Vivere nel Cilento. Bella impresa si direbbe, persi tra stradine, borghi antichi e usanze tipiche marinare. Eppure in quest’angolo di paradiso alberga un ritmo di vita forse unico al mondo, pari solo ai villaggi dei pescatori scandinavi e poco altro.
Festina lente pronunciavano i Romani: appropinquarsi con la giusta lentezza, il vero segreto di una lunga e serena esistenza. Quando lo stress del quotidiano pesa sulle nostre spalle, arriva un momento in cui l’assenza di responsabilità, di tensioni nervose e di voglia di sgomitare sul prossimo devono lasciare il posto alla quiete, al silenzio assordante di luoghi senza tempo e sapori senza confini, impregnati di storia e tradizione.
“Le vie del Cilento sono infinite”, parafrasando un celebre motto. Vengono persino utilizzate per sentieri religiosi come il Cammino di San Nilo, che conduce dalla Calabria alle sponde laziali di Grottaferrata ripercorrendo le tappe dei monaci eremiti bizantini. I viandanti e pellegrini dell’epoca ben conoscevano ante litteram i pregi delle terre d’origine della Dieta Mediterranea, celebrata secoli dopo dal biologo scrittore Ancel Keys.
Un entroterra quasi esoterico, ricco però di pietanze a base di sughi e carne, formaggi e salumi e tanti prodotti dell’orto. La Costa, invece, regno del pescato, in particolare dell’alice di menaica e sostenuta dai profumi mediterranei delle classiche erbe officinali, per dare un tocco di aroma e sostanza alle ricette.
Il riassunto ideale, tra mari e monti, lo si trova tra i sobborghi di Ceraso, all’Osteria del Notaro della famiglia Notaroberto con Augusto, la moglie e il figlio Stefano ai fornelli. Dalla mozzarella nella mortella, alla parmigiana bianca per finire con fiori di zucca fritti (senza ripieno come vuole la tradizione) e le alici proposte in frittella o “rinchiuppate”, ossia riempite di formaggio e pane raffermo, variabile a seconda del luogo in cui le si assaggia.
E poi la fetta di carne tipica locale, la melanzana al pomodoro, per chiudere poi in dolcezza con le pasterelle cilentane fritte con crema di castagne. Il cibo e il vino viaggiano di pari passo e l’offerta enologica è notevolmente ampia in Cilento, soprattutto quando a parlare sono due varietà cardine per la Campania: il Fiano per i bianchi, l’Aglianico per i rossi.
Suoli marnoso calcarei, con punte di argille lamellari che donano potenza e armonia ai vini, come quelli di Fattoria Albamarina di Mario Notaroberto, raffinato gourmand proprietario di ristoranti in Lussemburgo, con vasta esperienza nel commercio estero delle nostre eccellenze alimentari. Partendo dalle bollicine giocose de “L’Eremita”, passando per la suadente Falanghina “Etèl”, il Greco del “Nylos”, verso i due cavalli di razza del Fiano: “Valmezzana” (vinificato solo in acciaio) e l’ammiccante borgognone “Palimiento”, strutturato e denso come la varietà sa offrire.
Completano il quadro l’Aglianico del “Futos” e quello di “Agriddi”, una sorta di riserva che guarda alle scie tanniche taurasine, non dimenticando l’avvolgenza del Vulture. Vigne a strapiombo, cullate dal tramonto di un sole che tutto colora con luci soffuse, in mezzo a colline dalle verdi sfumature. Un emozionato Mario Notaroberto ci narra proprio delle origini del paese di Futani e della menzione grafica speciale tra le etichette dei suoi vini.
Dalle altezze di Ceraso sino alle propaggini di Pisciotta, seguiamo l’arte di chi, come Alessandro Amendola, vive il mare da protagonista con il frutto del proprio lavoro ricavato dalle reti artigianali dette “menaiche”, che pescano solo le alici più grandi preservando l’ecosistema per le generazioni future. Un procedimento di salagione e stagionatura simile ad altri magnifici territori campani; una moneta di scambio in passato, da barattare con le primizie contadine di chi viveva lontano dalle spiagge.
La giornata si chiude in barca sulla rotta di Palinuro e della celebre Grotta Azzurra, tra miti e leggende che si perdono nella notte dei tempi. Un inatteso sapore di vita sana.