Si fa sempre fatica a raccontare a tanti delle potenzialità evolutive di molti vini da uve a bacca bianca. Paliamo del cosiddetto grande pubblico, non già di esperti degustatori o informati appassionati. A costo di essere un pelino irriverenti ci viene spontaneo commentare: “…non sanno che si perdono”! Per nostra fortuna moltissimi produttori italiani non si piegano a questa circostanza del mercato, continuando a progettare e realizzare bianchi longevi che sfidano le insidie del tempo che passa.
Siamo stati invitati da Fontanavecchia, maison sannita alle falde del Monte Taburno, in agro di Torrecuso, ad assaggiare ben tre bianchi in avvio del loro percorso evolutivo. Tutti da uve Falanghina. In compagnia del patron Libero Rillo e di suo fratello Giuseppe è toccata all’enologo aziendale, il toscano Emiliano Falsini, la narrazione del nuovo progetto che prende le mosse da una produzione aziendale già di successo, datata ormai un quarto di secolo.
Prima l’indimendicabile etichetta “2001″, poi il “Facetus” ed infine il “Libero” hanno costituito e costituiscono una convincente storia esperienziale di Fontanavecchia in tema di vini bianchi di struttura atti anche ad essere serbevoli. Ma questa volta il team aziendale è andato oltre la semplice adozione di protocolli di vinificazione, introducendo, a partire dalla vendemmia 2020, una vera e propria zonazione dei vigneti di Falanghina, coltivati in tre areali distinti del Sannio, tutti fortemente vocati all’allevamento di questa varietà cardine per l’areale.
Questa è la genesi dei tre bianchi monovarietali in cui nome alfanumerico in etichetta distingue il Comune di ubicazione dei Cru e la particella catastale del vigneto: nascono, quindi, Libero B148 con uve provenienti esclusivamente da Bonea, come denuncia la prima lettera del codice; il Libero F190 con la “F” che indica Foglianise e per ultimo il Libero T031 a designare Torrecuso quale origine delle uve. Giaciture, altitudini, esposizioni ma soprattutto strutture pedologiche diverse che restituiscono in calice tutta la ricchezza e la tipicità di quei rispettivi luoghi.
Dai terreni sciolti, sottili e fini, in buona parte di origine vulcanica della vigna caudina di Bonea, alla tessitura argilloso-calcarea più grassa e strutturata di Foglianise per finire con la natura decisamente calcarea con marne talvolta affioranti dei vigneti torrecusani siti all’ombra del Taburno. I nostri appunti di degustazione ci rimandano a tre vini, dal millesimo 2020, tutti dalla medesima vibrante e tesa freschezza, ma ciascuno con un proprio originale bagaglio identitario.
Caratteristiche, queste ultime, volutamente ricercate ed ottenute da un protocollo di vinificazione lineare e coerente con l’obiettivo, a partire dalla scelta dell’epoca vendemmiale, che nulla concede a lunghe surmaturazioni in pianta e tantomeno a precoci raccolte di fine estate. Dopo una breve macerazione in rotopressa a temperatura controllata è il tempo del travaso delle masse in barrique di rovere francese di primo passaggio, all’interno delle quali avviene l’intero processo fermentativo. A cose fatte segue il lungo riposo in acciaio e in bottiglia per almeno 36 mesi prima della disponibilità a scaffale.
Ad avviso del degustatore, chi volesse ricercare i tratti paradigmatici della Falanghina dovrà affidarsi al Libero B148, vino fine ed elegante dai sentori floreali di ginestra e tiglio cui fa immediatamente seguito, a spallate, la prorompente forza del frutto a polpa gialla per finire, in ottima lunghezza, con netti ricordi di suadenti agrumi dolci. Al palato l’incipit spetta alla tagliente lama acida sorretta, nel medio-bocca da un corredo minerale di tutto rispetto per convergere, sul finale di sorso, nella dimensione aromatica coerente ma arricchita da retrogusto di nocciola appena tostata.
Un olfatto più deciso, verticale e aristocratico caratterizza il Libero F190 con il suo corredo fruttato di mela verde e mango sullo sfondo deciso di fiori di sambuco. Anche qui la freschezza è protagonista, rendendo il sorso gradevole e reiterato; ma l’ulteriore apporto sapido in uno col suo retrogusto di mandorla dolce racconta di un vino dalla raffinata vocazione gastronomica.
A fine percorso, agevolato dalla appassionata descrizione dei nostri premurosi ospiti e del winemaker aziendale, incontriamo il Libero T031, vino dall’olfatto già in parte evoluto, quasi ad annunciare quei profumi terziari che, verosimilmente, sprigioneranno alla distanza, lungo il cammino di ulteriore maturazione cui è destinato. Ma è il sorso che descrive il corpo, la struttura e la grassezza di bocca del “Torrecuso” il cui equilibrio con la immancabile spalla acida esibiscono un vino che è l’esatta, liquida rappresentazione di un territorio, spesso a torto considerato ad unica vocazione rossista, come quello del Parco regionale del Monte Taburno.
Il commiato da Fontanavecchia è solo un solenne arrivederci per scoprire, nei prossimi anni, l’indole di conservazione di questi vini DOC Falanghina del Sannio, in attesa della prossima rivendicazione a Denominazione di Origine Controllata e Garantita.