Benevento: tra cavalieri, streghe, santi e buona tavola

Sanniti: popolo fiero di ceppo sia irpino che caudino, originatosi dagli Osci. I Romani conoscono bene l’orgoglio delle genti che abitavano queste vallate così ricche di bellezza e di mistero. Il nome stesso di Benevento, punto di partenza del nostro racconto di una delle perle della Campania, è intriso di storia e leggenda. Forse un’antica storpiatura del termine malies (che richiama le origini greche dei fondatori) o mallos a simboleggiare il vello della pecora, e l’abilità di allevatori e coltivatori degli abitanti.

La fondazione di Benevento la si deve, secondo ipotesi recenti, a un rituale tipico dei sanniti, che consacravano al dio Mamerte i nati tra il 1 marzo e il 1 giugno secondo i canoni della “primavera sacra” (ver sacrum). Gli stessi, divenuti giovani uomini, si sacrificavano per il bene comune spostandosi alla ricerca di luoghi da colonizzare, seguendo le orme di un animale sacro, qui da sempre incarnato nel cinghiale.

Da allora sono poche le fonti disponibili che testimoniano la volgarizzazione del nome in Maleventum, poi diventato, dopo il 275 a.C. Beneventum per buon auspicio da parte del nuovo conquistatore, Roma, che concederà subito il beneficio di Municipium, quale punto nevralgico per gli scambi mercantili lungo la Via Appia.

Gli invasori non furono usurpatori anzi: provvidero nei secoli al benessere complessivo di Benevento, con la costruzione di numerosi monumenti ancora esistenti, come l’Arco Traiano, il Teatro Romano, le antiche Terme e persino un’importante scuola di gladiatori. Alla caduta dell’Impero d’Occidente seguì la fase di dominio dei Longobardi, stirpe di guerrieri provenienti dalla Pannonia. Capitali della “Longobardia Minor” divennero Benevento e Spoleto.

Dal loro buon governo vennero edificate la Chiesa di Santa Sofia, patrimonio Unesco e le cinta murarie aperte da 9 porte ancora in parte visibili. Il 1077 d.C. segna il passo con l’ultimo re Longobardo, prima che Benevento fosse amministrata dal papato per il tramite di Rettori Pontifici.

La Rocca dei Rettori e l’astio crescente della popolazione per il nuovo potere, causarono un lento declino durato fino al 1860, con la deposizione di Edoardo Agnelli. Da quell’istante di libertà ci fu il ritorno dell’attenzione sulla cittadina e le sue leggende, come quella delle Streghe, le cosiddette “Janare”, seguaci di Diana nei culti pagani, o della dea Iside per l’abilità nelle pratiche di magia occulta, che volavano con la scopa e praticavano il rito del Sabba ai piedi dei nocelleti.

Le janare nascevano durante la vigilia di Natale. Tra le loro abitudini avrebbero avuto quella di fare di notte le treccine alla criniera dei cavalli, lasciando dei nodi come una sorta di incantesimi capaci di legare certe linee di forza sottili.

Furono ampiamente perseguitate e fino al secondo dopoguerra il termine stesso comprendeva un’accezione negativa rivolta alle donne non osservanti delle rigide regole sociali dell’epoca. Nell’archivio arcivescovile erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, in buona parte distrutti nel 1860 per evitare di conservare documenti che potessero infiammare ulteriormente le tendenze anticlericali che accompagnarono l’epoca dell’unificazione italiana. Un’altra parte è andata persa a causa dei bombardamenti che hanno quasi distrutto la città.

La Rocca dei Rettori è l’attuale sede della Provincia. Fu completata tra il 1320 e il 1340 d.C. dai Rettori che prima vivevano nel palazzo del duca longobardo Arechi II.

La costruzione della Chiesa di Santa Sofia venne invece completata nel 760, anno in cui furono accolte le reliquie dei XII Fratelli Martiri. Circa 23 metri e mezzo di lunghezza, fungeva inizialmente da cappella privata palatina o più probabilmente, per la redenzione di Arechi II e a vantaggio della salvezza del suo popolo e della sua patria. Evidente l’intento devozionale e lo scopo dichiaratamente politico e terreno a cui il duca si richiama: sin dalla fondazione, la chiesa venne concepita quale santuario non solo del principe, ma anche e soprattutto dell’intero organismo sociale e territoriale posto sotto il dominio del principe.

Il Complesso Monumentale di Santa Sofia fu poi ampliato di un convento ed un campanile, ricostruito ex novo distante dalla Chiesa dopo il terremoto distruttivo del 1688, nell’ambito delle mura del monastero benedettino. Presenti anche le reliquie traslate di San Mercurio e San Bartolomeo martire. Le colonne di granito grigio provenivano dall’Egitto e lo splendido chiostro interno annovera 47 colonne con 47 capitelli differenti per stile e composizione.

L’Hortus Conclusus di proprietà dell’ex Convento di San Domenico comprende le opere di Mimmo (Domenico) Palladino, artista appartenente alla corrente della transavanguardia nata con Achille Bonito Oliva. Un piccolo giardino incantato dove trovare la pace tanto desiderata e il silenzio della natura circostante.

Da lì il nostro percorso conduce verso il Triggio (o trivium), incontro di tre strade, quartiere medievale costruito sui resti di un precedente teatro romano. Qui alberga da sempre “A’ Zucculara”, spirito del teatro romano, l’antica dea Ecate protettrice degli incroci e della magia, che camminava con gli zoccoli per avvisare tutti della sua presenza.

Passeggiando tra i vicoli si giunge davanti al Teatro Romano edificato sotto imperatore Adriano, figlio adottivo di Traiano da ben 7500 spettatori, che vedeva l’esibizione di vari giochi e sfide, comprese le naumachie, vere e proprie battaglie navali. Perfetta l’acustica anche per opere e recite classiche di drammaturgia.

La nostra visita a Benevento termina con l’Arco Traiano, da dove la via Appia conduceva a Brindisi. Traiano era un imperatore di origine germanica e, sotto impero longobardo, l’Arco diverrà una delle Porte Auree di ingresso al centro cittadino.

L’appetito deve essere soddisfatto, però, non solo dalla cultura e dalla storia, ma dal buon cibo e vino. All’Agriturismo Le Peonie, che offre anche camere confortevoli in stile shabby chic, ce ne parla la titolare Annamaria Colanera seguita poi dalle parole del Presidente del Sannio Consorzio Tutela Vini Libero Rillo. Un territorio unico, intriso di rara magia e bellezza.

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Luca Matarazzo

Giornalista, appassionato di cibo e vino fin dalla culla. Una carriera da degustatore e relatore A.I.S. che ha inizio nel lontano 2012 e prosegue oggi dall’altra parte della barricata, sui banchi di assaggio, in qualità di esperto del settore. Giudice in numerosi concorsi enologici italiani ed esteri, provo amore puro verso le produzioni di nicchia e lo stile italiano imitato in tutto il mondo. Ambasciatore del Sagrantino di Montefalco per il 2021 e dell’Albana di Romagna per il 2022, nonché secondo al Master sul Vermentino, inseguo da sempre l’idea vincente di chi sa osare con un prodotto inatteso che spiazzi il palato.

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