Qualcosa di nuovo è accaduto nel territorio vitivinicolo che va dal Taburno Camposauro alla costa tirrenica, altrimenti chiamato Sannio. Una inaspettata ricchezza ampelografica è emersa grazie a ricerche approfondite iniziate al termine del 2019.
Un quinquennio di studi scientifici di un gruppo di ricercatori professionisti per individuare e riuscire a iscrivere nel Registro Nazionale delle varietà di vite ben 11 (ma a breve diventeranno 12) nuovi vitigni, denominati “Uve Rare” per il vino di Solopaca.
Per la precisione si tratta di:
Agostina, Cocozza, Ingannapastore, Urmo, per i vitigni a bacca bianca; Arulo (altresì Vernaccia di Arulo) come sinonimia col Grero o Grero Nero di Todi, Castagnara, Reginella, Sabato, Suppezza, Tennecchia (altresì Tentiglia), Tesola nera (altresì Vernaccia di Vigna), per i vitigni a bacca nera. A questi si aggiungerà a breve la Ghiandara Bianca (altresì Aglianico Bianco).
Il “Progetto Solopaca”, modello da imitare per chi crede che l’unico passaggio possibile di un giusto rapporto dell’uomo con la natura sia quello del recupero delle tradizioni e della cura del paesaggio (come sostiene l’archeologo Massimo Botto, dirigente della ricerca CNR – ISPC) è frutto e merito dell’incontro e scambio di conoscenze fra chi del territorio ne aveva una profonda conoscenza, come Clemente Colella capofila dell’Associazione Vignaioli di Solopaca, i ricercatori del CNR, quelli del CREA, nonché i funzionari della Regione Campania e della delegazione AIS di Grosseto, che ha testato in più occasioni e fornito vari suggerimenti sui vini prodotti esclusivamente con Uve Rare.
Il frutto di questo lavoro è stata la pubblicazione di un volume di ben 430 pagine (e se allo scrivente è consentito, in qualità di bibliofilo annoso, un libro curato e ben fatto), un’opera open access e open science quindi scaricabile, dal titolo SOLOPACA Viticoltura di terroir e “Uve Rare” dal Taburno Camposauro alla costa tirrenica a cura del prof. Stefano Del Lungo, edito da Dibuono Edizioni di Villa D’Agri (Pz), presentato lo scorso 4 luglio, una data che quasi sancisce una volontà rivoluzionaria e per creare un neologismo “emersiva”, nella Sala Cavour del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Sono state tre ore di esplicazione di puro interesse per i cultori del vino e non solo, durante le quali, coordinati da Fosca Tortorelli, e dopo una introduzione della direttrice ad interim del CNR ISPC Costanza Miliani, sono intervenuti Clemente Colella per l’Associazione Vignaioli di Solopaca, Stefano Del Lungo (curatore del libro) e Antonio Pasquale Leone per il CNR, Angelo Raffaele Caputo e Vittorio Alba per il CREA, ed Emilano Leuti dell’AIS di Grosseto.
Una ricchezza di informazioni provenienti dagli studi per le quali è necessario rimandare al libro, con un’unica anticipazione che ci ha colpito: la quasi bilanciata distribuzione dei sistemi di allevamento nel territorio di Solopaca. Su un totale di 795 ettari di superficie vitata, 422 ettari vale a dire il 53% sono a spalliera, e i restanti 373 ettari a raggiera, riconosciuta e iscritta dalla ricerca nel Registro nazionale di paesaggi rurali storici, pratiche agricole e conoscenze tradizionali come “Raggiera del Taburno”.
Al termine abbiamo avuto modo di assaggiare un paio di vini di Solopaca, uno bianco e uno rosso, prodotti esclusivamente da “Uve Rare”, che hanno evidenziato una freschezza di base e facilità di beva, una nota più tendente al salino che al minerale, una presenza alcolica molto misurata, una buona acidità, e del frutto giallo per la versione bianco, e piccola frutta scura per quella in rosso, e che avendo margine di crescita lasciano presagire una loro evoluzione produttiva positiva in futuro.