora: a dispetto di grandi numeri qui si respira ancora un’aria da artigiani del vino. In questo luogo magico Doriana, figlia di Paolo, che da anni collabora nella consulenza enologica, ci racconta di una sperimentazione appena introdotta in Italia: la tecnologia Cleanwood per rigenerare e disinfettare le barriques di rovere in processi da 4 a 5 minuti.
Il trattamento disinfetta al 100% l’interno della barriques garantendo il controllo della salute e della qualità dei prodotti grazie ad onde ad alta frequenza. Il risultato è un netto risparmio di acqua, energia, additivi, elementi chimici e, soprattutto, l’acquisto di nuove botti, perfetto per il concetto di sostenibilità ambientale e preservazione delle materie prime.
Le innovazioni non finiscono qui, proseguendo negli spazi dedicati alla fermentazione alcolica del mosto con tini cilindrici orizzontali per assottigliare e controllare meglio il cappello di fecce superficiali che si viene a creare in questa delicatissima fase. D’altro canto l’improvvisazione non fa parte dei Mastroberardino, già dal lontano 1994 quando per una separazione familiare mossero i primi passi del loro sogno. Papà Walter con i figli Paolo ed il compianto Lucio, scomparso prematuramente nel 2013, avevano soltanto le vigne di proprietà e si dovettero adoperare per costruire a tempo di record una cantina funzionale senza affidare a terzi la prima annata del nuovo corso.
La video intervista a Paolo Mastroberardino, verrà suddivisa in 3 parti distinte, per arginare il fiume in piena di aneddoti ed informazioni tecniche. Un’autentica masterclass che parte proprio da qui, dalla storia dell’azienda e dal ricordo commosso di Lucio, con l’etichetta commemorativa del Taurasi Riserva vintage 2007.
La seconda parte concerne la narrazione di quel terroir ricco di tradizione e cultura dove risiede la famiglia di Paolo: l’Irpinia. Un luogo caratterizzato da asprezze climatiche che crescono in parallelo alle altitudini dei suoi versanti. Il bosco la fa da padrone assieme alle escursioni termiche, al vento ed alla neve, ancora presente seppur meno copiosa di qualche decennio fa. L’influenza del Vesuvio con le sue eruzioni è il vero segreto della morfologia dei terreni, stratificati da argille di medio impasto per vini di colore, struttura e carattere.
Last but not least, prima di dedicarci anima e core alla degustazione dei campioni in assaggio, non poteva mancare un’ampia carrellata sulle varietà principe della zona. Dal Greco di Tufo dei vigneti di Santa Paolina, frutto di una vera e propria selezione massale su 102 cloni/biotipi alllevati in due campi collezione per individuare le “piante madri”, fino al Re dei vitigni campani: l’Aglianico (biotipo Taurasi). Esso viene declinato in 3 versioni: Fatica Contadina, Pago dei Fusi e CampoRe, oltre alla prima uscita della special edition Riserva “Lucio” vintage 2007, fatta in rarissimi esemplari.
Dopo tanto parlare partiamo finalmente dalla note degustative cominciando dai bianchi:
Irpinia Falanghina Doc 2020 “Corte di Giso”
Falaghina d’altura, cresciuta a circa 600 mt per ben due dei tre siti di provenienza, fra i più elevati di tutta la regione. Forza espressiva ed armonia rievocano i madrigali di Carlo Gesualdo, principe dei musici, vissuto tra il ‘500-‘600 a cui si ispira il suggestivo nome. Figlia di una annata molto difficile, dagli equilibri altalenanti come l’inizio della lotta alla tremenda pandemia. Il frutto è meno marcato rispetto ad altre zone, più fresco ed agrumato. La bocca è salina, dalle movenze floreali di glicine e ginestra. Un pizzico di maggior lunghezza avrebbe reso il quadro davvero perfetto.
Greco di Tufo 2020 Docg “Terre degli Angeli”
Dedicato ad Angelo, lo zio di Paolo morto a fine anni ’70. Il vino giova degli studi clonali e di zonazione effettuati per oltre due lustri. In questi terreni a Santa Paolina sarebbe partita la rinascita della viticultura irpina. Superbo per nulla timido né all’olfatto né tantomeno al palato. A differenza della Falanghina ama un clima maggiormente fresco che esalta al meglio la sua matrice minerale, fino a sfiorare richiami di salsedine. Persistente, elegante, un vestito di seta che ben aderisce a numerose pietanze regionali dal pesce alla carne.
Fiano Docg 2016 “CampoRe”
I Borboni gradivano bere il vino proveniente dalle campagne di Lapio, al punto tale da diventare il Campo del Re. Zona particolarmente vocata per questo vitigno storico che trova la sua dimora sin dall’antichità, quando era conosciuto semplicemente come Apianum. La particolare tecnica utilizzata nel far fermentare il mosto in barrique con successivo affinamento, richiede l’immissione in commercio dopo oltre 5 anni giusto tempo per esprimere al top le proprie potenzialità. Un corredo di frutta secca e tostata, tipico marcatore del Fiano. Il finale chiosa su balsamicità di macchia mediterranea e pera succosa. Un gigante elevato da una vintage memorabile.
Irpinia Aglianico Doc 2015 “Il principio”
Etichetta di particolare effetto..ed affetto, che commemora gli inizi di Terredora. Corretto mix tra sosta in legno e bottiglia che nobilita l’Aglianico, con un passo felino fatto di violetta macerata e ciliegia matura. Declina sulla piacevolezza di beva e non chiede altro che farsi apprezzare in una chiacchierata tra amici a camino acceso.
Taurasi Docg 2014 “Fatica Contadina”
Sono molto legato a questa etichetta. Non soltanto per l’espressione di un Taurasi agevole (se così si può dire) nell’impatto del tannino. L’annata racconta delle lacrime di Paolo, che si occupava della vigna, nel raccogliere l’eredità enologica lasciata da Lucio, per giunta in un’annata climaticamente al limite dell’impossibile. Il lavoro svolto ha trasmesso le emozioni ed il vino non fa altro che riproporcele come il riverbero di un microfono. Delicato, non esile, floreale ed equilibrato dal sorso di arancia sanguinella e ribes rosso. Averne.
Taurasi Docg 2012 “Pago dei Fusi”
Ecco l’evoluzione del Taurasi! Pensate che la 2012 è quella attualmente in commercio, indice di un lungo sonno del vino in bottiglia interrotto dopo ben 10 anni. Ovviamente le note terziarie entrano dalla porta principale e raccontano di tabacco essiccato, confettura di mirtillo, pepe nero, liquirizia. Il finale è da cioccolato fondente, cuoio, sanguigno e salino. Trama tannica potente e perfettamente integrata. Buono subito o tra qualche anno.
Chiudiamo la nostra visita parlando del Concorso Enologico dedicato a Lucio Mastroberardino che si spera possa riprendere in questa stagione. Nasce inizialmente su pressione di alcuni produttori che erano grati all’immenso lavoro svolto dal fratello di Paolo riconosciuto ai massimi vertici delle organizzazioni di settore. Da 30 cantine siamo passati ad oltre 140 con la creazione di un movimento che da lustro all’intero comparto enologico campano. Le ultime parole dell’intervista sono di ringraziamento per l’impegno profuso dalle figlie Doriana e Giulia Mastroberardino nel continuare la tradizione di famiglia iniziata con nonno Walter ancora alacremente al lavoro all’alba delle 89 candeline.